La Versione di Banfi

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Draghi contro i rincari

alessandrobanfi.substack.com

Draghi contro i rincari

Il Premier annuncia da Genova "misure di ampia portata" contro il caro bollette. Covid, da domani giù le mascherine all'aperto. Chiesto il processo per Renzi. Su Ratzinger parlano Scola e Zuppi

Alessandro Banfi
Feb 10, 2022
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Draghi contro i rincari

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Dungeons & Dragons è un grande gioco di ruolo, genere “fantasy”. Mario Draghi si aggira nei sotterranei della Repubblica alla ricerca dei fondi per la nuova sfida che ha di fronte: attutire la stangata dei rincari energetici che mette a rischio la ripresa. Senza “scostamenti di bilancio”, come vorrebbero i partiti, scostamento che l’Europa non ci permette più. Da Genova il premier prova a rilanciare la sfida: attuare il Pnrr, mantenere alto il tasso di crescita, intervenire con “misure di ampia portata” contro il caro bollette. Misure diventate necessarie e decisive per le imprese che sono in sofferenza, come racconta Repubblica. E per le famiglie cui cominciano ad arrivare bollette “alle stelle” da pagare entro la fine di febbraio. Partita difficile, e da vincere.

Sul fronte pandemia, da domani cade l’obbligo di mascherine all’aperto in Italia, mentre in Europa Londra e Parigi pensano di tagliare ulteriormente i divieti, visto il calo dei contagi. L’Iss ieri ha anche fornito nuovi dati aggiornati sugli effetti avversi dei vaccini: i numeri sono rassicuranti e dimostrano ancora una volta la necessità della campagna di Figliuolo, anche per i bambini. Nonostante l’esempio negativo di Meloni e Salvini.

A proposito di politica. Mentre Grillo scende a Roma per incontri separati con gli esponenti dei 5 Stelle, c’è un altro atto dei giudici che entra nella vita politica. A Firenze è stato chiesto il processo per Renzi, Boschi e Lotti, l’accusa è di finanziamento illecito attraverso Open. Il fondatore di Italia Viva ha detto che denuncerà i Pm che lo hanno intercettato mentre era senatore.

Il giorno dopo la splendida lettera di Joseph Ratzinger sulla pedofilia nella Chiesa tedesca, sono da segnalare due interessanti interviste a due cardinali: Repubblica ospita il parere di Angelo Scola, La Stampa quello di Matteo Zuppi. Entrambi apprezzano molto la missiva del Papa emerito. Anche Francesco ha scritto al suo predecessore, ringraziandolo. Nell’udienza di ieri, la catechesi del mercoledì, Bergoglio ha parlato della morte e del fine vita. Riportiamo qui integralmente le sue parole.

Dall’estero c’è da registrare un momento di eccitazione bellicista per l’Ucraina. Perché da oggi scattano “esercitazioni militari” parallele dei russi e degli ucraini. Continua su un altro piano il lavoro dei diplomatici, mentre Biden ordina l’evacuazione degli americani da Kiev. La Procura di Roma ha indagato due funzionari del Pam dell’Onu per la strage in Congo di un anno fa, in cui perse la vita l’ambasciatore Attanasio. Il padre parla all’Avvenire e dice: fate luce sulla morte di mio figlio.

È disponibile il quarto episodio del Podcast Le Figlie della Repubblica, realizzato dalla Fondazione De Gasperi per il Corriere della Sera con il contributo di Fondazione Cariplo, che racconta le grandi figure della nostra Repubblica secondo un punto di vista femminile, familiare e intimo: quello delle figlie. I grandi personaggi politici che hanno costruito la Costituzione e la Repubblica sono state persone come noi, uomini e donne che da schieramenti diversi hanno lottato, sofferto e amato, mettendo al servizio del Paese la loro passione e i loro ideali. La loro testimonianza è ancora attuale e preziosa.

In questo quarto eccezionale episodio a raccontare la sua vita e quella di suo padre è Chiara Ingrao, figlia di Pietro, dal 1976 al 1979 primo presidente della Camera espresso dal Partito comunista. Primogenita dell'ex dirigente del Pci e di Laura Lombardo Radice, Chiara Ingrao inizia il suo racconto proprio dall’incontro tra i suoi genitori nei giorni più difficili e rischiosi della Resistenza contro il fascismo. Vennero poi gli anni del dopoguerra, con la militanza nel Partito comunista , di cui Pietro Ingrao rappresentò uno dei volti più significativi dell’ala sinistra, tanto poi da contestare la svolta che, dopo la caduta del Muro di Berlino, avrebbe portato al cambio di nome. Non a caso, Ingrao aderirà prima a Rifondazione comunista, poi a Sinistra, ecologia e libertà. In mezzo, anni e vicende difficilissime, come il caso Moro, vissuto come tragedia anche familiare vista l’amicizia d’infanzia tra Chiara Ingrao e una delle figlie dello statista democristiano ucciso dalle Brigate Rosse. C’è anche il Pietro Ingrao privato, poeta, amante della musica, colui che invitava a suonare a casa sua il grande Ambrogio Sparagna. Insomma un episodio assolutamente da non perdere.

