La Versione di Banfi

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«Andrà tutto male»

alessandrobanfi.substack.com

«Andrà tutto male»

Il pessimismo dei giornali contro la scommessa di Draghi. Si riscoprono i Crisanti e i Galli, prima ignorati. Salvini sarà processato a Palermo. Navalny rischia la vita. Comencini sulla legge Zan

Alessandro Banfi
Apr 18, 2021
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«Andrà tutto male»

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Si delinea un inedito Forza Virus, soprattutto a sinistra. Visto che Draghi ha scommesso sulle riaperture ed ha ammesso che il Governo si prende un “rischio”, ma “ragionato”, si vanno a cercare le Cassandre storiche della pandemia. Gli esperti che non rifiutano mai un’opinione pessimista, scienziati che nei mesi scorsi erano continuamente tirati in ballo per attaccare il ministro Speranza. Per dire, fino a ieri ospiti fissi a Rete 4. È la stampa, bellezza. Giusto che sia così: dunque vai con quei giovialoni di Galli sul Fatto e di Crisanti su La Stampa. Fatti gli scongiuri, sono tutti da leggere: “Draghi non ne ha azzeccata una”, riaprire una “stupidaggine epocale” e via profetizzando… Siamo un Paese bellissimo. Con grande senso di responsabilità, soprattutto dei virologi.

Chi segue questa Versione è sempre aggiornato sulla campagna vaccinale e sa bene che da almeno una settimana il ritmo delle somministrazioni è soddisfacente. Oggi ne parla il Corriere. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di questa mattina le vaccinazioni sono state 354 mila 614, non male considerato che era sabato. La Moratti, con la Lombardia tornata ad una certa efficienza, parla sul Corriere dei suoi 100 giorni alla guida della sanità in Regione: vanno ripensati tanti aspetti. Così come c’è un po’ di caos sulle scuole: il Governo ha nominato un esperto ad hoc, Agostino Miozzo, che però non appare molto cosciente delle problematiche. I presidi sostengono che tornare al 100 per cento in classe sia impossibile. Anche trascurando trasporti e tamponi.

Per Catania era stata una decisione del Governo, per Palermo Salvini va invece processato come sospetto sequestratore. Stesso Ministro, stesso Governo, solo la nave e il porto (e quindi la sede giudiziaria) cambiano. Il Manifesto festeggia, Libero è a lutto. Per il resto, la politica italiana ci racconta di Letta alle prese con un’Assemblea fiume on line e della discussione, mancata, sulla legge Zan. Dall’estero notizie drammatiche sul dissidente Navalny. Interessante il pezzo di Rampini sulla ripresa economica di Cina e Usa nel dopo pandemia. L’Europa è in ritardo. Grande foto sulle prime pagine di molti giornali europei, nonostante la Brexit: la Regina Elisabetta seduta da sola a Windsor, con mascherina, al funerale del marito, il principe Filippo. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

I due temi di fondo su cui si alternano i titoli dei giornali stamattina sono: Salvini a processo per Open Arms e le riaperture annunciate da Draghi. Il Corriere della Sera sceglie: Processo a Salvini, è scontro. Il Giornale sostiene: Salvini sequestrato. La Verità: PARTITA VINTA AI TASSISTI DEL MARE. Mentre Libero si angoscia per il Capitano: SALVINI IN CROCE. Il Manifesto mette una foto di Salvini e gioca sul nome della nave: Open day. Ottenuto il “rischio calcolato” con il ritorno parziale alle attività del 26 aprile, la nuova frontiera della polemica sulla fine del lockdown è il coprifuoco. Per il Quotidiano Nazionale c’è addirittura un conflitto: Riaperture, la guerra del coprifuoco. La Repubblica rassicura: Coprifuoco per tutto maggio. La Stampa intervista il sottosegretario Sileri che conferma: “Mai più un lockdown, ma il coprifuoco resta”. Il Mattino vede problemi per gli studenti in classe: De Luca: scuola, rischio caos. Ma negozi aperti più a lungo. Il Messaggero intervista Miozzo ed elenca una serie di difficoltà per le lezioni in presenza: «Scuole, tamponi a campione». Il Secolo XIX ci ricorda che molti pensano alla stagione estiva, soprattutto in riviera: Dehors e app per le spiagge: prove di zona gialla per i liguri. Il Sole 24 Ore annuncia che il Governo sta pensando di mettere mano alla legislazione sui problemi economici: Crisi d’impresa, svolta sul Codice. Il Domani si occupa delle inchieste sul Covid: Salvini e Fontana coprono i leghisti sotto processo. Mentre Il Fatto, con un’intervista a Pietro Grasso, torna sul tema dei parlamentari condannati ai quali è riconosciuto il vitalizio: “Così i vitalizi anche a mafiosi e terroristi”. Avvenire dedica il titolo di apertura ad un tema del tutto diverso, parla infatti di un’iniziativa contro tutte le Terre dei Fuochi sparsi per lo stivale: Italia contaminata. Si muove la Chiesa.

