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Capodanno con tampone
Altro record di contagi nell'ultimo giorno dell'anno. Caos tamponi e disagi in tutto il Paese. Raffica di questioni per Draghi e Speranza. Stasera parla Mattarella. Bene la Borsa, stangata luce e gas.
Ultimo dell’anno festeggiato in tono minore per l’ondata della variante Omicron. Ieri ancora 126 mila contagi in tutto il Paese. Diverse vacanze annullate e disagi per brindisi e festeggiamenti. Caos tamponi (5 milioni fatti negli ultimi 7 giorni) un po’ ovunque, con le regole per vaccinati e quarantene che rischiano di creare grandi contraddizioni burocratiche. Oggi Selvaggia Lucarelli dalle colonne di Domani pone 12 domande a Speranza e Draghi sulla confusione di queste ore. Michele Brambilla direttore del Quotidiano Nazionale si chiede, viste le conseguenze lievi di Omicron, se non sia esagerata la psicosi collettiva sull’ultima variante. Mentre i retroscena raccontano di un Draghi deciso ad introdurre, già il 5 gennaio, l’obbligo vaccinale di fatto per chi lavora. Vedremo.
Sicuro invece pare un maxi rincaro sulle bollette di luce e gas. Secondo Davide Tabarelli, esperto di energia per Nomisma, è la conseguenza di una corsa politica in avanti dell’Europa e del nostro governo sulla transizione ecologica. Fosse davvero così, sarebbe doppio l’obbligo morale di intervenire in soccorso di famiglie e imprese da parte del governo Draghi. Intanto Piazza Affari segna un anno record di crescita, meglio anche di Wall Street, nota il Sole 24 Ore: si tratta ora di non disperdere i risultati positivi raggiunti. Dobbiamo ancora crescere e aumentare i posti di lavoro. La Stampa segnala però il rischio “politico” dello spread, legato al rinnovo del Quirinale. In un anno (Draghi iniziò a febbraio ed era a 90) il differenziale ha preso 50 punti, ora è a 140.
A proposito, stasera c’è l’appuntamento con il messaggio in diretta radio e tv, come si dice a reti unificate, con inizio alle 20 e 30, del Capo dello Stato. Quest’anno l’attesa è doppia. Sergio Mattarella insieme al 2021, che è stato un anno comunque turbolento, chiude infatti un intero settennato. La Versione vi propone una raffica di pareri preventivi, di attesa e previsione, su che cosa dirà davvero il Presidente. Intanto Omicron pesa anche sul voto a Montecitorio: che cosa fare in caso di grandi elettori positivi? Giorgia Meloni in un’intervista al Messaggero chiede comunque elezioni anticipate, chiunque sarà il nuovo Presidente della Repubblica.
Dall’estero spiragli di ottimismo dopo i 50 minuti di colloquio fra Biden e Putin, avvenuti ieri, a proposito di Ucraina. Impressionante reportage di Repubblica dalla Turchia: il Paese di Erdogan è in ginocchio per una crisi economico monetaria senza precedenti. Drammatico il bilancio della crisi umanitaria dall’Afghanistan: il ritiro occidentale del 2021 ha provocato una crisi economico e alimentare da cui sarà difficile uscire.
L’ultimo giorno dell’anno è sempre occasione di bilanci e di ricordi. Sui giornali è un classico: le vittorie sportive, i grandi dello spettacolo e i vip che ci hanno lasciato, i fatti salienti dell’anno. È anche un momento di buoni propositi, di progetti, di speranze. Per me il 2021 non è stato poi così male e penso neanche per l’Italia. Dall’11 febbraio ho iniziato questa newsletter con voi, proponendo la mia Versione ogni mattina. La scorsa settimana ha toccato il record di 5mila persone che l’hanno vista. Che dire? Grazie. E grazie della fiducia, cercherò sempre di essere all’altezza delle vostre attese.
L’altra grande scoperta dell’anno, che oggi si chiude, è stato il mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it, grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. Sono dieci puntate di circa venti minuti in cui dieci persone raccontano loro stessi e il motivo per cui sono state premiate dal Capo dello Stato per i loro meriti civili o sociali. Potete ascoltarle camminando, lavando i piatti, guidando la macchina (con bluetooth o cuffiette). La voce ha tutta la potenza estetica di un incontro intimo, ravvicinato e spesso profondo. Ci sono giovanissimi, come Mattia-Spiderman che fa visita ai bambini in Oncologia, quarantenni come Ciro che resiste dentro Gomorra dando nuove possibilità ai giovani del quartiere più difficile di Napoli ed anziani come il novantenne Nonno Chef, instancabile con i senza tetto, che ci ha lasciato le sue parole, prima di scomparire. In questa serie ci sono tante donne, che ho imparato ad ammirare e che stimo dal profondo del cuore: Chiara che ha mosso migliaia di giovani, Nicoletta che è una vera cuoca combattente, Rosalba che contende lo spazio alla camorra dalla sua scuola di Scampia, Tiziana che ama, e riscatta con l’impegno, la sua gente nei casermoni di Tor Bella Monaca, Rebecca che si è ripresa Roma cominciando a ripulire l’isolato di casa sua, Anna che ha messo su un’impresa sociale di moda con le eccedenze dei grandi marchi e i lavoratori disabili e suor Gabriella che guida una rete internazionale contro la tratta e lo sfruttamento delle ragazze. Sono racconti di un’Italia che nel 2021 è andata bene, che ha creduto nella sua stessa generosità, che ha saputo ripartire. Cercate questa cover…
… e troverete Le Vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo potrete trovare tutti gli episodi:
https://www.spreaker.com/show/le-vite-degli-altri_1
Trovate questa VERSIONE di nuovo nella vostra casella di posta domenica 2 GENNAIO l’appuntamento orario resta intorno alle 11. Domani infatti i giornali non escono. Vi ricordo che potete scaricare gli articoli integrali in pdf nel link che trovate alla fine. Consiglio di scaricare subito il file perché resta disponibile solo per 24 ore. Scrivetemi se volete degli arretrati. Fate pubblicità a questa rassegna, seguendo le istruzioni della prossima frase.
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Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
Si chiude un anno vissuto con la pandemia e i titoli sono in gran parte ancora su questo. Il Corriere della Sera sottolinea l’azione del governo: Green pass, la spinta di Draghi. Avvenire ricorda: Ma il virus corre. Domani pubblica una serie di quesiti posti all’esecutivo: Caos tamponi e vaccinati bloccati 12 domande a Draghi e Speranza. Il Fatto propone anche oggi l’intervista al virologo Cassandra: Crisanti: “I Migliori apprendisti stregoni”. Il Quotidiano Nazionale è didascalico: Super pass e quarantena: tutte le regole. Il Mattino promette ulteriori divieti: SuperPass per lavorare la stretta già da gennaio. Il Messaggero concorda: Omicron, la corsa dei contagi. Arriva il Super pass al lavoro. Ma La Repubblica sostiene: Vaccini, l’obbligo divide il governo. La Verità teme per gli studenti: Scuola e vaccini, il grande ricatto. Sprazzo di ottimismo dai mercati per Il Sole 24 Ore alla fine di un anno in cui Milano ha battuto Wall Street: Piazza Affari meglio del Nasdaq. Inquietanti invece le notizie sul rincaro bollette. La Stampa: Elettricità, gas e alimentari la stangata di Capodanno. Libero: Bollette su del 55%. Questa è una rapina. Il Giornale: Botta di Capodanno. Dulcis in fundo, Il Manifesto, su una foto di un barcone di migranti alla deriva, propone un titolo che è anche un gioco di parole: Gli ultimi dell’anno.
I CONTAGI ARRIVANO A 120 MILA, 5 MILIONI DI TAMPONI IN 7 GIORNI
Ogni giorno si infrange una barriera e Omicron continua la sua corsa anche in Italia: ieri contagi a 126mila, con i decessi a 156 e incremento di ricoveri. Il punto di Adriana Logroscino sul Corriere.
«La progressione impressionante del contagio agita gli italiani. Le contromosse del governo dividono gli esponenti delle diverse forze politiche. Tra critiche, anche di segno opposto, e incoraggiamenti ad andare avanti. Dall'opposizione, Giorgia Meloni, denuncia la compressione della libertà provocata dall'estensione del super green pass. Dalla maggioranza la prima fila del Pd vorrebbe tempi stretti per l'entrata in vigore delle nuove misure: la quarantena breve per i contatti dei positivi scatterà in realtà 24 ore dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, l'estensione del super green pass dal 10 gennaio. Ma sul tavolo torna l'obbligo vaccinale. Ipotesi prima osteggiatissima da consistenti pezzi della maggioranza di governo, e ora, vista l'esplosione di casi, riconsiderata da più parti. Ieri per il terzo giorno di seguito si è imposto infatti un nuovo record di positivi in 24 ore: 126.888. Pur con un numero, anche questo, record di tamponi, cinque milioni in una settimana, il tasso di positività sale all'11%. Lieve l'incremento di decessi, 156, ma continuano ad aumentare i ricoveri in ospedale. Il monitoraggio indipendente della fondazione Gimbe misura nell'80% l'impennata di contagi negli ultimi sette giorni. Siamo in piena tempesta. Nonostante i centomila contagi in un giorno ampiamente superati, il picco ancora non si vede. «Che ci fossero varianti in grado di produrre ondate pandemiche peggiorative, una più dell'altra, non era mai successo», rileva il consigliere scientifico del ministro Speranza, Walter Ricciardi. «Estendere l'obbligo vaccinale ad altre categorie, richiedere il super green pass ai lavoratori e vaccinare i bambini in maniera estensiva sono i prossimi passi per evitare che questa ondata pandemica,impetuosa, peggiori». Ma le misure per contenere la circolazione del virus accendono la contesa politica. Durissime le parole della leader di Fratelli d'Italia: «Green pass, super green pass e obblighi vaccinali, imposti senza nemmeno prendersi le responsabilità, non hanno fermato i contagi. L'esecutivo ha bombardato gli italiani con la bugia che gli strumenti liberticidi erano necessari per "ritrovarsi tra persone non contagiose". Ora, anziché scurarsi, perseverano sulla strada della repressione delle libertà, colpendo le categorie odiate dalla sinistra: ristoratori, albergatori, palestre e piscine». Giuseppe Conte, presidente del M5S, sostiene la linea del governo, ma chiede ristori per le categorie penalizzate. La ministra Mariastella Gelmini, spiega le ragioni per cui Forza Italia approva le misure appena prese e anche l'ipotesi di obbligo vaccinale. «Il virus si sconfigge con i vaccini». Matteo Renzi approva l'operato del governo: «bene che abbia finalmente accolto la nostra proposta di accelerare sulle terze dosi e di semplificazione della quarantena». Di «misure inadeguate», ma perché tardive, parla invece il presidente della Campania, Vincenzo De Luca. Un'accelerazione chiedono altri due esponenti pd, Francesco Boccia e Stefano Bonaccini: obbligo vaccinale o super green pass per tutti i lavoratori. In questo clima, il governo si prepara a un nuovo provvedimento il 5 gennaio.».