Questo Podcast è nato da un’idea di Martina Bacigalupi della Fondazione De Gasperi e realizzato da Ways - the Storytelling Agency. La genialità del lavoro si deve soprattutto ad Emmanuel Exitu, che ha scritto e diretto gli episodi, con la supervisione storica del professor Antonio Bonatesta. Cercate questa cover…

… e troverete Le Figlie della Repubblica su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spreaker, Spotify, Apple Podcast... Qui il link della quarta puntata con Chiara Ingrao:

Chiara Ingrao racconta il padre Pietro

E qui il sito della Fondazione De Gasperi

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Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Rincari e mossa del governo. Il Corriere della Sera sintetizza così: Draghi: il piano per ripartire. Ma Domani chiosa: Al governo manca un miliardo per frenare i rincari delle bollette. Finanziamenti che invece il Giornale ritiene ci siano: Bollette, arrivano i soldi. Chi ha ragione? Mitico il Manifesto che riecheggia il titolo di un cartone anni 90, Dragon-boll, per descrivere le difficoltà del premier: Drago-boll. Il Messaggero spera: «Gas, sconti alle imprese». Il governo prepara il piano. La Repubblica è più pessimista: Bollette, ripresa a rischio. La Stampa è oggettiva: Caro bollette, il piano Draghi. Il Sole 24 Ore racconta che anche l’Agenzia delle Entrate cerca fondi per il Bilancio: Evasione fiscale, caccia a 10,3 miliardi. È mobilitato Il Fatto sul rinvio a giudizio per Open: Soldi&marchette: Renzi imputato processa i pm. Il Mattino sembra dare ragione al fondatore di Italia Viva: Firenze, Renzi denuncia i pm. «Io, intercettato da senatore». Libero insiste sulla storia della trasmissione di Rai3 alla Vigilanza Rai: Altro ricatto di Report. Spuntano nuovi dossier. Avvenire sottolinea le parole del Papa anti eutanasia: Cure, mai morte. Quotidiano Nazionale va su un fatto di cronaca: A 14 anni accoltella il bullo in classe. La Verità rovescia le evidenze del report sugli effetti collaterali dei vaccini per proseguire nella sua campagna anti vaccino: Aifa ammette: «Sotto i 40 anni eccesso di rischi di miocarditi».

DRAGHI: “MISURE DI AMPIA PORTATA” CONTRO IL CARO BOLLETTE

Il piano del governo contro il caro-bollette prevede, dice Draghi, “misure di ampia portata”. In ballo 5-7 miliardi. Il  Pnrr? Raggiunti tutti gli obiettivi. Monica Guerzoni per il Corriere.

«Mario Draghi sceglie Genova come città simbolo della ripartenza di un Paese intero «dopo una tragedia». Se tutti gli italiani si rimboccheranno le maniche come hanno fatto i genovesi dopo il crollo del ponte Morandi e ci metteranno lo stesso impegno e coraggio, il Paese potrà lasciarsi il Covid alle spalle ed entrare in un futuro di modernizzazione e crescita economica. È il senso di una visita organizzata per dare visibilità e concretezza ai progetti del Pnrr, quel Piano nazionale di ripresa e resilienza che «appartiene a tutti gli italiani» e va portato avanti «con unità, fiducia, determinazione». Senza nascondere il suo personale orgoglio, il premier ricorda che lo scorso anno il governo ha raggiunto tutti gli obiettivi previsti e si aspetta che «lo stesso accadrà anche quest' anno». Due le parole che per Draghi devono fare da architrave della ricostruzione: «serietà» e «affidabilità», verso i cittadini italiani e verso i partner europei. «Perché la crescita sostenuta, equa, sostenibile è il miglior custode della stabilità». E qui, con una digressione dal discorso scritto, il capo dell'esecutivo annuncia una novità importante contro il caro bollette: «Il governo non dimentica la difficoltà di famiglie e imprese per l'aumento dei prezzi dell'energia elettrica e sta preparando un intervento di ampia portata nei prossimi giorni». La cifra non è decisa, ma la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra parla di un decreto fra i 5 e i 7 miliardi. A Genova il premier, contestato a distanza da un presidio no vax di una trentina di manifestanti davanti alla stazione di Brignole, arriva dal mare in motovedetta alle 10.20, dopo un tour del porto con il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, il sindaco della città Marco Bucci e il presidente dell'Autorità portuale Marco Signorini. Sale al primo piano di Palazzo San Giorgio e parla alla città, per parlare alla politica e al Paese intero. Parte dal rapporto tra Genova e il mare, dall'intraprendenza e dall'ingegno dei mercanti che hanno reso Genova «una delle grandi potenze del Mediterraneo», ricorda i Mille di Garibaldi che da lì partirono verso la Sicilia per unire l'Italia. E arriva all'oggi, al crollo del Ponte Morandi che il 14 agosto del 2018 spezzò le vite di 43 persone. Alle famiglie delle vittime il premier porta la vicinanza del governo e sua personale («il loro dolore è il nostro dolore»), poi loda il modello Genova come «esempio di collaborazione, rapidità, concretezza» e ne fa un emblema dell'Italia che verrà, se saremo capaci di non sprecare questa occasione storica. «L'Italia è diciannovesima al mondo per tempi e costi associati alla logistica, anche a causa degli oneri burocratici e dei ritardi nello sviluppo digitale - sprona Draghi - Dobbiamo abbattere questi ostacoli». Se sapremo ampliare le infrastrutture, migliorare la connessione «tra porti, reti stradali, ferrovie per far fronte alla concorrenza», investire nell'alta velocità e creare nuove opportunità di lavoro (migliaia di posti nella sola Liguria) il Paese intero rinascerà, modello Genova: «Il mio auspicio è che lo stesso spirito di rinascita possa continuare a pervadere tutta l'Italia negli anni cruciali che abbiamo davanti». Un Paese che Draghi vuole «affidabile» e «fiducioso» nelle sue capacità. Che non dimentica i giovani, le donne, i deboli. Un Paese che protegge gli anziani e «dove c'è spazio per il futuro». Alla Radura della Memoria, sotto il nuovo viadotto progettato da Renzo Piano, il premier legge uno ad uno i 43 nomi delle vittime, poi incontra i familiari. «C'è ancora dolore e rabbia in città», spera sia fatta presto giustizia l'arcivescovo Tasca, dopo il momento di preghiera con il capo del governo. L'ultima tappa è a Trasta, nello scavo della galleria principale del Terzo Valico. Sotto la galleria in costruzione che da Genova porta in Piemonte, Draghi è accolto dai numeri uno di WeBuild e Ferrovie dello Stato, Pietro Salini e Luigi Ferraris e dall'applauso delle maestranze. Toti ringrazia il premier per aver scelto Genova per la prima visita istituzionale a una città, ricorda che la Liguria e il suo capoluogo «non hanno mai mollato» e spera che dopo la pandemia l'Italia saprà dare ancora una volta il meglio di sé: «Dopo la peste del 1300 ci sono stati Umanesimo e Rinascimento». Il Covid come opportunità per fare «un passo avanti».

