Ddl Zan, vincono i No Lex
Stop al Ddl sulla omotransfobia, almeno per alcuni mesi. Scambio di accuse fra Renzi e Letta sul voto segreto. Accordo sulle pensioni. Biden arriva a Roma per il G20. Bolsonaro non gradito a Padova
Il Ddl Zan, che era stato approvato un anno fa alla Camera, si è fermato al Senato. Ieri per il suo stop hanno votato 154 senatori, 131 sono stati i contrari e due gli astenuti. La votazione, avvenuta a scrutinio segreto, è stata accolta da un’esultanza da tifosi. Perché è finita così? Lo stesso Alessandro Zan ancora ieri mattina era convinto che la legge potesse essere approvata al Senato, così com’era stata approvata alla Camera, senza le modifiche richieste da più senatori e da più parti. In realtà esisteva una possibile maggioranza anche al Senato, ma si sapeva dalla scorsa primavera che si sarebbero dovuti modificare alcuni punti. Femministe storiche, esponenti della sinistra e i Vescovi italiani avevano espresso critiche puntuali su un testo che, combattendo la discriminazione, sembrava ad alcuni perseguire questo obiettivo con l’intolleranza. Due punti erano emersi come controversi: la definizione di identità di genere e l’insegnamento della teoria gender nelle scuole.
Una mediazione importante era stata proposta da Ivan Scalfarotto di Italia Viva. Ma il Pd non ha mai accettato questo confronto e oggi accusa Matteo Renzi di avere affossato la legge. Domenica scorsa Enrico Letta sembrava aver auspicato una trattativa per cambiare alcune parti del testo e arrivare all’approvazione ma poi ha prevalso la linea del muro contro muro. Ha vinto la scelta della “bella morte” della legge evocata da Monica Cirinnà contro ogni possibile modifica. L’intransigenza contro un compromesso e un’approvazione possibile. E alla fine la logica dello scontro ha portato i suoi frutti. Con la coda di scambio di accuse reciproche.
È chiaro che anche politicamente lo stop al Ddl Zan avrà delle conseguenze. Interviene infatti alla vigilia del voto sul Quirinale e in una fase molto incerta del governo Draghi. In certo senso la stessa linea scelta da Letta sull’omotransfobia contraddice il disegno di un nuovo possibile Ulivo da Leu fino a Calenda, che comprenda Renzi. Perché senza mediazioni i rapporti si sono deteriorati e le accuse reciproche sono oggi pesantissime. Molti Pd, Zan compreso come riporta il Corriere, pensano che ieri sia nato un nuovo asse fra la destra e Renzi. Padellaro sul Fatto è dello stesso avviso. Vedremo.
Intanto oggi si incontra l’ala governista del centro destra, con Berlusconi che fa sedere allo stesso tavolo Brunetta e Salvini, mentre Conte prepara un faccia a faccia con Draghi a palazzo Chigi. Sul fronte pensioni, c’è un accordo raggiunto ieri alla cabina di regia, oggi è previsto un nuovo vertice coi sindacati e poi il Consiglio dei Ministri che dovrebbe licenziare la nuova legge di Bilancio. Biden è in arrivo a Roma, dove incontrerà anche il papa e Mattarella prima del G20. Fra i capi di Stato e di governo attesi in Italia, c’è anche il presidente brasiliano Bolsonaro invitato in provincia di Padova e non gradito dalla Diocesi e dai frati della Basilica di sant’Antonio, come racconta La Stampa.
Clamorosa la mossa della Corte di giustizia europea che impone alla Polonia il pagamento di un milione di euro al giorno per il mancato scioglimento di una Commissione disciplinare dei giudici, che di fatto ha dato al potere politico il controllo della magistratura polacca. È un’altra tappa dello scontro fra l’Europa e la Polonia sovranista tentata dalla “Polexit”.
Grande novità questa mattina!!! Potete ascoltare il terzo episodio serie Podcast originale realizzata da me con Chora Media per Vita.it. e con il sostegno di Fondazione Cariplo. Il titolo è: Le Vite degli altri e racconta storie di chi dedica il proprio impegno e il proprio tempo agli altri. È disponibile ORA il ritratto e l’intervista con Suor Gabriella Boitani, che guida una rete internazionale di religiose, missionari e attivisti laici che combattono la tratta degli esseri umani. Questa rete ha il suggestivo nome evangelico di Talitha Kum. Offre una seconda opportunità alle donne e agli uomini fatti oggetto della schiavitù dei nostri tempi. Questa l’immagine della “cover”.
Troverete Le vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo:
https://www.spreaker.com/episode/47180472
Ascoltate e inoltrate! Fino a venerdì vi garantisco l’arrivo della newsletter entro le 8. Vi rammento anche che potete scaricare gli articoli integrali in pdf nel link che trovate alla fine della Versione. Consiglio di scaricare subito il file perché resta disponibile solo per 24 ore. Scrivetemi se volete degli arretrati. Fate pubblicità a questa rassegna, seguendo le istruzioni della prossima frase.
Se ti hanno girato questa Versione per posta elettronica, clicca qui per iscriverti, digitando la tua email e la riceverai tutte le mattine nella tua casella.
Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
Lo stop al Ddl Zan e la riforma delle pensioni dominano le prime pagine. Il Corriere della Sera è secco: Omofobia, affossata la legge. Avvenire non fa il tifo: Ddl Zan, arriva lo stop. Il Domani attacca: Vergognatevi. Dall’altro versante Il Giornale soddisfatto: Fine del delirio gender. La Repubblica è amara: I diritti possono attendere. Voto segreto, addio al Ddl Zan. La Stampa usa lo stesso termine: Zan, il Parlamento dei diritti negati. Per La Verità: Affondata la legge bavaglio, psicodramma tra Letta e il Pd. Libero esulta: Salta la legge Zan. Piange il Pd, che bello. Il Manifesto allude ai voti mancati rispetto al voto di un anno fa alla Camera: Segreti e bugie. Il Mattino legge il voto al Senato in chiave politica: La fine della “pax draghiana”. Sulla riforma delle pensioni, ieri cabina di regia e oggi Consiglio dei Ministri. Il Fatto sottolinea lo status personale del premier: Per Draghi quota 99: in pensione a 59 anni. Il Quotidiano Nazionale annuncia l’accordo: Pensioni anticipate solo nel 2022. Così come il Messaggero: Quota 102 solo per un anno. Il Sole 24 Ore va su un’altra misura del governo: Turismo, arriva il superbonus 80%.
SENATO, STOP AL DDL ZAN
Ddl Zan. Bocciato il rinvio di una settimana, ieri si è arrivati subito al voto in Aula al Senato. La cronaca del Corriere della Sera di Alessandra Arachi.