IL RICALCOLO DEL RISCHIO

Come i navigatori che ci guidano nel traffico, i giornali “ricalcolano”. Non il percorso, ma il rischio, il rischio riaperture. Quello su cui Draghi ha scommesso, davanti alla stampa italiana. Sul Corriere della Sera parla Maristella Gelmini, ministra dei rapporti con le Regioni.

«E se il 26 aprile tanti penseranno che è finita? «Io ho fiducia negli italiani, in questo anno di duri sacrifici hanno rispettato le regole con pazienza - risponde Mariastella Gelmini, ministra degli Affari regionali -. Ora deve scattare un senso ulteriore di responsabilità, bisogna che tutti assumano comportamenti corretti». Nelle terapie intensive ci sono ancora 3.340 pazienti. Riaprire è un azzardo, come pensano alcuni virologi? «Sono 3.340, ma una settimana fa sfioravano i 4.000. I dati della relazione che il Comitato tecnico scientifico ha fatto in cabina di regia ci dicono che abbiamo conquistato degli spazi di libertà, da gestire con grande prudenza. Draghi ha parlato di rischio calcolato per tre fattori, l'espansione della quota di popolazione anziana e fragile vaccinata, gli effetti delle misure e l'arrivo della bella stagione». I numeri della Germania, con più di 20 mila nuovi contagi nonostante il doppio dei nostri vaccinati al giorno, non dovrebbero indurci a scelte più prudenziali?«Il Paese non ce la fa più, dobbiamo convivere con il virus e stiamo comunque mantenendo il sistema delle fasce di colore, sarà giallo solo chi avrà i numeri per esserlo. Avevamo stabilito che avremmo fatto un tagliando ad aprile e abbiamo mantenuto la parola. Le riaperture dovranno essere graduali e in sicurezza, non possiamo permetterci errori. La differenza la faranno i comportamenti». Le forze dell'ordine potenzieranno i controlli? «La ministra Lamorgese se ne sta occupando, ma nella consapevolezza che non si può sequestrare un Paese. L'emergenza è anche economica e ha gettato nella disperazione migliaia di famiglie». Forza Italia e Lega faranno pressione per eliminare o allentare il coprifuoco? «Per ora il coprifuoco alle 22 è giusto, dobbiamo procedere con gradualità evitando movida e assembramenti»».

Il Fatto intervista il virologo del Sacco Massimo Galli, ai tempi del governo Conte sempre ignorato. Ora al giornale di Travaglio dice, con la solita bonomia: Draghi non ha azzeccata una.

«Il suo giudizio sul governo è impietoso: "Draghi non ne ha azzeccata una".È un liberi-tutti? «Sotto casa mia qui a Milano c'è un mercatino all'aperto, poco fa (ieri mattina, ndr) ci sono passato ed era strapieno come non succedeva da mesi. Il punto è che con l'annuncio di venerdì è stato dato un messaggio di "liberi-tutti" che proprio non ci potremmo ancora permettere. Almeno fino a una migliore copertura dei settantenni con la prima dose e degli ottantenni con la seconda. Mi sembrano obiettivi ancora lontani». Cosa non le torna? «La Francia, che con le vaccinazioni è messa più o meno come noi, le scuole le ha chiuse. Nel Regno Unito hanno fatto un lockdown duro e stanno riaprendo solo ora. Anthony Fauci ha affermato che gli Stati Uniti sono ancora ben lontani dall'avere il problema sotto controllo. A me piacerebbe tantissimo far parte della schiera che pensa l'Italia sia messa benissimo, ma purtroppo non è così». Maggior timore? «Temo la diffusione dell'infezione. Abbiamo per mesi giocato coi colori e in Sardegna abbiamo recentemente visto il risultato più impietoso passando in pochissimo tempo dal "bianco" al "rosso". E ora eccoci qui a dare un segnale di riapertura generalizzata mentre le infezioni attive nel Paese sono tra il mezzo milione e il milione. E queste sono stime conservative: non tutti i positivi fanno il tampone e scoprono di esserlo». Si aspettava la vittoria della linea-Salvini? «Se devo essere franco non avrei pensato prevalesse così velocemente. Ma sono in profondo disaccordo con tutta la strategia adottata dall'Italia. Mi duole dirlo, perché su Mario Draghi, come milioni di italiani, riponevo molte aspettative, ma sulla pandemia non ne ha azzeccata ancora una». 

In questo quadro di valorizzazione degli esperti scientifici senza peli sulla lingua, in grado di sparare sul Governo, poteva mancare Andrea Crisanti? No. E infatti eccolo su La Stampa, nell’intervista raccolta da Francesco Rigatelli.  