DRAGHI VUOLE ANDARE AVANTI COL SUPER GREEN PASS
Mario Draghi vorrebbe tirare dritto e portare il provvedimento sul green pass ai lavoratori già il prossimo 5 gennaio. Emanuele Lauria per Repubblica.
«Avanti sulla strada del Super Green Pass, ovvero dell'obbligo vaccinale, per la più ampia fascia di lavoratori. Se non tutti, la gran parte. Mario Draghi non è più disposto a far rallentare l'azione di governo per i veti e le resistenze di pezzi della maggioranza. Nella prima riunione del consiglio dei ministri del 2022, probabilmente il 5 gennaio, chiederà di approvare senza più remore quel provvedimento che ha già subito un paio di rinvii. E servirà, un atto che superi le incertezze, anche per mandare un messaggio preciso ai partiti: l'ex banchiere non ha alcuna intenzione di farsi logorare. L'autunno ha visto un aumento della conflittualità interna all'esecutivo: prima il no al decreto fiscale da parte della Lega, poi il muro di centrodestra e Iv contro l'ipotesi di congelare il taglio delle tasse ai più abbienti per garantire bollette meno salate ai più poveri. Quindi l'ultimo dibattito, acceso, sul Super Green Pass per il mondo del lavoro, con il Carroccio e i 5Stelle messi di traverso, seppur per ragioni opposte. Draghi ha cercato di mediare, di non scontentare nessuno, di non irritare forze politiche che potrebbero sostenerlo nella corsa al Colle. Ma una cosa è certa: il premier vuole fare capire subito che, se al Quirinale andasse un'altra figura diversa da lui (a condizione che sia ampiamente condivisa e non spacchi la maggioranza), non resterà a Chigi per farsi travolgere dalle intemperie pre-elettorali dei partiti. Non rimarrà certo a fare da segnaposto in attesa del voto. Il metodo tornerà quello di sempre: ascolto di tutti ma poi decisioni chiare e rapide. Altrimenti la mission politica dell'ex presidente della Bce potrebbe anche interrompersi. È con questi intendimenti che Draghi affronta un mese cruciale, per il Quirinale e per il futuro del governo. Il cdm di mercoledì ha lasciato pesanti scorie nella maggioranza. Renato Brunetta, il ministro della Pubblica amministrazione che più ha spinto per l'estensione del 2G a tutti i lavoratori, non si nasconde più: «I ritardi non sono a costo zero: ogni giorno che passa comporta il rischio di colorazione più scura delle Regioni e accorcia la vita dei malati con patologie diverse dal Covi. La prossima settimana dovremo approvare il provvedimento. A meno che Giorgetti non avanzi obiezioni più concrete di quelle presentate sinora...». Il ministro dello Sviluppo economico, in realtà, non ne fa una questione ideologica. Chiede che, oltre a una misura che equivale all'obbligo vaccinale, si pensi a redigere un elenco di lavoratori fragili da esentare e a un giusto indennizzo per chi subisce danni dopo l'iniezione. È una posizione che stavolta coincide con quella del segretario Matteo Salvini, in una dinamica interna che vede invece la rottura dell'asse fra Giorgetti e i governatori, inclini a estendere il Super Green Pass, senza subordinate. Giovanni Toti, presidente della Liguria, ci scherza su: «Non mi sembra si possa negare che la posizione del capo delegazione della Lega sia in contraddizione con quella di Fedriga e Zaia», diceva mercoledì sera. Dai 5Stelle, invece, è giunto l'invito a non discriminare fra lavoratori e disoccupati e soprattutto fra dipendenti della pubblica amministrazione e addetti del settore privato. Una serie di distinguo che ora Draghi vuole superare, sulla scia anche del numero dei contagi, che di qui a mercoledì potrebbero superare quota duecentomila al giorno. Serve un ulteriore giro di vite contro i no vax. Magari preceduto, come dice la ministra Maria Stella Gelmini, «da un ulteriore momento di concertazione con i sindacati e le associazioni datoriali, che si sono dette favorevoli all'obbligo vaccinale. Il problema - dice Gelmini - è che dobbiamo fare in modo che questo passaggio non blocchi, da un giorno all'altro, attività professionali ed economiche». Draghi sa, in questo momento, di poter contare sull'appoggio del Pd, che come Forza Italia sostiene l'obbligo del vaccino per i lavoratori, ma che legge tutta la vicenda in chiave anti-Salvini: «Non parliamo di intemperanza dei partiti, per favore, ma diciamo le cose come stanno: ancora una volta - afferma il vicesegretario Giuseppe Provenzano - è la Lega a rappresentare un ostacolo al governo nel fronteggiare la pandemia». È in questo clima che Draghi, premier e potenziale candidato al Colle, affronta le sfide di gennaio: senza più grande voglia di fare sconti».
Selvaggia Lucarelli su Domani pubblica in prima pagina: 12 domande a Draghi e Speranza su caos tamponi e vaccinati bloccati.
«Il presidente del Consiglio Mario Draghi tace e come al solito il suo silenzio va interpretato come quello dei gatti che guardano fuori dalla finestra. Il ministro della Salute Roberto Speranza tace e del resto siamo solo alle prese con un'emergenza sanitaria, perché mai dovrebbe parlare il ministro della Salute, che magari sta facendo ambo a tombola e lo disturbiamo pure. In compenso parla il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario all'emergenza Covid, e almeno ora sappiamo perché ha la mimetica: gli serve, la mimetica, per difendersi dal rinculo delle perle che spara. Ecco. Mentre succede tutto questo, gli italiani da nord a sud sono piombati nel peggior gorgo burocratico-sanitario che mai si potesse immaginare. Un gorgo del quale forse il premier Draghi, nella sua teca di intoccabilità come la Monna Lisa, non si è accorto. Mi permetto dunque di porgli alcune domande. 1. Milioni di italiani sono allo sbando, ignorati dalla sanità pubblica, in coda per i tamponi compresi ammalati, anziani, donne incinte e con bambini. Chi sta a casa non riesce a comunicare con le Asl. Le agognate vacanze dopo due anni di inferno, si sono trasformate in un inferno. Come mai lei non ritiene necessario dire due parole di conforto agli italiani in difficoltà? 2. Molti italiani col Covid non riescono a fare il tampone in tempi brevi, per cui la loro positività inizierà, per la burocrazia, molti giorni dopo aver contratto il Covid, allungando la quarantena. Altri non riescono a prenotare il tampone di fine quarantena, per cui rimarranno a casa ben oltre i tempi previsti dalla legge, anche se negativi. Di fatto, sono sotto sequestro. Molti hanno attività e non possono riaprirle. Non le sembra una situazione così grave da richiedere un intervento o, almeno, una sua dichiarazione? 3.Chi ha possibilità economiche risolve il problema dei tamponi rivolgendosi ai laboratori privati, con costi che vanno da 80 a 200 euro a tampone. Questo libera dalla quarantena in tempi giusti solo le famiglie che possono permettersi una spesa che può arrivare a più di mille euro. Le sembra degno di un Paese civile lasciare indietro i meno abbienti? 4. Lei che è l'europeista per antonomasia, si è accorto che praticamente tutti i paesi d'Europa hanno un sistema efficace per tamponare la popolazione, con tendoni lungo le strade e distribuzione anche gratuita di tamponi rapidi? Come mai l'Italia si è fatta cogliere così impreparata? 5. Noi che, ligi alle regole di buonsenso, abbiamo fatto tre dosi di vaccino non avremo la quarantena obbligatoria se a contatto con positivi. Ma questo da una data imprecisata. Nel frattempo, dobbiamo stare a casa una settimana anche se asintomatici. Abbiamo perso buona parte delle ferie e disdetto le vacanze, perdendo soldi. In compenso, fino al 10 gennaio, i No-vax possono andare in alberghi e viaggiare col loro green pass ottenuto con tamponi rapidi che si sono rivelati inaffidabili, perché guai a rovinare le loro vacanze. Le sembra equo? 6. Le sembra normale che contatti stretti, liberi di andare in giro se vaccinati con tre dosi, siano considerati sia i conviventi di un positivo che persone che magari hanno preso un caffè al bar con un positivo? 7. Le sembra normale che le scuole brancolino nel buio, che non esistano protocolli chiari, che presidi e insegnanti diano indicazioni contraddittorie perché ricevono indicazioni contraddittorie? Come pensate di riaprire le scuole in questa situazione di caos burocratico e sanitario? 8. Davvero ritiene credibile che il generale Figliuolo possa garantire screening nelle scuole di tutto il Paese? E, soprattutto, non le viene il dubbio che l'unico modo per tenere le scuole (parzialmente) aperte sia NON fare screening nelle scuole? Ha idea di quanti ragazzi e bambini positivi asintomatici ci saranno nelle scuole? 9. Il governo ha stanziato 5 milioni di euro che saranno impiegati per l'acquisto di mascherine Ffp2. E quanto dureranno, un mese? 10. I tamponi rapidi, nello screening per Omicron delle ultime settimane, si sono rivelati altamente inefficaci. Come è possibile ritenere ancora il green pass dei lavoratori No-vax, ottenuto con tamponi rapidi, sufficiente per proteggere i luoghi di lavoro? 11. Non controllano il green pass nei ristoranti, chi controllerà l'utilizzo delle mascherine Ffp2? Chi farà scendere dai treni e dai bus chi non le ha, rischiando talvolta l'incolumità? 12. Le sembra normale che le vostre decisioni siano partorite in maniera così incomprensibile? Perché va bene che siamo tutti chiusi in casa e abbiamo del tempo libero, ma preferiremmo guardarci una serie su Netflix che interpretare il vostro decreto come fosse la tavoletta con testo cuneiforme ritrovata nell'antica Mesopotamia, vicino al fiume Eufrate».
