La Versione di Banfi

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Aspettando la tregua

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Aspettando la tregua

Sciopero arabo in Israele. Europa e Usa chiedono il cessate il fuoco. In Italia da stasera coprifuoco alle 23. Il ricordo di Battiato. 5 Stelle e Casaleggio alle carte bollate. Ddl Zan in Senato

Alessandro Banfi
May 19, 2021
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Aspettando la tregua

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Da stasera il coprifuoco scatta alle 23. Considerando quello che si vedeva nelle nostre città già in questi ultimi giorni, con gente in giro fino a tardi, c’è da pensare che siamo quasi alla normalità. Godiamoci la ritrovata libertà, con prudenza. I dati fanno ben sperare, sia quelli sui vaccini che quelli sull’epidemia. Repubblica oggi mette in luce che coloro che finiscono in ospedale in questi giorni sono spesso anziani non vaccinati. Giusto capire perché. Giusto anche impedire alle Regioni di vaccinare a soggetto, non prima almeno di aver esaurito i milioni di anziani e di soggetti a rischio non ancora raggiunti dalla campagna vaccinale. Torna d’attualità il tema del vaccino bene comune, obiettivo da realizzare non solo con la sospensione dei brevetti.

La guerra sporca in Medio Oriente non sembra ancora alla vigilia di una tregua. Ieri c’è stato uno sciopero generale degli arabi in tutto Israele che ha dato a Gerusalemme l’aspetto di una città a serrande abbassate. Le conseguenze dei missili di Hamas e delle bombe di Netanyahu sull’integrazione e la convivenza fra cittadini israeliani, arabi ed ebrei, possono essere devastanti. Finalmente sul piano diplomatico qualcosa comincia a muoversi: Usa ed Europa chiedono il cessate il fuoco.   

Il cantante e musicista Franco Battiato è morto nella sua casa siciliana ai piedi dell’Etna. Era malato da tempo e lunedì un prete suo amico gli aveva dato l’estrema unzione. Aveva 76 anni. I giornali di stamattina ospitano molti articoli di ricordi e di commento sulle sue canzoni e le sue musiche. Personaggio pop, aveva sempre mescolato temi alti, anche religiosi e filosofici, a temi più popolari: l’insalata e Vivaldi, come ricorda Ernesto Assante su Repubblica.

La politica italiana ci racconta di un Mattarella irritato per il batti e ribatti polemico dei partiti, in una fase che dovrebbe essere di responsabilità nazionale. Mentre nei 5 Stelle si è arrivati alle carte bollate fra il Movimento e Casaleggio. Primo giorno di discussione del Ddl Zan, interessante il commento della Perina su La Stampa. Centro destra nei guai per le amministrative, senza candidati per Roma e Milano. Vediamo i titoli. 

LE PRIME PAGINE

Il Corriere della Sera raffredda gli entusiasmi: Niente vaccini in vacanza. Mentre la Repubblica tematizza i milioni di anziani che non si sono ancora sottoposti alla somministrazione: «Cercate i dispersi del vaccino». Anche il Quotidiano nazionale cita Figliuolo sul tema vacanze: Le ferie? Vanno regolate sul vaccino. Il Messaggero vede una prospettiva immacolata: «Italia in bianco a fine giugno». Il Manifesto è l’unico giornale che guarda ancora al Medio Oriente e va sullo sciopero generale degli arabi in Israele: Chiuso per lotta. Avvenire sceglie un tema economico ma dal forte risvolto sociale, perché rilancia la proposta Biden di tassare le multinazionali: Un Fisco comune. La Stampa invece sta sull’Italia: Draghi, scudo anticrisi. 5 miliardi per il lavoro. Come il Domani: Il dilemma di Draghi sull’energia. Salvare l’Eni e l’industria o il clima. Il Sole 24 Ore vede segni positivi nei prezzi delle materie prime: Aria di ripresa, il petrolio va a 70 dollari. Sugli sbarchi Il Giornale: Allarme migranti: ne arrivano 65 mila. E La Verità: Ci risiamo: ong tedesca porta qui 400 clandestini. Libero si appella ai leader: Centrodestra, sveglia. Mentre Il Fatto denuncia: Il Senato ridà i soldi al corrotto Formigoni.

RIAPERTURE, VACCINI E VACANZE

Il Generale Figliuolo vuole dare un messaggio chiaro alle Regioni: non si fa la seconda dose in vacanza, troppo complicato col rischio di mandare nel caso il pass vaccinale, da cui dipendono le attività dei prossimi mesi. Meglio programmare gli spostamenti e piuttosto tornare a casa apposta.  

«Pragmatismo e buon senso. Senza «troppi voli pindarici e fughe in avanti». Il commissario all'emergenza, Francesco Figliuolo, ritiene sia necessario programmare le ferie in attesa della somministrazione del vaccino. «È bene che chi va in vacanza si regoli in funzione dell'appuntamento», dice smontando la tesi delle Regioni - soprattutto quelle a vocazione turistica - che in questi giorni hanno tentato una moral suasion sul governo per vedersi ripartire più fiale. È impensabile redistribuirle in base alla domanda dei flussi turistici degli italiani, è il ragionamento. Meglio che ognuno di noi calcoli il richiamo per non trovarsi impreparato. Che per «AstraZeneca si può fare con un intervallo tra 4 e 12 settimane tra prima e seconda dose e con i vaccini a mRna a 42 giorni», dice Figliuolo. C'è una complessità di comunicazione tra le banche dati regionali. C'è il rischio che i sistemi informatici non registrino la seconda dose in una regione diversa da quella di residenza pur spostandola temporaneamente con inevitabili ricadute sul pass vaccinale, che dovrà riattivare la mobilità alla fine dell'emergenza. Figliuolo sente anche di dover tenere «la barra dritta ancora per due-tre settimane». Bisogna «andare verso le aperture in maniera ordinata e sicura. C'è stato un calo vertiginoso dei contagi, delle ospedalizzazioni e dei decessi dovuto anche all'ordinanza che ha dato la priorità assoluta alle classi vulnerabili. Invito le Regioni a seguire in maniera armonica e ordinata il piano vaccinale», dice il generale».