 «Le riaperture sono una stupidaggine epocale. Rischio calcolato? Di calcolato vedo ben poco e il vero rischio è giocarci l'estate». Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia a Padova, non le manda a dire al governo Draghi. Secondo lei come si è arrivati alla decisione delle riaperture? «Purtroppo l'Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica». Qual è la situazione attuale? «Da settimane viaggiamo tra i 15 e i 20 mila casi al giorno: un plateau altissimo, che non consente di progettare riaperture». Cosa si potrebbe fare? «La decisione è stata presa e il governo se ne assumerà la responsabilità. L'unica sarebbe potenziare la vaccinazione, ma tra forniture, disorganizzazione e diffidenza verso AstraZeneca pare difficile superare quota 350 mila». 

Stefano Feltri, il direttore del Domani, scende in campo anche lui, sotto il titolo: Più che un rischio calcolato, la riapertura è un pericoloso azzardo.

«Primo: il numero di vaccinati aumenta in modo lineare, quello degli infetti cresce in modo esponenziale. Il fatto che ci siano 1.000 vaccinati oggi non aumenta la probabilità che domani ci saranno più vaccinati (il numero dipende solo da dosi disponibili e logistica), mentre il fatto che ieri ci siano stati 1.000 infetti implica che domani ci saranno mille infetti moltiplicati per la velocità di espansione dell’epidemia. Se la velocità è 2 e ogni infetto ne contagia due, ci saranno dunque 2.000 infetti. Il vaccino non contagia, il virus sì. Secondo pericolo: la probabilità dei sani di infettarsi dipende sia dalle scelte che faranno loro che da quelle che faranno gli infetti, specie se asintomatici. Cioè da quanta prudenza i due gruppi useranno (mascherine, distanziamento, ecc.). Messaggi troppo rassicuranti dalla politica, tipo che il rischio è stato calcolato e che ormai siamo fuori dal tunnel, possono trasmettere un senso di sicurezza che spinge a comportarsi in modi molto diversi da quelli attuali. Con l’effetto che il contagio si diffonderà più del previsto e il calcolo del rischio si rivelerà sbagliato. E di calcoli sbagliati sono pieni i cimiteri del Covid».

ACCELERANO I VACCINI, ORA IL RECOVERY PLAN

Per chi legge questa Versione tutti i giorni, non è una grande novità ma il resoconto settimanale dell’andamento record del piano vaccinale stamattina è una notizia. La cronaca del Corriere.

«La macchina dei vaccini finalmente sta cominciando a girare», dicono al Commissariato per l'emergenza. Per la settimana dal 16 al 22 aprile era stato fissato infatti l'obiettivo minimo di 315 mila iniezioni al giorno. Ebbene, già al primo rilevamento della settimana, quello di venerdì 16 aprile, si è registrato il record assoluto dall'inizio della campagna in Italia, con 358.066 vaccinazioni in un giorno, circa 40 mila in più del previsto. Ma per capirci, anche il 15 aprile le nuove vaccinazioni erano state 332.684. Se è vero che l'obiettivo della campagna vaccinale 2021 è quello di riuscire a immunizzare almeno l'80% della popolazione, con 500 mila iniezioni al giorno, a metà aprile già 10 milioni e 900 mila italiani - cioè un sesto del totale - hanno ricevuto almeno una dose e 4,4 milioni di loro anche il richiamo. Tra gli over 70 la percentuale che ha avuto almeno la prima iniezione ha raggiunto il 50%. Ma considerando solo gli over 80 circa l'80 per cento ha già ricevuto la prima somministrazione. E addirittura il 92,38% tra gli ospiti delle Rsa. Le dosi inoculate fino ad adesso (14,9 milioni) rappresentano l'86,1% di quelle consegnate. «E accelereremo ancora nelle prossime settimane», promette il ministro della Salute, Roberto Speranza».

Marco Galluzzo spiega un retroscena di palazzo Chigi. Mentre molti polemizzano sulle decisioni prese, Draghi è concentrato sull’atto più importante: l’approvazione entro fine mese del Recovery plan.

