La Versione di Banfi

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Decisione a tavolo

alessandrobanfi.substack.com

Decisione a tavolo

Polemica sul limite di 4 posti al ristorante. Oggi riunione tecnica. Mattarella vola alto sul 2 giugno. La Ue ci tiene d'occhio su stop ai licenziamenti e spesa. Casaleggio resiste. Orrore in Tigrai

Alessandro Banfi
Jun 3, 2021
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Decisione a tavolo

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La discussione si è spostata al tavolo. Nel senso che l’ultima discussione riguarda la possibilità dei ristoratori di mettere a sedere non più di quattro ospiti allo stesso tavolo. Oggi se ne discuterà in un’apposita riunione tecnica. Che non si teme di chiamare “tavolo”. Intanto la campagna vaccinale che doveva partire da oggi per tutte le fasce d’età va in ordine sparso, a seconda della regione. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 381 mila 742 vaccinazioni. Speriamo sia solo il rallentamento da festa della Repubblica. A Bologna caos e code infinite per un Open Day di Jhonson & Johnson organizzato dalla Regione senza prenotazione: si sono presentati in ottomila per 1.200 dosi. Episodio che dovrebbe insegnare qualcosa: soprattutto fra i giovani c’è una grande domanda di vaccinazione per mettere in sicuro le vacanze estive.

Sergio Mattarella, come si dice, ha volato alto nel suo (ultimo?) tradizionale discorso del 2 giugno. Non ha dato appigli ai gossip politici sulla sua successione e neanche alla rissa tra partiti. Ha indicato i valori e il valore della nostra Costituzione repubblicana. Intanto nei partiti non si discute solo di posti a tavola, ma anche di giustizia. A giudicare dagli interventi di Violante (su Repubblica) e di Davigo (sul Fatto) ci sono molte distanze fra le diverse posizioni sulla necessaria riforma. Nella dura disputa sui 5 Stelle Davide Casaleggio tiene duro e non molla ancora l’elenco degli iscritti, mentre Conte minaccia.

Dall’estero la buona notizia è il nuovo Governo d’Israele, che contiene molte novità e che vede l’assenza di Netanyahu dopo 12 anni di permanenza al potere. Le cattive notizie vengono dall’Egitto, Zaki resta in carcere un altro mese e mezzo. Mentre dal Tigrai giungono dettagli orribili delle violenze e degli eccidi in corso. Vediamo i titoli.  

LE PRIME PAGINE

La riunione tecnica sui posti a tavola e altri dettagli sulle riaperture spinge Il Corriere della Sera a privilegiare l’argomento in apertura: Regole per l’estate, si tratta. Il Quotidiano nazionale cita Garinei e Giovannini: Governo, aggiungi un posto a tavola. Mentre Repubblica sottolinea la “spallata” di Figliuolo che riguarda le ultime generazioni: Vaccini, la sfida dei giovani. Stessa scelta del Mattino: Vaccini a 12 anni: si parte. «Terza dose dopo 6 mesi». Il Manifesto commenta, giocando sul cognome del generale: Bravi figliuoli. Molti quotidiani si occupano di economia. La Stampa mette in primo piano i nuovi suggerimenti di Bruxelles: La Ue: no al blocco dei licenziamenti. Il Messaggero ricorda l’altro tema del monito europeo: «Stop al patto di stabilità». Ma pesa il debito italiano. Il Sole 24 Ore fa i conti in tasca all’evasione: Multe e tasse non pagate per l’87%. In 21 anni arretrato a 930 miliardi. A proposito di fisco, Il Giornale torna sull’intervista di ieri a Mr. B: C’è il piano anti tasse. Via al pressing su Draghi. Di Berlusconi si occupa anche Il Domani, giornale del grande nemico De Benedetti: Dal Bunga Bunga ai processi. Berlusconi secondo Silvio. Il Fatto vede un contrasto di Draghi con i Governatori: Ora anche le Regioni rivogliono il malloppo. La Verità tematizza ancora la scarcerazione di Brusca: Altri sei boss pronti a uscire di cella. Libero avverte: Follia: tra un mese sparisce la plastica. Mentre Avvenire celebra ancora il 2 giugno e il valore delle parole di Mattarella: Una Storia da fare.

TAVOLO TECNICO SUI POSTI A TAVOLA. CODE AGLI OPEN DAY

Sembra una filastrocca per bambini: sulla tavola si riunisce oggi un tavolo tecnico. In quanti si può stare seduti al ristorante (al chiuso)? Quattro e non più quattro. È l’ultimo contrasto sul tema riaperture in zona gialla/bianca. Monica Guerzoni sul Corriere.

«“Ma di che parliamo?”. Volato in Gran Bretagna per il G7 dei ministri della Salute, Roberto Speranza è al lavoro su temi chiave come vaccini e green pass e sembra non sentire gli echi della polemica sul numero di avventori che possono accomodarsi a tavola nei ristoranti italiani. Una querelle che, oltre a generare confusione e fastidio tra i cittadini e gli operatori economici, imbarazza e divide il governo, tanto che il ministro di Leu prova a prendere distanza: «Non è una questione centrale, farne un caso sarebbe una follia». Ai collaboratori e agli esponenti di maggioranza che lo chiamano in vista della riunione tecnica di oggi, il ministro della Salute ricorda che solo da due giorni (l'1 giugno) è scattata la riapertura dei locali al coperto e che non sarebbe prudente tornare «subito» ad apparecchiare tavolate: «Le norme sono quelle che tutti conoscono, le supereremo gradualmente...»(…) Se per Speranza è folle farne un caso, per Massimiliano Fedriga è folle imporre il limite di 4 persone anche in zona bianca, e anche la ministra Gelmini ritiene sbagliato applicare alla fascia bianca le restrizioni delle regioni in giallo. Così la vedono Matteo Salvini, Matteo Renzi, i governatori guidati da Fedriga e anche tanti esponenti del Partito democratico. Eppure, per quanto il fronte aperturista sia convinto di essere in sintonia con Palazzo Chigi, Speranza non si sente isolato né accerchiato e, nelle telefonate tra Londra e Roma, sdrammatizza: «Ma di cosa parliamo? Le norme sono quelle che tutti conoscono, non ne abbiamo fatte di nuove». Avanti così, dunque. Almeno fino a quando, magari nelle prossime ore, il governo aggiusterà il tiro e deciderà di liberalizzare i tavoli dei ristoranti nei territori dove il rischio di contagio è più basso. E dunque all'aperto in zona bianca liberi tutti, al chiuso invece si andrà avanti ancora per qualche tempo con il limite di 4 avventori per tavolo. Questa la mediazione che Speranza sarebbe pronto ad accettare. E c'è un altro pasticcio che il tavolo tecnico dovrà affrontare oggi, quello dei matrimoni. Dopo il balletto su green pass sì o no, adesso il nodo sono i controlli: chi verifica se gli invitati hanno in tasca il certificato di immunità? Per il Garante della privacy solo le forze dell'ordine possono farlo, ma vigilare su tutte le feste è praticamente impossibile». 