Se la Lucarelli entra nel dettaglio del caos impresso dalla burocrazia alla situazione attuale, Michele Brambilla nell’editoriale su Quotidiano Nazionale si chiede se non sia meglio, considerati i lievi effetti di Omicron, uscire dalla paralisi, dalla psicosi collettiva.
«Facendo gli scongiuri possibili e immaginabili, i contagiati di questa quarta ondata stanno quasi tutti bene. Merito dei vaccini, e del fatto che Omicron sembra più contagiosa ma molto meno fastidiosa e pericolosa delle precedenti forme di Covid. Per chi ha fatto due o tre dosi di Pfizer e Moderna, Omicron è meno di un'influenza, a volte solo un raffreddore, spessissimo nulla, zero sintomi. Eppure il Paese è paralizzato. Abbiamo fatto milioni di tamponi e chissà quanti italiani - vaccinati - sono bloccati in casa solo perché hanno avuto un contatto con qualcuno che sta benissimo. E allora dobbiamo chiederci se oggi il problema sia ancora il Covid, o una psicosi collettiva. Mi pare che ci siamo già guastati le feste abbastanza. Gli alberghi e i ristoranti sono stati tempestati da disdette, le piste da sci sono deserte, abbiamo paura perfino a invitare qualche parente o amico a casa per la cena di capodanno. Facciamo tamponi a raffica: ieri molte farmacie hanno dovuto esporre un cartello per dire che la disponibilità era finita. E tutto questo anche se le terapie intensive sono piene, al 70 per cento e anche più, solo di non vaccinati (e chissà come mai), e per il resto di persone vaccinate ma molto anziane e già malate. Se andiamo avanti di questo passo l'Italia si riblocca un'altra volta. Forse peggio che in passato, e sarebbe paradossale perché la situazione oggi è molto migliorata rispetto a due e un anno fa. L'altro ieri il governo ha deciso alcune modifiche alla quarantena. Chi è vaccinato tre volte non la deve fare anche se è venuto a contatto con un positivo. Bene, ma non basta. Bisogna rivedere le norme anche per chi è vaccinato con due dosi e attende di fare la terza, e perfino per chi è positivo ma ha completato il ciclo vaccinale e sta benissimo. In Israele hanno sospeso la campagna per la quarta dose perché si stanno convincendo che Omicron è quasi innocua; in Sudafrica, dove queste variante è partita, hanno già tolto quarantene e restrizioni. Sbaglia chi attacca il governo: è stato giusto procedere con prudenza. È una situazione in cui si naviga a vista, neppure gli scienziati possono offrire certezze. Ma se il quadro clinico di oggi venisse confermato nelle prossime settimane, Draghi e i suoi ministri dovranno modificare le attuali misure, perlomeno per i vaccinati (il che sarebbe anche un incentivo alla vaccinazione). Questo è il compito del governo. Il compito dei governati, invece, dovrebbe essere quello di non cadere nella trappola della psicosi collettiva. Che vuol dire perdita di contatto con la realtà. Ma siamo talmente spaventati da troppo tempo che rischiamo di non vederla più, la realtà, e di inseguire dei fantasmi».
BOLLETTE, LA STANGATA DEL 2022
Il nuovo anno rischia di non cominciare benissimo. Rincari record per luce (+55%) e gas (+42%). La spesa maggiore delle famiglie viene calcolata in 2.383 euro l'anno in più. Corinna De Cesare per il Corriere.
«Il 2022 si apre con rincari record di luce e gas. Gli incrementi delle materie prime si abbattono infatti sulle bollette: «A partire dal primo gennaio l'aumento per la famiglia tipo (in tutela) - ha fatto sapere ieri l'Arera, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente - sarà del 55% in più per la bolletta dell'elettricità e del 41,8% in più per quella del gas». Un rialzo persino attenuato dagli interventi messi in campo negli ultimi mesi, con la conferma da parte dell'Autorità dell'annullamento transitorio degli oneri generali di sistema in bolletta e il bonus sociale alle famiglie in difficoltà, esattamente come disposto dalla Legge di Bilancio 2022 in cui il governo, oltre a ridurre l'Iva sul gas al 5% per il trimestre, ha stanziato le risorse necessarie agli interventi, consentendo di alleggerire l'impatto su 29 milioni di famiglie e 6 milioni di microimprese. «Malgrado gli interventi tuttavia - ha sottolineato ieri Arera - l'aumento per la famiglia tipo in tutela sarà comunque del +55% per la bolletta dell'elettricità e del +41,8% per quella del gas per il primo trimestre del 2022». Numeri che in una famiglia tipo, in regime di maggior tutela, si tradurranno in oltre mille euro più l'anno. E tra il primo aprile 2021 e il 31 marzo 2022, si tratta di oltre 2.300 euro: circa 823 euro per la bolletta elettrica (+68% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell'anno precedente) e circa 1.560 euro per il gas (+64%). Ripercussioni anche per i settori produttivi, con la moda in allarme e centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio, come ha avvertito ieri il presidente di Sistema Moda Italia, Sergio Tamborini. Secondo Coldiretti, quella che ieri è stata definita dalle associazioni dei consumatori «la stangata», avrà un doppio effetto negativo: si riduce il potere di acquisto dei cittadini e delle famiglie ma aumentano anche i costi delle imprese. Da mesi ormai il dossier del «caro-energia» è sul tavolo del governo, che finora ha già investito 8 miliardi per mitigare gli aumenti e il tema sarebbe stato ieri al centro di una telefonata anche tra Matteo Salvini e il premier Mario Draghi. Ma tutte le forze politiche hanno avanzato ipotesi e soluzioni. «Abbiamo chiesto al governo - ha scritto ieri su Facebook Antonio Tajani, Coordinatore nazionale di Forza Italia - di impegnarsi a sterilizzare gli aumenti e di autorizzare maggiori estrazioni di gas sul territorio nazionale: produrlo costa meno che importarlo» . Il Pd invece chiederà la stabilizzazione della decontribuzione per i redditi fino a 35mila euro, misura prevista in manovra per il solo 2022.».
Davide Tabarelli, grande esperto di prezzi e mercati energetici, sulla Stampa analizza il perché di un rincaro tanto anomalo. Non nasconde le responsabilità politiche di Bruxelles e del nostro governo, che hanno seguito il miraggio di una transizione ecologica, per ora non realistica.
«Per definizione, le tariffe dovrebbero variare del 2-3% alla volta, perché devono garantire stabilità ai consumatori. Questa regola vale ancora di più per l'energia, in quanto è un bene essenziale per imprese e famiglie e perché i suoi costi derivano da investimenti di lungo termine stabili nel tempo. L'aumento del 55 e del 41,8% delle bollette di luce e gas sul mercato tutelato (almeno così è chiamato) calpesta questi principi e indica che il sistema è saltato. La tariffa elettrica è a 46 centesimi per KWh, più del doppio rispetto ai 21 di un anno fa. Il gas costa 1,37 euro per metro cubo, quasi il doppio dei 71 centesimi di un anno fa. È uno choc di prezzo, non molto diverso da quello degli anni '70 del petrolio, per coloro che se lo ricordano. Questo arriva nonostante siano stati stanziati 8,8 miliardi che non sono investimenti, come il governo li ha chiamati, ma risorse degli italiani che vanno ad aumentare il debito, il nostro tallone d'Achille. Ce n'è a sufficienza per richiedere le dimissioni del nostro governo e della Commissione europea. Le nostre democrazie, italiana ed europea, hanno eletto maggioranze che hanno posto la transizione ecologica alla base dei loro programmi per (legittimamente) rispondere alle richieste di un vasto elettorato molto preoccupato del cataclisma climatico. È un dovere civico, anche per il bene delle democrazie, chiamare a rendere conto quei politici che ci promettevano una facile transizione energetica. Ci portino loro quest' inverno le rinnovabili che dovrebbero far crollare i prezzi del gas e dell'elettricità. La cosa da fare sarebbe cercare di ridurre quanto prima la domanda di gas in Europa, in particolare nel settore elettrico. La soluzione sarebbe quella di fare andare al massimo la capacità a carbone, invece, con entusiasmo, in Italia è stata appena annunciata la chiusura di La Spezia e di Fusina. Nel frattempo la Germania, nonostante i Verdi al governo, ha aumentato i consumi di carbone del 30% quest' anno. Se ora arriva in Europa nuovo gas dagli Usa è perché in Asia se ne consuma meno, perché si usa più carbone. La nostra Commissione, di fatto guidata dal rivoluzionario Timmermans, dice che tutto va bene e tradisce addirittura soddisfazione nel vedere i prezzi alti dell'energia, perché così si accelera l'abbandono dei combustibili fossili. Invece, dovrebbe quanto prima forzare la Germania a dare il via libera al Nord Stream 2 e proporre ai singoli Paesi un allentamento dei vincoli ambientali sulle emissioni di CO2, per permettere il consumo di combustibili diversi dal carbone. Permane, invece, un grave distacco della politica italiana ed europea dalla realtà della gente, delle fabbriche e delle bollette e questo fa temere che questa crisi sia tutt' altro che finita».