A proposito di iniziative armoniche tra Governo e Regioni, il Veneto vorrebbe essere più elastico. Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, si vuole lasciare la possibilità di offrire ai turisti anche la possibilità di vaccinarsi, durante le vacanze:

«Guardi, io sono convinto che i turisti vadano accolti a braccia aperte. Dobbiamo tutelarli e coccolarli in tutte le maniere. Il fatto che ci siano prenotazioni importanti significa che c'è un arretrato di voglia di Bel Paese che non vogliamo ignorare. Quante volte abbiamo parlato di vacanze sicure? È ora di dimostrarlo. Ricordiamoci che da noi vengono turisti fedeli, che quando tornano dalle nostre parti si sentono a casa. Un peccato perdere questo rapporto». Le vaccinazioni in vacanza non rischiano di complicare le manovre a una macchina che sembra finalmente sul binario giusto? «Ma no, non è da affrontare come una complicazione. Si rilascia un certificato che riporta il lotto del vaccino e poi il turista potrà far registrare la vaccinazione a casa. Semmai, dobbiamo smetterla di affidare le pratiche all'ufficio complicazioni affari semplici. Dobbiamo evolvere da questa nostra cultura: se tre amici un giorno giocano a scopa, il giorno dopo li trovi dal notaio per fare lo statuto di chi gioca a scopa. E per approccio, partiamo sempre dalla lista dei problemi». Cosa ne dice del recentissimo decreto Draghi? «Il sentimento è un po' quello di chi aveva guardato il meteo, visto che dava il brutto, e poi invece è uscito un po' di sole. Alla fine, abbiamo portato a casa dei segnali nei confronti della comunità che sono importanti. Non basta, magari, ma aiuta». Lo dice perché il Veneto si prepara a diventare zona bianca e dunque il coprifuoco poco le interessa? «Ma no, è che a me pare strano che resti in piedi questa cosa del coprifuoco, mi sembra diventato un totem. Io dico: è iniziata la fase della convivenza con il virus. In questo contesto è sbagliata una discussione tra aperturisti e chiusuristi: per me il coprifuoco non ha più senso di esistere. (…)». Ma vuole togliere anche le mascherine? «Ma no, le mascherine è prudente metterle. La mascherina è come l'ombrello: si usa quando serve. Se sei in giro da solo non la metti, se sei vaccinato non la metti, ma se ci sono dei non vaccinati la metti. La porti sempre e la indossi quando serve con un principio di grande prudenza». Presidente, se tutto va bene il Veneto sarà nella prima tornata di regioni «in bianco». Allora il modello veneto esiste? «Esiste la formula magica: pancia a terra e lavorare. Io, oggi preferisco ricordare che è soltanto una previsione. La squadra ha lavorato bene, i veneti ci hanno ascoltato, abbiamo vaccinato tanto e tutti ce lo riconoscono. Ma non bisogna abbassare la guardia, questo è un mese cruciale e dobbiamo scollinare bene. Ma oggettivamente, per tutte le curve dei ricoveri, dei decessi e dei contagi siamo in totale remissione».

Repubblica cerca di capire perché mancano ancora tre milioni di persone su sette fra gli over 60. Ci sono anziani che non si sono voluti vaccinare? A sentire gli ospedali, gli ultimi ricoverati per Covid sono proprio loro. Michele Bocci.

«Non c'è solo il riluttante, poco convinto di prenotare tanto più adesso che il virus circola meno. C'è anche chi è spaventato ma soltanto da un tipo di vaccino, quello di AstraZeneca, e chi (pochi fortunatamente) è dichiaratamente no vax. In tanti, poi, la somministrazione la vorrebbero ricevere prima possibile ma non riescono a prenotarsi. Non vanno infine scordati gli irraggiungibili, dei quali non si hanno notizie, e gli ex malati, che aspettano ancora un po' prima di fare l'iniezione per sfruttare la copertura naturale. Dentro ai 3 milioni di sessantenni, su 7, che non hanno ancora ricevuto neanche la prima dose di vaccino ci sono storie diverse, non tutte da primula rossa. Qualcosa di simile succede anche tra i settantenni non ancora coinvolti dalla campagna. Si tratta di 1 milione e 200 mila persone che se prendono il Covid rischiano moltissimo. A tutti loro pensava ieri il generale Francesco Figliuolo quando ha ricordato alle Regioni che sì, è bello iniziare a chiamare le fasce di età più giovani ma la priorità restano anziani e i fragili. Che ancora sono distanti da avere coperture soddisfacenti. Se si cercano i sessantenni che non vogliono vaccinarsi bisogna andare in Sicilia. La Regione è quella dove è più alta la diffidenza nei confronti di AstraZeneca, il vaccino consigliato proprio dai 60 in su. Ci sono ancora 120 mila dosi da smaltire nei magazzini, che nessuno ha voluto. Altre 100 mila sono state cedute, con il coordinamento della struttura di Figliuolo, a Puglia e Lombardia, che invece hanno fame di quel vaccino. Qualcuno rinuncia all'iniezione al di là del tipo di medicinale che gli spetterebbe. «Molti dei ricoveri che stiamo facendo in questi giorni riguardano persone che per motivi di età o altri fattori avevano diritto alla vaccinazione ma non l'hanno fatta». A parlare è Nicola Maturo, primario del pronto soccorso del Cotugno di Napoli. «Quando abbiamo iniziato a vaccinare in molti erano scettici. Dopo un mese tutti dicevano di volersi vaccinare, ora all'improvviso vengono fuori anziani che hanno deciso di non usufruire della possibilità data loro. Capita di vedere un uomo in condizioni non proprio brillanti in ospedale che non è vaccinato. Quando gli chiediamo perché, ci guarda come per dire: "Non sono fatti tuoi". O cerca qualche scusa». 