La Verità che ieri aveva titolato in apertura sui 4 posti a tavola, rimasti obbligatori dall’ultimo DPCM, resta in prima linea nella polemica. Carlo Tarallo:

«Oggi un tavolo tecnico, convocato appositamente per discutere di questa incredibile restrizione, dovrebbe sciogliere il nodo, consentendo ai cittadini di poter sedersi a tavola anche in più di quattro persone, salvando la stagione turistica ed evitando di soffocare i piccoli segnali di ripresa di un settore trainante dell'economia, quello della ristorazione e della filiera agroalimentare: un esercito di imprese con relativi dipendenti, tra le quali 70.000 industrie alimentari e 740.000 aziende agricole impegnate a garantire le forniture, per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro. «I posti a tavola al ristorante», dice il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, a Un giorno da pecora su Rai Radio 1, «nelle zone bianche? Il limite, per maggior sicurezza, è ancora fissato a quattro. Spero che venga presto rivisto perché chiaramente è molto restrittivo. Se sono più d'accordo con Speranza o con Gelmini? Io», risponde Sileri, «sono tra quelli che era per l'aumento dei posti a tavola, aumenterei i posti a 8-10. E dai primi di luglio liberalizzerei perché avremo oltre 30 milioni di persone con almeno una dose di vaccino». «Dobbiamo dare assolutamente», incalza l'altro sottosegretario, Andrea Costa, «delle prospettive ai cittadini e bisogna considerare in maniera diversa le zona gialle da quelle bianche. Almeno per i ristoranti all'aperto in zona bianca», aggiunge Costa, «si arrivi a togliere il vincolo del limite massimo di quattro persone al tavolo: sarebbe un primo segnale di distensione. Per i locali al chiuso credo si possa anche prevedere una restrizione iniziale, ci può stare purché sia graduale».

Alessandro Farruggia per il Quotidiano Nazionale fa invece il punto sulla “spallata” nella campagna vaccinale di giugno. Declinando le opportunità, regione per regione.

«Inizia oggi la «spallata» al Covid, come la chiama il generale Figliuolo: vaccinazioni senza limiti. È l'attesa campagna senza più fasce preferenziali, che a giugno potrà contare sulla massa di manovra di 20 milioni di dosi. Dopo il via libera del commissario straordinario («Si dà facoltà alle Regioni e alle Province di consentire la somministrazione a tutte le età vaccinabili a partire dal prossimo 3 giugno» ha scritto il 29 maggio ai governatori), si fa sul serio e da oggi, ha annunciato il ministro Roberto Speranza, «tutti potranno prenotare il vaccino anti Covid». Magari. Le Regioni e le Province autonome hanno infatti deciso regole molto diverse, anche in anticipo rispetto al 3 giugno o, spesso, in ritardo. E il rischio caos è sempre in agguato. In Lombardia dalle 23 di ieri tutti i cittadini appartenenti alla fascia 12-29 possono prenotare sul portale delle Poste la propria vaccinazione (quelli di fascia di età più alta già potevano farlo). In Emilia-Romagna si parte invece il 7 giugno con la fascia dai 12 ai 19 anni (con Pfizer) poi dal 9 al 10 giugno toccherà ai 35-39enni; l'11, 12 e 13 giugno alla fascia 30-34; 14 e 15 giugno toccherà a chi ha tra 25 e 29 anni e dal 16 al 18 giugno sarà la volta dei 20-24 anni: entro il 18 giugno tutti gli emiliano-romagnoli tra i 12 e 39 anni dovrebbero avere una prenotazione. In Toscana, dopo l'apertura delle vaccinazioni per maturandi, promessi sposi e degli over 26, oggi toccherà alle classi 1986 e '87, domani a quelle 1988 e '89, il 5 giugno sarà la volta dei nati nel 1990 e 1991 e dal 7 giugno scatterà l'ora degli over 16. Nella regione è poi attiva la possibilità di usufruire dei vaccini last minute: tutte le sere, dalle 19 alle 23:59, si può prenotare (e farsi iniettare nelle 24 ore successive) i vaccini disponibili e non utilizzati negli hub. In Veneto si parte invece oggi con le prenotazioni per le persone di età compresa tra i 12 e i 39 anni. Senza altre distinzioni. In Piemonte sono state avviate ieri le vaccinazioni per gli over 30, oggi scatteranno quelle per gli over 18. Sempre oggi partiranno le vaccinazioni in 700 aziende (con complessivi 100mila lavoratori). In Friuli-Venezia Giulia da oggi agende aperte per tutti dai 12 ai 39 anni. Nella provincia di Trento si va avanti con le fasce di età e oggi potranno prenotare solo i 45-49enni. In Alto Adige da oggi si possono prenotare i 16-18enni. In Val d'Aosta oggi si prenota dagli over 16 in su. In Liguria il via libera per tutte le fasce di età over 12 scatterà invece lunedì 7 giugno. Nelle Marche la regione ha aperto da giorni gli slot per gli over 40 e da domenica 30 maggio a tutti gli over 16 con comorbilità. In Umbria - regione in deciso ritardo - le prenotazioni sono state aperte dal 28 maggio ai 30-39enni e dal 31 maggio ai 16-29enni, ma per adesso, da oggi, si vaccinano i cinquantenni. Nel Lazio, impegnato nell'open week dei maturandi, per ora rimangono le prenotazioni per fasce di età. Attualmente si possono prenotare i 40-43 anni: in settimana toccherà ai 36-39enni. In Abruzzo dalle 14 di oggi tutti i cittadini che abbiano compiuto 16 anni potranno prenotarsi. In Campania le vaccinazioni per tutti gli over 12 sono già aperte dalle 22 di ieri. In Molise da oggi via libera i 30-30enni, da sabato ai 20-29enni. Da oggi la Puglia apre le prenotazioni agli under 40, ma solo nella fascia compresa tra 39 e 35 anni. Prenotazioni al via da oggi per gli ultradodicenni anche in Basilicata, dove però attualmente si stanno vaccinando cinquantenni e sessantenni. In Calabria dalle 16 di oggi potranno accedere alla prenotazione tutte le persone a partire dai 12 anni di età e fino ai 39 anni. In Sicilia partono oggi invece le prenotazioni per le vaccinazioni anti Covid per chi ha tra 16 e 39 anni. In Sardegna la platea dei soggetti vaccinabili nell'isola si amplia con l'inclusione dei cittadini nella fascia d'età 16-39 anni. Regione che vai, regola che trovi».