«Sono le 13.41 quando il ddl Zan muore nell'aula del Senato. I numeri sono implacabili: 154 senatori hanno votato per il non passaggio in aula - la cosiddetta «tagliola» - affossando la legge. Sono 131 quelli che hanno votato contro provando a salvarla, 2 gli astenuti. Si passerà poi il resto della giornata a cercare di dipanare la matassa di un voto che non fa tornare i conti, per via dello scrutinio segreto ammesso dalla presidente del Senato Elisabetta Casellati. Ma nel centrosinistra sono convinti dei loro conti fatti prima della votazione: erano certi di poter vincere con circa otto voti di scarto. E alla fine tra addizioni, sottrazioni e assenze, a loro mancheranno all'appello circa 16 senatori. Per paradosso nemmeno alla destra tornano i conti: si sono trovati una ventina di voti in più rispetto alla somma dei loro scranni in Senato. Ma poco importano i numeri. «C'è una nuova maggioranza di centrodestra in Senato», gongola il capogruppo di FdI Ignazio La Russa. Subito dopo la sua presidente, Giorgia Meloni, arriverà a Palazzo Madama per complimentarsi con i suoi senatori, tutti e ventuno presenti in aula. A far da contraltare a La Russa la dem Monica Cirinnà. «Il centrosinistra della maggioranza Conte è seppellito, il centrosinistra riparte da Pd, M5S, Leu», dice mentre davanti la buvette la dem Valeria Fedeli va via in lacrime. Fuori dall'aula la voce del segretario del Pd Enrico Letta ha i toni delle grandi occasioni: «Hanno voluto fermare il futuro. Hanno voluto riportare l'Italia indietro. Sì, oggi hanno vinto loro e i loro inguacchi al Senato. Ma il Paese è da un'altra parte». Poco prima del voto, è arrivato in Senato il leader della Lega Matteo Salvini. Subito dopo prende la palla al balzo: «È stata sconfitta l'arroganza di Pd e M5S. Hanno deciso di andare allo scontro dopo mesi che avevamo avvisato ed è finita così. Ora proporrò al centro destra di ripartire dal nostro testo». In sintonia con il suo leader la deputata Laura Ravetto: «Facciamo una legge che unisca tutte le anime del Parlamento». Difficile immaginare unioni in una giornata così, con divisioni anche intestine. La presidente di Forza Italia Annamaria Bernini ha annunciato il voto contro la legge, ma Barbara Masini ha votato a favore. E da fuori Palazzo Madama per quel voto contro, il deputato azzurro Elio Vito ha dato le dimissioni dagli incarichi del gruppo. Anche il leader del M5s Giuseppe Conte era al Senato ieri: «Questo voto registra un passo indietro del Parlamento: c'è anche qualcuno che non ci ha messo la faccia». Il leader di Italia viva Matteo Renzi era invece a Riad. Per quei 16 voti mancanti è stato messo sotto accusa. Ma lui respinge al mittente: «È colpa di Pd e M5S. Chi polemizza sulle assenze dovrebbe fare i conti con 40 franchi tiratori». Sopra tutto il dibattito politico, il commento del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti: «L'esito del voto conferma quanto sottolineato più volte: la necessità di un dialogo aperto e non pregiudiziale, in cui possa contribuire anche la voce dei cattolici italiani».
Il Corriere della Sera ha intervistato due protagonisti della vicenda, che offrono punti di vista contrapposti. La ministra Elena Bonetti di Italia Viva parla con Maria Teresa Meli.
«Ministra Elena Bonetti, voi di Italia viva vi aspettavate quanto è accaduto... «Oggi si è consumato un fatto grave a discapito innanzitutto delle tante donne e tanti uomini vittime di violenze e discriminazioni e si è consumato per un incomprensibile rifiuto della ricerca della mediazione, che nella politica è sempre necessaria: si è voluto procedere con un muro contro muro. Noi di Iv abbiamo da subito denunciato che questo era il modo per affossare la legge. Se si fosse accettato un dialogo di un'ulteriore settimana come era stato chiesto, probabilmente non si sarebbe arrivati a questo scontro che purtroppo ha dato l'esito che ci si doveva aspettare, date le premesse». Lei si spiega perché visto l'esito scontato Pd e M5S siano andati avanti lo stesso? «Guardi, nel rispetto delle decisioni degli altri partiti, non do interpretazioni delle motivazioni che li hanno condotti a questa gestione, che è quella che ha portato al fallimento della legge. Il segretario Letta aveva aperto con grande chiarezza e poi di fatto la mediazione non è stata portata avanti. I 5 Stelle e Leu non si sono seduti al tavolo e lo stesso Pd non ha poi operato nell'ottica della mediazione. Io credo sia un atteggiamento irresponsabile che va stigmatizzato anche in generale: più la politica si polarizza in modo ideologico meno sa esercitare il suo ruolo, che è quello di ricomporre le parti per dare risposte concrete ai diritti e ai bisogni degli italiani»
Alessandra Arachi ha intervistato il deputato dem Alessandro Zan, “titolare” della legge.
«Alessandro Zan, allora? Il suo ddl è morto, come si sente? «Sono abituato a pensare sempre a cosa fare di nuovo il giorno dopo senza fermarmi a guardare anche le sconfitte. Ma una così non me l'aspettavo proprio». Così pesante? «Si, perché il Pd aveva calcolato che sulla carta avevamo un vantaggio di almeno 8-10 voti». E cos' è successo secondo lei? «Con il voto segreto non si può sapere. Non lo potremo mai sapere con certezza. Ma in fondo i numeri precisi in questo caso non importano, contano poco». Cosa vuol dire? «Che è evidente il quadro politico. Quello che è successo in questi mesi». E che cosa è successo? «Italia viva si è messa a flirtare con il centro destra, con la Lega. Dopo che c'è stato il cambio ed è arrivato il governo di Draghi il partito di Renzi si è messo in testa di voler essere l'ago della bilancia del Senato. Ma forse non si sono resi conto di cosa stavano facendo». In che senso? «Si sono avvicinati al partito che è amico di Orbán e di Duda, il leader ungherese e quello polacco. Orbán, capito? Quello che ha votato le leggi omotransfobiche. Che ha tappato la bocca ai giornalisti. Che ha chiuso le università». Cosa intende quando dice che Italia viva si è messa a flirtare con la Lega? «Basta sentire le dichiarazioni di Davide Faraone, il presidente di Italia viva al Senato. Parla e sembra che a parlare sia Salvini». Cosa dice? «Cosa ha detto nell'ultima dichiarazione prima del terribile voto sul non passaggio agli articoli del testo del mio disegno di legge, vogliamo dire?». Diciamolo... «Ha parlato dell'arroganza del Pd, dei Cinque Stelle, di Leu. Chiudevi gli occhi e sembrava che parlasse Massimiliano Romeo, il capogruppo leghista. Ma non solo». Cosa altro? «Quelli di Italia viva ci dicevano che dovevamo mediare con la Lega. Ma come si fa a mediare con un partito che da quando il ddl Zan è arrivato al Senato non ha fatto altro se non cercare di affossarlo. Alla Camera non è stato così». Com' è andata invece alla Camera? «Quando abbiamo votato il ddl Zan, un anno fa, Italia viva ha votato compatta con noi e da Forza Italia anno lasciato libertà di coscienza. Invece qui al Senato..». Qui al Senato cosa? «La legge è stata stritolata da logiche politicistiche e tattiche parlamentari funzionali ad altre partite. Prima di tutte quella del Quirinale. Forza Italia con questo voto ha fatto le prove tecniche per le elezioni del Quirinale».
Avvenire ha messo in fila le reazioni dei vari leader politici attraverso i loro tweet. Eccole.