Repubblica dedica le due pagine iniziali agli aumenti record di elettricità e gas, che costringono sempre più le aziende a spegnere le macchine. Così la crisi minaccia la ripresa italiana. I produttori chiedono nuovi aiuti al governo ma senza interventi strutturali il Paese resta esposto agli choc. L’approfondimento è di Valentina Conte, Luca Pagni e Paolo Possamai.

«Siamo nella morsa di una tenaglia». Lo dice con un sospiro, per averlo ripetuto troppo spesso negli ultimi mesi. Da imprenditrice a capo dell'azienda di famiglia - Pasta Granoro, uno dei marchi più noti dell'alimentare italiano - Marina Mastromauro è abituata a non abbattersi, a trovare sempre un modo per superare le difficoltà. Ma in una situazione simile non si era mai trovata: «Il prezzo del gas è triplicato, la bolletta dell'elettricità salita del 150 per cento, la materia prima del 120: eccola la tenaglia. Parliamo di un prodotto semplice come la pasta, fatta di semola di grano duro e acqua. Se un chilo di semola lo pagavo 40 centesimi, ora siamo a 85-88 centesimi. E certo non posso recuperare su altre componenti perché c'è solo quella. Tutto è aumentato, anche gli imballaggi e il trasporto. Tra un po' sarà il disastro». A mano a mano che racconta, dallo stabilimento di Corato in provincia di Bari, Mastromauro ritrova la sua voglia di non arrendersi. Anche di fronte a una tempesta perfetta, come è stata definita la folle corsa dei prezzi dell'energia che ha colpito l'economia mondiale. Ma che in Europa e in Italia, penalizzate dalla loro dipendenza dalle importazioni di gas, sta colpendo più duro. Molto più duro. La tenaglia stringe da Nord a Sud, tutti settori industriali: gli energivori come le grandi acciaierie, i cementifici e i ceramisti, ma ancora di più le aziende medie e piccole, dalla meccanica all'alimentare, meno attrezzate a fronteggiare rincari senza precedenti. Al punto da trovarsi di fronte a scelte radicali. «Prima o poi però dovrò scaricare gli aumenti sul prezzo finale: ma dove puoi arrivare? Massimo a un euro al chilo», dice Mastromauro. «Dopo non ci resta che ridurre i volumi, produrre meno. Non voglio mettere in cassa integrazione nessuno. Abbiamo 115 dipendenti, 300 con l'indotto: penso alle loro famiglie. Ma l'ho messo in conto ed è l'unica strada per evitare di ricorrere alle banche ». Spegnersi, con il rischio di spegnere anche la ripresa italiana. Una lotta quotidiana Un paradosso, perché proprio della ripresa questa emergenza è figlia. Una volta terminato il periodo più duro del lockdown, la riaccensione dell'economia globale e l'eccesso di domanda hanno mandato i prezzi alle stelle. Un rimbalzo poderoso, che ha fatto emergere la fragilità strutturale dell'Europa quando si parla di energia. In attesa dell'esplosione delle rinnovabili, dell'idrogeno e un domani - chissà - della fusione nucleare, il Vecchio Continente dipende dalle importazioni di gas, il combustibile che deve accompagnare la transizione verso la green economy. Peccato che la stessa scelta sia stata fatta anche della Cina e da tutte le tigri asiatiche, per sfuggire ai fumi tossici del carbone. Risultato: all'inizio del 2021 il gas il fossile più usato per produrre elettricità - costava in Europa 15 euro a megawattora, nel dicembre scorso il prezzo è salito fino a 180 euro. Poi, complice un inverno mite, le quotazioni si sono dimezzate, fino ad attestarsi tra 70 e 80 euro, ma comunque a un livello che solo due anni fa sarebbe stato considerato stratosferico. Dinamiche globali che nella vita quotidiana delle imprese si traducono in una drammatica lotta per far quadrare i conti. A Padova, nella sede centrale di Acciaierie Venete, questa battaglia ha l'aspetto di un foglio di carta zeppo di tabelle e istogrammi, che il direttore dello stabilimento ed energy manager Giorgio Zuccaro tiene davanti agli occhi: sono i grafici con i valori orari di gas ed elettricità, diventati cruciali per decidere quali macchinari accendere, e quali spegnere, nel corso della giornata. Nel mare in tempesta si naviga a vista, cercando di non affondare: «I picchi fanno paura. A Natale