Ieri a Bologna si sono presentati all’alba in otto mila a Bologna nella speranza di ricevere la monodose di J&J. Ma alla fine c’erano disponibili solo 1.200 vaccini.

«Coprifuoco violato, distanze azzerate, risse e malori: così si sono aperti in Emilia-Romagna gli Open Day vaccinali. A Bologna, per le 1.200 dosi di vaccino Janssen (Johnson & Johnson) messe a disposizione dall'Ausl per l'occasione, si sono presentate ottomila persone. Per essere vaccinati era sufficiente la tessera sanitaria e non era prevista alcuna prenotazione. E così, come accadeva in tempi pre-Covid per assicurarsi le prime file di un concerto allo Stadio Dall'Ara, dal giorno prima (in questo caso prima che scattasse l'ora del coprifuoco) centinaia di bolognesi hanno cominciato a dirigersi verso l'hub vaccinale della Fiera per trascorrervi la notte e conquistare l'ambita iniezione. Chi con una seggiolina, chi con caffè e biscotti, chi con un barattolo di Nutella: in centinaia hanno atteso l'alba tra piazza Costituzione e via Stalingrado. Si è trattato soprattutto di giovanissimi, desiderosi di potersi immunizzare con un'unica dose e vivere l'estate con maggiore serenità. Un vaccinando volonteroso aveva addirittura provveduto a creare una lista con nome e ordine d'arrivo, per evitare permali e screzi. Ma con l'avvicinarsi dell'ora x, fissata dall'azienda sanitaria alle 8, e l'afflusso massiccio di altre migliaia di persone, la situazione è diventata ingestibile. Le distanze sono saltate del tutto e sono venute meno anche pazienza e buone maniere. Alle 6 del mattino il numero di pretendenti alle dosi di Johnson & Johnson aveva già ampiamente superato i 1.200 destinatari delle dosi preparate. E intorno alle 8, quando le porte dell'hub si sono aperte, la situazione è degenerata con urla, spintoni, gomitate, strattoni. C'è chi si è sentito male e chi a quel punto ha desistito. Nessuno dell'organizzazione si è visto e le forze dell'ordine sono arrivate dopo le 8. E sempre nessuno ha voluto validare quell'ordine d'arrivo scritto a penna durante il coprifuoco. La coda virtuale si è cancellata. Al suo posto: un assembramento in piena regola. Per ripristinare una fila, con cordoni e direttive, è servito tempo. In mattinata la macchina organizzativa ha sterzato e imboccato la strada giusta. La Croce rossa ha cominciato a distribuire acqua a chi attendeva il proprio turno in fila. Chi si è sentito male è stato assistito dal personale medico. Nel frattempo all'interno dell'hub sono state inoculate dosi di vaccino fino alle 19, arrivando a circa 3mila iniezioni. L'Ausl ha infatti deciso di intervenire in corsa quasi triplicando le dosi. Ma sono state comunque insufficienti per soddisfare il serpentone di gente in fila da ore in una coda che è arrivata a toccare i due chilometri. Nessuno ha puntato il dito contro l'impegno dei sanitari, ma la gestione della folla è stata tardiva. E la scelta di non prevedere prenotazioni per evitare l'assalto alla diligenza è stata duramente criticata. Nel corso di una conferenza stampa organizzata al volo, ieri il direttore generale dell'Ausl bolognese Paolo Bordon ha cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno lodando «la straordinaria partecipazione: c'è molta gente che vuole vaccinarsi e per noi è una gran buona notizia». In tarda mattinata sono arrivate però le scuse del sindaco di Bologna Virginio Merola: «L'Ausl ha lavorato in buona fede per dare un servizio in più: ha sottovalutato la capacità di aggregazione che hanno queste iniziative, rimedierà. Mi scuso io per i disagi». Nel pomeriggio sono arrivate anche le scuse dell'assessore regionale alla Sanità Raffaele Donini con la promessa di «condividere già dai prossimi Open Day con le Asl interessate modalità organizzative di più facile gestione per tutti e meno disagevoli per i cittadini: siamo dispiaciuti e ci scusiamo dei disguidi e dei disagi». Intanto l'opposizione, attraverso il senatore Enrico Aimi, coordinatore regionale di Forza Italia Emilia-Romagna, ha promesso di far finire il caso «sul tavolo del ministro Speranza».

UN 2 GIUGNO CELEBRATO NEL NOME DELLA FIDUCIA

Sergio Mattarella ha pronunciato un discorso importante per i 75 anni della Repubblica. Lasciando delusi, secondo Ugo Magri su La Stampa, coloro che si attendevano spunti per la corsa al Quirinale:

«Con grande scorno degli appassionati di dietrologia, che sono rimasti delusi, Sergio Mattarella è volato parecchio al di sopra delle vicende politiche contingenti sulle quali non ha ritenuto di spendere una sola parola delle quasi tremila pronunciate ieri sera al Quirinale, nel settantacinquesimo anniversario della scelta repubblicana. Nessun riferimento al governo Draghi, alla campagna vaccinale che il generale Figliuolo dovrà condurre in porto, alle trattative con l'Europa per il Recovery Fund e al vasto, impegnativo programma di riforme cui resta - ahinoi - subordinato il mega-finanziamento Ue. Idem per quanto riguarda le polemiche tra i partiti, non sempre allineati con gli sforzi dell'esecutivo che dovrebbero sostenere e in qualche caso meritevoli di una bella tirata d'orecchi: pure in questo caso il presidente si è astenuto da richiami, prediche, ramanzine e appelli. Magari la tentazione era forte, però Mattarella l'ha ben dominata. (…) Mattarella si rivolge a noi cittadini ricordando ciò che eravamo e quel che siamo diventati nei 75 anni trascorsi dal 2 giugno 1946. Offre la rappresentazione di uno sforzo collettivo, corale, grazie al quale l'Italia liberata dal Fascismo ha saputo risorgere dalle sue macerie e trasformarsi con la fatica e con il sudore in una delle più grandi, tese democrazie dell'Occidente. Nel suo discorso elenca uno per uno tutti i valori autenticamente repubblicani, racchiusi nella Costituzione, che sono alla radice di questa straordinaria crescita: libertà, democrazia, lavoro, legalità, solidarietà, difesa della pace e della vita. E poi l'uguaglianza, dedicando un'attenzione speciale alle donne che sono ancora ben lontane dall'avere conquistato la vera parità. Con un registro volutamente alto Mattarella prende di mira i disfattisti, quelli che negano i passi avanti, che remano contro, che non vogliono fidarsi delle nostre potenzialità. «Il Paese non è fermo», garantisce con l'orgoglio di chi guida un popolo in marcia e da sei anni ne interpreta lo spirito comunitario. Esorta a guardare avanti, ad affrontare con coraggio le sfide nuove, a respingere le chiusure nel presente per progettare insieme il futuro. Di questo futuro, con orgoglio, il presidente si rende a suo modo garante. E con un discorso che gira intenzionalmente alla larga dalle bassezze della politica, Mattarella indica i termini di raffronto, pianta i paletti morali, fissa lo standard etico minimo cui nemmeno il suo successore (chiunque sia) potrà sottrarsi».