«Soddisfatto per l'accelerazione del piano vaccinale, convinto di aver preso la decisione più ragionevole sulle riaperture, raggiunto un equilibrio con i partiti, Mario Draghi passa il suo weekend chiuso a Palazzo Chigi a lavorare a ritmo serrato al rush finale della definizione del Recovery plan. Prima della fine del mese, prima della trasmissione alla Commissione europea, lo vuole presentare e far votare in Parlamento. In questi giorni l'orizzonte di Draghi è quasi interamente occupato da un obiettivo che avverte insieme come una scommessa che non si può perdere, un dovere cui non si può sottrarre, un'opportunità straordinaria, vista la dimensione delle risorse finanziarie a disposizione nei prossimi anni. In estrema sintesi: recuperare il gap strutturale di competitività che l'Italia ha accumulato negli ultimi decenni, in primo luogo rispetto ai principali partner europei, in testa la Germania. Per questo motivo il presidente del Consiglio sta seguendo in prima persona e coordinando «una riforma di grande respiro» sulle semplificazioni amministrative, che verrà varata a maggio, con uno o più decreti. Riforma che dovrà accompagnare non solo l'attuazione rapida ed efficiente in sei anni dei finanziamenti europei del Pnrr e degli altri 72 miliardi di investimenti previsti nei prossimi dieci anni, ma che dovrà ridisegnare il modo di funzionamento di quella macchina dello Stato che a suo giudizio è a un bivio storico. (…) Quanto resterà a Palazzo Chigi è un dato che nessuno conosce, nemmeno lui, ma la certezza è che oltre alla guerra da vincere contro il Covid, Mario Draghi sta impostando un'altra sfida, quella di riforme strutturali che consentano all'Italia di uscire dal deficit storico di crescita che ha ingabbiato il Paese nell'ultimo ventennio: per questo motivo la riforma della giustizia che sta impostando Marta Cartabia dovrà in qualche modo essere rivoluzionaria, una riforma da accompagnare nella seconda metà dell'anno in corso da altre operazioni radicali, che a Palazzo Chigi il suo staff sta già impostando. Una riforma delle imprese incentrata sulla capacità di innovazione tecnologica, altro gap strutturale del Paese; una riforma della ricerca scientifica e degli investimenti ad essa collegati, altro deficit nazionale, ma anche europeo, testimoniato anche dal ritardo del Vecchio Continente sulla produzione di vaccini contro il Covid. È un'agenda economica che non è ancora stata svelata in tutti i suoi dettagli, ma che per il premier è ineluttabile».

MA LE SCUOLE SONO PRONTE AL RITORNO IN CLASSE?

Ma le scuole? I giornali non ne parlano molto, eppure domattina rientrano in classe, in presenza, quasi 7 milioni di studenti. I presidi sono preoccupati perché non ci sono le condizioni per far rispettare le distanze, i trasporti locali restano sotto stress. Il Messaggero dedica al tema le sue prime pagine, riportando fra l’altro un’intervista ad Agostino Miozzo, l’esperto che dovrebbe occuparsi solo di scuola e che sembra poco cosciente dei tanti problemi. La cronaca di Lorena Loiacono.

«Da domani quasi 7 milioni in classe ma, tra una settimana, si torna al completo. Parte quindi una corsa contro il tempo per capire come riaprire, al 100%, tutte le scuole. Questa è l'indicazione del Governo, per riportare tra i banchi tutti gli studenti il 26 aprile prossimo. Ma i dubbi e le polemiche sono ancora tanti: mantenere il distanziamento in aula così come sui bus non sarà semplice. Anzi, l'impresa appare decisamente ardua soprattutto agli occhi di chi dovrà organizzare la ripartenza in sicurezza. Altrimenti si rischia di dover richiedere tutto di nuovo, tra qualche settimana e il danno sarebbe ancora maggiore. Domani intanto saranno in aula 6 milioni e 850 mila alunni: 8 su 10, quindi, rispetto agli 8,5 milioni delle scuole statali e paritarie. Rispetto alla scorsa settimana tornano così in classe 291 mila ragazzi in più: sono tutti quelli della regione Campania, uscita dalla zona rossa. Restano invece in zona rossa la Puglia, la Sardegna e la Valle d'Aosta. In tutto, secondo le stime di Tuttoscuola, saranno quasi un milione e 657mila gli studenti ancora a casa in didattica a distanza per tutta la prossima settimana. Ma la ripresa si avvicina, per tutti. Solo nelle zone rosse infatti le scuole superiori apriranno a percentuale ridotta. Per il resto, quindi nelle zone gialle e arancioni, tutti in classe. È da capire però come verranno risolti i vecchi problemi, legati soprattutto al distanziamento, al trasporto pubblico e al tracciamento dei contagi. Le classi nelle scuole italiane sono spesso in sovrannumero: alle superiori si arriva anche a 28-30 ragazzi per aula e mantenere il metro di distanza tra le rime buccali, come deciso all'inizio dell'anno, è impossibile». 

MORATTI: RAFFORZARE LA SANITÀ SUL TERRITORIO

Cento giorni dopo la sua nomina, la Lombardia torna fra i primi posti nella classifica delle vaccinazioni. Giangiacomo Schiavi sul Corriere intervista Letizia Moratti. Ci sono ancora molte criticità, dice la Moratti, e la gestione della sanità in Lombardia va ripensata.