il gas ha toccato i 200 euro al metro cubo, a casa lo pago ancora l'equivalente di 20. E così forse capiamo che il tema energia riguarda tutti», si sfoga Zuccaro. Nel 2019, per produrre 1 milione 800 mila tonnellate di acciaio l'anno, Acciaierie Venete spendeva 5,7 milioni al mese in energia, costo lievitato a 28,9 milioni ai prezzi di novembre. Avere un manager dedicato all'energia, che prova a strappare contratti di due o tre anni a prezzi bloccati, o almeno a sfruttare le fluttuazioni al ribasso durante la giornata, è il vantaggio dei grandi consumatori come acciaierie, cementifici, vetrerie. Ma anche questo rischia di non bastare, se il rincaro durerà per tre o quattro mesi. «Non è sopportabile a lungo», dice Alessandro Banzato, presidente e amministratore delegato di Acciaierie Venete. Il gruppo, per necessità, si è rassegnato a diminuire la produzione negli undici stabilimenti italiani: a Borgo Valsugana, in Trentino, è stato cancellato il turno dalle 14 alle 22, nella fabbrica bresciana di Sarezzo il ciclo continuo viene sospeso 2-3 ore al mattino e nel pomeriggio. E il futuro prossimo? «Si sta accendendo una spirale inflazionistica pericolosissima, che può portare fuori mercato interi settori produttivi», aggiunge Banzato, che è pure presidente di Federacciai, l'associazione di categoria. «La ripresa senza energia ce la scordiamo, si inchioda». Sta già succedendo, a sentire il Centro Studi Confindustria, che in un rapporto appena pubblicato denuncia un calo della produzione industriale dell'1,3% a gennaio: in diversi casi, si legge nel documento, produrre non è più conveniente, una dinamica che "mette a serio rischio il percorso di risalita del Pil". Piccoli senza difese Per il sistema produttivo italiano la bolletta energetica è passata dagli 8 miliardi del 2020, ai 21 dell'anno scorso, con una previsione di 37 miliardi per questo. E in mezzo alla tempesta, più le aziende sono piccole meno dispongono di strumenti, competenze e liquidità per non affondare. Alla Serigraph di Castelfidardo, azienda marchigiana specializzata in incisione su metalli, telai per la serigrafia e lavorazioni con microlaser per l'elettronica, il fondatore Pietro Storani lo definisce "bagno di sangue": «A dicembre è arrivata una bolletta mostruosa dell'elettricità: 19 mila euro contro gli 11-12 mila abituali. Abbiamo 19 dipendenti, è impossibile fermarsi, abbiamo consegne ogni 24 ore e nemmeno riusciamo a lavorare di notte per abbassare i costi ». Sta provando a limitare al massimo gli sprechi, grazie ai «motori con inverter per avere uno spunto iniziale più basso: ma quanto puoi risparmiare, 500 euro al massimo? Non se ne esce». Non tutte le aziende sono state impattate allo stesso modo dal rincaro record del gas, riconosce Massimo Bello, presidente di Aiget, l'associazione che rappresenta chi vende all'ingrosso metano ed elettricità. «Nel mercato libero il 70-80% dei clienti sottoscrive contratti a prezzo fisso per uno o due anni. Chi lo ha firmato a metà dell'anno scorso è avvantaggiato ». Ma i problemi arrivano quando quegli accordi vanno a scadenza e devono essere rinnovati, cosa che per molti sta avvenendo in questo inizio di anno. «Partite Iva o piccole imprese non hanno questa possibilità e sicuramente stanno soffrendo. Ma gli aumenti sono stati così repentini che anche i più avveduti, che avrebbero potuto cambiare fornitore e rivedere quello esistente, sono stati colti di sorpresa. Dal 2004, da quando esiste il mercato liberalizzato, non c'era mai stata una situazione come questa». Per il primo trimestre del 2022, il governo ha stanziato contro il caro bollette 5,5 miliardi, di cui 3,8 per le famiglie e 1,7 per il sistema produttivo. Ma per Confindustria l'intervento non basta, perché lascerebbe fuori il 70% delle piccole e medie imprese. Per questo il mondo produttivo chiede ulteriori provvedimenti».

Buone notizie dalla scienza. L’impianto europeo Jet in Inghilterra segna il record di produzione di energia elettrica grazie alla fusione nucleare che garantisce energia pulita. Lo racconta su Repubblica Giacomo Talignani.