QUIRINALE 1. CHE COSA DIRÀ MATTARELLA
Alle 20,30 stasera Sergio Mattarella pronuncerà a reti unificate il tradizionale discorso di San Silvestro. Che cosa dirà agli italiani? Concetto Vecchio per Repubblica.
«Sergio Mattarella stasera alle 20,30 saluterà gli italiani con un messaggio di fine anno breve e volutamente informale. L'ultimo del settennato. Il suo congedo. Sceglierà un tono colloquiale per parlare al Paese, proprio mentre infuria la quarta ondata della pandemia. E il Covid sarà in primo piano, fatalmente. Non potrebbe essere diversamente. Sfondato il muro dei centomila contagi il virus è in cima alle preoccupazioni di tutti. Mattarella potrebbe rinnovare l'appello a vaccinarsi, come ha già fatto altre volte in passato. La libertà di chi rifiuta di immunizzarsi finisce nel momento in cui si mette a rischio la vita degli altri: una convinzione esternata a più riprese. Ha scelto come location la Palazzina del Fuga, semplicemente: "la Palazzina" per chi ha familiarità con il Quirinale: sfondo sobrio, con le bandiere italiana e europea, i due poli della sua presidenza, ma senza la scrivania. Com' è noto, salvo clamorosi colpi di scena, Mattarella non accetterà alcun bis, come da più parti viene invocato. Il suo mandato scadrà il 3 febbraio. Non ce ne sarà un secondo, l'ha detto in svariate occasioni. Mattarella finisce la sua corsa con la gente che lo applaude nei teatri. Ha ricucito il Paese dagli strappi del populismo. Nei due anni della pandemia ha sempre invitato all'ottimismo. A guardare con fiducia al futuro. Lo dirà anche stasera. Siamo migliori dei luoghi comuni. L'Italia ce la farà anche stavolta, è il suo credo, e lo ribadirà. Tra tre settimane si inizierà a scegliere il successore. Probabilmente la prima votazione si terrà il 24 gennaio. C'è un incomodo con cui nessuno aveva fatto i conti: Omicron. Se i contagi cresceranno a questo ritmo si rischiano pesantissime defezioni tra i 1009 parlamentari, al punto da non raggiugere il quorum».
Wanda Marra per Il Fatto si chiede: parlerà di Mario Draghi? In fondo è stato lui a chiamarlo a Palazzo Chigi. Tornerà su quel passaggio?
«Il punto è cosa succede adesso. Tanto per cominciare, si aspetta il discorso di stasera di Sergio Mattarella. Continuano in questi giorni a girare vorticosamente le voci che vogliono il presidente irritato con il premier per l'assertività usata prima di Natale rispetto alla sua salita al Colle. Voci smentite sia dal Quirinale sia da Palazzo Chigi, liquidate come polpette avvelenate messe in giro da chi ancora spera in un bis del presidente. Si racconta, piuttosto, che Draghi e Mattarella siano in continuo e costante contatto e che il secondo fosse stato preventivamente informato di quello che avrebbe detto il premier davanti ai giornalisti. Dunque, stasera l'aspettativa di Palazzo Chigi è che il presidente sia ancora più netto rispetto al passato, ribadendo la sua indisponibilità a un bis, ma anche rafforzando un identikit di cosa serve all'Italia dopo di lui. Mattarella ha già insistito più volte sul senso di unità e di responsabilità nazionale. Va visto se e quanto si spingerà a tracciare un identikit che dovrebbe in qualche modo corrispondere a quello del premier. O in larga parte a quello del premier. Chi ha partecipato con Draghi alle riunioni di mercoledì dedicate a varare le ulteriori misure volte a fronteggiare la pandemia, ha avuto netta la sensazione che con la prima settimana di gennaio (quando ci sarà un ulteriore passaggio) il premier riterrà di avere messo in sicurezza il Paese, anche per chi guiderà il governo dopo di lui. Tutto questo, però, può non essere sufficiente: la debolezza dei partiti, lo sfilacciamento dei gruppi parlamentari sono considerati incognite che possono portare a scelte diverse da quella del premier. L'opzione Giuliano Amato appare concreta. Nei partiti, in maniera trasversale e magari strumentale, ci stanno lavorando in molti. Senza contare che la sua elezione, una volta avvenuta in maniera condivisa, inchioderebbe Draghi dov' è. Perché si verificherebbe la condizione da lui posta per restare. Motivo per cui lui da giorni fa filtrare l'intenzione che - se proprio dovesse restare a Palazzo Chigi - non seguirebbe altra agenda, se non la propria. Dato il quadro, ieri è stato il segretario del Pd, Enrico Letta, a ribadire a Repubblica quello che va dicendo da giorni: bisogna proteggere il premier. E mettere in piedi un accordo che riguardi anche il governo, se Draghi andasse al Quirinale. In questo senso vanno intese le febbrili manovre sottotraccia di questi giorni, con Matteo Renzi e Dario Franceschini che marciano insieme verso una maggioranza Ursula, i Cinque Stelle alla ricerca faticosissima di una quadra e Matteo Salvini che sogna l'opposizione. Da non sottovalutare, però, l'astio dei partiti nei confronti del premier. Quando è arrivato nello scorso febbraio, investito da Mattarella, nessuno lo voleva davvero. E infatti non era neanche la prima volta che si faceva il suo nome come premier: anche nell'estate del 2019, che portò al Conte bis, il suo era un nome che tornava».
Carmelo Caruso sul Foglio tematizza invece il bis. Quella richiesta gridata alla Scala di Milano e che arriva fino a Montecitorio. Tanto che alcuni parlamentari vorrebbero comunque votarlo.
«Deve saperlo anche se non gli farà piacere. Mentre lui prepara il discorso d'uscita, loro contano i voti in entrata. Non è più una chiacchiera. Adesso gira un numero. Si sta allestendo sottovoce un partito, che ovviamente si definisce il partito che ha a cuore l'italia, e che è pronto a votare Sergio Mattarella alla prima votazione. Alcuni si stanno dichiarando pubblicamente. Altri, i più colti, parlano dell'inevitabilità del sacrificio e si riparano dietro le opere di Sant' Ignazio. Sono almeno 50 grandi elettori e con la loro scheda formalizzerebbero la candidatura. Prendiamone due. Hanno avuto il coraggio di dirlo: "Mattarella!". Uno è il deputato del Misto, Antonio Tasso, e lo ha dichiarato a Radio Radicale. L'altro è Germano Pettarin di Coraggio Italia e ha usato queste parole: "Mattarella, un esempio che farò mia guida". (…) E' chiaro, al contrario di come abbiamo iniziato, che Mattarella sa tutto. Sa che ci proveranno. Sa che hanno intenzione di usare il suo nome e che lui lo riterrebbe uno sgarbo, un'azione fastidiosa. C'è di più. Chi lo vuole proteggere smonta questa sciocchezza del sacrificio: "Il sacrificio lo sceglie chi vuole sacrificarsi". Chi lo vuole tutelare ma senza invocare i vangeli, la croce, suggerisce: "Anche Draghi è di cultura cattolica". Nel suo discorso di fine anno Mattarella ribadirà, ancora, che il suo mandato si esaurisce. E se non dovesse bastare? Dicono che se dovesse accadere quello di cui si sta scrivendo "il presidente sarebbe costretto a rilasciare una ulteriore dichiarazione. Non sarebbe una cosa bella". Tutto quello che si può fare è provare a spiegare perché Mattarella si oppone e sempre aiutati: "Perché il sistema politico è in difficoltà ma non vuole fare i conti. Vuole rimandare. Perché sta mostrando incapacità a inventarsi qualcosa di nuovo. Perché la democrazia è cambiamento. Per tutte queste ragioni è no". La maestosità della sua presidenza è tutta concentrata in questa ostinazione. Pensate. Nessuno riesce a immaginarsi il mondo dopo di lui eccetto che lui».
Marco Iasevoli per Avvenire prevede un saluto secco e sobrio.
