16 marzo 1978, un ricordo
Una postilla alla rassegna di stamattina, che è anche una pagina di diario.
43 anni fa, quella mattina del 16 marzo, ero nella mia classe della terza liceo, quinto piano, Liceo Alfieri di Torino. Bussò e chiese alla prof se poteva parlarmi Fabrizio Rondolino. “Rondolo” era il capo della Fgci, aveva un anno meno di me, che ero stato eletto coi Cattolici popolari per ben quattro anni. Mi disse secco: hanno rapito Moro e ucciso tutti quelli della sua scorta, andiamo dal Preside. Stop alle lezioni. Tenemmo insieme un’Assemblea d’Istituto degli studenti. La ricordo silenziosa e commossa. Eravamo tutti attoniti di fronte alle Br che vincevano e imponevano la loro logica, e poi via al corteo in centro. Davanti a Porta Nuova, alla partenza, c’erano anche le bandiere bianche della DC. Scontri, fischi, violenza: i terroristi quella mattina avevano fiancheggiatori palesi, lo ricordo molto bene. Altro che. Ma forse perché eravamo giovani, ho il ricordo di giorni di buio ma anche pieni di grandi speranze. Nasceva Il Sabato in quei giorni, il settimanale a cui avrei collaborato, e che alla fine ho anche diretto nei miei primi anni da giornalista. Avevamo un sacco di cose da dire e il mondo da scoprire. E c’era ancora un linguaggio comune fra chi la pensava diversamente, un attaccamento ai fatti, alla realtà, una tensione comune a noi umani che sfidavamo le difficoltà, che adesso è più difficile da percepire. E tuttavia quel tentativo di Moro rimase un’ispirazione per anni. E ancora lo è oggi, tanto più perché siamo di nuovo in guerra. In cerca di un linguaggio comune. E di grandi speranze.