«Enrico LETTA segretario del Pd: «Hanno voluto fermare il futuro. Hanno voluto riportare l'Italia indietro. Sì, oggi hanno vinto loro e i loro inguacchi, al Senato. Ma il Paese è da un'altra parte. E presto si vedrà. #DdlZan». Matteo SALVINI leader della Lega «L'arroganza di Letta ('è così o non c'è nulla') è stata sconfitta. Il ddl Zan è stato affossato, hanno votato contro anche alcuni senatori del Pd. Ora proporrò al centrodestra di ripartire dal nostro testo». Giuseppe CONTE presidente del M5s «Questo voto registra un passo indietro del Parlamento rispetto alla maturità del Paese. E purtroppo qualcuno non ci ha messo la faccia, e questo la dice lunga sulla sensibilità per i diritti civili». Giorgia MELONI Leader di Fratelli d'Italia «Patetiche le accuse di Letta, Conte e della sinistra: ad affossare la legge sono i suoi stessi firmatari, che hanno scritto e difeso norme surreali (dal self-id al gender nelle scuole), altro che discriminazioni». Mara CARFAGNA ministra e deputata Fi «Potevamo avere una buona legge, non l'abbiamo per la rigidità ideologica di due minoranze: chi voleva un manifesto e chi non voleva nessuna legge. Il braccio di ferro sui diritti non premia nessuno».».
L’ITALIA SI DIVIDE. I COMMENTI AL VOTO
Carrellata di commenti dei principali quotidiani italiani. Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio è deluso dall’iter parlamentare, ma anche dal mancato confronto sul merito della legge. Il suo giornale, in questi mesi, è certamente il foglio nazionale che ha dato più spazio al dibattito, attraversando gli schieramenti.
«Il cosiddetto ddl Zan va in archivio. E non è un bel giorno per la società italiana. Un ambizioso ma brutto disegno di legge nato per contrastare in modo specifico omofobia e transfobia (e che ostinatamente non si è voluto ben calibrare se non per renderlo ancora meno centrato sull'obiettivo dichiarato) è stato fermato. E «il modo ancor m' offende». Non certo per il libero voto dei senatori della Repubblica, bensì per l'insensata prova di forza che ha prodotto quest' esito deludente e per il solito coro zeppo di luoghi comuni che, con qualche felice eccezione, dalle opposte sponde si è subito levato. «Genderofili» (perdenti) contro «omofobi» (vincenti), in una sorta di bipartitismo caricaturale e insopportabile. Ma l'Italia, grazie a Dio e alla civiltà di tantissimi suoi cittadini e cittadine, non è una terra di odiatori e menatori seriali e neanche di ideologi dell'indifferenza (umana, morale e sessuale). È perciò politicamente e civilmente assurdo e autolesionista forzare per incasellarci tutti in questa scatola di ferro spaccata a metà. Così si semina vento e si raccoglie tempesta, aggravando fenomeni reali ed esaltando gli esaltati. Che pure ci sono. Sì, ci sono quelli che insultano e vessano le persone omosessuali e transessuali, così come ci sono quelli che pretendono, nel nome dell'«infinita possibilità», di negare la realtà della differenza sessuale, di maternità e paternità e persino la libertà di affermarle. Ecco perché argini espliciti a tutto ciò - alla violenza verbale e fisica sulle persone e a ogni illiberale rimozione e intimidazione antropologica - vanno posti o mantenuti. E bisogna farlo in modo semplice e chiaro. Come anche la Chiesa italiana ha raccomandato, per voce dei suoi vescovi, con buona pace dei, variamente distribuiti, seminatori di slogan a buon mercato e di pessimo contenuto. Il ddl Zan era e resta sbagliato, e su queste pagine l'abbiamo scritto e documentato a fondo, dando spazio a tante voci, trasversali agli schieramenti eppure silenziate o stravolte dalle pretese caricaturali di cui sopra. Quella proposta 'idolatrata' da persuasori e influencer decisi a darla già per approvata in forza di un plebiscitarismo digitale e mediatico da far accapponare la pelle, era fuori centro in più punti sul piano concettuale, dell'architettura giuridica e delle sue conseguenze. Non lo si è voluto ammettere e ora si raccolgono i frutti della presunzione. Ma meglio nessuna legge di una cattiva legge, perché di leggi vigenti e cattive o incattivite (come quelle sulle migrazioni e sulla cittadinanza) ne abbiamo già troppe, e perché quando si tratta di reati e di libertà, cioè 'dei delitti e delle pene', non si può essere approssimativi e avventurosamente 'filosofici'. Lo strepito che si sente non è incoraggiante, ma speriamo che di questo fallimento si sappia far tesoro».
Antonio Padellaro sul Fatto tende a leggere il voto in Senato in chiave politica: ci potrebbe essere quella stessa maggioranza ad agire nell’elezione del nuovo capo dello Stato.
«I sedici franchi tiratori che hanno affossato al Senato la legge Zan potrebbero facilmente diventare centosessanta in un Parlamento nel quale, storicamente, gli scrutini quirinaleschi sono il ballo in maschera atteso per un settennato. Non occorre richiamare le solenni trombature dei Merzagora, dei Fanfani, degli Andreotti, dei Prodi, impallinati nel segreto dell'urna (che poi era il segreto di Pulcinella ignoto solo a essi) per celebrare i fasti del cecchinaggio. Del resto, la geografia politica di Camera e Senato appare già il Vietnam del colonnello Kurtz dove gruppi misti e loro derivati - senza contare il cupo mosaico grillino, le diatribe leghiste, le faide pidine, le isterie forziste, gli ascari di Renzi-bin Salman - giocheranno al mercante in fiera. Una massa fuori controllo di peones impegnata a garantirsi (sì, la vita è dura) l'imperdibile occasione di contrattare una ricandidatura un tanto al chilo. Per questo l'Informazione Unica dei Migliori è impegnata a sfornare succulenti retroscena con spettacolari candidature - i Casini, gli Amato - di cui, senza offesa, c'eravamo dimenticati, come succede nei matrimoni per certi parenti dispersi. Per questo di Liliana Segre è meglio tacere. Perché soltanto nominarla equivale a celebrarla. Perché soltanto ipotizzare una sua candidatura di bandiera (quella del Tricolore) confina il resto della compagnia nell'album Panini di campionati mediocri. Infatti si preferisce sussurrare a mezza bocca che 91 anni sono quelli che sono. Scansando l'imbarazzante dettaglio che il virgulto Berlusconi (dappertutto paginate per la sua campagna acquisti) va per gli 86. Per fortuna abbiamo Enrico Letta convinto che Salvini e Meloni fingano di candidarlo per prenderlo in giro. Fossimo nel segretario del Partito democratico, sull'argomento useremmo un minimo di prudenza, considerato il numero e la stazza di ex leader della sinistra di cui il presunto rincoglionito conserva le teste impagliate nel suo casino di caccia».
Ecco un passo del lungo commento di Maurizio Belpietro sulla Verità.