«Un discorso breve ed esplicitamente «di congedo». Rivolto agli italiani, senza appelli particolari ai partiti, al Parlamento o al governo. Sergio Mattarella è pronto a salutare il Paese nelle vesti di capo dello Stato. Per accorciare le distanze non starà seduto dietro la scrivania. Probabilmente resterà in piedi, nello studio della Palazzina, con bandiere dell'Italia e dell'Europa ben visibili e uno sfondo sobrio. Consapevole che dall'altra parte dello schermo ci saranno cittadini spaesati e spaventati dallo tsunami di contagi, il presidente della Repubblica ricorderà che la pandemia richiede ancora un sussulto di responsabilità e sacrifici da parte del Paese. E soprattutto rinnoverà l'invito ad aver fiducia, fiducia innanzitutto nella protezione alzata dai vaccini contro il decorso grave della malattia. Tutto pronto, dunque, al Quirinale, per l'ultimo messaggio di fine anno del settennato. Nessuna concessione all'argomento- totem dei partiti, la corsa al Colle. E nessuna concessione alla lusinga del bis, più volte ricacciata nell'angolo con argomenti politici, istituzionali, culturali e anche umani. Anche perché non c'è alcun bisogno che il capo dello Stato ci torni su, a ribadire la sua volontà di passare la mano».
QUIRINALE 2. RISCHIO OMICRON SUL VOTO
Inquieta diversi parlamentari, primo fra tutti il deputato costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti, ma esiste davvero un rischio Omicron per i grandi elettori del nuovo Capo dello Stato? Fabrizio Caccia ha intervistato il questore della Camera Gregorio Fontana per i lettori del Corriere.
«Quando si vota la fiducia col voto palese, cioè quando basta dire un sì o un no, abbiamo già cronometrato, sono quasi due anni che votiamo col Covid, perché dovremmo preoccuparci per l'elezione del presidente della Repubblica? Sarà un voto in presenza, come tutti gli altri». Il questore della Camera, l'azzurro Gregorio Fontana, sembra fiducioso: «Di solito bastano 20-30 secondi tra un parlamentare e l'altro, la chiama è personale e la votazione è contingentata, si va per gruppi di lettere, per esempio io mercoledì avevo il voto della fiducia alle 19.30 ed era inutile che mi presentassi prima, così se tutti rispettano l'orario ecco che fuori dall'Aula non si creano mai assembramenti». E per il Colle? «Beh, essendo il voto segreto, bisogna ritirare la scheda, entrare in cabina, scrivere il nome, ripiegare la scheda, uscire dalla cabina, restituire la penna, ecco che insomma ci vorrà qualche secondo in più ma basterà seguire le regole di sempre: mascherina, igiene delle mani, green pass di base». Quindi niente super green pass, per votare basterà un tampone negativo? «Al momento le regole dicono questo, se di qui a 20 giorni il governo le cambierà ci adegueremo: già adesso per andare a bere un caffè alla buvette ci vuole il super green pass come in un bar normale». E il voto a distanza? «In due anni non l'abbiamo mai fatto, anche quando i vaccini erano un miraggio. L'importante è minimizzare il rischio». Il deputato del Pd Stefano Ceccanti propone un voto a distanza dentro il Parlamento, con i grandi elettori distribuiti in varie stanze, ognuno col suo portatile. «Ceccanti propose all'inizio il voto da casa, ora vuol passare dalla propria camera alla Camera di rappresentanza. Ma no, c'è una procedura di segretezza da garantire, il presidente dell'Aula durante lo scrutinio legge cosa c'è scritto su ogni scheda, le legge una ad una». Ogni settimana ormai, in vista del voto per il Quirinale, si tengono riunioni tra i questori di Camera e Senato e un pool del policlinico Gemelli, in contatto col Cts, per monitorare la situazione. «Io ho fiducia che non ci si presenteranno scenari apocalittici tra un mese, comunque vedremo - dice Fontana -. Stanno cambiando le regole per la quarantena, ma è chiaro che un elettore positivo al Covid comunque dovrà assentarsi. Non può mica uscire di casa: vale per tutti, varrà anche per noi». E se il virus dovesse condizionare la votazione? «Non credo inficerà le maggioranze - taglia corto il questore - in questi due anni ha colpito in modo bipartisan». In teoria i grandi elettori sarebbero 1009, ma due seggi al momento sono vacanti: «Quello del deputato Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma, che sarà sostituito con le suppletive di gennaio; e quello del senatore Adriano Cario, decaduto per un pasticcio», ricorda Fontana. Già, perché Cario nel 2018 fu eletto col voto per corrispondenza dagli italiani all'estero e adesso la Giunta del Senato dovrà sostituirlo rifacendo tutti i conteggi, ma chissà se farà in tempo per il giorno fatidico. «Capite perché vi dico che è meglio evitare il voto a distanza?», sorride il questore Fontana».
QUIRINALE 3. MELONI VUOLE LE ELEZIONI ANTICIPATE
«No al bis di Mattarella e dopo il Colle c'è il voto». Ernesto Menicucci ha intervistato Giorgia Meloni per il Messaggero.
«Il Covid, la manovra, le misure del governo, la destra che verrà ma soprattutto il Quirinale, il futuro di Draghi e un anno, il 2022, che si annuncia decisivo. (…) Il Covid rischia di condizionare anche l'elezione del presidente della Repubblica? Stasera c'è il discorso di Mattarella, cosa si aspetta? «Se qualcuno sta lavorando per un bis di Mattarella abbia il coraggio di dirlo senza usare strumentalmente il virus. Quella di rieleggere un presidente per il secondo mandato è una prassi che non si può consolidare, e del resto lo stesso Mattarella si è più volte detto indisponibile. Dal Presidente mi piacerebbe ascoltare parole di ricucitura delle divisioni. Credo che il ruolo di un Presidente della Repubblica sia quello di tornare a far sentire ogni italiano cittadino a pieno titolo, anche chi pone domande legittime sulla durata ed efficacia dei vaccini o sul perché sia ancora segreto il costo di produzione e di vendita. Invece gli ultimi mesi e le scelte del governo ci consegnano una comunità nazionale lacerata». Mario Draghi è il candidato numero uno per il Colle? Lo considera sufficientemente patriota? «Non ho ancora gli elementi per dire come FdI voterebbe su un'eventuale candidatura di Draghi. E mi pare che lui stesso stia chiedendo garanzie prima di tutto alla sua maggioranza. In ogni caso, anche se Draghi non andasse al Quirinale, per noi con la fine del mandato di Mattarella si dovrebbe considerare conclusa anche l'esperienza del governo da lui promosso, e si dovrebbe tornare al voto, in ogni caso». Siete l'unico partito all'opposizione, sulla manovra quale provvedimento non le va giù? «Sarebbe bastato tenersi Conte per avere una manovra del genere. È senza visione, incapace di affrontare la crisi e infarcita di marchette. La maggioranza rinnova il reddito di cittadinanza ma boccia tutte le proposte di FdI per sostenere l'occupazione e le aziende, come la super deduzione del costo del lavoro. Il tutto in un Parlamento esautorato e umiliato da un numero record di voti di fiducia. Se questi sono i migliori, abbiamo un problema». (…) Non sarebbe un controsenso per voi dire no a Draghi al Colle e tenerlo a Palazzo Chigi ? «Non anticipi i tempi. Su Draghi decideremo quando sarà davvero in campo. Dopodiché la domanda andrebbe fatta soprattutto alla sua maggioranza, che lo vuole a Palazzo Chigi ma gli fa la guerra per il Quirinale, dimostrando di essere interessata solo al proseguo della legislatura per salvare la poltrona. Noi voliamo più alto». Il candidato del centrodestra è Berlusconi. Ma esiste un piano B? «Berlusconi, se confermerà la sua disponibilità, è un ottimo candidato. Il centrodestra sarà compatto sul suo nome e mi auguro che possa raccogliere consensi anche oltre il perimetro della nostra coalizione. Il centrodestra rappresenta la maggioranza degli italiani e ha i numeri per essere decisivo. Dopodiché, nel caso di altri scenari, per noi la cosa che conta di più è che la coalizione rimanga compatta». Un presidente eletto a maggioranza, in questo momento, non sarebbe un messaggio sbagliato al Paese? «Certo, l'auspicio è che ci sia la più ampia convergenza e che venga eletto un arbitro. Vogliamo un Presidente della Repubblica che faccia gli interessi della Nazione, non quelli della sinistra». Farebbe asse con Renzi e M5S che hanno aperto ad un candidato di centrodestra? «A me interessa scegliere il garante della nostra Costituzione. E considero normale che ci sia da parte di altri gruppi la disponibilità a riconoscere questo ruolo a una persona di centrodestra, dopo decenni di presidenti che venivano dal centro sinistra». E a palazzo Chigi, se non si andasse a votare? «Per FdI un quarto governo di fila frutto di alchimie di palazzo sarebbe uno scenario impraticabile e vergognoso. I fatti dicono che neanche Draghi, con la sua autorevolezza, spesso erroneamente confusa con l'insindacabilità, è riuscito a fare nulla di dirompente con questa maggioranza. L'unica soluzione è avere finalmente un governo coeso con un forte mandato popolare».
QUIRINALE 4. SALLUSTI VEDE UN TERZO INCOMODO
L’editoriale di Libero di Alessandro Sallusti prefigura uno scenario in cui Mario Draghi e Silvio Berlusconi non riescono a prevalere. E alla fine i grandi elettori si orientano su un “terzo incomodo”. Sallusti non fa nomi, ma da come scrive non devono essere poi ipotesi entusiasmanti.