Appello internazionale alle nostre autorità, pubblicato dal Messaggero, firmato da due premi Nobel, Muhammad Yunus e José Ramos Horta, e da Nicola Zingaretti, perché il vaccino sia davvero un bene comune, per tutti gli abitanti della terra.

«Milioni di cittadini in tutto il mondo, leader politici e religiosi, premi Nobel hanno deciso di intraprendere un'azione immediata e unitaria chiedendo che i vaccini e le cure Covid-19 siano trattati come beni comuni globali accessibili a tutti, ovunque senza discriminazioni (https: // www .vaccinecommongood.org https://peoplesvaccine.org/). Mentre alcuni Paesi avanzati si sono assicurati abbastanza vaccini per proteggere la loro intera popolazione da due a cinque volte, il sud del mondo viene lasciato indietro. Allo stato attuale delle cose, le persone nelle nazioni povere dovranno aspettare almeno fino al 2024 affinché i loro paesi ottengano l'immunizzazione di massa contro il Covid-19. Accogliamo tutti con favore che l'introduzione della vaccinazione in molti Paesi più ricchi porti speranza ai loro cittadini. Tuttavia, per la maggior parte del mondo quella stessa speranza deve ancora essere vista. È stato incoraggiante vedere il governo degli Stati Uniti d'America sostenere ufficialmente una rinuncia temporanea alle norme sulla proprietà intellettuale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) durante la pandemia da Covid-19, così come precedentemente proposto anche da Sud Africa e India e supportati da oltre 100 Stati membri del Wto e da numerosi esperti sanitari in tutto il mondo. Sostenere in caso di emergenza la rinuncia alle norme sulla proprietà intellettuale relative al Covid-19 darà alle persone di tutto il mondo la possibilità di svegliarsi in un mondo libero dal virus. Tale rinuncia, insieme all'insistenza sul trasferimento di tecnologie e know-how che è attualmente detenuto da grandi aziende farmaceutiche in Europa con produttori in tutto il mondo attraverso il pool di accesso tecnologico Covid-19 dell'Organizzazione mondiale della sanità, e investimenti strategici negli hub di produzione in tutto il mondo in via di sviluppo, sono passi fondamentali per sbloccare rapidamente l'offerta globale e accelerare l'azione per porre fine alla pandemia. Cara presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen; caro presidente del Consiglio, Mario Draghi; caro ministro della Sanità Roberto Speranza, come rappresentanti di questo movimento globale e come sottoscrittori di un appello congiunto a tutti i leader mondiali, organizzazioni internazionali e governi affinché adottino misure legali e facciano dichiarazioni ufficiali che dichiarino i vaccini Covid-19 come un Bene Comune Globale chiediamo formalmente che la nostra voce sia ascoltata al Vertice. Confidiamo di fare affidamento sul sostegno fondamentale dei vostri Paesi e istituzioni. Dobbiamo agire adesso».

IL “GENIO” DRAGHI E L’IRRITAZIONE DI MATTARELLA

La vicenda del coprifuoco non è stata solo una decisione tecnica. Tutt’altro. Il Presidente del Consiglio sta pilotando l’Italia fuori dai divieti, senza farsi comunque troppo condizionare dai partiti. Michele Serra su Repubblica dedica la sua Amaca proprio a questo (titolo: Il sospetto che sia un genio), il genio sarebbe Draghi.

«Se non ricordo male, il modo di riaprire era stato preceduto da giorni e giorni di aspre polemiche sul modo di riaprire. Dal coprifuoco alle piscine, dall'orario dei pub ai tornei di calcetto, dagli ipermercati alle discoteche, dalle sale massaggi alle gare di go-kart, pareva che l'accordo sulla concertazione di serrande, porte girevoli, usci e portoni fosse difficile e doloroso quasi quanto la questione mediorientale. Come è possibile, dunque, che si sia giunti a una soluzione concorde, senza nemmeno una lite sulla mescita della birra, o sul ripristino del pilates, o sui ristorni per i maestri di sci, alpino e di fondo? Tecnicamente, la risposta è facile. Draghi ha lasciato che tutti dicessero la loro, poi ha deciso lui. Ma è sul piano psicologico il suo capolavoro: perché tutti sono usciti dalla stanza dei bottoni convinti, invece, di avere deciso loro. Essere autoritari, son capaci tutti. Ma essere autoritari senza che nessuno se ne renda conto, e anzi raccogliendo il vivo plauso di destra, sinistra, centro e flou, e mettendo in fila nei telegiornali della sera un lieto corteo di franchi alleati, e di fedeli consiglieri, beh ci vuole del talento».

Ugo Magri su La Stampa mette insieme gli ultimi due discorsi del Capo dello Stato e nota che Mattarella torna a ribattere sullo stesso concetto: i partiti si agitano troppo.