SPESA E BLOCCO LICENZIAMENTI, BRUXELLES CI TIENE D’OCCHIO

Economia italiana sempre sotto osservazione a Bruxelles. In un documento europeo diffuso ieri vengono criticati il blocco dei licenziamenti e il rischio di aumentare la spesa corrente. Marco Bresolin per la Stampa:

«Secondo la Commissione europea, il blocco dei licenziamenti è «superfluo». La valutazione emerge dal documento, pubblicato ieri, che offre un'analisi approfondita della situazione economica italiana. La misura, scrivono i tecnici di Bruxelles, «tende a influenzare la composizione, ma non la portata dell'aggiustamento del mercato del lavoro». Ancor più esplicita la frase successiva: «Un confronto con l'evoluzione del mercato del lavoro in altri Stati membri che non hanno introdotto tale misura suggerisce che il blocco dei licenziamenti non è stato particolarmente efficace e si è rivelato superfluo in considerazione dell'ampio ricorso a sistemi di mantenimento del posto di lavoro». La Commissione boccia il provvedimento anche perché «avvantaggia i lavoratori a tempo indeterminato a scapito di quelli a tempo determinato». Per questo «più a lungo è in vigore e più rischia di essere controproducente perché ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali». Più in generale, il messaggio mandato ieri dalla Commissione con le raccomandazioni contenute nel "pacchetto di primavera" del semestre europeo dice che l'Italia deve iniziare a tagliare la spesa corrente, mantenere quella per gli investimenti e sfruttare al meglio i fondi del Recovery per spingere la crescita. In sintesi: da qui al 2022 è necessario tornare a politiche «prudenti» per prepararsi al 2023, quando è previsto il ritorno del Patto di Stabilità. A fine anno inizierà la discussione sulla revisione del Patto, ma non sarà una passeggiata. Il commissario all'Economia Paolo Gentiloni e il vicepresidente Valdis Dombrovskis, pur usando toni e accenti diversi tra di loro, hanno fornito chiare indicazioni sulle politiche di bilancio. E cioè che è certamente necessario continuare con il sostegno pubblico all'economia per garantire un'uscita dalla crisi senza intoppi, ma il 2022 sarà l'anno della "differenziazione": chi può spendere avrà l'obbligo di farlo, ma chi ha un debito pubblico troppo elevato (e l'Italia è tra questi Paesi) dovrà muoversi all'interno di quel sentiero stretto che impone di tenere in considerazione il risanamento dei conti pubblici».

GIUSTIZIA, LA RIFORMA PIÙ DIFFICILE

Sulla strada del governo Draghi uno degli ostacoli (e non solo perché i 5 Stelle saranno “intransigenti”) è l’inevitabile riforma del processo. Luciano Violante interviene su Repubblica:

«Gli imprenditori e coloro che operano nella pubblica amministrazione, vivono con l’angoscia di un processo le cui regole, di natura autoritaria, sono ancora oggi orientate al sospetto che dietro ogni cittadino possa nascondersi un criminale e all’idea che l’imputato sia colpevole sino a sentenza definitiva di assoluzione. In coerenza con questo pregiudizio, le regole sono costruite in modo tale da posporre al massimo la decisione favorevole all’imputato, come dimostrano le regole sulla prescrizione. Nel frattempo, sin dalle prime indagini, scaturiscono aggressioni mediatiche, discredito sociale, blocco della carriera, problemi con le banche, sospensione dalla partecipazione a gare pubbliche. Alla fine, dopo anni, se si sarà assolti, come il sindaco di Lodi, il danno non verrà recuperato. La Commissione istituita dalla ministra Cartabia propone di rivedere complessivamente la materia seguendo i principi propri di un Paese civile: a) la notizia di reato può essere iscritta nell’apposito registro solo se contiene “specifici elementi indizianti” e non “meri sospetti”; b) la semplice iscrizione nel registro non determina effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo; c) l’azione penale va esercitata solo quando gli elementi raccolti siano tali da poter ragionevolmente condurre alla condanna dell’imputato; d) il pubblico ministero deve chiedere l’archiviazione quando gli elementi acquisiti non risultino tali da determinare la condanna; e) il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando emerga che gli elementi acquisiti non siano tali determinare la condanna in giudizio».

Anche Pier Camillo Davigo, dalle colonne del Fatto, interviene su alcuni possibili punti della riforma. Qui riportiamo la posizione sul rito abbreviato.

«La relazione della Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, del ministero della Giustizia ha individuato alcuni punti essenziali della crisi della giustizia penale. (…) Nella proposta della Commissione permane il giudizio abbreviato, cioè la possibilità per l'imputato di chiedere di essere giudicato allo stato degli atti ottenendo una riduzione di pena di un terzo (o fino a un terzo in ipotesi di abbreviato condizionato a richiesta di integrazione probatoria) e con l'ulteriore riduzione di pena di un sesto in caso di mancata proposizione dell'appello. Il giudizio abbreviato in realtà non assicura un effettivo risparmio di attività processuali perché frequentemente accade che in un processo con molti imputati una parte di loro chieda il giudizio abbreviato e altri vengano giudicati con rito ordinario. Sarebbe opportuno abolire il giudizio abbreviato ed estendere il patteggiamento a qualsiasi reato senza limiti di pena. Per far ciò sarebbe però necessario introdurre, quale condizione per il patteggiamento, la dichiarazione dell'imputato di essere colpevole. Attualmente vi è, nel Codice di procedura penale, la stravaganza che un imputato possa patteggiare pur negando di essere colpevole. Evidentemente i legislatori si sono dimenticati che mentre il diritto dell'imputato al silenzio è da lui rinunciabile, la libertà personale è diritto indisponibile (altrimenti uno potrebbe vendersi come schiavo). Perciò devono poter patteggiare solo i colpevoli e non gli innocenti. La dichiarazione di colpevolezza (prevista negli ordinamenti da cui l'istituto del patteggiamento è stato copiato) trasformerebbe la attuale sentenza di applicazione di pena in una sentenza di condanna, semplificando gli effetti della stessa nei giudizi civili e disciplinari. In definitiva potrebbe contribuire a far diventare la giustizia penale una cosa seria. Se si mantiene invece la strada intrapresa le cure proposte saranno solo palliative».

