La Versione di Banfi

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CHIUSI FINO A PASQUA

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CHIUSI FINO A PASQUA

Speranza spiega che non si può riaprire. Da oggi vertice UE sui vaccini. Svolta Di Maio su Repubblica. Zingaretti lascia? Italia in crisi economica da 25 anni.

Alessandro Banfi
Feb 25, 2021
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CHIUSI FINO A PASQUA

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Arancioni di rabbia i medici della Lombardia assediati dal rapido contagio da varianti COVID. Delusi a Roma i vari sostenitori delle “riaperture” di ristoranti e teatri che pure, in polemica coi tecnici, avevano trovato una solidarietà trasversale Lega-Pd-5Stelle. E’ toccato a Speranza frenare tutti, sulla scorta delle previsioni dei tecnici: “Non ci sono le condizioni”, ha spiegato. L’epidemia è maligna e la corsa contro il tempo per vaccinare tutti è la vera priorità. Oggi fra l’altro comincia la due giorni europea su cui il Governo punta molto: per avere più dosi e per fabbricarle in Italia. Intanto Draghi ha completato la sua squadra, nominando i sottosegretari. Resta ancora vuota la casella dello Sport, ma atleti e sportivi sono di bocca buona, non si lamentano. Due grosse novità sul piano politico: un’uscita di Di Maio su Repubblica sul Movimento “maturato”. E l’indiscrezione sul Fatto che Zingaretti lascia la segreteria. Sull’economia grande attenzione all’inchiesta sui rider e su dei dati europei davvero sconfortanti: l’Italia non cresce dal 1995. Solo Il Sole 24 Ore ne parla… Vediamo le scelte in prima pagina.    

LE PRIME PAGINE

Quotidiani sconsolati per la frenata di Speranza, che ha chiuso ogni spiraglio per la riapertura di locali e ristoranti. Il Corriere della Sera titola così: I divieti restano fino a Pasqua. Il Quotidiano Nazionale gioca con il calendario liturgico: Fino a Pasquetta saremo in quaresima. Per La Stampa Draghi chiude l’Italia fino a Pasqua. La Verità sostiene: Per chiudere tutto bastava Conte. Mentre Libero si concentra sui presunti successi inglesi: Fuori dalla Ue, l’Inghilterra vola. Mentre Il Messaggero insiste: Vaccini, la frenata di Roma. E Il Giornale vuole la testa del Commissario: Caos Arcuri, primi arresti. Altro tema: la nomina dei sottosegretari. Azzeccato il titolo del Fatto: I sottomostri, coerente con l’idea dibbatistiana del “governo horror”. Perla Repubblica il superman è sempre Supermario: Sottosegretari, blitz di Draghi. Il Domani fa la morale ai partiti: Nella spartizione dei sottosegretari conta la fedeltà, non la competenza. Solo due quotidiani scelgono come titolo di apertura l’inchiesta della Procura di Milano sui fattorini in bicicletta che portano il cibo: Avvenire Rider e cittadini e il Manifesto: Ride bene chi rider ultimo. C’è invece molto poco da ridere per i dati economici che arrivano dall’Europa e che riguardano la crescita economica degli ultimi 20 anni. Ci apre Il Sole 24 Ore: Pil Eurozona, l’Italia vale il 18% in meno.

RIAPRIRE? “NON CI SONO LE CONDIZIONI”

Covid 19. “Doccia fredda” sui vari Salvini, Patuanelli, Franceschini che volevano le “riaperture”. Siamo nell’ultima fase dell’emergenza, ha spiegato il ministro Speranza, ma dobbiamo tenere duro, se non vogliamo che i contagi da varianti vanifichino tutti i sacrifici fin qui fatti. La sintesi di Repubblica, che vede però uno spiraglio per cinema e teatri:

«Non sarà una Pasqua da liberi tutti. Niente viaggi né riunioni allargate di famiglia. E se riaperture ci saranno se ne parlerà solo dopo. Le cifre e le prospettive illustrate martedì dal Comitato tecnico scientifico hanno convinto Draghi a sposare la linea rigorista del ministro della Salute Roberto Speranza. Oggi la concertazione con i governatori che insisteranno sulle aperture dei ristoranti la sera in zona gialla ma il nuovo Dpcm dovrebbe sostanzialmente confermare tutte le misure in scadenza il 5 marzo. E sarà valido fino al 6 aprile, Pasqua e Pasquetta comprese. Unico spiraglio la prospettiva, in zona gialla, di un'apertura dal 27 marzo di cinema e teatri, con nuovi protocolli, e di mostre e musei anche nei weekend.»