«Per soli cinque secondi è come se si fosse "accesa" una stella: non in cielo, ma nel bel mezzo delle campagne di Culham in Inghilterra. Cinque brevissimi istanti che però potrebbero cambiare la storia dell'uomo, in termini di scienza e fabbisogno energetico. Non dovremmo più preoccuparci dell'attuale caro bollette o dei prezzi del gas, perché se funzionerà la fusione nucleare ci garantirà una energia elettrica quasi illimitata e soprattutto pulita, a bassissime emissioni di CO2. Anche se siamo ancora lontani dal risultato finale e abbiamo la necessità di trovare risposte immediate alla crisi climatica ed energetica, quello che è avvenuto nell'impianto europeo Jet (Joint European Tourous) in Inghilterra è un enorme passo avanti verso la realizzazione della fusione nucleare a scopi commerciali che cambierà le nostre vite. Per realizzare un primo breve esempio di fusione è stato utilizzato il Tokamak, la macchina che, confinando il plasma con potenti campi magnetici, ha permesso di sognare: al suo interno grazie alla fusione è stata prodotta una quantità record di energia di 59 megajou-les, quasi il triplo rispetto a quelle che si era riuscita ad ottenere in un esperimento del 1997 (21,7). È un record mondiale. A riuscire nell'impresa è stato il consorzio EUROfusion, cofinanziato dalla Commissione Europea e che mette insieme le competenze di oltre 4800 esperti, tra cui anche italiani coordinati da Enea (Agenzia nazionale per nuove tecnologie, energia e sviluppo economico sostenibile). Quando si parla di energia nucleare spesso si immagina quella legata a un processo già esistente, la fissione, ovvero la divisione degli atomi che all'interno dei rettori produce energia ma che, dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima, non riesce ancora ad essere vista come fonte del tutto sicura. Dall'altra parte però da più di quarant' anni l'uomo sta lavorando anche a replicare le stesse dinamiche che alimentano il sole e le stelle: ovvero la fusione nucleare, l'unione di nuclei di elementi leggeri, come l'idrogeno, per formare atomi più pesanti come l'elio e generare una enorme quantità di energia sotto forma di calore. Un processo «intrinsecamente sicuro perché per sua natura non può innescare processi incontrollati», spiegano da Enea. L'esperimento che è stato fatto nell'impianto Jet ha ottenuto una potenza di 11 megawatt che può sembrare poca cosa, se si pensa che è sufficiente per far andare giusto 60 bollitori d'acqua, ma in realtà è una vera e propria porta verso il futuro. Se infatti si riuscirà a ricreare un processo di fusione nucleare sulla terra questo offrirà energia sostenibile quasi illimitata e considerata sicura, a basse emissioni di carbonio e senza i rischi di scorie come nella fissione. Giusto per dare un'idea: in termini di resa, a parità di quantità, la fusione genererà circa 4 milioni di volte più energia rispetto a quella ottenuta bruciando carbone, petrolio o gas, fonti fossili che contribuiscono ad alimentare il surriscaldamento globale. Come ricordano gli esperti, il successo del nuovo esperimento convalida dunque le scelte che si stanno facendo per arrivare alla fusione, come la realizzazione di Iter, il reattore che nel sud della Francia dovrà dimostrare che la fusione nucleare potrà essere una realtà e fornire energia al mondo nella seconda metà del secolo. «Abbiamo dimostrato che possiamo creare una mini stella all'interno della nostra macchina e tenerla lì per cinque secondi e ottenere prestazioni elevate, il che ci porta davvero in una nuova era», ha detto entusiasta Joe Milnes, capo delle operazioni di Jet, mentre per Maria Chiara Carrozza, presidente Cnr, adesso sappiamo che «è possibile ottenere elettricità da fusione, un passo cruciale verso la produzione in futuro di energia abbondante ed eco-sostenibile». Purtroppo questo futuro è fissato non prima del 2040, anno in cui si crede che sviluppi scientifici e tecnologici porteranno a centrare l'obiettivo. È una sfida complessa, che coinvolge anche i giovani: come chiosa la scienziata Athina Kappatou, per farcela dovremo infatti anche «garantire che da una generazione all'altra ci siano scienziati e giovani menti in grado di portare avanti le cose».

DA DOMANI VIA LE MASCHERINE, I VACCINI CONVENGONO

Da domani anche nel nostro Paese via le mascherine all’aperto in tutte le città. Intanto l'Istituto superiore di Sanità e di Aifa hanno fornito i dati degli effetti collaterali dei vaccini riferiti agli under 20. Le reazioni alle dosi risultano essere 17 volte inferiori ai danni da coronavirus. Paolo Russo su La Stampa.