Sul Csm e i guai della giustizia domani ci sarà un incontro fra i partiti della maggioranza e Marta Cartabia. Con che posizione andrà il Pd? Conchita Sannino per Repubblica.

 «Riforma Csm, il Pd spinge dopo il terremoto del caso Palamara e le recenti pagine non meno devastanti sulle fughe di notizie e la presunta loggia Ungheria. «L'immagine uscita dalle scandalose notizie sulle vicende del Consiglio, è uno stimolo in più per fare le riforme a partire da quella del Csm», aveva avvertito Enrico Letta. «Autonomia e trasparenza sono lese dalla degenerazione del correntismo: non certo dal pluralismo delle idee», ribadisce con Repubblica la deputata (anche avvocatessa), Aanna Rossomando responsabile giustizia del Pd, alla vigilia dell'incontro fissato per domani tra la ministra Marta Cartabia e i capigruppo di maggioranza. Ma basteranno le consultazioni del mid-term, come già le chiamano in Csm? «Nessuna modifica da sola abolisce distorsioni: ma il fatto che il plenum non sia eletto contestualmente è utile, e tra l'altro si può fare a Costituzione invariata». Stop anche alle nomine "a pacchetto": le decisioni sugli incarichi dovranno seguire un rigoroso ordine cronologico per evitare il mercato del "metodo Palamara", utile a molti. Ma Rossomando difende anche l'introduzione della valutazione sul lavoro dei pm: una sorta di "pagella" su inchieste e insuccessi della pubblica accusa. Linea analoga, ma più dura sul punto, emergerà anche dagli emendamenti annunciati da Enrico Costa, di Azione (con modifica sulla responsabilità civile e fine delle porte girevoli tra magistrati e politica). Ma come funzionerebbe, invece, per il Pd? «Noi non parliamo di pagelle - sottolinea Rossomando proponiamo, tra i diversi elementi di valutazione sulla professionalità, quello della verifica delle smentite processuali delle ipotesi accusatorie. Naturalmente parliamo di casi macroscopici, utilizzando criteri che evitino di scoraggiare le inchieste "difficili": penso a quelle sui grandi gruppi criminali, sui reati finanziari, a inchieste storiche sulle malattie professionali, schedature Fiat o caso Abu Omar». Un'impostazione che rivela uno sguardo più severo, forse uno strappo? «Nessuno strappo, diciamo da sempre che non è auspicabile avere tante richieste di rinvio a giudizio che poi non reggono al dibattimento - riprende la deputata - Per questo poniamo l'accento su come si scrivono le norme incriminatorie. Ma il luogo privilegiato è il processo: infatti c'è l'emendamento che prevede una regola di giudizio per il pm: si può chiedere il procedimento se c'è una ragionevole certezza di ottenere una condanna». Altro freno riguarderebbe la stagione della perdita di autorevolezza (vedi i giudici che spiegano i loro provvedimenti in tv prima che con gli atti). E quindi: «Basta ai troppi riflettori ». Ma come? Per Rossomando, «la spettacolarizzazione delle inchieste è un vulnus alla presunzione di non colpevolezza. Quindi stop a conferenze stampa spettacolari, sì a sobri comunicati stampa. Il diritto all'informazione è sacrosanto perché la democrazia liberale esige informazione. Purtroppo oggi il vero processo rischia di celebrarsi fuori dai tribunali».

LO SFRUTTAMENTO NON PUNITO

C’è poi la giustizia applicata, che non è costituita solo da casi clamorosi, su cui i giornali accendono i riflettori. Oggi Avvenire racconta una storia incredibile di sfruttamento a Mondragone, provincia di Caserta. Il pezzo è di Antonio Maria Mira, titolo Schiavi per un euro all’ora:

«L'imprenditore di Mondragone arrestato la scorsa settimana per sfruttamento dei braccianti immigrati, era andato circa un anno fa alla Caritas di Caserta per reclutare lavoratori. Assicurava un contratto regolare per 6 mesi. In 49 avevano accettato. Ma hanno lavorato solo per 3 giorni, pagati 1 euro e 28 l'ora. E senza alcuna protezione anti Covid. Così Gianluca Castaldi, responsabile dell'Area immigrazione della Caritas diocesana, ha presentato un esposto alla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Ci racconta questa incredibile vicenda e dopo l'arresto dell'imprenditore chiede che «a questi lavoratori sia concesso il permesso di soggiorno per sfruttamento lavorativo, come prevede l'articolo 22 del testo unico sull'immigrazione. Ne hanno diritto. Oltretutto hanno collaborato alla nostra denuncia. Li consiglierò di costituirsi parte civile e noi seguiremo per tutti la parte legale». Ma torniamo indietro al giugno 2020, quando l'imprenditore manda una donna a Caserta per contattare la Caritas. «Non mi sembrava vero, parlava di contratto. Sembravano seri. Gli uomini li fanno lavorare nelle serre, le donne nell'impacchettamento. Così li ho aiutati a trovare lavoratori. E ho anche organizzato l'autobus per portare i ragazzi in azienda». Ma emerge ben altro, come illustrato nell'esposto. «Ho raccontato tutto quello che era successo. E ho capito che lo conoscevano bene». Infatti l'inchiesta che ha poi portato all'arresto era cominciata già nel 2017. Ma leggiamo qualche importante passaggio dell'esposto. Nel primo incontro con la dipendente dell'azienda «viene specificato che inizialmente le ore lavorative sono 10 al giorno, in quanto l'azienda è in ritardo con la raccolta per via del lockdown, ma che successivamente col tempo le ore si sarebbero normalizzate». Paga concordata tra 4,70 e 5,70 euro l'ora. E ancora che «'tutti i lavoratori avrebbero fatto una settimana di prova, comunque pagata secondo quanto pattuito, a cui sarebbe seguita l'assunzione con un primo contratto di 6 mesi, con garantita possibilità di rinnovo». Ma la verità è un'altra. «Una volta presso le serre, ai braccianti vengono spiegate, da un certo 'Mohammed', condizioni di pagamento totalmente differenti, facendo un calcolo a cottimo, calcolato in base al numero di cassette o cassoni». Modalità vietate. Così uno degli immigrati chiama Castaldi che contatta a sua volta la dipendente dell'azienda. Questa «controbatte che i ragazzi non si devono lamentare, che non devono fare i 'sobillatori', e che se hanno voglia di lavorare il lavoro c'è, se no è inutile perdere tempo». Però conferma la paga pattuita. Castaldi quindi rassicura i ragazzi che riprendono a lavorare. Ma in serata la donna torna a chiamare Castaldi, dicendo che «non sono rimasti soddisfatti dell'atteggiamento di alcuni dei braccianti» e che essendo la raccolta dei fagiolini terminata, il giorno dopo deve venire meno della metà dei ragazzi. Ma il giorno dopo quando Castaldi va a prendere i braccianti la donna gli dice che «non c'è più bisogno» dei lavoratori ma solo delle 4 donne. Poco dopo arriva il titolare dell'azienda che gli spiega «che ha fatto i calcoli e gli deve dare i soldi» per i braccianti: 500 euro per il primo giorno (10 euro per 50 cassoni) per 39 braccianti e per il secondo 47 euro per ciascuno dei 18 lavoratori. Castaldi gli replica che «lui non è un caporale e quindi i soldi vanno dati direttamente ai lavoratori», che i ragazzi erano 22 e non 18, e che alla fine prenderebbero 1,28 l'ora. L'imprenditore «si fa vedere infastidito e replica che non deve provare a 'fregarlo'». Colloquio che si chiude».

