"Cento e non più cento"
Usa e familiari dei rapiti chiedono a Netanyahu di fermare la guerra a Gaza. Altri due giornalisti uccisi, mille bimbi amputati. Mosca punta su Kharkiv. Oggi Delmastro dai pm. Lite sulle liste
Non si ferma la guerra a Gaza. Sabato potrebbe arrivare a 100 giorni. Ieri un attacco aereo israeliano sulla città meridionale di Khan Younis e sull'area di Rafah ha ucciso decine di civili. Secondo i dati di parte palestinese, il numero totale dei morti sarebbe salito a 22 mila 835. Due giornalisti, Hamza Wael Al-Dahdouhof, figlio del capo dell'ufficio dell’emittente al Jazeera a Gaza, e Mustafa Thuraya, reporter freelance per Afp, sono morti in un raid israeliano. Continua a crescere anche il numero dei giornalisti uccisi dal 7 ottobre. Oggi su Repubblica nel suo Diario da Gaza Sami al-Ajrami sostiene che i reporter in questa guerra sono stati un “bersaglio” dei soldati israeliani. Ieri in Cisgiordania durante alcuni scontri, l’esercito israeliano ha anche ucciso, “per errore”, una bambina palestinese di soli 5 anni. Secondo un rapporto di Save The Children, di cui si occupa oggi Gabriella Colarusso su Repubblica, dall'inizio del conflitto, più di dieci bambini al giorno hanno perso una o entrambe le gambe.
La preoccupazione della diplomazia americana è che Benjamin Netanyahu non voglia fermarsi per il suo interesse politico: finché c’è in atto un’offensiva militare il suo governo resiste. Ma i parenti degli ostaggi sono tornati in piazza: chiedono una trattativa per la loro liberazione. Mercoledì, all’Aia, ci sarà la prima udienza della Corte internazionale di Giustizia sulla denuncia presentata dal Sudafrica, che accusa Israele di genocidio nell’operazione militare su Gaza.
Ieri nell’Angelus il Papa ha ricordato che le comunità ecclesiali dell’Oriente che seguono il Calendario Giuliano hanno celebrato il Natale. Nell’occasione Francesco ha detto: «Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per la liberazione, senza condizioni, di tutte le persone attualmente sequestrate in Colombia. Questo gesto, che è un dovere davanti a Dio, favorirà anche un clima di riconciliazione e di pace nel Paese. Sono molto vicino alle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo colpite nei giorni scorsi da inondazioni. E per favore continuiamo a pregare per la pace; per la pace in Ucraina, in Palestina, Israele e nel mondo intero».
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