«C'è troppa agitazione fuori luogo. Un surplus di tensioni inutili. Un eccesso di batti e ribatti. Una frenesia di distinguersi, di rimarcare le differenze, di sventolare bandiere anche giuste, magari addirittura sacrosante, però nel momento meno adatto perché adesso ci sarebbe bisogno di stare uniti. E remare dalla stessa parte senza tirarsi calci negli stinchi. No: purtroppo non sta andando come Sergio Mattarella si sarebbe aspettato. Il presidente lo fa intendere con un appello ai partiti che guai a definirlo tirata d'orecchi o ramanzina, però è la seconda volta in due settimane, segno che la prima dose esigeva un richiamo. «Questo è il tempo di pensare al futuro, progettandolo e realizzandolo insieme», esorta il capo dello Stato. «Ciò non vuol dire abbandonare le proprie prospettive, idee e opinioni. Ma confrontarsi costruttivamente è ben diverso che agitarle come motivi di contrapposizione insuperabile». Già, c'è differenza. Quando si sta insieme nella stessa maggioranza e nello stesso governo, sarebbe normale darsi una mano a vicenda. Valorizzare i risultati comuni. Puntare su ciò che unisce. Invece Mattarella riscontra una voglia sempre più scarsa di concentrare gli sforzi, fare sintesi, cercare intese. Esempi di polemiche inutili sul Colle non se ne fanno, e si capisce, perché equivarrebbe a puntare l'indice contro qualche protagonista aggravando il tasso di nervosismo. Lassù rimandano semplicemente alle cronache di questi giorni, dominate prima dal braccio di ferro sulle riaperture sì-riaperture no, poi dalla legge Zan rilanciata da Enrico Letta, quindi dai referendum sulla giustizia che strumentalmente Salvini sponsorizza e infine, adesso, dagli scambi di colpi tra Lega e Pd sul futuro di Mario Draghi oltre che delle riforme da fare. Stabilire chi abbia incominciato, dunque di chi sia la colpa delle tensioni, sarebbe come decidere se è nato prima l'uovo della gallina. Ciascuno vi ha messo del suo».

LA SPORCA GUERRA, ANCORA SENZA TREGUA

La sporca guerra in Medio Oriente. Il bilancio parziale delle vittime viene aggiornato: 12 in Israele, 220 a Gaza. Lo fa nel suo articolo Davide Frattini sul Corriere, che parla del pressing diplomatico per un cessate il fuoco.

«“Hamas ha ricevuto colpi che non si aspettava”, commenta il premier Benjamin Netanyahu. I razzi da Gaza si sono fermati per cinque ore per permettere l'ingresso di aiuti e materiale attraverso i valichi: anche queste aree sono state colpite dai proiettili di mortaio e un soldato israeliano è rimasto ferito. I lanci dall'altra parte della barriera hanno ammazzato due lavoratori stranieri, i thailandesi sono impiegati nelle serre e nei campi in Israele. I morti in totale sono 12. L'aviazione e l'artiglieria hanno bombardato 120 obiettivi in 24 ore, tirato giù un altro palazzo di 6 piani - dopo gli avvertimenti per l'evacuazione - parte della strategia che vuole colpire anche gli interessi economici di Hamas, al potere nella Striscia dal 2007, da quando ne ha tolto il controllo con un golpe all'Autorità palestinese. I morti sono quasi 220, i feriti 1500. Al tramonto i portavoce militari israeliani annunciano una notte di bombardamenti ancora più intensi e allargati. Gli uomini dei servizi egiziani sono tornati a Tel Aviv per cercare di mediare un cessate il fuoco e avrebbero ottenuto il sì di Hamas per una tregua all'alba di domani. Il presidente Abdel Fattah Al Sisi promette 500 milioni di dollari in aiuti per la ricostruzione di Gaza: il Cairo vuol riprendersi il ruolo centrale nella partita che si gioca in questo corridoio di sabbia stretto tra Israele, l'Egitto e il Mediterraneo. Anthony Blinken, il segretario di Stato americano, sollecita l'intervento anche della Giordania e del Qatar, che in questi anni ha contribuito a mantenere la calma tra gli israeliani e Gaza grazie ai milioni distribuiti ad Hamas con il beneplacito di Netanyahu. L'Unione Europea chiede «un cessate il fuoco immediato» dopo una riunione d'emergenza dei ministri degli Esteri». 

Sempre sulle possibili mosse diplomatiche, parla il cardinale Parolin, segretario di Stato, su Avvenire.

«Il cardinale Pietro Parolin non nasconde che il nuovo conflitto in Terra Santa sia «una grandissima preoccupazione per come sono andate finora le cose e come continuano ad andare nonostante gli sforzi della comunità internazionale per arrivare a un cessate il fuoco». Perciò esprime nuovamente «la preoccupazione del Santo Padre e della Santa Sede e l'impegno a fare tutto quello che è possibile per fermare questo conflitto». Avvicinato dai giornalisti a margine della presentazione di un libro su Mario Agnes scritto da Ignazio Ingrao, il cardinale ha anche spiegato che per il momento non è ipotizzabile una mediazione «in senso tecnico» di Francesco, ma che la diplomazia vaticana è pronta «a svolgere qualsiasi azione che possa aiutare prima di tutto a un cessate il fuoco e che si possa arrivare a una risoluzione secondo la soluzione dei due Stati». Parolin ha detto che ne parlerà sabato con Ursula von der Leyen: “È bene insistere anche rispetto a tutto quello che l'Unione Europea può fare”».

Ieri è stata la giornata della protesta degli arabi israeliani. Uno sciopero che ha tenuto le serrande abbassate di molti negozi a Gerusalemme. Roberto Bongiorni sul Sole 24 Ore.