«Il presidente Sergio Mattarella esce di scena e tutti a dire: adesso tocca a Draghi. Ma Mario Draghi, nella sua corsa al Quirinale, rischia di fare la fine di quella bella donna che tutti vogliono ma che nessuno sposa proprio in quanto troppo bella e quindi troppo impegnativa. Perché a loro voltai partiti, nonostante i loro proclami, sono maschilisti come gli uomini di una volta: a casa e nella vita vogliono comandare loro, non dipendere dalla donna che pure amano e Draghi al Quirinale sarebbe per sette anni - anche per la sua invadenza- padrone assoluto nella casa della politica italiana. Osservazioni banali? Certo, ma attenzione che anche il potere segue logiche banali più di quanto uno si immagini, a tutti i livelli. Oggi è documentato che quando Ronaldo ha lasciato la Juventus i compagni di squadra hanno brindato, non ne potevano più di vivere all'ombra del fuoriclasse portoghese e pazienza se la stagione sta andando a rotoli come ampiamente prevedibile. Fateci caso: oggi nessuno dice no a Draghi presidente, ma nessuno dice un netto e chiaro sì. I più lo elogiano come premier insostituibile. Premier, appunto, cioè stia lì dove è e restituisca ai partiti il giocattolo della politica che poi ci penseranno loro a dettare le regole del gioco e soprattutto a dettare le nomine nei punti strategici dello Stato visto che è un anno che non toccano palla. Il paradosso è che, fotografando la situazione oggi, solo un uomo potrebbe spianare- intestandosi per primo la candidatura di super Mario - la strada di Draghi verso il Colle. Quest' uomo si chiama Silvio Berlusconi, ma c'è un piccolo problema: anche lui - anzi al momento solo lui - è in corsa per la stessa ambita poltrona e quindi niente da fare. Di fatto i due unici ufficiosamente in campo si elidono a vicenda: la presenza di Draghi rende improbabile il successo di Berlusconi, Berlusconi impedisce quantomeno in prima battuta l'appoggio del Centrodestra a Draghi, uno stallo che non dispiace alla maggioranza degli addetti ai lavori. Tanto che gli scommettitori sono già alla caccia del terzo incomodo su cui puntare. Il nome non c'è ancora ma l'identikit sì: gradito al Centrodestra, autorevole sì ma solo quanto basta per non fare ombra ai partiti. Buon anno cara Italia, è davvero il caso di farci tanti auguri».
IN BORSA ANNO DI RECORD, SUL 2022 INCUBO SPREAD
Piazza Affari batte il Nasdaq, l’indice di Wall Street. Il Ftse Mib chiude infatti l'anno 2021 con un +23%. Tra i settori banche, auto, industria e costruzioni tornano a correre e sfidano la supremazia del tech. Maximilian Cellino sul Sole 24 Ore.
«Finché c'è Covid, c'è speranza. Parafrasare il titolo di una storica commedia all'italiana potrà apparire forse irriverente, di sicuro poco rispettoso delle milioni di vittime della pandemia, ma rende sicuramente bene l'idea di quale sia stato il comportamento dei mercati finanziari da quando il virus ha fatto irruzione nelle nostre vite quotidiane. I listini azionari, soprattutto, sono stati capaci di recuperare rapidamente lo choc iniziale e trarre da quello sbandamento la spinta per una rincorsa che dura tuttora, a quasi due anni di distanza, e che ha proiettato gli indici verso nuovi massimi pluriennali o assoluti: risultati resi possibili in primo luogo proprio dall'enorme quantitativo di denaro riversato da Banche centrali e Governi per combattere la crisi. Il 2021 appena terminato si è sotto questo aspetto rivelato la più fedele fedele prosecuzione degli ultimi mesi dell'anno precedente e ha consegnato agli investitori guadagni nell'ordine del 20% quando si considerano le Borse a livello globale. A partecipare alla festa è stata stavolta anche l'Europa, i cui indici occupano i primi posti di un'ideale classifica: Parigi, con il suo +29,2%, è riuscita addirittura a precedere l'S&P 500 di New York, che si è dovuto «accontentare» di un +27,8 per cento. Anche Piazza Affari si è difesa in modo egregio con un balzo del 23% che ha riportato l'indice Ftse Mib sui livelli antecedenti il crack Lehman e ha superato perfino il Nasdaq dei record che nel 2021 si è limitato a una crescita del 22% quasi dimezzata rispetto ai 12 mesi precedenti. Il bilancio dei settori Quest' ultimo confronto, pur improprio, offre l'occasione di parlare di un tema che ha attraversato larghi tratti del 2021, quello della rotazione settoriale. Se infatti il 2020 era stato caratterizzato dall'avanzata arrembante delle società in grado di trarre vantaggio dai blocchi delle attività e dal fatto che le persone fossero state costrette a vivere confinate nelle proprie abitazioni per molti mesi, e in termini generali dei titoli tecnologici, gli ultimi 12 mesi hanno visto riemergere dalla palude anche altri comparti. La classifica settoriale europea vede infatti per l'anno chiuso ieri banche, costruzioni, auto e industriali rivaleggiare e in alcuni casi superare gli un tempo inarrivabili hi-tech. Merito senza dubbio di una ripresa a tratti anche più sostenuta rispetto alle attese, fattore chiave che ha permesso di riapprezzare i titoli più legati al ciclo economico. E che rappresenta un altro dei tratti caratteristici del periodo, insieme a quel risveglio dei prezzi di petrolio e materie prime che ha ridato ossigeno al comparto energetico. Il cammino dei mercati, come sempre accade, non è stato esente da inciampi. I passaggi a vuoto, fino a questo momento temporanei, hanno in generale coinciso con le considerazioni sull'avvicinarsi al capolinea delle politiche monetarie ultra-espansive e con i conseguenti movimenti dei tassi di interesse di mercato, questi sì mediamente in crescita durante l'anno in tutte le aree del mondo e per le differenti categorie di emittenti: che si parli di Treasury Usa, Bund tedeschi, BTp o corporate bond, con la sola eccezione degli high-yield. L'inflazione e le Banche centrali Il convitato di pietra, quello che non ti aspetti almeno a certi livelli, è stato il ritorno in grande stile dell'inflazione, i cui tassi tendenziali spinti dalla forza della ripresa, dal rincaro delle materie prime e dai colli di bottiglia evidenziati nelle catene di approvvigionamento internazionali hanno raggiunto livelli mai visti in alcuni casi anche da oltre un decennio: il 6,8% secondo l'ultimo dato disponibile per gli Usa, il 6% in Germania, il 4,9% in Europa e anche il 3,7% in Italia. Il dibattito sul carattere temporaneo o strutturale di tali fiammate dei prezzi ha monopolizzato l'attenzione e orientato nell'ultimo scorcio dell'anno le scelte delle principali Banche centrali, che si sono mosse in generale verso la riduzione delle misure di stimolo: chi in misura più rapida, come la Banca d'Inghilterra o la Federal Reserve; chi invece con più prudenza vista la differente fase del ciclo, come Bce o Banca del Giappone. Saranno senza dubbio ancora una volta soprattutto le loro decisioni a orientare nel 2022 i movimenti degli investitori, più che gli sviluppi di una pandemia che pareva vinta, ma che la variante Omicron ha riportato alla ribalta da un mese a questa parte. Sotto quest' ultimo aspetto, l'impressione è che almeno dal punto di vista finanziario gli investitori tendano a considerare il virus alla stregua di una variabile win-win: il suo perdurare garantisce indirettamente la prosecuzione di politiche monetarie e fiscali favorevoli, laddove la sua scomparsa potrebbe dare definitivamente via libera a una ripresa globale che appare già ancorata su basi solide. L'Italia appesa a Draghi In un contesto simile, l'Italia è riuscita stavolta a giocarsi bene le proprie carte, come dimostrano i già citati dati di Borsa che a loro volta poggiano su un rimbalzo robusto della crescita per l'anno corrente (+6,3% secondo le stime Istat) e per il prossimo (+4,7%). La spinta è arrivata dall'Europa, che ha messo il nostro Paese al primo posto fra i beneficiari delle risorse del piano Next Generation Eu, ma anche dall'inatteso arrivo di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio. Che la permanenza a Palazzo Chigi dell'ex presidente Bce sia vista dalla comunità finanziaria internazionale come condizione necessaria affinché l'Italia e i suoi mercati possano proseguire il cammino virtuoso è apparso evidente nei recenti movimenti dei rendimenti dei BTp. Lo spread con i Bund, rimasto quieto attorno quota 100 per gran parte del 2021 tanto da permettere condizioni di finanziamento irripetibili per il Tesoro, si è infatti impennato fino a superare i 140 punti base non appena è tornata in auge l'ipotesi di un «passaggio» di Draghi al Quirinale. La prima sfida si giocherà insomma già con l'elezione del Presidente della Repubblica in programma a febbraio, ma la sensazione è che la variabile politica, momentaneamente sopita, stia tornando a turbare il sonno degli investitori».
Fabrizio Goria per La Stampa analizza i timori per il ritorno dello spread. Il differenziale con i Bund è aumentato di 50 punti base nell’ultimo periodo.