5 STELLE, CASALEGGIO NON MOLLA

La politica italiana è soprattutto concentrata sul duro scontro nei 5 Stelle. Dopo la decisione del Garante, Davide Casaleggio non vuole arrendersi e chiede altro tempo. Luca De Carolis sul Fatto.

«L'Erede non vuole arrendersi. Non ha neppure risposto al M5S che gli ha inviato messaggi in serie. Piuttosto, ha chiesto al Garante della privacy altro tempo, per resistere: anche se l'Autorità martedì ha stabilito che i dati degli iscritti, il "tesoro" che ha in pancia la piattaforma Rousseau, vanno consegnati al Movimento "entro cinque giorni". Ma Davide Casaleggio non vuole saperne di cedere quegli elenchi, essenziali per votare Giuseppe Conte come nuovo capo e avviare la rifondazione dei 5Stelle, con un nuovo Statuto e una Carta dei valori. Lo ha ribadito ieri, come raccontato da Open, chiedendo per lettera al Garante di chiarire quale sia il rappresentante legale del M5S - cioè colui a cui vanno consegnati i dati - perché insiste nel non riconoscere come tale il reggente dei 5Stelle, Vito Crimi. Soprattutto, Casaleggio ha chiesto un termine più lungo, di 30 giorni, entro cui consegnare gli elenchi. Una provocazione per il Movimento e Crimi, che nelle scorse ore gli avevano scritto chiedendo un appuntamento per venerdì a Milano, la città dove ha sede l'associazione Rousseau, per andare a ritirare materialmente i dati assieme a un perito forense. Ma il patron di Rousseau, dicono i 5Stelle, ha ignorato i messaggi. E ha scritto al Garante. Improbabile però che l'Autorità chiarisca chi sia il rappresentante legale del M5S. Secondo fonti qualificate, "quello è un compito che spetta eventualmente a un tribunale civile". Il Garante nella sua decisione si è limitato a scrivere che i dati vanno consegnati al Movimento, "nelle forme e secondo le modalità indicate dallo stesso". Così il principale nodo adesso è l'eventuale concessione dei 30 giorni a Rousseau. Per Conte, bisognoso di partire con il suo nuovo corso, sarebbe una sventura. Per questo nel M5S c'è ancora chi invoca un accordo con Milano: vicino lo scorso fine settimana, con Casaleggio che pareva pronto ad accettare 250mila euro - invece dei 450mila euro che pretende da mesi per i mancati versamenti - in cambio dei dati e della chiusura di ogni pendenza. Ma adesso? Fonti del M5S sostengono: "Per mesi abbiamo assicurato a Davide che eravamo pronti a farci carico dei mancati pagamenti, ma ogni volta è stata alzata la posta". Ergo, l'intesa era e resta lontana, innanzitutto per la rigidità di Conte. "Se Casaleggio non consegna i dati entro il termine può incorrere in sanzioni penali e in una multa pesantissima" ricordano da Roma. Però restano altri ostacoli. Non ultimo, quello del simbolo del Movimento. Per dirla come un big dei 5Stelle, il simbolo "è per un terzo di Beppe Grillo, per un altro terzo di Luigi Di Maio e per la parte restante di Casaleggio". E non è un dettaglio».

Il Foglio svela l’intenzione di Conte di fare la guerra a Draghi: il piano prevede di andare all’opposizione del “governo horror” (copyright Di Battista) appena inizi il semestre bianco.