 «Altro che più facile essere colpiti da un fulmine. Il Covid, soprattutto nella quarta ondata spinta da Omicron, ha morso anche tra bambini e ragazzi. Mentre di contro i vaccini si sono rivelati più sicuri di quanto non avessero dimostrato esserlo per gli adulti. A dirlo sono i numeri del bollettino settimanale dell'Iss «Epicentro» e il Rapporto sulla farmacovigilanza dei vaccini presentato proprio ieri dall'Aifa. Ebbene, a smentire il racconto di un virus innocuo per giovani e giovanissimi ci sono i 2 milioni e 332mila contagi da inizio epidemia nella fascia 0-19 anni, di cui 13mila finiti in un letto di ospedale, 212 in terapia intensiva mentre in 44 non ce l'hanno fatta, è il riassunto a tinte fosche del sistema di sorveglianza integrata Covid-19 dell'Iss. Il picco si è raggiunto a metà gennaio, quando l'incidenza settimanale dei casi ogni 100 mila abitanti tra i piccoli con meno di 9 anni è schizzato a quota 3.410, mentre tra gli adolescenti e i ragazzi da 10 a 19 anni era di 2.317. Entrambi sopra la media della popolazione generale. Il tasso di ospedalizzazione sotto i 5 anni è stato invece di 17 casi settimanali, per scendere a 5 dai 5 ai 19. Questo per effetto della vaccinazione, iniziata da poco per chi ha tra 5 e 11 anni mentre sotto quella fascia di età il vaccino ancora non c'è. Di contro il tasso degli eventi avversi gravi da vaccino tra i 5 e gli 11 anni è di 1,74 ogni 100 mila somministrazioni. Insomma a fare il confronto tra rischio di finire in ospedale per il Covid e di avere reazioni serie con il vaccino quest' ultimo vince 17 a 1 o giù di lì. «Questi numeri - spiega il coordinatore del Cts, Franco Locatelli- indicano in maniera molto chiara quello che è il profilo di sicurezza dei vaccini che abbiamo oggi a disposizione. La vaccinazione è raccomandata da tutte le associazioni scientifiche e questo è un dato che va sottolineato con tre obiettivi centrati sul bambino: la tutela della sua salute, dei suoi spazi educativi e di quelli sociali», ha detto il professore. Rimarcando così come la pandemia abbia pesato su piccoli e ragazzi, non solo da un punto di vista sanitario. L'associazione degli ospedali pediatrici italiani, Aopi, con il suo sistema di monitoraggio dei pazienti Covid in età pediatrica dal canto suo rivela che il 76% di chi tra i 5 e i 18 anni è finito in un letto di ospedale non era vaccinato. Mentre il 69% dei piccoli fino a 4 anni ricoverato in terapia intensiva aveva i genitori No Vax. La vaccinazione di ragazzi e bambini, ricorda il report dell'Aifa, «è fortemente raccomandata soprattutto nei bambini fragili, cioè affetti da malattie croniche come ad esempio il diabete, malattie cardiovascolari, asma non controllato o pazienti oncologici». Tutte condizioni, hanno rimarcato gli studi di diverse società scientifiche, che li espongono a un rischio maggiore di contrarre Covid in forma grave. Tuttavia, anche i bambini "sani", che non presentano particolari fattori di rischio, «possono manifestare la malattia in forma grave e, di conseguenza, giungere al ricovero», sottolinea sempre il report. Da un rapporto degli Ecc europei, si evince che la maggior parte dei bambini tra i 5 e gli 11 anni ospedalizzati a causa del virus non presentava alcun fattore di rischio. E anche nei casi in cui l'infezione decorra in maniera quasi o completamente asintomatica, «non e possibile escludere la comparsa di complicazioni quali la sindrome infiammatoria multisistemica (una malattia rara ma grave che colpisce contemporaneamente molti organi) e la persistenza dei sintomi a distanza di tempo», il cosiddetto long Covid, che si trascina nel tempo con problemi respiratori, stanchezza cronica e quella che Anthony Fauci, consigliere scientifico della Casa Bianca, ha definito «nebbia cerebrale». Che è poi una difficoltà a concentrarsi e strutturare pensieri un po' più complessi. Se questo è quello che si rischia facendo contagiare i propri figli in età scolare i numeri degli eventi avversi da vaccino in questa fascia di età fanno quasi sorridere. Al 26 dicembre il rapporto sulla farmacovigilanza dell'Aifa pubblicato ieri mostra 889 reazioni avverse giudicate «non gravi». Cose come febbriciattola, mal di testa, stanchezza e vomito. E nel 69% dei casi tutto si era già risolto da sé al momento della segnalazione da parte dei genitori o del medico curante. Gli eventi avversi gravi sono stati invece 278 su 4 milioni e 278mila dosi pediatriche somministrate. Ma anche qui bisogna distinguere. Perché solo il 45% di questi eventi è stato considerato «correlabile» al vaccino, mentre al momento della segnalazione soltanto un caso su quattro non era ancora guarito. Numeri che dovrebbero far riflettere i genitori di quel 64,9% di bambini ancora non immunizzati tra i 5 e gli 11 anni e del 14,4% dei ragazzi dai 12 ai 19 anni che girano senza il parafulmine del vaccino».

In Europa è Londra a guidare il ritorno alla normalità, dicendo addio alle restrizioni. Il premier Johnson annuncia come probabile lo stop definitivo a tutte le misure entro la fine del mese. Anche la Francia ripensa al green pass e all’obbligo di mascherine. Per il Corriere Irene Soave.

