A che cosa serve la guerra?
L'ex capo dello Shin Bet riflette sul vero obiettivo dell'offensiva a Gaza. Manca una prospettiva sul dopo. Biden non ottiene i soldi per Kiev. Patto Ue: stretta finale. Stasera Don Carlo alla Scala
L’ex capo dei servizi segreti israeliani Ami Ayalon in un’intervista alla Stampa di oggi dice: «Credo che questa sia una guerra giusta. È una guerra di difesa. Chiunque mi dirà che sbaglio, gli ricorderò cos'è la guerra. (…) Quello che manca a Israele è l'obiettivo politico. Sto combattendo, sto uccidendo, sto morendo per creare una realtà migliore per i palestinesi e gli israeliani? Se sì, sosterrò questa guerra. Se no, non ho una storia da raccontare ai miei figli e ai miei nipoti». Ayalon non è un pacifista. Potremmo dire che crede nella guerra. Ma non in questa guerra, se alla fine non creerà una situazione migliore. Anche nella dottrina classica della guerra giusta il tema dell’obiettivo, dello scopo proporzionato al danno, è centrale. Alla guerra di Gaza oggi manca una chiarezza di prospettiva sul fine, sullo scopo. Dice Ayalon: si vogliono ancora due popoli e due Stati? O no? Non a caso l’ex capo dei servizi cita la guerra del Kippur di 50 anni fa. Quel conflitto, vinto dall’esercito israeliano, aprì la strada al riconoscimento di Israele da parte dell’Egitto, che arrivò 5 anni dopo e che poi costò la vita ad Anwer El Sadat e l’esclusione del Cairo dalla Lega Araba per dieci anni. Ma mise in moto un processo fondamentale per il mondo arabo e per Israele.
I dubbi sulla guerra a Gaza non sono solo legati al numero delle vittime civili, alla crisi umanitaria, alla guerra che è sempre un’avventura senza ritorno. Ma alla mancanza di un chiaro fine e di una prospettiva sul dopo. Che non sia la semplice permanenza di Benjamin Netanyahu al potere. Per questo la pressante richiesta di un nuovo cessate il fuoco viene dal Papa, dall’Europa, dall’Onu ed è oggi realistica e concreta.
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