«Il terzo fronte è lì, dove il Governo meno se lo aspettava. In casa. La rabbia è esplosa con una violenza improvvisa, imprevista. Cittadini israeliani che attaccano altri israeliani. Arabi palestinesi contro ebrei. Ed ebrei contro arabi palestinesi. C'è il serio pericolo di guerra civile, denunciano, allarmati, i più pessimisti. Perché quando gruppi di arabi israeliani appiccano il fuoco alle auto, incendiano talvolta le sinagoghe, danneggiano le proprietà degli ebrei, li attaccano; e quando gli ebrei reagiscono con rappresaglie violente, tutto ciò rappresenta un segnale estremamente preoccupante. Un ebreo e un arabo sono stati perfino accoltellati. In questi turbolenti giorni l'esercito israeliano è impegnato a portare avanti le operazioni militari nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, dove ha inviato anche i riservisti per contenere le violente proteste e i tafferugli. Ma è il terzo fronte, quello senza confini, fatto di piccole cittadine sparse nel centro e nel nord del Paese, a destare una profonda inquietudine. Sono le "città miste", dove comunità di arabi vivono accanto a comunità di ebrei. La rabbia dei palestinesi è esplosa con azioni violente a Ramle, Jaffa, Acri, a Lod. In quest' ultimo centro a Est di Tel Aviv è stato perfinoimposto il coprifuoco. La rappresaglia dei gruppi ebrei è scoppiata a Bat Yam, Tiberiade e in altre cittadine. Ad Ajami, sobborgo a sud di Tel Aviv, in un video trasmesso in tv si vedono gruppi di facinorosi che urlano «morte agli arabi». Ma le immagini del grande sciopero generale indetto dagli arabi israeliani per protestare contro i raid israeliani sul Gaza e le incursioni in Cisgiordania racconta meglio di tante parole a che punto è arrivata la frustrazione e la rabbia. Da Gerusalemme Est passando per Haifa fino a Giaffa, Kafr Qara, Tira, molti arabi israeliani hanno chiuso scuole, negozi e altre attività. Ma chi sono gli arabi israeliani? C'è chi li chiama anche palestinesi israeliani, chi musulmani israeliani, chi arabi israeliani. Qualunque sia il nome si tratta dei discendenti dei 160mila palestinesi rimasti nelle loro case dopo la creazione dello Stato ebraico, nel 1948 (altri 750mila furono cacciati o fuggirono per paura). Oggi sono una corposa minoranza, 1,9 milioni di persone, circa il 20% della popolazione israeliana. Hanno il passaporto israeliano, possono esercitare il diritto di voto, hanno i loro partiti politici. In teoria godono degli stessi diritti dei cittadini ebrei. In pratica non è così. “Siamo cittadini di serie B”, si lamentano, elencando le leggi discriminatorie che si applicano solo agli arabi. Tra di loro il tasso di disoccupazione è molto più alto, così come la mortalità alla nascita e le famiglie che vivono in povertà. In un Paese di soldati, dove spesso i leader politici sono stati generali, chi ha prestato servizio militare è privilegiato nelle pratiche di assunzione e ha accesso a una serie di agevolazioni (acquisto di appartamenti, auto, beni di consumo). Cosa che non è possibile per gli arabi israeliani. Non possono prestare il servizio militare (i 130mila drusi sì), quindi non hanno accesso alle non poche industrie collegate all'esercito. (…) Gli arabi israeliani si sentono sempre di più il "Popolo invisibile", come li descriveva il titolo di un libro inchiesta dello scrittore israeliano David Grossman. I partiti di centro e di sinistra hanno accusato il premier Netanyahu di aver alimentato una campagna di odio nei confronti degli arabi, giunta quasi a un punto di non ritorno. Israele si ritrova profondamente divisa. Grossman sintetizzava così il clima: “Qui l'identità non la capisci da chi uno è, ma da chi odia”».

CARTE BOLLATE FRA 5 STELLE E CASALEGGIO

La politica italiana è agitata soprattutto dagli scontri interni. Ieri i 5 Stelle si sono presentati negli uffici della Casaleggio per avere l’elenco degli iscritti e sono tornati a mani vuote. La parola passa al Garante o ai Tribunali. Siamo arrivati alle carte bollate. Luca De Carolis sul Fatto.

«Finirà nel peggiore dei modi, nei tribunali, davanti al Garante, insomma a carte bollate. E saranno altre tossine e altri giorni persi, innanzitutto per il rifondatore che non riesce a diventare capo, Giuseppe Conte. Eppure pare questo l'epilogo della guerra tra i 5Stelle e l'associazione Rousseau, cioè Davide Casaleggio. Perché la diffida partita lo scorso 12 maggio, con cui il M5S chiedeva la consegna entro cinque giorni dei dati degli iscritti, è scaduta. Ma Casaleggio non ha alcuna voglia di consegnare gli elenchi, essenziali per votare sul web il nuovo Statuto e il nuovo organigramma dei 5Stelle. Anche perché ritiene che il reggente Vito Crimi non sia il capo e rappresentante legale del M5S, quindi non legittimato a chiederli. Così ha (ri)detto no. Ed è proprio il Movimento nel pomeriggio a renderlo ufficiale: "Oggi (ieri, ndr) è successo un fatto gravissimo: i nostri esperti informatici e periti forensi si sono recati presso gli uffici dell'associazione Rousseau per ricevere in consegna i dati. L'associazione non ha provveduto e ciò è palesemente illegittimo". Per questo, il M5S va alla guerra: "Un compagno di viaggio sta macchiando una così nobile storia con atti che la legge non ammette. Ma chi ha rallentato questo processo si assumerà tutte le responsabilità nelle sedi giudiziali penali, civili e amministrative". Nelle prossime ore i 5Stelle dovrebbero depositare con un ricorso d'urgenza al tribunale civile per riavere i dati. "Ma non è l'unica via - sostengono fonti di peso -. Il Garante della privacy è al corrente di tutto, ed è stato informato di ogni scambio di comunicazioni con Rousseau". Tradotto, il M5S gli chiederà di intervenire con un esposto. Nell'attesa da Rousseau reagiscono, accusando Crimi "di forzatura inaccettabile" e di "blitz per ottenere a forza i dati degli iscritti". Non è questo il modo, dicono da Milano: "Siamo disponibili nel perimetro della legge, ma la prepotenza non è la via". E sembra quasi uno spiraglio per un accordo. Ma ora prevalgono i rumori di guerra. Evidente anche nel post della socia di Rousseau, Enrica Sabatini: "Con un'ondata di messaggi gli iscritti ci hanno chiesto di non consentire il trasferimento dei propri dati a persone non legittimate e oltre mille persone hanno deciso di disiscriversi dal M5S e di impedire che i propri dati vengano consegnati a soggetti terzi". Quindi Casaleggio si terrà i dati, per ora. E rilancia: "Ogni iscritto può esercitare il diritto alla portabilità dei dati e richiedere il trasferimento, anche a Rousseau". Da Roma ringhiano: "Potremmo andare in Procura". Potrebbe andare peggio». 