«La ghigliottina della legge Zan impone almeno un paio di riflessioni. La prima è la più evidente ed è che sui temi etici, sulle norme che riguardano la famiglia, l'educazione sessuale, il rispetto dei diritti delle persone, ma anche la libertà di opinione non si scherza e non si va avanti a colpi di mano e di maggioranza. La sinistra, se avesse voluto, avrebbe potuto trovare un punto di mediazione, che tutelasse chi è effettivamente discriminato, ma non prestasse il fianco alla propaganda pro gender. A scuola non si fa educazione sessuale, non si capisce dunque perché si debba fare quella omosessuale, bisessuale, transessuale e così via. Bastava un po' di buon senso e tutti, eterosessuali e non, sarebbero stati protetti dalle aggressioni e dalle offese. Ma i pasdaran Lgbtqia+ hanno preferito sventolare le loro bandiere multicolori, manco si trattasse del gay pride.L'altra considerazione riguarda la guida del maggior partito della sinistra. Ebbro di un risultato elettorale che lo ha visto vincente perché la metà degli italiani non è andata a votare, Letta si è creduto un politico sopraffino e ha voluto fare le prove generali di una sua futura ascesa a Palazzo Chigi. Ma così come ha affossato la legge Zan, il Nipotissimo ha affossato anche le sue ambizioni. Per conto nostro, è stato come prendere due piccioni con una fava».
Per Norma Rangeri sul Manifesto non è mai il Parlamento a portare avanti i diritti. Il Paese reale è più moderno e civile del Palazzo.
«Ormai la storia patria ci ha insegnato che per affermare i diritti della persona non è dal Parlamento che dobbiamo aspettarci le risposte già mature nella società. Così è stato per la storica battaglia sul divorzio e per quella altrettanto importante sull'aborto, così potrebbe essere domani sull'eutanasia e sulla cannabis. Ogni volta che si ponevano in discussione domande di senso sulla vita, il Paese reale testimoniava di essere più moderno e civile della politica che presumeva di rappresentarlo. Facendo emergere nelle battaglie di libertà e di autodeterminazione, l'arretratezza, l'ipocrisia, la lontananza del Parlamento dal Paese. Se anziché i deputati e i senatori, fossimo stati chiamati noi cittadini a votare sulla legge del senatore Alessandro Zan, contro la barbarie di aizzare l'odio verso le persone omosessuali o transessuali, è sicuro che avremmo avuto una risposta di condanna senza se e senza ma. Invece, dopo anni di dibattiti, dopo l'approvazione in un ramo del parlamento, giunti all'ultimo miglio, nell'aula del senato, è stata affossata grazie a un incomprensibile voto segreto (perché concesso su questioni procedurali). La maggioranza dei senatori della Repubblica ha bocciato il proseguimento dell'iter parlamentare rinviando, per chissà quanti anni, l'approvazione di una legge giusta e soprattutto importante per l'incolumità, ancora prima che per il benessere, di tutte le persone che ogni giorno anziché goderne devono soffrire per la loro identità sessuale. Il Vaticano, le nostre destre, tra le più retrive del panorama europeo, che, se solo potessero, cancellerebbero la legge sull'aborto, e chi nel voto segreto si è unito a loro per ragioni di piccolo cabotaggio, hanno dimostrato di rappresentare lo zoccolo duro della retroguardia culturale. La scena da stadio con cui le destre hanno accolto il responso della votazione ne restituiva la più genuina rappresentazione. Per un momento sembrava di essere in uno di quei talk-show da combattimento dove importante non è informare ma coltivare ignoranza e pregiudizio».
Alessandro Sallusti per Libero:
«Una tranvata, quella presa da Letta e da Conte, che lascerà il segno, annunciata quanto stupida. Annunciata perché era chiaro che tra i senatori dei due partiti, Pd e Cinque Stelle, non proprio tutti erano d'accordo sull'intero contenuto della legge Zan contro l'omofobia e nel voto segreto lo hanno certificato. Stupida perché ampiamente evitabile se solo le sinistre avessero accettato di modificare alcuni articoli della legge che mettevano a rischio la libertà di opinione e indirizzavano verso un pensiero unico di Stato non solo sui temi dell'omosessualità. Niente di grave: i diritti dei gay e dei trans e il loro onore non vengono per nulla sviliti in quanto già ben tutelati da numerosi articoli del codice penale. In compenso, con la bocciatura di ieri, ogni famiglia potrà educare i figli come meglio crede e nessuno potrà essere portato in tribunale per le sue idee in materia di sessualità odi etica».
PENSIONI, QUOTA 102 PER UN ANNO
Ieri cabina di regia, oggi nuovo incontro coi sindacati e poi Consiglio dei Ministri. Ci sarebbe un accordo per la riforma delle pensioni su quota 102 ancora per un anno e poi via alla riforma. Tommaso Ciriaco e Valentina Conte per Repubblica.
«Sceglie la strada del compromesso: Quota 102 per il solo 2022, con l'uscita a 64 anni con 38 di contributi, poi l'impegno per ragionare da gennaio con le parti sociali di una riforma organica delle pensioni dal 2023. Aprendo un tavolo per rivedere la legge Fornero, garantendo più flessibilità. E per rendere strutturali, anziché rinnovate di anno in anno, sia l'Ape Sociale allargata a più mansioni gravose che Opzione Donna. Mario Draghi sceglie la strada della mediazione, dopo le proteste dei partiti e la minaccia di sciopero dei sindacati. Lega soddisfatta: «Nessun ritorno alla Fornero con Quota 102 e ci sarà un fondo da 500 milioni per accompagnare alcune categorie all'uscita anticipata dal mondo del lavoro con le regole di Quota 100». Il premier e il ministro dell'Economia Daniele Franco confermano l'entità della legge di bilancio che oggi arriva in Consiglio dei ministri: 23,4 miliardi. In mattinata, prima del Cdm, Draghi potrebbe convocare i sindacati per illustrarla. A partire dalla volontà di concordare con le parti sociali - sindacati e imprese - il maxi-emendamento finale dell'esecutivo a chiusura dell'iter parlamentare della manovra: lì ci sarà la ripartizione degli 8 miliardi, ora affidati a un fondo, per tagliare le tasse sul lavoro. Tra le novità illustrate ieri in cabina di regia spicca la stretta sul Reddito di cittadinanza, non solo sui controlli ex ante anziché ex post. L'assegno calerebbe molto presto, dopo 4-6 mesi - al pari di quanto accade con la Naspi, il sussidio di disoccupazione - ma solo per gli occupabili, quanti cioè possono lavorare, escludendo disabili, minori, anziani. E sarebbe revocato al secondo rifiuto di una proposta di lavoro, anche a tempo, anziché al terzo. Misure severe che il M5S si «riserva di valutare», avrebbe detto il capodelegazione Stefano Patuanelli. Anche perché il Movimento è costretto pure ad ammainare un'altra bandiera con la cancellazione definitiva del cashback. Anche se ottiene la proroga del Superbonus al 110% per le villette, ma solo fino a giugno 2022 e con un tetto Isee. Mentre il bonus facciate, caro al ministro Franceschini, ha un altro anno di proroga, ma scende dal 90 al 60%. Draghi risolve dunque il nodo pensioni con la mediazione e allo stesso tempo conferma il senso del suo mandato, che si alimenta della necessità di decidere. Evitando di inserire nella legge soluzioni biennali o triennali, limita la portata dell'intervento e allontana di qualche mese ogni resa dei conti sulla Fornero. Nel mezzo, infatti, ci sarà l'elezione per il Colle, da cui dipenderà anche il destino della legislatura e dell'esecutivo. Durante la cabina di regia diventa chiaro che il premier vuole chiudere senza troppi traumi. Il Pd, con Andrea Orlando, gli chiede di non abbandonare su pensioni e fisco «la strada del dialogo con le parti sociali ». I dem avevano mollato la Cgil sulla posizione radicale dello sciopero, ma si spendono per evitare un'imbarazzante frattura tra esecutivo e confederali. Anche Giancarlo Giorgetti dà il via libera della Lega a una soluzione limitata al 2022. Ciò che conta, però, è il segnale ai sindacati. Il governo li sfida a ragionare da gennaio di una riforma più ampia. Non è detto che alla Cgil e alla Uil basti. Ma potrebbe invece accontentare la Cisl. Non che l'obiettivo del premier sia rompere l'unità sindacale. Semmai, portare a casa la legge di bilancio senza strappi. Davanti ai suoi ministri, Draghi difende l'impianto della manovra. E certo non rinnega la tecnica negoziale ruvida messa in campo con Cgil, Cisl e Uil. Lo si capisce dalle parole spese ieri durante l'incontro con i sindacati internazionali del Labour 20, in vista del G20. «La tutela dei più deboli ci unisce. Dobbiamo fare in modo che innovazione e produttività vadano di pari passo con equità e coesione». Pausa, affondo: «E farlo pensando non solo ai lavoratori di oggi, ma anche a quelli di domani».