«Con la cerchia ristretta dei suoi fedelissimi, la preoccupazione Luigi Di Maio l'ha condivisa giorni fa, quando l'esito della tornata di nomine era stato, per il M5s, assai deludente. "Ma perché Giuseppe non parla con Draghi? Non capisce che se non apre un dialogo con lui, noi non otterremo nulla?". Domanda che è finita presto per alimentare un sospetto, in verità: perché è talmente banale, la constatazione del ministro degli Esteri, che subito tutti hanno pensato che non da un difetto di intelligenza sia dettato questo risentimento di Conte per il suo successore, ma da un eccesso di malizia. Che del resto ci sia del metodo, in questa apparente insensatezza di atteggiamenti, se n'è accorto Alfonso Bonafede, che pure dell’ex premier è confidente privilegiato. Perché forse l'apostasia garantista di Di Maio è arrivata inaspettata per molti, nel M5s, ma il post con cui Conte ha ribadito il verbo dell'intransigenza ha avuto l'effetto di chiamare in causa proprio lui, l'ex Guardasigilli, rattrappito in questa scomoda posizione di chi deve difendere la riforma che porta il suo nome da una maggioranza che, dal Pd alla Lega, marcia compatta verso il suo smantellamento. Aveva pensato di agevolare un incontro tra Marta Cartabia e lo stesso Conte, Bonafede: questo d'altronde gli suggerivano parecchi dei suoi colleghi deputati. E invece la convinzione che in tanti hanno maturato, fuori e dentro la commissione Giustizia di Montecitorio, è che al fu avvocato del popolo non dispiacerebbe affatto un inasprimento dello scontro, per ora ancora preliminare, sul mantenimento della prescrizione. L'altro epicentro del malcontento contiano, poi, è l'ambiente. E' sui temi legati all'ecologia che chi parla ogni giorno con l'ex premier prevede di poter "picconare Draghi". Una guerriglia combattuta in nome dell'ortodossia, insomma, e che non a caso mira a ricomporre anche la frattura tra Conte e quell'ala scissionista che si riconosce nell'oltranzismo sciamannato di Dibba, pure lui da coinvolgere nel nuovo progetto del giurista di Volturara. Il quale, in sostanza, vuole fomentare un'escalation di tensione col governo, e con Draghi nella fattispecie, per poter arrivare alla rottura a inizio agosto, all'inaugurazione del semestre bianco. (…) All'opposizione, dunque? Di certo, se la mossa s' ha da fare, va attuata prima della tornata di amministrative di ottobre: quella che, nella prevedibile disfatta del M5s, potrebbe segnare l'esordio sfortunato di Conte come leader, e concedere a Di Maio una facile arma di critica nei confronti del premier».

NUOVO GOVERNO A GERUSALEMME, SENZA BIBI

Nuovo governo a Gerusalemme senza Bibi Netanyahu, l’accordo è arrivato in extremis. Davide Frattini sul Corriere:

«La «coalizione del cambiamento» è arrivata al limite dei nervi e del tempo a disposizione di Yair Lapid prima di poter annunciare l'intesa che può - manca ancora la fiducia in parlamento la settimana prossima - interrompere i 12 anni al potere di Benjamin Netanyahu. Il meccanismo della rotazione - Naftali Bennett diventa capo del governo per primo, dopo tocca a Lapid che per ora è ministro degli Esteri - si è infiltrato dentro le minuzie dei negoziati e nel pomeriggio l'ostacolo più grande era rappresentato da chi dovesse avere un posto nella commissione Giustizia tra Merav Michaeli, leader laburista, e Ayelet Shaked, numero due nel partito dei coloni guidato da Bennett. Crisi risolta con una mini rotazione. Altro ritardo. Mansour Abbas è a capo di una formazione islamista e ha potuto confermare il suo sì solo dopo aver ottenuto il via libera dal consiglio religioso, dovrebbe ottenere l'incarico di viceministro degli Interni ed è la prima volta che gli arabi israeliani partecipano al governo dal 1977. L'alleanza riunisce pezzi molto diversi, per ora è tenuta insieme dalla volontà di mandare a casa Netanyahu e di evitare le quinte elezioni nel giro di due anni e mezzo. L'intesa prevede che le questioni più ideologiche come le trattative con i palestinesi siano lasciate da parte per concentrarsi sui problemi interni, dall'economia alla necessità di ritrovare l'unità dopo gli scontri delle scorse settimane tra arabi ed ebrei e gli anni di incitamento contro la sinistra. Anche ieri un gruppo di sostenitori del Likud ha protestato davanti al palazzo dove i capi dei partiti stavano finalizzando l'accordo: i fedelissimi di Netanyahu, sotto processo per corruzione, considerano un golpe il cambio al vertice. Senza scossoni è invece proceduta l'elezione di Isaac Herzog a undicesimo presidente israeliano: ha ottenuto al primo turno 87 preferenze e la carica ricoperta dal padre Chaim tra il 1983 e il 1993. Laburista, in politica dal 1999 come consigliere di Ehud Barak, 60 anni, è considerato parte dell'aristocrazia israeliana: porta il nome del nonno che è stato rabbino capo d'Irlanda e alla guida degli ebrei ashkenaziti nella Palestina sotto il mandato britannico e poi nello Stato d'Israele dalla fondazione fino al 1959.». 

ZAKI RESTA IN CARCERE, ORRORE IN TIGRAI

Ennesima decisione beffa del tribunale egiziano, che per la diciassettesima volta ha prolungato, questa volta di un mese e mezzo, l’ingiusta detenzione di Zaki. Letizia Tortello per La Stampa:

«Patrick Zaki c'era, all'udienza di martedì. Ma non ha assistito di persona alla sentenza arrivata ieri e che lui si aspettava, ormai sfiduciato e profondamente provato, dopo 481 giorni di carcere a Tora, uno dei peggiori d'Egitto: dovrà restare in cella per altri 45 giorni, così hanno deciso i giudici del Cairo. Ancora un rinvio, è il diciassettesimo. Prima di 15 giorni in 15 giorni, per i primi cinque mesi, ora di un mese e mezzo alla volta. Il governo di Al Sisi non lo libera, di solito perché è necessario «un supplemento di indagini», ma stavolta i magistrati non hanno dato motivazioni. E a dimostrazione di come, al momento, l'Egitto non voglia dare il minimo segnale all'Italia di lasciarlo andare c'è il fatto che, in Aula martedì non sono stati ammessi né la sorella, né la mamma, e neppure l'avvocatessa Hoda Nasrallah o i rappresentanti delle ambasciate europee che controllano lo svolgimento dei processi agli oppositori nel Paese. Patrick Zaki, arrestato il 7 febbraio 2020 mentre tornava a casa da Bologna, l'aveva anticipato lunedì scorso ai parenti che erano andati a trovarlo, come è permesso meno di una volta al mese: «Non ci credo più», aveva detto. Lo hanno riferito gli attivisti sulla pagina Facebook «Patrick libero», uno dei pochi canali di comunicazione rimasti attivi, a parte la famiglia di Zaki. «L'ennesimo rinnovo non lascia spazio a dubbi: la sua detenzione è un accanimento giudiziario», commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. Che per il giorno del compleanno di Patrick, il prossimo 16 giugno, sta organizzando una grande manifestazione a Bologna, in via Saragozza, insieme all'Università dove Zaki era iscritto al Master biennale di Studi di genere, e il Comune. «Ci saranno gigantografie e foto proiettate sui muri della città, di Patrick e di altri fratelli di prigionia in 13 Paesi del mondo», continua Noury, dove le violazioni dei diritti umani sono all'ordine del giorno. Per il 30esimo compleanno di Patrick, «sarebbe un segnale forte se il Presidente Mattarella inviasse il suo messaggio. In questi giorni faremo una richiesta al Quirinale».