«Il 2022 potrebbe sancire il ritorno del rischio-Paese, finora neutralizzato dalla politica monetaria accomodante delle banche centrali globali. In un contesto del genere, l'Italia non sarà più vulnerabile come anni fa. A patto che riesca a focalizzarsi su crescita e investimenti, come affermato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, in un'intervista a La Stampa. I mercati però guardano ancora al mix di bassa crescita, alto debito e scarsa produttività. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potrebbe stabilizzare i conti pubblici e la credibilità del Paese. Tuttavia, il timore che qualcosa possa andare storto esiste. Specie in relazione al capitolo Quirinale. Il combinato disposto fra ritiro degli stimoli monetari finora introdotti per fronteggiare la pandemia di Covid-19 e l'incertezza politica sul destino del governo potrebbe tramutarsi in un mix poco roseo per l'Italia. Da un lato gli operatori dei mercati finanziari continuano a preferire Mario Draghi come presidente del Consiglio, invece che al Colle. Dall'altro le difficoltà globali, dalla lotta alla variante Omicron all'inflazione galoppante e il ricalibramento delle misure straordinarie. In mezzo un Paese, l'Italia, che ha di fronte a sé l'occasione di mettere a terra il più ambizioso programma europeo di ricostruzione, il Next Generation Eu. Che porterà a Roma 191,5 miliardi di euro, da qui al 2026. La certezza è che negli ultimi tre mesi ha iniziato a sussultare lo spread, il differenziale di rendimento fra i Btp decennali italiani e i corrispettivi tedeschi, i Bund. Non solo. Se si osserva il rendimento puro, si può notare una tensione crescente. Lo scorso 12 febbraio, alla vigilia del giuramento di Draghi, il Btp a dieci anni rendeva lo 0,427 per cento. Alla chiusura di ieri era a quota 1,175%, con un incremento da inizio anno di 62,9 punti base. A determinarlo, secondo la banca statunitense Morgan Stanley, oltre alle incognite legate alla pandemia e alle crescenti tensioni sul fronte del commercio internazionale, c'è un ulteriore fattore. Non è chiaro cosa accadrà all'Italia premiata dal settimanale britannico The Economist come sorpresa dell'anno. A crescere sono le domande degli investitori. Quale sarà il futuro di Draghi? E come prezzarlo? Una parziale risposta l'ha fornita Goldman Sachs, che ha calcolato il rischio politico in Italia. «Grandi cambiamenti nel nostro indice sono associati a un aumento tra il 5% e l'11% della probabilità di due variazioni di prezzo nella deviazione standard, a seconda delle classi di attività», spiegano gli economisti della banca newyorkese. In altre parole, qualora si cambino gli elementi in gioco, come appunto la stabilità dell'esecutivo, allora ci potrebbero essere ripercussioni sui titoli di Stato italiani. A oggi, secondo Goldman Sachs, il rischio politico in Italia rimane «contenuto», ma lo scenario può cambiare «rapidamente» in vicinanza dell'elezione presidenziale. Ciò che accadrà nel 2022 dipenderà dunque da elementi sia esogeni, come l'evoluzione epidemiologica, sia endogeni, come il risiko del Quirinale. Non ha dubbi che la partita sia di complicata lettura il senior strategist di IG Markets, Filippo Diodovich. Per il mercato italiano, dice, «lo scenario migliore è il proseguimento del governo Draghi fino a fine legislatura». Viceversa, il possibile esito, come rimarcato anche dalla tedesca Deutsche Bank, è una crisi politica per la scelta per il Colle. Che, se unita al quadro macroeconomico in evoluzione, rischia di porre sotto cattiva luce il Paese sui mercati finanziari mettere sotto pressione i conti pubblici».
UCRAINA, PROSEGUE IL DIALOGO FRA BIDEN E PUTIN
I presidenti Usa Joe Biden e russo Vladimir Putin sono stati ieri 50 minuti al telefono per evitare l'escalation in Ucraina. Il colloquio era chiesto da Putin. La Casa Bianca apprezza: avanti con il dialogo. Giuseppe Sarcina per il Corriere:
«Finché Joe Biden e Vladimir Putin dialogano, la crisi ucraina resta congelata, sia pure pericolosamente. I due leader si sono parlati ieri sera al telefono, dopo solo tre settimane dall'ultimo vertice virtuale (era il 7 dicembre). Cinquanta minuti di colloquio. Questa volta è stato il presidente russo a prendere l'iniziativa, cogliendo di sorpresa l'interlocutore americano, rientrato nel Delaware per le vacanze di fine anno. Putin ha chiesto e ottenuto immediatamente «il contatto diretto» con «Joe». In serata, subito dopo la telefonata, Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca ha diffuso una nota molto stringata: «Il presidente Biden ha chiarito che gli Stati Uniti e i loro alleati risponderanno in modo deciso se la Russia dovesse invadere ulteriormente l'Ucraina. Il presidente ha anche espresso un forte sostegno al metodo della diplomazia». L'intelligence Usa segnala che l'esercito russo continua a manovrare minacciosamente soprattutto sul confine orientale dell'Ucraina, nell'area del Donbass, controllato dalle milizie filo Mosca ormai dal 2014. Ora si teme che i carri armati di Putin possano, per cominciare, attaccare Mariupol, collocata strategicamente sulla strada verso la Crimea, annessa con le armi dalla Federazione russa. A Washington ci sono sostanzialmente due scuole di pensiero. La prima ritiene che Putin voglia sondare in profondità le reali intenzioni di Biden, prima di lanciare un'offensiva militare contro l'Ucraina, dagli effetti politico-diplomatici devastanti. Putin vorrebbe capire fino a dove gli americani e i loro alleati europei siano disposti a spingersi per proteggere Kiev. Ma l'ipotesi più quotata è la seconda: l'ex agente del Kgb intende verificare se sia possibile trattare su un piano di parità. La sua richiesta principale è nota: l'Ucraina deve impegnarsi con un atto scritto a non entrare nella Nato. Biden l'ha già respinta con nettezza. Ma i russi sanno che sul punto gli europei, al di là delle dichiarazioni formali, sono tormentati dai dubbi. Nel summit virtuale del 7 dicembre, Biden aveva avvertito la controparte: in caso di invasione dell'Ucraina, gli Usa e i principali Stati europei avrebbero colpito la Russia con sanzioni economiche «mai viste prima». Si era anche deciso, però, di mettere al lavoro le delegazioni delle due Super potenze. Ci sono stati dei passi avanti? È lecito dedurre che Putin non sia soddisfatto e quindi voglia sollecitare Biden a stringere i tempi. Per Mosca è comunque uno sforzo notevole mantenere circa 100 mila soldati in assetto da guerra lungo la frontiera con l'Ucraina. C'è, quindi, un senso di urgenza nella mossa di Putin. Anche perché nei prossimi giorni ci saranno più occasioni di contatto tra Washington e Mosca, come ha sottolineato ieri lo stesso Biden. Nella settimana del 10 gennaio sono previsti: il bilaterale russo-americano sugli armamenti nucleari («Strategic Stability Dialogue»); il Consiglio Nato- Russia e, infine, la riunione del Consiglio Permanente dell'Osce (l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).».
AFGHANISTAN, UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE
In Afghanistan la crisi umanitaria, esplosa dopo il ritiro occidentale, porterà più vittime della guerra. 23 milioni di persone (60 per cento della popolazione) già soffrono di insufficienza alimentare. Giuliano Battiston per Il Manifesto.
«So che i miei figli dovrebbero andare a scuola, ma non abbiamo niente, né casa, né terra, né soldi. Devo mandarli ogni giorno per strada a raccogliere qualche spicciolo», racconta Mohammad Agha, 39 anni, fuori dalla tenda in cui si è trasferito da qualche mese a Jalalabad, nella provincia orientale di Nangarhar, dove la temperatura è più mite che nel resto dell'Afghanistan, alle prese con un rigido inverno. «I commerci si sono ridotti del 50 per cento. Prima qui era un continuo via vai di camion, ora ci sono pochi mezzi al giorno», nota Abdullah, responsabile a Mazar-e-Sharif, nella provincia settentrionale di Balkh, di un grande parcheggio per i camion provenienti dall'Asia centrale e dalle province settentrionali. «Abbiamo tante competenze ma anche tante necessità. Per questo c'è bisogno dell'aiuto della comunità internazionale», conferma il ministro di fatto della Salute, il dottor Qalandar Abad, all'ospedale Mirwais di Kandahar, nel profondo sud del Paese, prima di una visita al reparto pediatrico in cui è accolta una parte di quel milione di bambini sotto i 5 anni che secondo l'Onu rischiano di morire per malnutrizione. «Non c'è più lavoro e ogni cosa, dal riso alla farina al pane alle uova, costa più di prima: me ne torno al villaggio dai miei, a Ghazni», racconta Yahya a Kabul. «Sono costretta a vendere mia figlia più grande per far sopravvivere le altre tre», spiega Marziah, gli occhi bassi, nel suo appartamento di Ghazni, mentre poco più in là un funzionario dei Talebani accusa un attivista locale di aver fatto propaganda contro l'Emirato, per aver portato all'attenzione pubblica il caso della donna, poi risolto, provvisoriamente, grazie alla solidarietà di tanti e tante, fuori e dentro il Paese. Sono cinque dichiarazioni raccolte nel nostro ultimo viaggio in Afghanistan tra la fine di ottobre e la fine di novembre del 2021. Cinque tra tante. Sufficienti a rendere l'idea della profondissima crisi in corso. Una crisi che ha radici lontane. Non nasce il 15 agosto, quando i Talebani conquistano Kabul, portando al collasso della Repubblica islamica e alla fuga del presidente Ashraf Ghani, che proprio ieri è tornato a farsi vivo con un'intervista alla Bbc in cui difende la sua scelta. «Non avevo alternative». Ci sono alternative, invece, alla crisi afghana. Perché è una crisi che dipende in buona parte dalle recenti scelte politiche dei governi occidentali, incluso quello italiano. Per capirle meglio, occorre partire dal dato di fondo, strutturale: dal 2001, la comunità internazionale ha edificato un sistema statuale completamente dipendente dalle risorse esterne. Nell'estate 2021 gli aiuti dei donatori stranieri rappresentavano ancora il 43% del Prodotto interno lordo e ben il 75% della spesa pubblica. In Afghanistan - uno Stato-rentier - i servizi fondamentali, a partire da istruzione e sanità, dipendono dunque dai donatori internazionali. In questi anni i bisogni statuali sono stati sostenuti da una media di 8,5 miliardi di dollari all'anno in aiuti. Scegliendo l'opzione militarista anziché quella negoziale, a metà agosto i Talebani hanno messo a repentaglio il legame tra lo Stato afghano e i governi che ne alimentavano la sopravvivenza, in particolare quello con Washington, peso massimo in ambito militare e finanziario. E i governi euro-atlantici non hanno perso tempo: Washington ha congelato alla Federal Reserve di New York circa 9 miliardi di dollari di riserve della Banca centrale afghana; le sanzioni precedenti contro singoli Talebani sono diventate sanzioni contro il governo di fatto; gli aiuti allo sviluppo sono stati perlopiù interrotti; Banca centrale e Fondo monetario internazionale hanno congelato i trasferimenti previsti. Da qui, il tracollo economico, il collasso del sistema bancario, la mancanza di liquidità nel Paese, gli stipendi non pagati a insegnanti, medici, la contrazione dell'economia. E l'aggravarsi della crisi umanitaria: 23 milioni di persone (60 per cento della popolazione) soffre di insufficienza alimentare, il 95 per cento è sotto la soglia di povertà. In poche parole, come ricordato nell'ultimo rapporto dell'International Crisis Group: le vittime di questa fase rischiano di essere superiori a quelle del conflitto in sé. La strada scelta finora dalle cancellerie è la più facile. Salvarsi la coscienza con qualche aiuto umanitario, che non implica rischi politici, soprattutto in ambito domestico: chi vorrebbe essere accusato di aiutare i Talebani? Così, il Dipartimento del Tesoro degli Usa ha adottato delle «licenze», valide solo per l'ambito umanitario, rispetto alle sanzioni in vigore. Il 22 dicembre lo stesso ha fatto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Mentre la Banca mondiale ha reso disponibile una parte del miliardo e mezzo di dollari dell'Afghanistan Reconstruction Trust Fund, limitandone l'uso al settore sanitario e alimentare. E l'Onu fa sapere che l'appello-richiesta fondi per il 2022 sarà il più ingente della storia: 4,5 miliardi di dollari. La strada scelta è però insufficiente. L'aiuto umanitario non libera l'economia afghana dallo strangolamento finanziario voluto dai governi occidentali. E non li svincola dalla responsabilità di compiere scelte politiche difficili ma necessarie, a partire da una domanda: è più importante salvare la popolazione afghana o colpire il regime dei Talebani?».