GREEN PASS FASULLI, TRUFFA EUROPEA
In Europa sarebbero state “rubate” le chiavi informatiche per creare Qr code e Green pass falsi. Tutti i certificati generati sono stati annullati da Bruxelles, mentre sul dark web sono stati trovati documenti funzionanti intestati ad Adolf Hitler. La cronaca di Enza Cusmai per Il Giornale.
«Pass fasulli ma perfettamente riconoscibili nella fase dei controlli. È l'ultima frontiera della frode informatica che fa tremare i polsi alle autorità sanitarie di tutta Europa. Sono state infatti trafugate da enti polacchi e francesi alcune chiavi di criptazione perfettamente riconoscibili dalle app VerificaC19 per controllare la validità del certificato verde e con quelle sarebbero stati pubblicati e diffusi in rete programmi per creare certificati falsi. Il furto non coinvolge per il momento l'Italia. Dai primi accertamenti effettuati non risultano attacchi informatici alla Sogei, la società di Information technology del ministero dell'Economia che fornisce i codici per generare i certificati verdi. E, in ogni caso, le chiavi polacche e francesi sottratte sono state annullate, di conseguenza sono stati invalidati tutti i green pass generati con quei codici. La vicenda tuttavia non finisce qui. Questo furto ha fatto scattare un allarme internazionale tanto che tutti i tecnici europei interessati alla questione si sono confrontati per capire l'entità del danno. Non si esclude, infatti, che questi codici di accesso siano stati già acquistati sul dark web anche da organizzazioni criminali italiane. In queste ore il Cnaipic, della polizia postale sta scandagliando il dark web e chat Telegram dove questi codici potrebbero essere stati messi in vendita. Un business da capogiro, in corso di quantificazione, che potrebbe aver generato pass fasulli ma riconoscibili. L'ultimo attacco al certificato verde, nasce da una discussione su Raidforums, uno dei siti più seguiti del dark web, dove un utente chiede a un venditore polacco di creare un green pass europeo intestato provocatoriamente ad Adolf Hitler. Risultato? Con 300 euro ha ottenuto un certificato perfettamente funzionante, come confermato dallo stesso «cliente». Questi fake da qualche ora girano anche su alcuni gruppi di Telegram e i Qr code sono validi sulle app di verifica, in Italia e in Europa. Sono almeno due quelli circolanti, entrambi intestati ad Adolf Hitler, ma con date di nascita differenti: una indica il primo gennaio 1900 e l'altra il 1930. Quando i Qr code vengono inquadrati dalle apposite app, sul display appare la spunta verde e la frase «certificazione valida in tutta Europa», Italia compresa, il che consentirebbe l'accesso ai luoghi di lavoro e di aggregazione se il verificatore non si accorgesse del fatto che siano intestati al dittatore nazista. Ranieri Razzante, tra i maggiori esperti di sicurezza e terrorismo e Consigliere per la cybersecurity del Sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, parla di una matrice politico-eversiva «che inquadra questo attacco in un disegno più vasto di contrasto ideologico alle misure contro il Covid». Poi l'accenno al mercato nero. «Qui si tratta di persone che magari hanno pagato degli esperti per hackerare il programma per la creazione dei green pass, che andranno verosimilmente poi a finire sul dark web». Sembra l'ultima frontiera legata al movimento No Pass che non accenna a desistere dalla battaglia contro vaccini e regole di convivenza civile. In aggiunta, anche tra i 2,7 milioni di lavoratori che rifiutano la siringa, ci sono «mele marce» che cercano di aggirare l'ostacolo a spese della collettività. In particolare non convincono quei 400mila esenti dal possesso del certificato verde per ragioni di salute. Troppi per il Codacons, che ha fatto un esposto a 104 procure in tutta Italia in cui si chiede di aprire indagini sull'escalation di certificati per malattia presentati dai lavoratori dal 15 ottobre a oggi. Ma senza attendere le lungaggini delle visite fiscali, alcune aziende cominciano a rivolgersi ad agenzie investigative private per verificare la posizione di dipendenti assenti. E la stessa Federazione dei medici denuncia le pressioni e le minacce subite da centinaia di persone che si presentano negli studi con i rispettivi legali pretendendo esenzioni non dovute».
Il commissario Figliuolo insiste perché si arrivi al 90 per cento degli italiani vaccinati over 12. Stamattina siamo all’86 per cento. È un miraggio? Francesco Rigatelli per La Stampa.