CENTRODESTRA, CERCASI CANDIDATI

Se nei 5 Stelle ci sono problemi, nel centro destra non stanno benissimo. Dopo il rifiuto di Albertini, sono in alto mare sui candidati per le amministrative. Giuseppe Alberto Falci sul Corriere:  

«Il quadro si complica. Perché Gabriele Albertini si è sfilato, Guido Bertolaso al momento sembra essere concentrato solo sul piano vaccinale della Lombardia, e proprio non sembrano esserci soluzioni alternative competitive. Non a caso Matteo Salvini è fin troppo chiaro quando, poco prima di cena, si materializza ai microfoni di Zapping (RadioUno): «Ovviamente partite come Roma e Milano meritano qualche giorno di riflessione in più, ma tutte le altre partite sono chiuse». La parola chiave è «riflessione». Tradotto, con molta probabilità il vertice a tre — Salvini, Meloni e Berlusconi via Zoom — potrebbe slittare di qualche giorno. È vero, oggi si incontreranno i responsabili degli enti locali dei partiti che compongono il centrodestra. Ma, assicura una fonte azzurra, «si tratta di un tavolo inutile che serve solo a far vedere che si fa qualcosa. Dunque se prima non si chiudono Roma e Milano sarà la solita perdita di tempo». L’obiettivo numero uno è cercare di convincere l’ex capo della Protezione civile. Operazione possibile? Bertolaso è la prima scelta per riconquistare il Campidoglio, dopo gli anni definiti «disastrosi» di Virginia Raggi. Antonio Tajani ci prova e continua a crederci: «Ci auguriamo che accetti la richiesta di un centrodestra unito». Gli fa eco Giorgia Meloni: «Che Bertolaso non accetterà ancora non è notizia. Gira questa voce, ma ci siamo scambiati sms qualche giorno fa, non ha ancora declinato, quindi aspetterei». Nell’attesa Giulia Bongiorno, avvocato di fama nazionale e alto dirigente della Lega, uno dei nomi circolati nelle ultime ore, sembra sfilarsi: «Amo Roma, tutto il resto è fantasia». Restano sempre quotati i profili di Maurizio Gasparri e Fabio Rampelli. Altrimenti c’è chi prova a sparigliare ed evoca la mossa del cavallo: «Dovremmo sostenere Carlo Calenda». Fantapolitica? Chissà. E su Milano? Continua a girare il nome di Maurizio Lupi. Mentre come civici i profili forti sembrano essere due: il manager Riccardo Ruggiero o il professore della Bocconi Maurizio Dallocchio». 

MIGLIAIA DI ARRIVI A CEUTA

Improvvisa ondata di arrivi dal Marocco nell’enclave spagnola di Ceuta. Migliaia di persone sono approdate sulla spiaggia in territorio spagnolo. La sintesi della Stampa:  

«Sono arrivati senza sosta per due giorni. Pochi metri in acqua, un'ora al massimo di nuotata e si è al di là della frontiera, l'unica, con Melilla, che unisce l'Africa all'Europa. Ceuta, pur sotto pressione da decenni, una cosa così non l'aveva mai vista. I numeri sono impressionanti, circa ottomila persone sono approdate sulla spiaggia del Tarajal, quella più prossima alla frontiera con il Marocco, ma sul numero nessuno può fare chiarezza: «Non siamo nemmeno riusciti a contarli», spiega il presidente della città autonoma Juan Jesús Vivas che si è spinto a parlare di «invasione». Il breve percorso in acqua non è senza rischi: la Croce Rossa e i militari spagnoli hanno assistito migliaia di migranti colpiti da ipotermia. L'arrivo improvviso di così tante persone (in parte poi rimandate indietro) e la modalità dello sbarco è tale da non lasciare dubbi: dietro c'è la mano di Rabat». 

TASSE GIUSTE ALLE MULTINAZIONALI

Articolo appello sul Corriere della Sera scritto da Romano Prodi e Vincenzo Visco, perché il nostro Presidente del Consiglio appoggi la proposta di Biden per tassare le multinazionali. 

«Signor presidente Draghi, uno dei primi atti ufficiali del nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, riguarda una misura di politica fiscale che, se introdotta sul piano globale, potrebbe dare una spinta determinante al superamento dei cosiddetti paradisi fiscali, rimuovendo gli ostacoli di ordine politico e economico che hanno impedito finora un'equa tassazione delle società multinazionali. Si tratta di introdurre nell'ordinamento internazionale il principio della tassazione unitaria dei gruppi multinazionali e della ripartizione di una parte dei loro profitti tra le giurisdizioni fiscali dei singoli Paesi in base a criteri oggettivi (fatturato), sul quale costruire un'imposta minima globale, con un'aliquota almeno del 21%. La negoziazione in proposito si protrae dal 2013, da quando il G20 ha incaricato l'Ocse di avanzare proposte di riforma del sistema fiscale internazionale. Sia la proposta Ocse che quella Biden prevedono di fare riferimento ai profitti totali a livello globale delle imprese multinazionali, sia ai fini della attribuzione dei nuovi diritti impositivi, che ai fini della fissazione di un livello minimo di tassazione che Biden propone di fissare al 21%. È questa la novità più significativa della proposta americana che va sostenuta con forza anche perché in sede Ocse alcuni Paesi europei continuano a spingere per un'aliquota considerevolmente più bassa. Un accordo di riforma della tassazione delle multinazionali non è attuabile senza la partecipazione degli Stati Uniti. L'Italia e l'Europa non possono perdere l'occasione di raggiungere un accordo di portata storica che le vedrebbe come le maggiori beneficiarie, insieme al bilancio statunitense».