«Qual è dopo cento giorni la lezione della pandemia? «Rafforzare la medicina sul territorio. La pandemia ha evidenziato la necessità delle cure primarie, della valorizzazione dei medici di medicina generale, la necessità di aggregazioni in cooperative e la creazione di ambulatori in cui varie figure specialistiche possano lavorare in sinergia e in diretto collegamento con gli ospedali». Che posto avrà la sanità tra i motori della ripartenza? «È un settore strategico. Bisogna investire nella salute delle persone e investire nella tutela dell'ambiente. È ormai evidente che salute delle persone e salute del pianeta sono una cosa sola. La Regione ha stilato un piano di investimenti di 4 miliardi di euro per i prossimi anni, in parte finanziamenti che arrivano dal Next Generation Eu». La pandemia impone di rafforzare anche la prevenzione. Ci siamo trovati del tutto impreparati un anno fa. «In Lombardia puntiamo a diventare punto avanzato di ricerca biomedica e anche di mettere a frutto il know how che dolorosamente ci siamo costruiti sulle malattie infettive. Nelle linee di programma c'è un Centro di coordinamento nazionale per la prevenzione delle malattie infettive. Un grande progetto, perché prevenire vuol dire anche avere un occhio attento ad aspetti come cambiamenti climatici, decadimento della biodiversità e della qualità dell'ambiente, al traffico degli animali che possono costituire i prodromi per zoonosi, spillover e catastrofiche pandemie, come quella che stiamo attraversando». Una salute sola per tutti. «Tengo molto a concretizzare in ambito sanitario il concetto di One Health, cioè un approccio che rispetto a un territorio fortemente urbanizzato e densamente abitato come quello lombardo, consideri la sostenibilità, i livelli di inquinamento, il deterioramento dei suoli dell'aria e delle acque come direttamente correlati alla salute delle persone». La pandemia ci ha detto che la salute deve essere pubblica, ma in Lombardia pubblico e privato sono stati messi sullo stesso piano dalla riforma Formigoni. Il sistema pubblico ne è uscito penalizzato? «La pandemia ci ha confermato che la salute pubblica è un bene collettivo, come prevede la Costituzione: spesso però si confonde questo concetto con l'erogatore del servizio, che può essere pubblico o accreditato. Al cittadino bisogna offrire le cure migliori. Se guardiamo alle classifiche degli ospedali, in cima ci sono quelli lombardi, alcuni pubblici, come il Papa Giovanni XXIII di Bergamo e altri accreditati. Considero la scelta un valore, ma la Regione deve governare e controllare di più». Le sembra di scontare qualche pregiudizio a proposito di Milano e della Lombardia? Erano il riferimento del Paese, la locomotiva. «Certamente un forte pregiudizio nei confronti della Lombardia c'è stato. Abbiamo scontato il fatto di essere da subito la regione focolaio della pandemia in Italia e pagato un prezzo altissimo. Nella prima fase del contagio la Lombardia ha registrato la metà dei decessi del Paese: 16.112 rispetto al resto nazionale, 17.303. Poi però la sanità regionale ha via via reagito e con la seconda ondata le morti si sono dimezzate, attestandosi a un terzo di quelle complessive italiane: 10.962 contro le 31.733. Con la terza ondata la Lombardia è scesa al 12,5 per cento dei decessi nazionali».

CONTRORDINE. SALVINI HA SEQUESTRATO

Nella stessa Sicilia, lo stesso Salvini, ministro degli Interni dello stesso governo Conte “sequestrò” i migranti della Open Arms, mentre la scorsa settimana “non aveva sequestrato” i migranti della Gregoretti. Alessandro Sallusti sul Giornale.

«Matteo Salvini andrà a processo per sequestro di persona, così hanno deciso i giudici di Palermo che hanno in mano l'inchiesta su Open Arms, la nave delle Ong che il leader della Lega bloccò al largo quando era ministro degli Interni. Per la stessa ipotesi di reato, poche settimane fa, il pm di Catania chiese - caso nave Gregoretti - il non luogo a procedere, sostenendo che il blocco degli sbarchi fu una decisione politica condivisa dal governo. Questo dimostra che in questo Paese la giustizia non è un fatto oggettivo ma una opinione del singolo magistrato, meglio sarebbe dire della sua formazione culturale e del suo orientamento politico. Ciò che non è reato a Catania è reato a Palermo, come se fossimo in due Stati diversi con due legislazioni diverse. La certezza del diritto dalle nostre parti è una chimera, soprattutto quando di mezzo ci sono politici, come dimostra anche l'accanimento su Silvio Berlusconi, su cui incombe una condanna per una ipotesi di reato figlia di un processo, il caso Ruby, che si è concluso con la piena assoluzione dell'imputato «per non aver commesso il fatto».