Avvenire già si occupa dei riti di Pasqua:

«Ancora una volta i riti della Settimana Santa saranno in parte condizionati dalle norme per contenere la pandemia. Dopo la Nota della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti dello scorso 17 febbraio, ieri la presidenza della Conferenza episcopale italiana ha dato alcune indicazioni su come celebrare i riti dalla Domenica delle Palme alla Pasqua, che rispetto allo scorso anno potranno avvenire anche in presenza dei fedeli. (…) Anche la possibile presenza del regime di coprifuoco - che ha già inciso per esempio sull'orario di celebrazione della Messa della Notte di Natale - dovrà essere tenuto in considerazione nel fissare l'ora delle celebrazioni in questione. Ovviamente per queste Messe particolari non è pensabile a una loro ripetizione nell'arco delle giornate. Anche per questo, essendoci comunque delle limitazioni di posti nelle chiese, la Nota della presidenza Cei parla della possibilità di ricorrere all'uso dei social media, «solo dove strettamente necessario o realmente utile». Dunque sì alla possibilità di trasmettere online la celebrazione, ma, raccomanda con forza la Nota, «l'eventuale ripresa in streaming delle celebrazioni sia in diretta e mai in differita e venga particolarmente curata nel rispetto della dignità del rito liturgico». Anche per questo si preferisce che la «diffusione mediatica » riguardi in particolare «le celebrazioni presiedute dal vescovo, incoraggiando i fedeli impossibilitati a frequentare la propria chiesa a seguire le celebrazioni diocesane come segno di unità».

IL PUNTO SUI VACCINI

Sono ancora i vaccini comunque al centro della questione. Speranza ha voluto essere ottimista e ha parlato di “luce in fondo al tunnel”. La realtà è che ogni regione fa un po’ a modo suo. La Lombardia ha deciso ora di dirottare le sue dosi dal fronte degli anziani a quello delle zone “arancione scuro”, per fermare i focolai da varianti. Nel Lazio si corre a vaccinare gli insegnanti. Nelle prossime 48 ore si gioca una partita importante a livello europeo. Il modello Scozia piace tanto. Se anche solo la prima dose basta per abbattere i rischi perché fare subito anche il richiamo? Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera:

«La dose unica non è più un tabù. Si discuterà anche di questo al Consiglio europeo straordinario convocato per oggi e domani in videoconferenza. Il tema della somministrazione di una singola dose di vaccino è stato sollevato durante le consultazioni tra il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e i leader dei Paesi europei. E l'argomento è stato toccato anche nella call che ieri il presidente del consiglio Mario Draghi ha avuto con lo stesso Michel. Il modello è quello di Israele e Regno Unito, dove la dose singola ha consentito di aumentare il numero delle persone protette, anche se con uno schermo un po' meno efficace. Sul tavolo del Consiglio Ue ci sarà lo studio scozzese, in base al quale dopo la prima dose c'è stata una riduzione delle ospedalizzazioni del 95% con AstraZeneca e dell'85% con Pfizer. Anche le Regioni premono. (…) Sul tavolo del Consiglio europeo, però, c'è soprattutto il capitolo produzione. Farmindustria - l'associazione delle imprese del settore - oggi incontrerà il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. E porterà una lista con otto aziende italiane che in linea di massima potrebbero partecipare a una produzione di vaccini in condivisione tra i diversi Stati europei. La commissione europea punta a ottenere l'utilizzo delle licenze da parte delle case farmaceutiche. L'Italia potrebbe entrare nella parte finale, nella quale siamo più forti, come l'infialamento delle dosi. Già oggi la Catalent di Anagni, nel Lazio, si occupa di questo per AstraZeneca. Nella lista ci sono in prima fila uno stabilimento nel Lazio e uno nel Veneto, già sondati dal precedente governo. Poi due in Lombardia e uno in Toscana. Quanto alla produzione vera e propria dei vaccini, con l'utilizzo dei bioreattori, il ruolo dell'Italia sembra più defilato. A meno che non si voglia rinunciare a produrre il vaccino antinfluenzale. 