Commento di Luca Mazza su Avvenire, giornale che dedica a questo tema il titolo principale in prima pagina (Un Fisco comune).

«Sul piano politico, adesso sembrano esserci le condizioni per siglare un'intesa. Anche a livello europeo, ci sono i principali governi (italiano, tedesco e francese) che si sono già schierati in varie occasioni a favore dell'idea di un'aliquota societaria minima universale. Lo stesso commissario europeo all'Economia, del resto, non fa mistero che «il cambio della guardia alla Casa Bianca ha reso meno complicato arrivare a una soluzione, dopo lo stallo con la amministrazione di Donald Trump che proponeva una tassazione facoltativa». Il tetto del 21% sarà probabilmente oggetto di negoziato, ma l'idea di fondo di costringere qualsiasi realtà che spostasse i profitti all'estero per beneficiare di un'aliquota inferiore a quella domestica a versare poi 'in casa' la differenza riscuote consensi. Non sarà semplice, tuttavia, passare dalle intenzioni ai fatti se si pensa alla forte opposizione dei paradisi fiscali o anche solo di quei Paesi che possono contare su un fisco più leggero. Senza considerare la forte resistenza delle multinazionali, che ormai si sono abituate ad approfittare dei vantaggi fiscali nei passaggi tra un Paese e un altro. Gli ostacoli alla proposta Biden non mancano». 

DDL ZAN, PRIMO GIORNO IN SENATO

Primo giorno di discussione del DDL Zan in Senato. Il centro destra riesce a ottenere che anche la sua proposta in materia segua lo stesso iter. La cronaca è di Avvenire.

«Sull'omofobia i due fronti si polarizzano ulteriormente. Pd-M5s-Leu da una parte, centrodestra dall'altro. Il risultato, nel primo giorno di discussione in commissione Giustizia al Senato, è che i testi che 'cam- mineranno' insieme sono due: il Ddl del democratico Alessandro Zan, già approvato alla Camera e che il centrosinistra vorrebbe far passare al Senato 'tal quale'; e il Ddl con prima firma della forzista Licia Ronzulli, sottoscritto anche da Matteo Salvini per la Lega e, da ieri, anche da Fratelli d'Italia. La decisione di congiungere gli iter (non i testi, ma il percorso dei due schemi di legge) è stata presa dal presidente della commissione, il leghista Andrea Ostellari. Ed è stata oggetto di una polemica furiosa, con il Pd sulle barricate che ha considerato quella di Ostellari una «forzatura» e ha chiesto - senza ottenerlo - un voto sul congiungimento dei dispositivi, nel tentativo di stroncare sul nascere l'impianto del centrodestra. Ostellari, però, ha tenuto duro: «I regolamenti esistono per tutelare anche chi non li conosce. Mi spiace per chi grida allo strappo, certificando una certa ignoranza delle regole. O, peggio, la volontà di trasgredirle. In commissione Giustizia ho applicato l'articolo 51 del regolamento del Senato e quindi ho congiunto il ddl Zan con il ddl Ronzulli- Salvini, che saranno trattati insieme. Basta bugie e basta pretendere scorciatoie. Proseguiamo il dibattito serenamente. La democrazia funziona così». «Il testo del centrodestra è tardivo e ha solo intenti ostruzionistici», reagisce il pentastellato Alessandro Maiorino. Ovviamente soddisfatto il centrodestra, che in questo modo tiene in piedi sino all'ultimo giorno di esame in commissione anche un testo alternativo al discusso ddl Zan. Volti tesi, invece, tra i dem. Anche se il vicepresidente dei senatori del Pd, Franco Mirabelli, si dice certo che «i tempi non ne risentiranno» e in Aula finirà, comunque, il ddl Zan, «con o senza relatore». Un tentativo di accordo politico è ancora possibile e sarà oggetto di un confronto domani: le audizioni sui due testi saranno le stesse, non saranno duplicate, e Ostellari ha chiesto al centrodestra di ridurre la lista delle associazioni da 'audire', raccogliendo una prima disponibilità».

Proprio sulla vicenda del DDl Zan in discussione al Senato, commento in prima pagina del Giornale di Nicola Porro.

«Ieri al Senato il centrodestra unito, quello di governo e di opposizione, ha dato un segnale importante di compattezza parlamentare. La vicenda è quella che riguarda il disegno di legge Zan. Il centrodestra unito ha ottenuto che la sua proposta venga discussa congiuntamente con l'originale di sinistra. La discussione parlamentare sarà dunque più lunga e più completa. Nel merito, senza entrare nei dettagli, per il centrodestra l'omofobia diventa un'aggravante per le violenze che riguardano genere e sesso, sul modello di quanto oggi avviene per razza e religione, per intendersi. Zan invece, peraltro smentendo una proposta fatta precedentemente con Scalfarotto, prevede una serie aggiuntiva di corollari e prescrizioni. La più pericolosa introduce una sorta di sindacabilità giudiziaria sulla libertà di espressione. «Sono culturalmente di sinistra ha detto Luca Ricolfi a Quarta Repubblica, ma riconosco che la libertà di pensiero oggi è migrata da sinistra a destra». Quella libertà, è sottinteso, per la quale si possa domani affermare, ad esempio: “L'utero in affitto è un crimine”; o, più moderatamente: “L'utero in affitto è innaturale”». 

Su La Stampa c’è una riflessione non banale di Flavia Perina che parla della durissima discussione fra donne, e donne impegnate, scatenata dal testo delle legge Zan.