COMENCINI: VIETATO DISCUTERE DELLA LEGGE ZAN

Avvenire, purtroppo in modo un po’ isolato, sta facendo un grande lavoro sulla legge Zan. Dopo le interviste alla Concia e alla verde Zanella, oggi ospita il parere di Cristina Comencini, leader del movimento “Se non ora, quando”. La Comencini denuncia: non c’è dibattito a sinistra su questa legge.

«Assomigliano a un appello le parole che Cristina Comencini pronuncia durante il colloquio con Avvenire. Un appello per il confronto, perché sulla legge Zan contro l'omofobia e la transfobia è mancata una discussione serena, e la conseguenza è un inaccettabile tiro al bersaglio contro chi, come lei, la mette in discussione dallo stesso fronte progressista. Regista, scrittrice, sceneggiatrice, Comencini è un'esponente di spicco della cultura italiana. Fu tra le donne che, nel 2011, sull'onda del caso Berlusconi-Ruby, diedero vita al movimento femminista 'Se non ora quando'. E nel maggio di quello stesso anno intervenne in piazza Navona alla manifestazione a favore della proposta di legge per introdurre la componente dell'omofobia tra le aggravanti per i reati di aggressione. Nessun dubbio sulle sue convinzioni e dunque «nessuno si permetta di accusarmi di essere contraria a una legge sull'omofobia». Eppure nel web e sui social monta l'intolleranza contro chi ha dubbi sul ddl Zan. «Aprire una discussione su una legge che ha alcuni aspetti controversi non è un attacco a diritti sacrosanti», dice Comencini, che insieme ad altre centinaia di intellettuali ed esponenti della società civile, di area progressista, nei giorni scorsi ha scritto un documento per sottolineare le criticità. Ha subìto attacchi per il fatto di aver firmato l'appello? «Personalmente non sto sui social, ma ho saputo di attacchi veementi e di criminalizzazioni di chi in queste settimane ha sollevato obiezioni. La logica dei due schieramenti contrapposti è inaccettabile, oltre che schematico e violento. Non è un muro contro muro, non c'è un gruppo che vuole affossare la legge e un altro che ha la missione di difenderla». Riassuma i dubbi presentati nel documento dei progressisti. «Non siamo d'accordo nell'accostare la tutela delle donne a quella degli omosessuali e transessuali, così come previsto nella legge Zan. La misoginia appartiene ad altri schemi culturali, la si combatte in altri modi. La stessa osservazione riguarda i disabili. La seconda obiezione riguarda la parola 'genere' (la legge Zan elenca le discriminazioni e le violenze per motivi legati “al sesso, al genere, all'orientamento sessuale, all'identità di genere e alla disabilità”, definendone i contorni in modo che è stato oggetto di polemiche, ndr). Il ddl Zan introdurrebbe una sovrapposizione del concetto di 'sesso' con quello di 'genere', con conseguenze contrarie all'articolo 3 della Costituzione per il quale i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere. La definizione di 'genere' contenuta nel testo crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto. Inoltre 'identità di genere' è l'espressione divenuta il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale. È un articolato che mischia questioni assai diverse fra loro e introduce una confusione antropologica. Come scriviamo nel nostro documento, c'è il rischio che prevalgano visioni che anche in altre parti del mondo hanno aperto un conflitto rispetto all'autonomia delle donne». Avete ricevuto segnali dal Pd, partito a cui appartiene il senatore Zan? «Dal fronte progressista c'è sordità. Anzi, più che sordità: c'è la volontà di non ascoltare non solo le nostre obiezioni ma anche quelle di chi per scelta di vita, come Paola Concia e Aurelio Mancuso (entrambi esponenti 'storici' del mondo omosessuale, ndr), è direttamente interessato».

ASSEMBLEA PD, 5 ORE ON LINE

Repubblica racconta l’Assemblea del Pd, cinque ore di dibattito on line, in cui Letta “si mette all’ascolto dei militanti”. Giovanna Casadio.  

