Biden si è ritirato
Getta la spugna il presidente Usa, non si presenta il 5 novembre. E lancia la Harris. Corsa fra i democratici: primarie lampo. Dopo Ursula, duello Lega-Fi, Meloni irritata. Testori-Guttuso a Varese
Donald Trump aveva appena detto che aveva preso “a bullet for democracy”, una pallottola per la democrazia, quando è arrivata la notizia che Joe Biden si ritirava dalla corsa per la Casa Bianca del 5 novembre, per salvare quella stessa democrazia. Non saranno presto dimenticati i sette giorni che hanno sconvolto l’America e il mondo. Ieri alle 13,45 ora americana, la sera in Italia, il presidente Usa ha pubblicato una lettera su X (vedi Foto del Giorno) in cui ha gettato la spugna. Poco dopo ha poi espresso, in un altro post su X, tutto il suo appoggio a Kamala Harris, la vicepresidente che ha condiviso con lui gli ultimi quattro anni. La decisione era stata ampiamente annunciata, soprattutto dal New York Times e in Italia da Repubblica: i sondaggi erano inequivocabili. Dopo il primo confronto in tv e ancora di più dopo l’attentato di Butler, la sconfitta contro Trump era già decisa.
Ora si apre una corsa fra i democratici che non ha precedenti. Anche formalmente non c’è obbligo verso la Harris, che ha avuto per ora solo l’appoggio dei Clinton. Due leader chiave come Barack Obama e Nancy Pelosi ieri non l’hanno citata e tutto fa pensare che si vada verso delle “Blitz primary”, primarie lampo, come scrive Paolo Mastrolilli su Repubblica. La convinzione diffusa è che il disperato contropiede dei dem potrebbe funzionare contro Donald Trump solo con un candidato giovane, un volto davvero nuovo. Harris è compromessa con una disastrosa politica sui migranti, di cui è considerata in gran parte responsabile.
Il tempo c’è perché la Convention democratica comincia il 19 agosto a Chicago. Da noi, e in genere in Occidente, si scrive di Michelle Obama. Stamattina Giuliano Ferrara sul Foglio la indica di nuovo come sicura carta vincente. Non va però sottovalutato il momento favorevole di Donald Trump, soprattutto incarnato dalla nomina di un vice, J.D. Vance che, come spiega molto bene Mattia Ferraresi sul Domani, potrebbe mettere finalmente in secondo piano, culturalmente e politicamente, i “quattro anni trumpiani di governo delirante e dilettantesco culminati nella coda eversiva dell’assalto a Capitol Hill”.
Intanto si rende l’onore delle armi a Joe Biden nella diplomazia mondiale e nei ritratti dei giornali, che ne segnano l’uscita dalla scena elettorale. Dal punto di vista internazionale, la sua presidenza lascia però un mondo molto malmesso: due guerre in corso, che la Casa Bianca non ha saputo fermare ed ha anzi alimentato la più grande corsa al riarmo dal dopoguerra, una Nato protagonista della nuova Guerra Fredda, una promessa di scontro bellico per Taiwan e comunque una grande competizione, anche militare, contro la Cina e ovviamente la Russia. Tutto il Sud del mondo (dall’America Latina all’Asia) ha oggi un grande risentimento contro l’Occidente e gli Usa. Dal punto di vista interno Biden è stato (e lo sarà ancora per quattro mesi) un presidente abortista e bellicista, insensibile ai diritti dei palestinesi, e con una politica sui migranti feroce quasi quanto la propaganda trumpiana. Poco da rimpiangere insomma.
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