«Le curve dei contagi calano, e in più Paesi europei si intravede l'archiviazione di misure ormai abituali come mascherine - «pensionate» da domani all'aperto anche in Italia -, pass vaccinali e persino tamponi. Precursore, come già in altre fasi della pandemia, è il Regno Unito, dove il premier Boris Johnson annuncia una possibile «normalizzazione entro fine febbraio». I contagi calano: nelle ultime 24 ore circa 66 mila, ben lontani dagli oltre 150 mila al giorno di inizio gennaio. Calano la mortalità (276 morti ieri) e anche le ospedalizzazioni, al minimo degli ultimi due mesi. Così ieri Johnson, in Parlamento, ha annunciato che «potremo abbandonare le ultime restrizioni, compreso l'obbligo di isolamento per i positivi, un mese in anticipo». Cioè non il 24 marzo, come da scadenza attuale, ma il 21 febbraio, quando il premier presenterà un piano per «convivere col virus». Già il mese scorso il governo conservatore del Regno Unito ha revocato buona parte delle restrizioni, dalle mascherine (obbligatorie ormai solo sui mezzi pubblici) alla necessità di un pass vaccinale nei locali. Fa eco, oltremanica, l'annuncio del portavoce del governo francese Gabriel Attal che «tra la fine di marzo e l'inizio di aprile» si potrebbe revocare il pass vaccinale «e magari anche avanzare sulla questione della mascherina. C'è un inizio di miglioramento negli ospedali e ci sono proiezioni che possono farlo sperare», ha detto Attal. Il governo francese adatta le restrizioni al livello di contagi, ricorda Attal: l'obbligo di mascherina all'aperto è stato già tolto il 2 febbraio, il 16 febbraio riapriranno discoteche e concerti, a marzo il protocollo sanitario potrebbe essere allentato nelle scuole. I nuovi casi del resto sono 235.267 nelle ultime 24 ore, il 35% in meno di sette giorni fa. Verso la revoca delle restrizioni da marzo anche la Polonia: il ministro della Salute Adam Niedzielski, in un'intervista, parla di «prospettiva realistica, se il ritmo al quale scendono i contagi resterà lo stesso». L'obbligo di mascherina al chiuso potrebbe diventare «raccomandazione»; la scuola in presenza «priorità»; i giorni di isolamento obbligatori per i contagiati, da 10, sette. Già da oggi, poi, non sarà più necessario il pass per entrare in locali pubblici e parrucchieri in Repubblica Ceca. «E dal 1° marzo salterà la maggioranza delle altre restrizioni anti-Covid ancora in vigore», ha promesso ieri il primo ministro Petr Fiala. Più a nord, la Danimarca ha già rinunciato dal 1° febbraio a mascherine e green pass e ora anche il governo svedese battezza l'avvio di una «nuova fase». Via i limiti agli orari di ristoranti e locali - un passo festeggiato martedì notte con feste e code dai buttafuori - e via le mascherine sui mezzi pubblici. Anche i tamponi saranno archiviati, o quasi, nei due Paesi scandinavi. La Danimarca riduce il tetto di molecolari somministrati quotidianamente, da 500 mila a 200 mila. E blocca i test gratuiti a tappeto dal 6 marzo. La Svezia ha sospeso i tamponi su larga scala perfino ai sintomatici, smantellato i centri e lasciato il diritto a un Pcr gratuito solo a sanitari, anziani e vulnerabili. I tamponi, costosi per la sanità, non sono essenziali se la variante prevalente è la «mite» Omicron: questa la ratio dei provvedimenti spiegata dai due governi. In Italia si attende una simile tabella di marcia. Da domani cade l'obbligo di mascherina all'aperto; dal 31 marzo, se dopo il termine fissato lo stato d'emergenza non sarà prorogato, anche al chiuso. Il 31 marzo il governo dovrà valutare anche se abolire l'obbligo del green pass, anche secondo la curva dei contagi: il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, ieri, ha promesso «allentamenti in questo senso di qui a breve».

SALLUSTI, MONTESANO E I CAMION DI BERGAMO

Quell’immagine dei camion di Bergamo che trasportano le bare degli italiani morti di Covid, risalente a due anni fa, è vera. Mentre un giornalista di Libero, Tommaso Montesano, figlio di Enrico, ha scritto sui social che è assimilabile a quella del lago della Duchessa, episodio di depistaggio “fake” durante il caso Moro nel 1978. Alessandro Sallusti stamattina spiega ai suoi lettori di Libero perché ha chiesto la sospensione di Montesano:

«C'è un limite oltre il quale non si può andare, neppure per scherzo, per sbaglio o per equivoco. E questo limite ieri purtroppo è stato superato da un collega della nostra famiglia, Tommaso Montesano, che in un post sui suoi social ha messo in dubbio la veridicità sostanziale delle famose immagini del convoglio di camion dell'esercito che il 18 marzo del 2020 ha attraversato Bergamo con un carico di bare di morti di Covid. Tommaso Montesano si è sempre detto contrario ai vaccini e non ha mai nascosto, in redazione e in pubblico, le sue tesi negazioniste. Affari suoi, non è questo il punto perché a Libero ognuno può pensarla come crede fatto salvo il diritto dovere del direttore di decidere la linea e di conseguenza i contenuti del giornale che su questo tema sono chiari: i negazionisti negano innanzitutto che l'uomo, chi più e chi meno, sia dotato di intelligenza. È vero che i contenuti dei social personali dei giornalisti non ricadono sotto il controllo del direttore, ci mancherebbe altro. Ma è anche vero che il giornalista, con la sua faccia e la sua firma, è un pezzo dell'immagine del giornale su cui scrive, della sua autorevolezza e della sua credibilità. Per cui non posso permettere che neppure per un secondo e neppure per sbaglio e nemmeno per un fraintendimento tra social privati e aziendali un nostro lettore o chiunque altro possa essere sfiorato dal dubbio che qui a Libero si pensi che quel convoglio di camion sia stata una cinica messa in scena. Per noi quelle 65 bare di bergamaschi che non trovavano sepoltura nella loro terra, come tutte le altre 140 mila sparse per l'Italia ma quelle di più perché sono diventate il simbolo della tragedia nazionale, sono sacre, intoccabili e inviolabili. Tra noi tutti e il collega si è rotto un patto che non sta scritto nei contratti ma è quello umano fondante della nostra piccola comunità. Per questo ho chiesto all'azienda la sua immediata sospensione, saranno gli avvocati a decidere il resto ma nessuna carta bollata potrà assemblare i cocci. Una collega ieri mattina in redazione ha pianto di rabbia per quello che è accaduto, io mi scuso con i parenti di quei morti e con i lettori. Penso di avervi detto tutto».