«Mi sento come quel personaggio di "Good Bye, Lenin" che, assente per anni, torna e trova tutto cambiato». Enrico Letta dopo sette anni di lontananza dal Pd, nella prima Assemblea dopo l'elezione a segretario un mese fa, si mette in ascolto dei circoli e dei militanti. E traccia la rotta di un partito che punta a «un nuovo centrosinistra, guidato da noi, attorno a noi, che dialoga con il M5S». Non c'è la leadership di Giuseppe Conte in rada, che del resto è diventato il capo dei grillini. C'è l'identità e l'orgoglio del Pd che è «vivo e vivace», mentre con la crisi delle dimissioni di Zingaretti per lo strapotere delle correnti, si è rischiato di buttar via il partito con l'acqua sporca. C'è un Pd, che ha archiviato l'antica paura dei post comunisti e post dc, che l'hanno fondato, di «far saltare l'amalgama». Un partito pronto ad affrontare la sfida delle amministrative d'ottobre con le primarie, che sono però - avverte Letta - uno strumento e quindi «duttile», non obbligato. Il Pd che Letta vuole è “intelligenza collettiva”, rivoluzionato nel semestre dedicato alle Agorà: la grande discussione da luglio a dicembre sui temi scottanti e cruciali, dal Sud, ai giovani, al lavoro, alle donne. Intanto il segretario pone al premier Draghi una richiesta precisa: fare come Ciampi nel 1993. Avviare cioè «un grande patto sull'esempio di Ciampi per la ricostruzione del Paese, una ripartenza che lasci il segno per i prossimi dieci anni» e che stia dentro il Next generation Eu. Quello del '93 fu un patto per la politica dei redditi e lo sviluppo, con le parti sociali e i lavoratori. Deve essere ora la missione-Paese e spetta alle forze politiche che sostengono l'esecutivo farsene promotrici. Cinque ore di dibattito online, 5 minuti a testa per 57 interventi, quasi tutti di delegati, di giovani dalle loro case, sullo sfondo librerie e persino il ferro da stiro di Caterina Biti, vice capogruppo al Senato. Sono i militanti i protagonisti. Pochi big a parlare».

CINA E USA GIÀ CORRONO, EUROPA IN RITARDO

Federico Rampini su Repubblica traccia uno scenario geopolitico economico, mettendo insieme i dati del Pil del primo trimestre. Gli Usa si sono economicamente rilanciati e torneranno a sorpassare una Cina che è ripartita prima, grazie a misure che nessuna democrazia si può permettere, e che continua a mostrare fragilità. Ma l’Europa è ampiamente in ritardo. La buona notizia è che il giorno dopo la pandemia le economie mettono il turbo e questo riguarderà tutti.

«La Cina ha cancellato tutti i danni, oggi è più ricca di quanto fosse nell'era pre Covid. La crescita dell'economia cinese nel primo trimestre di quest'anno, +18,3%, segna un record ventennale anche se in parte è dovuto al rimbalzo dopo la paralisi dei lockdown. La recessione del 2020 è stata brevissima in Cina. Il "metodo Xi Jinping" applicato ai lockdown insegna: perfino un regime autoritario non ha osato infliggere troppo a lungo le restrizioni estreme. La chiusura di Wuhan, con metodi inaccettabili in qualsiasi Paese democratico, è durata però 76 giorni, un'inezia rispetto agli interminabili lockdown occidentali. L'autocrate Xi Jinping ha mostrato di conoscere i limiti del proprio potere. La sua terapia durissima ma corta, è il segreto della turbo-ripresa cinese. Mentre l'America e l'Europa erano paralizzate, le fabbriche cinesi avevano ricominciato a produrre per noi già l'estate scorsa. Gli ingorghi che da mesi affliggono il traffico navale e i porti di tutto il mondo sono rivelatori. Uno dei motori del boom cinese, ancora una volta siamo noi: i consumatori occidentali. Nel primo trimestre le esportazioni cinesi sono aumentate del 39%. (…) Nella formidabile performance del dragone cinese ci sono delle fragilità. (…) L'autogol nella diplomazia sanitaria, dopo la pasticciata (e poi smentita) ammissione che i vaccini made in China sono poco efficaci, rivela i limiti di un sistema allergico alla trasparenza. (…) L'America è lanciata verso un aggancio-sorpasso clamoroso. A fine anno secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale la crescita americana potrebbe superare quella cinese. Anche gli Stati Uniti hanno avuto una recessione più breve e meno cruenta del previsto; ora hanno la loro turbo-ripresa e finiranno per cancellare i danni sociali dei lockdown prima del previsto. Ma in parte il boom americano ha una spiegazione sorprendente: Joe Biden sta copiando Xi Jinping. Già aveva cominciato Donald Trump, con un massiccio ricorso a manovre di spesa pubblica in deficit: l'anno scorso il deficit federale era balzato al 15% del Pil. Biden continua sulla scia del suo predecessore, ha varato 1.900 miliardi di dollari di aiuti alle famiglie a cui vuol far seguire 2.000 miliardi di investimenti in infrastrutture. (…) Nella gara tra le due superpotenze questa è la vera novità: l'America sta inseguendo un modello cinese, dopo averlo sottovalutato troppo a lungo. L'Europa è in ritardo su tutti i fronti, ma le riprese gemelle delle due locomotive cinese e americana sono una buona notizia per tutti. Per scegliere un micro-esempio fra tanti: entro pochi anni i consumatori cinesi compreranno la metà di tutti i prodotti di lusso venduti nel mondo, saranno quindi un mercato sempre più trainante per il made in Italy. Ma un monito viene dal recente infortunio di molte marche occidentali della moda che hanno osato boicottare il cotone dello Xinjiang per condannare gli abusi che Pechino infligge ai diritti umani in quella regione: è partita una massiccia campagna di rappresaglie. Il nazionalismo cinese non perdona; usa il commercio estero come un'arma strategica di micidiale efficacia. Sempre più spesso, anche nella sfera economica l'Europa sarà messa di fronte a scelte difficili, dovrà decidere da che parte stare, e gli spazi per la neutralità si restringeranno perfino per chi pensa solo a vendere i propri prodotti».