Il Corriere della Sera intervista Lorenzo Wittum, presidente e AD di Astrazeneca. Un vaccino che costa meno di un decimo degli altri e che, forse anche per questo, è stato oggetto di una specie di ottovolante di comunicazioni e decisioni burocratiche delle grandi agenzie di controllo. Wittum prova a fare chiarezza:

«Confermo che consegneremo all'Europa 180 milioni di dosi nel secondo trimestre dell'anno, di cui 20 milioni all'Italia». Lorenzo Wittum, presidente e amministratore delegato di AstraZeneca Italia, non prende nemmeno in considerazione l'ipotesi, circolata un paio di giorni fa, di una fornitura più che dimezzata (meno di 90 milioni per l'intera Unione europea). (…) Che cosa sappiamo oggi in merito all'efficacia del vostro vaccino? «Gli studi clinici randomizzati pubblicati a dicembre su The Lancet hanno mostrato un efficacia del 62% sulla popolazione generale. Il 40% dei partecipanti aveva ricevuto la seconda dose a più di 8 settimane dalla prima e questo ha permesso di capire che l'intervallo tra le dosi ha effetti rilevanti. Secondo gli ultimi dati, somministrando la seconda dose a 12 settimane di distanza dalla prima, l'efficacia sale all'82%. Nello stesso studio clinico si è osservato un dato estremamente soddisfacente che indica come la protezione dalla malattia grave e dal rischio di ospedalizzazione arrivi al 100% già dopo la prima dose. Una conferma è arrivata dai dati sui vaccinati in Scozia: su circa 500 mila persone l'efficacia nel ridurre le ospedalizzazioni è risultata del 94% nella popolazione generale e dell'81% negli ultra 80enni. A breve sono attesi l'esito di un'indagine simile del Servizio sanitario inglese e a fine marzo avremo i dati dello studio richiesto dalla Fda statunitense». È vero che dopo la prima dose sono frequenti reazioni come febbre e dolori? «Nello studio clinico solo l'8% dei vaccinati ha avuto febbre. Seguiamo con attenzione i dati della farmacovigilanza sulla popolazione generale vaccinata: finora non ci sono segnalazioni degne di nota». Come pensate di affrontare il nodo delle varianti? «Stiamo valutando la possibilità di somministrare una terza dose e, contemporaneamente, lavoriamo a nuove versioni del vaccino. Per quanto riguarda la cosiddetta "variante inglese", uno studio pubblicato in preprint su The Lancet indica che l'efficacia è sovrapponibile a quella che si ottiene sul virus originario. Sulle altre varianti purtroppo non possiamo ancora dire molto, ma stiamo ragionando sulle possibili soluzioni». Per il vaccino, AstraZeneca ha deciso di rinunciare al profitto (ogni dose costa 2,80 euro). A che cosa è legata questa scelta? «Fa parte dell'accordo con l'Università di Oxford, che cercava partner per produrre il vaccino non a scopo di lucro. Il costo di una dose è esattamente quello della produzione e abbiamo garantito che non sarà modificato fino al termine della pandemia». 

La stampa di destra insiste sul cosiddetto Caso Arcuri e sulle inchieste che riguardano l’acquisto delle mascherine, per cui ieri ci sarebbe stato il primo arresto. Fabio Martini su La Stampa spiega molto bene qual è la situazione. Draghi sta decidendo:

«Inabissato. Da 20 giorni Domenico Arcuri non parla più: scomparso dai radar. Da quando il suo mentore Giuseppe Conte ha dovuto lasciare palazzo Chigi, il Commissario straordinario per l'emergenza Covid Domenico Arcuri, Mimmo per gli amici, ha sospeso le sue proverbiali conferenze stampa. Ricche di dati e di promesse impegnative: ogni tanto mantenute, ogni tanto disattese. Promesse alternate, talora, a espressione fiorite. Ora, improvvisamente, uno stile "introverso": il Commissario se lo è auto-imposto. Non è dato sapere se in ossequio al nuovo "spirito del tempo" che impone esternazioni essenziali. Oppure se l'Arcuri abbottonato avverta l'esigenza di allontanare da sé i riflettori, visto che una parte della maggioranza vorrebbe disarcionarlo. (…) In realtà, e questa è la notizia, Mario Draghi sta per decidere e si è preso ancora 48 ore. Il presidente del Consiglio intende valutare nelle prossime ore pro e contro, vuole capire dati alla mano se Arcuri, al netto degli umani errori, sia l'ennesimo "uomo nero" che fa comodo come bersaglio per i suoi detrattori, oppure se le tante "sbavature" attribuite al personaggio corrispondano ad un'inefficienza che sarebbe esiziale in una vicenda come quella della pandemia. Questo significa che l'ipotesi più clamorosa - la non conferma di Arcuri alla scadenza del mandato, il 30 aprile - è pari a quella più fisiologica, del rinnovo. (…) L'inchiesta della Procura di Roma sulle maxicommesse da 72 milioni di euro per l'acquisto di 801 milioni di mascherine provenienti dalla Cina ha portato ieri a misure cautelari a carico di alcune persone. Arcuri ha giù detto di essere parte lesa e la Procura ha messo nero su bianco che «allo stato non c'è prova» di un coinvolgimento della struttura commissariale.»

GOVERNO AL COMPLETO, SPORT A PARTE

Completata la squadra del Governo Draghi: 19 le donne e 20 gli uomini. Tutti di partito, a parte l’ex capo della Polizia Gabrielli che Draghi ha voluto ai Servizi Segreti. E l’equilibrio di questo Governo ha distribuito così le poltrone: 11 5Stelle, 9 Lega, 6 Pd e 6 FI, 2 Italia Viva e 1 LEU, premiati anche 1 Centro democratico di Tabacci (Tabacci stesso), 1 +Europa, 1 Noi con l’Italia. Per lo Sport, una delle decisioni più controverse era su chi debba avere la delega, è scattato un bel rinvio… Ci sono anche conferme, come Sileri, 5Stelle, alla Salute, Castelli sempre 5S all’Economia, Carlo Sibilia, anche lui grillino, agli Interni, il pentastellato Cancelleri ai Trasporti e  poi la Guerra, Leu, al MEF, la Malpezzi, Pd, Rapporti col Parlamento e la Sereni, Pd, agli Esteri. Insomma lo stile è se non proprio quello di Cencelli, andreottiano (rinvii compresi). Il retroscena di Marco Galluzzo e Giuseppe Alberto Falci:

«Li aveva lasciati a bocca asciutta con i ministri, decidendo in totale autonomia, loro hanno provato a rifarsi, e in parte ci sono riusciti, con i sottosegretari. È stato anche un estenuante tira e molla quello fra Mario Draghi e i partiti, la ricerca di un equilibrio delicatissimo fra correnti, ambizioni personali, rivendicazioni fra esponenti meridionali e del Nord, la questione centrale della parità di genere. Alla fine le donne sono 19, quasi la metà, ma alcuni partiti avevano disatteso le indicazioni del capo del governo presentando delle liste con quasi soli uomini. Ci è voluta anche una sospensione di quasi un'ora del Consiglio dei ministri per mettere tutte le caselle a posto. E sembra che a un certo punto sia stato lo stesso Draghi a prendere la penna, tracciare una linea, e dire «ora basta, la lista è completa». (…) Chi ha vinto e chi ha perso? Fra Pd e Cinque Stelle si storce il naso per il bottino di Forza Italia: due caselle strategiche per la storia del berlusconismo, una all'Editoria (Giuseppe Moles) e l'altra alla Giustizia (Francesco Paolo Sisto). Ma anche in questo caso c'è stato un piccolo incidente: il posto di Moles era stato assegnato a Giorgio Mulè, oggi portavoce azzurro di Camera e Senato ma in passato direttore di Studio Aperto e di Panorama . Insomma troppo legato al Cavaliere per i Cinque Stelle, che si sono messi di traverso, bollandolo in Cdm come «un dipendente del Biscione». E mentre il centrodestra è alle prese con il caso Udc, che minaccia di uscire dal gruppo di Forza Italia dopo i no a Binetti e Saccone, in casa del Pd si sono scaricate tutte le lotte intestine fra le correnti. È stato sacrificato Andrea Martella, sottosegretario uscente all'Editoria, vittima di uno scontro sotterraneo fra Zingaretti e il ministro Orlando. Lo stesso Orlando che avrebbe «perso» altri esponenti di riferimento della sua area, a cominciare da Antonio Misiani, viceministro uscente al Mef, dove adesso il Pd schiera Alessandra Sartore, assessore al Bilancio della Regione Lazio e donna di fiducia del segretario Nicola Zingaretti. E nel gioco delle quote è finita anche Assuntela Messina, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'Innovazione e Transizione digitale, data in quota Michele Emiliano, presidente della Puglia. (…) E se Matteo Salvini era rimasto deluso dalla squadra dei ministri, troppo vicini a Giancarlo Giorgetti e a Luca Zaia, oggi si rifà con uomini di strettissima sua fiducia in alcuni ministeri chiave che ha intenzione di presidiare: Nicola Molteni andrà al Viminale, Claudio Durigon all'Economia, Gian Marco Centinaio alle Politiche agricole (era già stato ministro), Alessandro Morelli viceministro alle Infrastrutture e Lucia Borgonzoni ai Beni Culturali. Esce rafforzato anche Luigi Di Maio, che ottiene l'unico viceministro del Mef con Laura Castelli (riconfermata), ma anche Carlo Sibilia all'Interno. E infine Alessandra Todde, viceministro al Mise, anche lei molto legata al ministro degli Esteri.»

ZINGARETTI MOLLA? ALTRO CHE D’URSO…

Grande attenzione dei giornali alla solidarietà che Nicola Zingaretti ha espresso in un tweet a favore di Barbara D’Urso, il cui programma serale volge al termine. Titoli sulla sinistra indignata, la rubrica di Gramellini, cose così. Diciamolo: ai politici (tutti) piacciono i non giornalisti. E la tv che asseconda questa comunicazione diretta, senza imbarazzi e contrasti, fa concorrenza ai social. Chi fa seriamente il nostro mestiere invece dovrebbe distinguere e difendere il ruolo della stampa libera. Tanto più in un momento storico in cui l’intrattenimento, non solo sulle reti Mediaset, è finalmente considerato poco interessante dalla gente, assillata da problemi reali. La Stampa, in una pagina quasi interamente dedicata alla vicenda, scrive un’ovvia ma necessaria considerazione, eccola:

«Fino ad oggi sembrava inamovibile lo show domenicale di prima, seconda e terza serata in onda su Canale 5 che sposa, in un matrimonio misto e improbabile, le corna dei gieffini vip e i figli ritrovati, urla, amori, liti furibonde, lacrime, riappacificazioni e politica. Bonaria quest' ultima, per carità, mai urticante. Perciò i nostri politici vanno ospiti stravolentieri e si mettono in fila. Si sentono al sicuro in un bozzolo di coccole che portano consensi. »

Ma la notizia vera e clamorosa sul Segretario del Partito democratico la pubblica il giornale di Travaglio. Wanda Marra, che segue sempre le vicende del Nazareno, scrive su Il Fatto:

«Nicola Zingaretti si dimetterà nell'Assemblea nazionale del Pd convocata per il 13 e 14 marzo. Almeno, sono le intenzioni del segretario in queste ore, anche se parte del partito - Dario Franceschini in testa - sta cercando di convincerlo a restare. D'altra parte viene considerato dai big dem come il miglior garante dell'equilibrio attuale. Zingaretti, in realtà, sta valutando due opzioni: presentarsi traghettatore, fino a un congresso in data da stabilire (magari in autunno), o direttamente dimissionario. Qualcuno tra i suoi spera che le dimissioni siano un rilancio. In molti scommettono che ci ripenserà. Ma ieri l'addio era stato già minacciato imminente. E una via d'uscita il segretario la cerca da tempo: gli sarebbe piaciuto entrare nel governo Draghi, ma ha dovuto rinunciare per evitare l'ingresso di Matteo Salvini. Sta valutando di candidarsi a sindaco di Roma, se - come pare sempre più probabile - le Amministrative dovessero essere spostate a ottobre. »