«È lo «zoccolo duro» a tormentare il generale Figliuolo. Per il commissario all'emergenza resta poco più del 10 per cento di italiani over 12 da raggiungere entro Natale tramite spinta di Green Pass, medici di famiglia, farmacisti e accoppiamento con il vaccino antinfluenzale: «Stiamo riscoprendo la normalità grazie all'effetto di una campagna vaccinale senza precedenti, che ha portato in pochi mesi a proteggere oltre 46,5 milioni di italiani, l'86 per cento della popolazione over 12. Questi dati fanno sì che l'Italia si posizioni ben sopra la media europea, davanti a Paesi come Francia, Germania e Regno Unito. La campagna sta continuando, il nostro obiettivo è sfondare la quota dell'86 per cento e andare al 90». Intanto i dati di ieri risultano in aumento rispetto a lunedì: 4.598 positivi contro 4.054. Sono 50 le vittime, due più del giorno prima; 468.104 i tamponi molecolari e antigenici effettuati nelle ultime 24 ore con un tasso di positività dell'1 per cento, in aumento rispetto allo 0,6 di lunedì. Stabili i 341 pazienti ricoverati in terapia intensiva. I ricoverati nei reparti ordinari invece sono 2.615, 11 in più rispetto al giorno prima. Mentre resta da decidere se il milione e mezzo di italiani immunizzati con il monodose Johnson&Johnson dovrà ricevere un richiamo a mRna (oggi riunione dell'Aifa), continua la somministrazione della terza dose con oltre 1,2 milioni di iniezioni fatte, circa un terzo della platea di anziani e fragili a cui per ora è dedicata. E ieri in Vaticano l'ha avuta anche Papa Francesco. Per il resto della popolazione il sottosegretario alla Salute Andrea Costa chiarisce che «si valuterà in base ai dati, così come non è esclusa l'ipotesi di obbligo vaccinale. È stato già messo per alcune categorie e si vedrà nelle prossime settimane se introdurlo per altre fasce ancora. Intanto dobbiamo dire grazie agli oltre 46 milioni di cittadini che si sono vaccinati». E per il ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi «dopo gli 80enni potrebbero essere gli insegnanti ad avere la priorità assoluta per la terza dose». A proposito di scuola, arriva la fotografia della Fondazione Gimbe per cui non ci sarebbe stato il temuto effetto riapertura sia grazie alla vaccinazione di insegnanti e studenti sia per la campagna generale. «Le evidenze scientifiche - spiega il presidente Nino Cartabellotta - da un lato dimostrano che non esiste il rischio zero di contagio, dall'altro suggeriscono che è possibile minimizzarlo tramite un approccio multifattoriale integrando differenti interventi di prevenzione individuale e ambientale». Il report di Gimbe ricorda che nel periodo 4-17 ottobre sono stati diagnosticati nella fascia d'età 0-19 anni 8.857 casi, di cui 99 ospedalizzati, 3 ricoverati in terapia intensiva e nessun decesso, con una progressiva riduzione nell'ultimo mese. Al 25 ottobre il 67,2 per cento dei 12-19enni ha completato il ciclo vaccinale e il 5,5 ha fatto la prima dose. Riguardo al personale scolastico, il 91,2 per cento ha completato il ciclo vaccinale e il 3 ha ricevuto la prima dose di vaccino con uno zoccolo duro di inconvincibili finora del 6. Un problema invernale potrebbe rivelarsi infine l'influenza. Per Fabrizio Pregliasco, virologo della Statale di Milano, «è sottovalutata, ma può fare dai 6 mila ai 10 mila morti, confondersi con il Covid nelle diagnosi e sommarsi ai disagi ospedalieri provocati dalla variante Delta. Per questo è auspicabile che tutti facciano anche il vaccino antinfluenzale».
5 STELLE, INCONTRO CON DRAGHI?
Conte incontra gli eletti del Movimento. E c’è l'idea di un faccia a faccia col premier. Emanuele Buzzi per il Corriere.
«Giuseppe Conte scende in campo per provare a tenere a freno le tensioni interne ai gruppi parlamentari. Il presidente del Movimento ha assistito nelle ultime 28 ore a una escalation e ha deciso di intervenire, iniziando un confronto serrato (tematico) con gli eletti delle diverse commissioni. Il leader ha intenzione di lavorare a un'agenda per i prossimi mesi. Conte - che è in contatto telefonico con Mario Draghi - sta accarezzando anche l'idea di tornare a Palazzo Chigi per prospettare al premier le priorità del Movimento. Al tempo stesso gli incontri con i parlamentari segnano la volontà del leader M5S di trovare un'intesa, un punto di equilibrio con deputati e senatori che finora è mancato. Il pranzo con Enrico Letta di lunedì ha dato il la a lamentele anche pubbliche, come quella di Sergio Battelli al Foglio . C'è chi chiede lo stop ai caminetti. «Sul nome del prossimo presidente della Repubblica ci deve essere ampia discussione interna. E non possiamo escludere nemmeno un passaggio in Rete», ha detto Conte all'Adnkronos. Ma le tensioni nel gruppo sono continuate a montare. Lo spettro per i parlamentari è che il presidente dei Cinque Stelle non sia contrario a un ritorno anticipato alle urne. «Credo che dobbiamo smetterla di fare giochetti, anche perché c'è chi sta guardando al Quirinale per creare un'altra crisi politica, e invece noi non dobbiamo assolutamente pensare a una crisi», ha detto intervenendo sulla questione Luigi Di Maio a Porta a Porta. Il ministro frena sull'idea di un bis ad interim a Sergio Mattarella: «Non esiste un presidente a scadenza». E sul rapporto con Conte parla di «lealtà». I fedelissimi dell'ex premier provano a scacciare l'ipotesi di un voto anticipato che porterebbe molti colleghi a perdere lo scranno in Parlamento. «Conte non ha intenzione di andare al voto nel 2022», ribadiscono con forza. Sanno anche loro, ne sono consapevoli, che il leader e il gruppo parlamentare sono ancora distanti. «Ci vuole tempo, non sono processi immediati», sottolineano. Per vedere il M5S contiano - assicurano - «ci vorrà qualche mese». Intanto, però, i temi della politica vanno avanti. La vicepresidente in pectore Paola Taverna sta lavorando per orchestrare le scelte del Movimento per le elezioni delle Province (un tempo viste come il fumo negli occhi dai Cinque Stelle). Una novità doppia: non solo il nuovo corso contiano appoggia la mossa di partecipare alla scelta dei presidenti, ma soprattutto Taverna sta utilizzando ancora la vecchia rete dei facilitatori locali - in teoria «dismessa» dopo le Amministrative - come una sorte di pool di segreterie regionali. Un incontro tra la vicepresidente e i facilitatori è in agenda a breve: servirà per definire le strategie».
IL CENTRODESTRA A VILLA GRANDE
Nuova riunione stamattina del centro destra, ristretta ai partiti che sostengono la maggioranza. Il punto del Quotidiano Nazionale:
«Il cosiddetto «centrodestra di governo» oggi a conclave da Silvio Berlusconi, di rientro a Roma. Un vertice allargato. Presenti non solo i leader di Lega e Forza Italia, ma anche i sei ministri e i capigruppo, per fare il punto sull'attività di governo e nuove forme di organizzazione interna, con la proposta della Lega di istituire un coordinamento dei ministri. Ipotesi che non convince la squadra azzurra, disponibile alla collaborazione ma non a omologarsi. L'appuntamento è a pranzo, attorno alle 13, a Villa Grande, dove si parlerà anche dell'elezione del successore di Sergio Mattarella, anche se formalmente, si punta a prender tempo. Il primo a schermirsi è proprio il segretario leghista: «Chi ho in testa per il Colle? Ho in testa - dice Matteo Salvini al Salone della Giustizia - che se ne parlerà a febbraio: sino ad allora non faccio il toto-Quirinale. Non voglio dibattere di fanta-ipotesi. Donna o uomo? Non importa, voglio un presidente di livello». È noto che al centrodestra, se fosse tutto unito in Parlamento riunito in seduta comune, mancherebbe poche decine di voti per far eleggere il Cavaliere. Tuttavia, non tutti la mettono così facile».