REPORTAGE DALLA TURCHIA IN GINOCCHIO
Spaventosa crisi economico monetaria nella Turchia di Erdogan. Il reportage da Istanbul è di Gabriella Colarusso per Repubblica.
«Nella bottega di famiglia che gestisce da trent' anni, Metin ha preso a cambiare i cartellini dei prezzi ogni settimana. «Un chilo di lenticchie un anno fa costava 8 lire, oggi 20, chissà quanto costerà domani», dice toccandosi la testa come a cercare la soluzione a un rebus complicato. Metin vive a Kasimpasa, un quartiere popolare nella parte europea di Istanbul. Anche il presidente Recep Tayyip Erdogan è cresciuto qui, studiando il Corano e giocando a calcio. Da due decenni questa è una roccaforte elettorale dell'Akp, il partito di governo in Turchia, ma la crisi economica innescata dalle politiche monetarie imposte dal presidente sta scavando nelle convinzioni della sua base conservatrice. «I ricchi arabi vengono qui dal Golfo, comprano a basso costo e vanno via. In cento anni non siamo riusciti a entrare nell'Unione europea, in compenso siamo diventati i cinesi del Medio Oriente», sbuffa Emre, che ha 35 anni e gestisce una sala da tè poco distate dalla moschea. «Ho sempre sostenuto il governo, e qui sono in molti ancora a farlo, ma alle prossime elezioni non lo voterò». Lo spettro che angoscia lavoratori e famiglie turche si chiama inflazione, che a dicembre è arrivata al 21% secondo i dati ufficiali; tra il 30% e il 40% nelle stime di diversi economisti indipendenti. Solo i prezzi del cibo sono aumentati del 26% rispetto a un mese fa. Affitti, trasporti, medicine, tutto costa di più. È uno degli effetti collaterali della cosiddetta Erdoganomics, l'esperimento economico su cui il presidente si sta giocando il suo futuro politico. Invece di alzare i tassi per contenere l'inflazione, come si preparano a fare le banche centrali di mezzo mondo, Erdogan ha imposto all'Istituto turco ripetuti tagli perché tassi bassi significano denaro in prestito a basso costo e - nella sua visione - «più investimenti, occupazione, produzione, esportazione e crescita». «È un'idea che incrocia la finanza islamica, contraria ai tassi di interesse, e una sorta di anti- imperialismo che vuole l'Occidente responsabile del mancato sviluppo dei Paesi musulmani », osserva Atilla Yesilada, economista del Global Source Partners di Istanbul. Dopo aver cambiato la Costituzione turca in senso presidenzialista nel 2018, il Presidente ora guarda al 2023, l'anniversario dei 100 anni della Repubblica. Vuole arrivarci con un nuovo paradigma economico per "la liberazione nazionale", promette. Il modello è la Cina: trasformare la Turchia da Paese importatore a Paese esportatore, una fabbrica del mondo costruita sulla moneta debole, gli investimenti esteri, il denaro a basso costo. E la competitività dei salari, perché se il denaro costa poco anche il lavoro costa poco. «Ma la Turchia non è la Cina», ribatte Yesilada, «ha bisogno di prendere denaro in prestito dall'estero per sostenere il suo sviluppo, quindi di credibilità e stabilità finanziaria, e ha una produttività stagnante. Gli investimenti di qualità, poi, arrivano se c'è una magistratura indipendente in grado di tutelare la proprietà, tassi che consentano di ripagare gli investimenti, non se paghi poco gli operai». Operai del Made in Turkey Da Kasimpasa per arrivare a Sancaktepe, sulla sponda asiatica, ci vuole più di un'ora. Bisogna attraversare il Bosforo, la ribelle Kadikoy, spesso teatro di proteste anti-governative, e gli imponenti cantieri del nuovo centro finanziario ad Atasehir, la "Wall Street islamica" che nelle intenzioni di Erdogan dovrebbe fare di Istanbul la capitale finanziaria del mondo musulmano. Anche nei sobborghi di Sancaktepe l'Akp ha vinto alle ultime elezioni. Ercan Ozen e suo fratello gestiscono una delle tante fabbriche tessili che hanno reso forte il Made in Turkey: 60 dipendenti, commesse per una grossa società esportatrice. Gli affari dovrebbero andare bene con l'Erdoganomics, eppure l'imprenditore è preoccupato: «Abbiamo avuto un buon fatturato quest' anno, ma i costi dei materiali di produzione sono in crescita e con la svalutazione della lira i contratti sottoscritti nei mesi scorsi valgono meno». Alla catena di montaggio ci sono molte giovani come Tuba, che ha 21 anni e guadagna 2.500 lire al mese (circa 170 euro al cambio attuale). Ci scherza su: «In casa siamo in sei con tre stipendi tutti bassi, ma io il mio lo spendo per me!». Il salario di Emre, invece, 25 anni, è di 3mila lire (circa 210 euro), ma lui ha moglie e figlio a cui pensare. «Ho sempre votato l'Akp, ma c'è bisogno di un ricambio», dice. In fila per il pane Nell'ultimo anno la lira turca ha perso il 55% del suo valore, trascinandosi dietro il potere di acquisto di operai e classe media, in un Paese in cui nonostante i buoni tassi di crescita - +7% nel terzo trimestre - il 22% della forza lavoro è disoccupata o sotto- occupata. «Il governo ha promesso di raddoppiare il salario minimo da gennaio (da 2.850 lire turche a 4.500, ndr ), ma sarà un sollievo per poco se i prezzi continuano a crescere», conferma Sevval Sener, giovane ricercatrice del Deep Poverty Network. A Sarigazi, altro sobborgo di Sancaktepe, all'ora di pranzo c'è la fila davanti al chiosco che vende il pane a prezzi calmierati: 1,3 lire invece delle 3 lire del negozio. «In due ore sono stati venduti 2mila pezzi», ci racconta Ozgen Nama, vicepresidente di Halk Ekmek, l'associazione del Comune di Istanbul che gestisce il servizio. È un'iniziativa del sindaco Ekrem Imamoglu uno dei volti più noti del Chp, il partito repubblicano, e probabile sfidante di Erdogan alle prossime presidenziali per aiutare chi è in difficoltà. In fila ci sono soprattutto pensionati, ma incontriamo anche Doan, 25 anni, ingegnere in cerca di lavoro: «Prospettive? Per la mia generazione non ne vedo, se non andarsene ». Due settimane fa la Confindustria turca, Tusiad, ha deciso di farsi sentire chiedendo al presidente di tornare alla «scienza economica». La svalutazione della lira ha colpito anche uno dei pilastri dell'economia turca, il settore delle costruzioni che vale il 6% del Pil perché è cresciuto il costo dei materiali di importazione: cemento, sabbia, acciaio. I sondaggi registrano l'impatto delle scelte del presidente. L'ultima rilevazione dell'istituto di ricerca indipendente MetroPoll dice che il sostegno al suo operato è sceso dal 45% al 39% nell'ultimo anno. Il consenso per l'Akp è passato dal 42% al 30%. «C'è solo una ragione di questo declino ed è l'economia », sintetizza il direttore dell'Istituto, Ozer Sancar. Questo spiega anche perché i dati sulle finanze pubbliche o sugli interventi della banca centrale sono diventati terreno di battaglia politica, e di censura. Tre giorni fa l'autorità di regolazione sulle banche turche ha presentato denunce penali contro giornalisti, economisti e politici di opposizione per i commenti negativi sul cambio lira- dollaro: avrebbero danneggiato «la reputazione» della Banca centrale. Erdogan tira dritto».
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