DI MAIO: “SIAMO MODERATI, LIBERALI, ATLANTISTI”

È soprattutto Luigi Di Maio a segnare oggi una svolta importante nel sentiero di “maturazione” del Movimento 5Stelle: in un’importante intervista ad Annalisa Cuzzocrea di Repubblica segna un punto di non ritorno. E anche la vicenda della leadership di Conte e del riassorbimento delle critiche interne entra in un quadro molto avanzato.  

«Che succede al Movimento? «È cresciuto, maturato. Questo governo rappresenta il punto di arrivo di un'evoluzione in cui i 5 stelle mantengono i propri valori, ma scelgono di essere finalmente e completamente una forza moderata, liberale, attenta alle imprese, ai diritti, e che incentra la sua missione sull'ecologia. Tutta la trattativa con il premier Draghi è stata fatta sul ministero per la Transizione. Questo per noi è un nuovo inizio». Talmente nuovo che vi ha spaccati in due. «Molti pensavano che la nostra base non avrebbe capito, ma il 60% ha votato sì a un esecutivo che nessuno si aspettava. Penso che l'esperienza di governo abbia portato a un'evoluzione dei 5 stelle, oggi completa. Lo dico con profondo rammarico e con grande tristezza, ma credo che le defezioni che abbiamo vissuto in questi giorni non potessero che andare così». Una scissione inevitabile? «Non deve considerarsi una scissione, ma è evidente che lo spazio per i nostalgici dell'Italexit è scomparso da tempo. Puntiamo agli Stati Uniti d'Europa, a un progetto ancorato a determinati valori in cui gran parte del M5S e degli italiani si riconoscono». L'alleanza con Pd e Leu reggerà? L'intergruppo al Senato ha creato più malumori che altro. «Non credo sia in pericolo il patto con Pd e Leu. Abbiamo davanti le amministrative. Mettiamo tra parentesi Roma, perché il mio e nostro sostegno a Virginia Raggi non è negoziabile. Ho proposto l'idea di un tavolo comune sei mesi fa, facciamolo. Ricordo che tutto è nato dal mio progetto su Pomigliano, poi convertito in un quesito su Rousseau e sostenuto dagli iscritti. Sono uno di quelli che ci crede, ma ci devono credere tutti». Cosa dovrebbe fare Conte: candidarsi a Siena? Assumere un ruolo nel Movimento? «Sarei veramente felice di un passo avanti di Conte dentro il M5S. Quando sono stato eletto capo politico nel 2017 avevo un obiettivo: portare i 5 stelle fuori dalle ambiguità. Sono stato il primo a dire che non dovevamo più parlare di uscita dall'euro, che bisognava smettere di fare leggi che burocratizzavano il Paese. Ho detto al Financial Times che la Nato non andava abolita e che non dovevamo uscirne. Era il 2015, ricorda cosa eravamo allora?». Una forza antisistema e antieuropea. Non lo siete più? «Il Movimento è ora su una linea moderata, atlantista, saldamente all'interno dell'Ue. Questa evoluzione si può completare con l'ingresso di Conte. L'ex premier, che ha rappresentato questi valori, metta la parola fine alle nostre ambiguità e ai nostri bizantinismi».