BIDEN ARRIVA A ROMA PER IL G20
Il presidente Usa Joe Biden arriva oggi a Roma. Domani andrà in Vaticano e poi sono previsti gli incontri con Mattarella e il premier Draghi. Paolo Mastrolilli per la Stampa
«Quando oggi Biden atterrerà a Roma, avrà in tasca gli strumenti per guidare il G20 e la Cop26 verso il successo? In altre parole, il Congresso approverà i due "pacchetti infrastrutture" da circa 3 trilioni di dollari in totale, con cui affrontare l'emergenza clima, il Covid, e sostenere la ripresa globale davanti alle resistenze di Cina e Russia? Cosa chiederà all'Italia per aiutarlo, e cosa potrà offrirci in cambio? Il capo della Casa Bianca parte stamattina, ma potrebbe ritardare, se la presenza a Washington fosse necessaria per sbloccare il negoziato con i membri del suo stesso partito. Domani poi ha in programma l'incontro con papa Francesco, la visita dal presidente Mattarella, e il bilaterale col premier Draghi. Parlando con i giornalisti, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha detto che gli obiettivi fondamentali sono tre: «Primo, piena benedizione dei leader per la global minimum tax; secondo, allineamento del G20 sulle questioni finanziarie relative al clima, ed eliminazione delle parentesi su alcuni temi della dichiarazione; terzo, cosa fare per prepararci e prevenire la prossima pandemia». Sullivan poi ha aggiunto che si discuterà la crisi della catena delle forniture, allo scopo di definire un piano per garantire la trasparenza necessaria ad individuare e togliere i tappi che paralizzano la "supply chain". Si discuteranno i prezzi dell'energia, magari col principe saudita MBS, per calmierarli e frenare l'inflazione. Si parlerà del programma nucleare iraniano, perché il tempo per rilanciare l'accordo Jcpoa sta scadendo a causa dell'offensiva di Teheran nell'arricchimento, nonostante il negoziatore Ali Bagheri abbia segnalato l'intenzione di tornare al tavolo di Vienna entro fine novembre. Poco Afghanistan, perché c'è già stato il G20 virtuale. Il secondo presidente cattolico Usa si aspetta grande sintonia col Papa su temi come clima, migrazioni e disuguaglianze economiche, ma spera di evitare la disputa sull'aborto, che ha spinto alcuni vescovi americani a chiedere di negargli la comunione. Peccato poi per l'assenza fisica di Xi, con cui entro fine anno ci sarà un vertice virtuale, e di Putin, che dimostrano come i regimi autocratici sfidano o snobbano sempre più quelli democratici. Perciò Sullivan ha sottolineato il rilancio dell'alleanza con l'Europa, e venerdì ci sarà il faccia a faccia con Macron per superare la crisi dei sottomarini, e discutere l'autonomia del Continente nella difesa. L'Italia può dare molto aiuto e riceverne. Come prima cosa, Washington ha bisogno che Roma sia sempre più ferma nel rigettare le lusinghe di Pechino e Mosca. Poi possiamo fare da sponda su tutte le questioni centrali, perché gli altri alleati europei come Germania, Francia e Gran Bretagna sono distratti da questioni interne. Sulla sicurezza del Mediterraneo, le migrazioni, la Libia, la minaccia terroristica da Medio Oriente e Africa settentrionale, l'Italia ha la capacità di svolgere un ruolo centrale e alleviare quello degli Usa. Resta però un problema centrale di credibilità sugli strumenti che Biden avrà in mano per esercitare la leadership, ossia i soldi. Dopo i tagli imposti dai senatori democratici moderati Manchin e Sinema, il secondo pacchetto infrastrutture si è ridotto a 1,75 trilioni, di cui almeno 500 milioni per l'ambiente. Non c'è ancora accordo su come pagarli, però, perché l'aumento della pressione fiscale sulle corporation è stato bocciato, mentre la tassa del 25% da imporre ai circa 700 americani miliardari o che guadagnano più di 100 milioni all'anno è in bilico. Biden poi deve individuare un piano B per mantenere la promessa di ridurre le emissioni del 50 o 52% entro il 2030, perché proprio Manchin ha messo il veto sul programma per l'elettricità pulita prodotta da fonti rinnovabili, allo scopo di proteggere la produzione di carbone nella sua West Virginia. Insomma la politica interna, come spesso accade, tiene in ostaggio e minaccia di far deragliare quella internazionale».
LA CORTE UE PUNISCE LA POLONIA
La Commissione disciplinare dei giudici è stato lo strumento con cui il potere politico polacco ha controllato la magistratura. La Corte di Giustizia europea ha adesso pesantemente sanzionato il Paese per non averla ancora abolita. Tonia Mastrobuoni per Repubblica.
«Un milione di euro al giorno: è la multa inflitta dalla Corte di Giustizia europea alla Polonia per non aver ancora abolito la Commissione disciplinare dei giudici; una sorta di Inquisizione che fa capo alla Corte suprema, è controllata dal governo e ha il potere di cacciare i togati. «L'osservanza delle misure cautelari disposte il 14 luglio 2021 è necessaria al fine di evitare un danno grave e irreparabile all'ordinamento giuridico dell'Unione europea e ai valori sui quali tale Unione si fonda, in particolare quello dello Stato di diritto», si legge in una nota della Corte Ue. Immediata la reazione del viceministro della Giustizia polacco, Sebastian Kaleta, che ha tuonato su Twitter contro una decisione che «ignora la costituzione polacca e le sue sentenze». E ha aggiunto che «si tratta dell'ultimo capitolo di un'operazione mirata a separare l'influenza della Polonia dal proprio sistema statale». Per Kaleta, insomma, si tratterebbe di un "ricatto". A luglio i giudici del Lussemburgo avevano già deciso che la Commissione disciplinare fosse contraria ai Trattati europei e avevano chiesto a Varsavia di eliminare i poteri dell'"Inquisizione" sull'immunità, la posizione e il pensionamento dei togati. Il governo Morawiecki aveva promesso di cancellare la Commissione che in questi ultimi anni ha sistematicamente rimosso i giudici scomodi per sostituirli con colleghi vicini al governo. Ma finora la promessa è rimasta lettera morta. A settembre, dunque, è stata la Commissione europea a chiedere che l'Alta Corte sanzionasse Varsavia. Dopo la sentenza di oggi, la Polonia sarà costretta a pagare un milione al giorno finché non abolirà la Commissione. La scorsa settimana la disputa tra la Polonia e la Ue aveva raggiunto anche il Consiglio europeo, dove alcuni leader di peso come la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron avevano però invitato tutti ad abbassare i toni, dopo che il primo ministro Mark Rutte aveva portato il caso Varsavia all'attenzione dei colleghi. Successivamente, però, era stato il premier Tadeusz Morawiecki a tornare sulle barricate, parlando del rischio di una "Terza guerra mondiale" nella disputa tra Varsavia e la Ue. Era stato poi costretto a fare marcia indietro e a puntualizzare che si trattava di un'"iperbole". Ma la tensione resta alle stelle. Tuttavia è chiaro, come spiega una fonte comunitaria, che in questa fase i capi di Stato e di governo preferiscono che siano le istituzioni comunitarie a muoversi per raddrizzare le palesi lesioni dello stato di diritto in Polonia, soprattutto per le fratture politiche che inevitabilmente si creano a Bruxelles su questo nodo. L'articolo 7 che toglierebbe il diritto di voto a Varsavia al Consiglio europeo, è ad esempio un'"atomica" inapplicabile per il meccanismo di voto all'unanimità, e l'Ungheria ma anche la Slovenia hanno segnalato in questa fase l'indisponibilità a usare il pugno di ferro con il governo Morawiecki. Anche sulla grave sentenza recente della Corte costituzionale polacca (già interamente controllata dal partito di governo "Diritto e Giustizia") che boccia alcune parti dei Trattati europei e reclama la primazia della legge polacca su quella comunitaria, saranno le istituzioni europee a esprimere un giudizio definitivo. Nel frattempo i governi dei maggiori Paesi tentano di buttare acqua sul fuoco per non inasprire ulteriormente un clima già incandescente per altre questioni dirimenti come il muro anti- migranti o il pacchetto sul clima o la discussione sul Patto di stabilità».