“NAVALNY STA MORENDO”, BIDEN: NON È GIUSTO

L’allarme è stato lanciato sui social dalla sua portavoce: Navalny, il dissidente russo oppositore di Putin avvelenato l’agosto scorso e poi tornato in patria e subito arrestato, in carcere da gennaio, sta morendo. 

«Aleksej Navalny sta morendo. È solo questione di giorni». Il drammatico allarme è stato lanciato su Facebook da Kira Yarmysh, portavoce del dissidente russo, oppositore del presidente Vladimir Putin. In una lettera al servizio penitenziario federale la dottoressa Anastasia Vasilyeva insieme a tre colleghi, fra cui un cardiologo, hanno spiegato che Navalny rischia l'arresto cardiaco e problemi gravi della funzione renale «in qualsiasi momento». Dal carcere di Pokrov dove è rinchiuso non sono trapelate informazioni ufficiali sulle sue condizioni di salute. Ma dal 31 marzo Navalny aveva iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le pessime condizioni di detenzione, accusando l'amministrazione carceraria di negargli l'accesso a un medico e alle medicine perché soffre di una doppia ernia discale. Alla notizia del peggioramento della salute dell'uomo che ha sfidato Putin è immediatamente intervenuto il presidente americano Joe Biden: «È totalmente, totalmente ingiusto. Totalmente inappropriato», ha dichiarato. La Casa Bianca ha recentemente imposto sanzioni contro Mosca per le interferenze nelle elezioni Usa e i cyber attacchi e guarda con preoccupazione all'escalation in Ucraina. Navalny, da anni tra i più fieri oppositori del presidente russo Vladimir Putin, è tornato nel suo Paese lo scorso gennaio dopo essersi ripreso dal tentativo di avvelenamento con un agente nervino, il Novichok ed è stato immediatamente arrestato. Condannato a due anni e mezzo di prigione per una vecchia accusa di frode da febbraio si trova in una colonia penale nella città di Pokrov, circa 100 chilometri a est di Mosca».

FUNERALI REALI

Un vecchio caporedattore spiegava a noi (allora) giovani cronisti: matrimoni e funerali funzionano sempre se sapete raccontare chi c’era, chi non c’era, con chi stava, come era vestito… Vecchia regola del giornalismo (non solo rosa) ancora valida. Ieri le esequie del principe Filippo sono andate in diretta in mondovisione dal Castello di Windsor. Luigi Ippolito ne scrive la cronaca sul Corriere della Sera.

«A capo chino. Il volto coperto dall'ampio cappello nero. Sola. La figura della regina Elisabetta era quella che si stagliava nella cappella di San Giorgio, a Windsor. Nessuno accanto a darle conforto, affondata nel suo dolore. Il funerale del principe Filippo è stata la sua prova più grande: che ha affrontato come sempre, con stoica compostezza. Qualcuno ha visto una lacrima asciugata fugacemente dal viso, i lineamenti nascosti dalla mascherina. Dio solo conoscerà i suoi pensieri in quei momenti: quando hanno letto la lunga lista dei titoli del duca di Edimburgo e uno su tutti spiccava, «marito». Il compagno di una vita, il confidente, il consigliere. Ma ieri Filippo ha avuto la precedenza: per la prima e ultima volta. Per tutta la sua vita era stato un passo indietro alla regina: ieri ha potuto sfilare davanti a tutti. Per il suo viaggio finale». 

Michele Serra ironizza su Repubblica nella sua rubrica L’Amaca, sostenendo: ma non abbiamo altro di cui occuparci? E intanto lui se ne occupa.   

«So che è solo una domanda retorica, ma non abbiamo altro di cui occuparci? Dopo la Brexit, per giunta, non sarebbe opportuno prendere atto del forte desiderio di metà di quel popolo (metà più virgola qualcosa) di starsene per suo conto, e dunque accogliere con sereno distacco, inviando sentite condoglianze, quanto avviene in quegli smisurati palazzi, e suggestivi castelli, un tempo al centro del mondo e ora molto di meno? Quanto di provinciale c’è, nel voyeurismo planetario sui reali di un’isola che fu padrona di un impero, e oggi non è più neanche membro dell’Europa? I Windsor non sono mica i Beatles».

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«Andrà tutto male»

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