“ASSUMETE I RIDER”

La Procura di Milano, facendo il punto su un’inchiesta che riguarda una serie di aziende di food delivery, ha annunciato che queste dovranno assumere i cosiddetti “rider”, i fattorini in bicicletta che portano il cibo a domicilio. Notizia importante per quelli che nelle nostre città a volte sembrano a tutti gli effetti i nuovi schiavi. Sul Fatto Gad Lerner ammette di essere un cliente di questo tipo di servizio, inneggia alla nuova lotta di classe e trova il modo di attaccare il Governo:

«Mentre cominciavo a scrivere questo articolo m' è arrivata la solita email promozionale della Glovo, di cui sono utente: "Da Burger King la consegna è a 1 euro! Non fartela scappare, hai tempo fino al 7 marzo. Ordina ora. Te lo portiamo in sicurezza". Che pacchia, solo 1 euro per la consegna di un pasto a domicilio indovina chi ci rimette? Ecco una bella sfida per misurare quali scelte farà il governo Draghi in materia di mercato del lavoro. Sarei curioso di leggere sul Corriere della Sera un commento del neo-consigliere del premier, Francesco Giavazzi, già coautore con il compianto Alberto Alesina del saggio intitolato Il liberismo è di sinistra (Il Saggiatore, 2007). Sono passati quattordici anni dalla sua pubblicazione. Abbiamo verificato nel frattempo gli effetti dei vari provvedimenti di liberalizzazione del lavoro intermittente a chiamata e dei contratti a termine rinnovabili senza giustificativo. (…) L'inchiesta milanese è il logico sviluppo di una serie di sentenze-pilota nelle quali già si era smascherata la falsa rappresentazione del rider come lavoratore autonomo. Nel tentativo di attutirne gli effetti, Assodelivery ha stipulato un contratto-truffa col sindacato di destra Ugl (per nulla rappresentativo) e diffonde tramite la stampa compiacente testimonianze fantasiose di ciclofattorini che intascherebbero compensi da manager. È pure questo un ritorno alle forme primitive della lotta di classe. Ma qui sta il punto. I lavoratori oggi trovano tutela solo aggrappandosi a leggi ereditate dalle conquiste sindacali del passato: proprio quelle che - fingendo di credere che il liberismo sia di sinistra - diversi ministri, supertecnici e politici, han sempre dichiarato di voler "riformare", cioè abolire».

ITALIA IN CRISI DA 20 ANNI

A proposito di economia, Il Sole 24 Ore ragiona su una statistica europea impietosa: l’Italia è ferma, anzi arretra dal 1995-1996. Più di vent’anni di caduta della nostra economia. Oggi questa pagina 3 del Sole andrebbe studiata da parlamentari, neo sottosegretari, commentatori. Ci dovremmo tuti spaccare la testa per capire perché l’economia italiana è in declino da quasi 25 anni. Gianni Trovati:

«Tradotta in cifre, elaborate con l'aiuto dei database della commissione Ue, la lunga stagnazione italiana ha ridotto del 18,4% il peso del nostro Paese sul complesso della produzione cumulata dall'Eurozona nei suoi confini attuali. Oggi il Pil italiano vale il 14,5% di quello dell'area euro, contro il 17,7% coperto nel 2001, all'interno di un quadro che negli anni a cavallo del 2000 era piuttosto stabile. Solo la Grecia ha subito un processo di dimagrimento più rapido. Mentre la Francia, etichettata da più di un'analisi come l'altro grande malato d'Europa, mostra nelle analisi patologie decisamente più leggere: Parigi valeva il 20,9% dell'economia europea nel 2001, e vale oggi il 20,3%. La Spagna invece, il big europeo che primeggia per l'intensità della recessione da pandemia, ha viaggiato comunque in senso contrario, guadagnando in termini relativi un 5,2% in venti anni. Il fatto è che un campo così largo fa quasi scomparire gli effetti devastanti del -8,8% che ci ha colpito l'anno scorso. E, appunto, cancella l'idea che l'unico problema da affrontare, gigante quanto si vuole, sia di rimarginare le ferite prodotte dal virus. L'erosione di capacità competitiva e produttività che ha impoverito il nostro sistema economico è un processo ormai storico. L'ultimo significativo balzo in avanti della nostra performance, che ha visto il Paese correre in misura percettibilmente più veloce della media europea, risale al 1995-1996, quando la quota italiana nel prodotto dell'attuale eurozona è salita di un punto e mezzo. Poi più nulla: per la regola della crisi, che da noi attenua i rimbalzi e accentua le cadute. Da allora i numeri compongono una litania: che vede l'Italia sfondare al ribasso quota 17% nel 2008, 16% nel 2014 e 15% nel 2019. Sempre più ai margini. »

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