Avvenire torna ad occuparsi delle atrocità in Tigrai.

«La violenza bestiale e l'odio che stanno colpendo donne e bambine nel Tigrai non hanno risparmiato neppure cinque suore cattoliche tigrine. Le religiose, che vivevano nel nord ovest della regione devastata da un violentissimo conflitto ormai da sette mesi, sono state prima rapite e poi violentate da militari tra aprile e maggio. Lo stupro delle consacrate è stato denunciato alla fondazione pontificia «Aiuto alla chiesa che soffre» da una fonte religiosa ed è stato confermato ad Avvenire da fonti umanitarie che hanno portato le suore in ospedale per le cure. Le stesse fonti umanitarie denunciano di aver curato bambine di 8 anni stuprate in modo tanto brutale da aver riportato danni permanenti e invalidanti. Non accennano dunque a fermarsi le atrocità sulla popolazione nella semiautonoma regione etiope teatro di combattimenti dallo scorso 4 novembre tra le forze del deposto Tplf, Fronte popolare di liberazione tigrino (che governò l'Etiopia con il pugno di ferro dal 1991 al2018 per poi rompere con il premier) e le forze armate federali alleate a quelle eritree, la cui presenza in Etiopia è stata prima negata e poi ammessa dal premier etiope Aby Ahmed solo a fine marzo. Ed è proprio la soldataglia schierata in Tigrai dal regime di Issaias Afewerki a venire accusata dello stupro delle religiose, oltre che di atrocità come l'uso della violenza sessuale di gruppo sulle civili come arma di guerra, in spregio alle convenzioni internazionali. Nessuno ha mai visto brutalità simili in questa terra spesso in conflitto. Non sono state risparmiate anziane e minori, mentre le donne sposate e le giovani spesso sono state abusate davanti a mariti, figli e parenti, come denunciato da diverse agenzie Onu e da Ong sanitarie operanti sul campo. Un documento dell'Ayder Referral hospital di Macallé, riportato dall'Ong belga Eepa, riferisce che tra novembre e maggio ci sono stati 503 casi di donne, tra cui 91 minorenni, curate dopo stupri di gruppo perpetrati perlopiù da federali e truppe eritree. Una vittima aveva 5 anni. Si calcola che tre donne su quattro abusate non vadano in ospedale perché lo stupro nella società tigrina equivale all'emarginazione. "Aiuto alla Chiesa che Soffre" riferisce di continui massacri di civili. L'ultimo eccidio è stato rivelato dal quotidiano britannico Guardian e risale a tre settimane fa. (…) Addis Abeba continua a rifiutare le proposte americane di negoziato, viste come ingerenze in affari interni. Gli Usa sono stati contestati da sostenitori di Abiy in diverse manifestazioni. Washington ha chiesto ieri ancora il cessate il fuoco, con Francia, Germania, Australia e Regno Unito. Ma non con l'Italia».

ANCORA SU SAN PIETRO A TOR PIGNATTARA

Antonio Socci su Libero torna sulla vicenda della Tomba di san Pietro. Nei giorni scorsi Vatican News aveva intervistato un esperto che aveva criticato lo studio dei tre archeologi. Studio secondo il quale i resti di San Pietro si potrebbero trovare in alcune catacombe nella zona periferica di Roma. Oggi prosegue il batti e ribatti, con la contro replica degli esperti sollecitati da Socci:

«Gli ecclesiastici - ricordando una battuta di Pio XI - dicono che di solito in Vaticano si smentiscono solo le notizie vere. Perciò, i tre studiosi che sulla rivista scientifica Heritage hanno pubblicato una ricerca sulla possibile individuazione della tomba di San Pietro (vedi Libero del 23maggio), possono essere soddisfatti, infatti il Vaticano ha (ufficiosamente) controbattuto con un’intervista, a Vatican news, del professor Vincenzo Fiocchi Nicolai, del Pontificio Istituto di Archeologia Cri[1]stiana. Abbiamo dunque chiesto a Liberato De Caro, Fernando La Greca ed Emilio Matricciani, di rispondere alle sue obiezioni. Fiocchi Nicolai critica anzitutto le novità storiche del vostro studio, che sembrano le più interessanti. «La tesi fondamentale del nostro lavoro si basa sull’analisi geometrica delle peculiarità architettoniche del complesso Mausoleo e Basilica dell’area cimiteriale delle catacombe dei Ss Marcellino e Pietro. Gli altri elementi indicati nel lavoro - definiti capisaldi dal prof. Fiocchi Nicolai - sono, in realtà, solo elementi di sostegno alla nostra scoperta principale: l’anomalia architettonica e planimetrica. Non siamo archeologi, certo, ma siamo comunque ricercatori consci dei metodi dell’indagine scientifica, anche multidisciplinare, come è questa. La geometria, la matematica possono e devono essere applicate nella ricerca in ogni disciplina scientifica, anche in archeologia. Le tangenti ai cerchi esterni ed interni del Mausoleo e della Basilica si intersecano sul cubicolo n. 58, dove si trova l’affresco dell’apostolo Pietro. La superficie del cubicolo è di circa 10 metri quadrati. La superficie dell’intera area cimiteriale è di circa 3 ettari (30mila metri quadrati)». È un fatto significativo? «La probabilità che le rette tangenti si intersechino proprio sull’unico cubicolo delle catacombe dedicato all’apostolo Pietro è data dal rapporto tra le due aree, vale a dire una probabilità dello 0,03%. Si tratta di un valore così basso che ogni ricercatore serio escluderebbe il caso. L’anomalia statistica inspiegata non è la presenza di un cubicolo dedicato all’apostolo Pietro, ma l’aver constatato che le rette tangenti ai cerchi del Mausoleo e della Basilica si intersechino proprio su quel cubicolo». Vi è contestata la vostra interpretazione della locuzione “in catacumbas” per negare che si riferisca a Torpignattara. «Le spoglie mortali di San Pietro potrebbero essere state spostate più di una volta durante il periodo delle persecuzioni, per paura di profanazioni. Non si può escludere che possano essere state momentaneamente custodite nelle catacombe al III miglio della Via Appia, e solo in seguito nell’area cimiteriale “Ad Duas Lauros”. Se, infatti, l’espressione “ad catacumbas” della Depositio Martyrum può essere associata al cimitero di San Sebastiano, sulla via Appia, non si può escludere che possa es[1]sere associata anche ad un’altra area cimiteriale, come quella “Ad Duas Lauros”».

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