«Non c'è un precedente storico a cui riferirsi per spiegare i sentimenti viscerali che il disegno di legge sta suscitando tra persone che, in passato, hanno sfilato unite contro ogni tipo di violenza e a favore di ogni minoranza denigrata o ghettizzata. Divorzio e aborto furono campagne altamente emotive ma spaccarono partiti e culture già altrimenti contrapposte: il conflitto intestino, all'interno delle case di riferimento, fu assai modesto. Dunque si dovrà ammettere che succede qualcosa di nuovo, e bisognerà cercarne il bandolo, capire perché quell'Articolo Uno della norma, con la sua legenda delle discriminazioni sanzionate - «sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere» - bruci come vetriolo negli occhi di persone abitualmente solidali con ogni minoranza, ogni diritto, e di sicuro estranee a qualsiasi approccio clerico-conservatore. La Legge Zan, forse oltre le intenzioni dei sottoscrittori o forse no, evoca uno scontro "sui fondamentali" che anche altrove (Gb, Spagna, Francia) ha incendiato la discussione pubblica ma solo da noi è rimasto imbottigliato dentro un disegno di legge contro l'omofobia e la transfobia. È lo scontro sull'espressione "identità di genere" e quindi sul Self-Id, sull'autodichiararsi donna, sul poterlo fare e revocare a prescindere dalla transizione fisica, sulla derubricazione del sesso ad accidente biologico in nome di una fluidità vista come destino auspicabile dell'umanità. C'è chi ci crede ed è contento dell'allargarsi di questa prospettiva. C'è chi lo vede come la rivincita definitiva del patriarcato, che non pago di aver oppresso per millenni i corpi delle donne adesso vuole rubar loro l'anima, cancellarne la specificità, e progetta un mondo dove i nati-uomini usurpino pure il potere millenario della maternità. Non è roba da poco. Qui non si parla di dettagli ma di qualcosa di profondo, pre-politico, germinale, e chissà se i promotori avevano previsto conseguenze così estreme mentre scrivevano una legge che dovrebbe servire a tutt' altro - sanzionare chi incita all'odio contro la diversità - ma è indiscutibile un dato: se si voleva consegnare al fronte dei diritti una nuova bandiera e una causa comune, non ha funzionato molto bene. Anzi, si è riusciti nella difficile impresa di far litigare pure le amiche».

ADDIO A BATTIATO, L’ ANDY WARHOL DELLA CANZONE

Su Franco Battiato, scomparso ieri, sulla stampa italiana molti condividono ora un loro ricordo personale, un episodio, un colloquio. Per chi ama i giornali e la musica sono articoli tutti da leggere. Qui andiamo per accenni. Ernesto Assante traccia su Repubblica un ritratto artistico che può far capire chi è stato il musicista siciliano, vero artista pop.

«A Beethoven e Sinatra preferisco l'insalata, a Vivaldi l'uva passa che mi dà più calorie". Questo scriveva, con un pizzico d'ironia, Franco Battiato in Bandiera bianca nel 1987, scalando le classifiche e, forse, quelle parole le pensava davvero. Di certo c'è stato un periodo, all'alba degli anni 70, in cui Battiato e la musica avevano un rapporto particolare, fatto di spigoli e aperture, spaccature e solidità tra le quali il musicista siciliano si muoveva con intelligente rapidità, provando a creare opere che non avevano nemmeno lontanamente l'idea della stabilità, la voglia della certezza. Era, il Battiato del 1971, nel fiume in piena della scena del progressive europeo, in bilico tra l'elettronica e il rock, performer e agitatore sonoro militante che "rifiutava" Beethoven e Sinatra in favore di sperimentazioni fantastiche e per nulla inferiori a quelle passate alla storia del rock di band e musicisti inglesi o americani della stessa epoca. Era curioso, curiosissimo, divorava con famelica attenzione le musiche che arrivavano dal resto d'Europa e dagli Stati Uniti. Ma a differenza di altri campioni della nostra scena progressive non puntava a dare soddisfazione al pubblico, piuttosto voleva scuoterlo, sorprenderlo, fargli comprendere quello che lui aveva compreso e che, per tutto il resto della sua carriera, avrebbe poi tenuto come indicazione principale della sua ricerca musicale: che le porte della percezione si possono aprire in molti modi diversi, attraverso il suono, il gesto, la parola, e che una volta aperte il mondo che ci accoglie è molto più ampio e ricco di meraviglia di quello che conosciamo».

Massimo Gramellini nella sua rubrica sulla prima pagina del Corriere (titolo: Il filo invisibile) riflette sul perché in queste ore diamo tanto spazio al ricordo del Maestro Battiato.

«Ieri milioni di persone hanno pensato per qualche attimo alla loro giovinezza e in genere alla loro vita, a ciò che ne hanno fatto e ai suoi momenti culminanti: amori, dolori, sfide, speranze. Ovunque le portasse l’eco di una canzone di Franco Battiato, in cerca di un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente, e di un maestro che mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire, perché sei un essere speciale e io avrò cura di te. Successe già quando uscirono di scena Battisti, Dalla e De André. Succede sempre e soprattutto con i musicisti. Persino se, come nel caso di Battiato, sono talmente profondi da risultare inevitabilmente un po’ meno larghi. Ogni artista è un tessitore di eternità e non fa che tendere fili invisibili tra la nostra dimensione e l’Altrove, l’Over the Rainbow cantato da Judy Garland. Ma nell’universo degli artisti il musicista rappresenta ancora una categoria a parte: il suo linguaggio, seppur fatto di parole, salta qualsiasi mediazione mentale e comunica direttamente con il cuore. Che cosa piangiamo, dunque, quando piangiamo un musicista? Non la persona fisica, dato che pochi di noi avevano potuto godere della sua intimità. E nemmeno le opere, che per fortuna rimangono a farci compagnia anche dopo la sua scomparsa. Forse piangiamo quel pezzo di buio che si crea all’improvviso dentro ciascuno di noi, ogni volta che si spegne una luce che, come un piccolo sole, brillava per tutti».

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana  https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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Aspettando la tregua

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