NUOVA BASE MILITARE CINESE IN TAGIKISTAN
I cinesi costruiranno una base militare in Tagikistan, a ridosso dell’Afghanistan. L'annuncio è arrivato dal Parlamento di Dushanbe. Lorenzo Lamperti sul Manifesto.
«Da una parte Quad, Aukus e sottomarini nucleari. Dall'altra esercitazioni con la Russia nei pressi del Giappone, missili ipersonici e basi militari. Il botta e risposta tra Usa e Cina prosegue e dalla sfera commerciale si è da tempo allargata a quella strategica. L'ultimo episodio è la prossima costruzione di una base cinese in Tagikistan: sarebbe la seconda all'estero dopo quella di Gibuti. La notizia, data da Radio Ozodi e ripresa da Rfe/Rl, non arriva inattesa. La presenza militare di Pechino in avamposti non ufficiali nei paesi dell'Asia centrale è nota da tempo. Ma è significativo che ora si sia deciso di procedere all'annuncio, giunto direttamente dal parlamento di Dushanbe. Oltre ad aggiungere un tassello alla competizione con Washington, l'accelerazione arriva dopo la presa di potere dei talebani in Afghanistan e i seguenti timori di recrudescenze terroristiche. Al netto delle futuribili opportunità commerciali, la prima preoccupazione di Pechino è quella della messa in sicurezza dei confini e degli asset nella regione. Necessità comune alle repubbliche ex sovietiche, che non a caso la Cina coinvolge attivamente nei dialoghi coi talebani. La nuova base costerà 10 milioni di dollari e sorgerà nel Gorno-Badakhshan, regione teatro di una guerra civile negli anni '90 e confinante col corridoio del Wakhan, lingua di terra che collega Afghanistan e Xinjiang. Durante un incontro col ministro della Difesa Wei Fenghe, il presidente Emomali Rahmon avrebbe anche offerto a Pechino di prendere senza costi il pieno controllo di una seconda base che, nonostante le smentite, sarebbe già in piena condivisione da tempo. In cambio, Dushanbe chiederebbe il sostegno cinese al rafforzamento delle altre postazioni militari presenti lungo il confine. Il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, come in altri casi, viene riempito dalla Cina. Ma stavolta, prima di capire se possono sorgere opportunità Pechino sta innanzitutto provando a evitare problemi. Senza comunque tirarsi indietro dal mandare segnali al rivale».
SANT’ANTONIO CONTRO BOLSONARO
Jair Bolsonaro, presidente brasiliano, sotto accusa per "crimini contro l'umanità" per via della gestione del Covid, sarà in Italia per il G20 e riceverà la cittadinanza onoraria del comune di Anguillara Veneta. Ma la diocesi di Padova è in “forte imbarazzo”. Alberto Mattioli per La Stampa.
«La Diocesi di Padova contro Jair Bolsonaro. Sembra uno scontro improbabile, ma è tutto vero. A monsignor Claudio Cipolla, centotrentaquattresimo successore di San Prosdocimo, non è andata giù la concessione della cittadinanza onoraria al Presidente del Brasile da parte del Comune di Anguillara Veneta, già oggetto di furibonde polemiche "laiche". Lo stile è felpato, ma il contenuto inequivocabile: l'onorificenza «ci ha creato forte imbarazzo», recita il comunicato della Diocesi, ricordando «i vescovi del Brasile che proprio in questi giorni stanno denunciando a gran voce violenze, soprusi, strumentalizzazioni della religione, devastazioni ambientali e "l'aggravarsi di una grave crisi sanitaria, economica, etica, sociale e politica, intensificata dalla pandemia"». Dunque, vade retro Bolsonaro. Il quale sarà a Roma nel prossimo fine settimana per il G20 e poi conta di spostarsi in Veneto. Lo ha raccontato al Mattino di Padova Luis Roberto Lorenzato, deputato leghista in quota italiani all'estero, brasiliano e molto amico del Presidente. Lunedì prossimo Bolsonaro dovrebbe appalesarsi ad Anguillara, 4 mila abitanti nella bassa padovana, dove il 12 aprile 1878 nacque Vittorio Bolsonaro, emigrato in Brasile a dieci anni, uno dei sedici trisnonni di Jair dei quali tredici italiani, due tedeschi e un brasiliano. «Bolsonaro ci troverà sicuramente la nebbia», chiosa un collega locale. E anche molte polemiche. La sindaca di Anguillara, Alessandra Buoso, apartitica ma alla testa di una giunta a trazione leghista, gli ha conferito la cittadinanza onoraria, violentemente contestata in paese e in regione. Lei si difende spiegando che vuole onorare il Brasile e l'epopea degli emigranti veneti. Ma già si annunciano manifestazioni e contestazioni. Bolsonaro vorrebbe accoppiare alla visita al paese degli avi quella alla basilica di Sant' Antonio di cui si dice devoto. Ma anche a Padova è persona non troppo grata. La diocesi ha preso ufficialmente la posizione che si è vista; i frati della basilica dicono ufficiosamente che non ci sarà ad accoglierlo alcuna delegazione, insomma Bolsonaro farà le sue devozioni da fedele semplice. E il sindaco del capoluogo, Sergio Giordani, centrosinistra, fa sapere che non ha in programma un incontro e che lunedì la sua agenda è già piena. Insomma, malvenuto signor Presidente. Certo che Bolsonaro, ribattezzato Bolsonero per le sue posizioni molto a destra, non ha scelto il momento migliore per la sua tournée italiana. Proprio ieri, una commissione del Senato brasiliano ha approvato un rapporto di mille e duecento pagine che chiede di incriminarlo per nove crimini, compresi quelli contro l'umanità. Nel mirino, la sua scriteriata gestione della pandemia, che in Brasile ha già fatto 600 mila morti. Secondo il relatore della commissione, il senatore Renan Calheiros, Bolsonaro è "un serial killer". Facebook e YouTube hanno già rimosso d'autorità un video nel quale il Presidente farneticava di una correlazione fra il Covid e l'Aids. Roba da far perdere la pazienza anche a sant' Antonio».
Leggi qui tutti gli articoli di giovedì 28 ottobre:
https://www.dropbox.com/s/tpmw79p61177qzq/Articoli%20la%20Versione%2028%20ottobre.pdf?dl=0
Per chi vuole, ci vediamo poi dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera. Con un’intervista da non perdere.
Se ti hanno girato questa Versione per posta elettronica, clicca qui per iscriverti, digitando la tua email e la riceverai tutte le mattine nella tua casella.