OPEN, CHIESTO IL PROCESSO PER RENZI

Caso Open, chiesto il processo per Matteo Renzi, che è imputato a Firenze con Boschi e Lotti. L'accusa è di finanziamento illecito di 3,5 milioni. Lui reagisce annunciando che denuncerà i pm, che lo hanno intercettato da senatore della Repubblica. La cronaca del Corriere a cura di Antonella Mollica e Fiorenza Sarzanini.

«È accusato di aver preso tre milioni e mezzo di euro in quattro anni attraverso la Fondazione Open. «Un finanziamento illecito», secondo la procura di Firenze, perché Open era «di fatto di un'articolazione politico organizzativa del Pd» e le somme «servivano a sostenere l'attività politica dei suoi appartenenti». Nel giorno in cui la Procura chiede il suo rinvio a giudizio insieme a Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l'avvocato Alberto Bianchi e l'imprenditore Marco Carrai, Matteo Renzi parte all'attacco dei magistrati: «Li denuncio, non mi fido di loro». «Soldi, beni e servizi» L'udienza preliminare è fissata per il 4 aprile. In quella sede tutti gli imputati dovranno difendersi per aver «ricevuto contributi in denaro tra il 2014 e il 2018, in violazione della normativa, per sostenere l'attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana del Pd», ma anche «contributi in forma indiretta consistiti in beni e servizi, acquistati dalla Open». La Fondazione è la cassaforte che ha sostenuto la scalata di Renzi da sindaco di Firenze a presidente del Consiglio. Nell'arco dei suoi sei anni di vita, dal 2012 al giugno 2018, ha raccolto oltre sette milioni di euro. La Procura contesta circa tre milioni e mezzo di contributi ricevuti dal novembre 2014 al giugno 2018, quando la Fondazione venne liquidata. Secondo l'accusa della Procura guidata da Giuseppe Creazzo «la Fondazione agì come articolazione di partito e Renzi come direttore di fatto». Spese per 549 mila euro Agli atti dell'inchiesta ci sono le spese sostenute negli anni da Renzi e dai suoi collaboratori, dai cellulari ai biglietti del treno, dai taxi ai ristoranti e agli hotel. Le spese maggiori sono state quelle relative alla kermesse annuale della Leopolda. L'accusa contesta a Renzi di aver usufruito di «beni e servizi» per quasi 549 mila euro. Alcuni contributi sarebbero stati usati da Open anche per finanziare la «Campagna per il sì al Referendum». Bianchi, assistito dall'avvocato Fabio Pinelli, è invece ritenuto il «collettore» dei finanziamenti arrivati alla Fondazione sfruttando il ruolo politico di Lotti per agevolare le imprese «amiche» con l'approvazione di emendamenti e norme. Per questo i pubblici ministeri hanno deciso di inserire la Camera dei deputati tra le parti lese. «La corruzione di Toto» Nella lista di 11 imputati compaiono alcuni imprenditori accusati in concorso con Lotti e Bianchi di corruzione. Uno è Alfonso Toto, legale rappresentante della «Toto costruzioni». Secondo l'accusa Bianchi e Lotti si sono adoperati affinché venissero approvate dal Parlamento norme favorevoli al gruppo abruzzese concessionario autostradale. In cambio Toto avrebbe versato circa 800 mila euro all'avvocato Bianchi. Nel capo di imputazione è specificato che Lotti, «parlamentare della Camera, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, segretario del Cipe, riceveva per sé e per altri le seguenti utilità: 801.600 euro dalla Toto costruzioni all'avvocato Alberto Bianchi in data 5 agosto 2016 a fronte di una prestazione professionale fittizia, somma versata da Bianchi per 200.838 alla fondazione Open e nella parte di 200 mila euro al "Comitato nazionale per il sì"; la promessa da parte di Toto di corrispondere a Bianchi, a fronte di una prestazione professionale fittizia, del 2% di quanto ricavato da Bianchi dai contenziosi con Anas». British Tobacco Vicenda analoga riguarda la British Tobacco. A Lotti è contestata l'accusa di corruzione perché si sarebbe adoperato per far approvare norme in materia di accise sui tabacchi ricevendo in cambio finanziamenti per oltre 250 mila euro e la nomina di un manager gradito nel collegio sindacale. La tv scientifica Altri 130 mila euro - frazionati in cinque versamenti - sono arrivati dall'imprenditore Pietro Di Lorenzo. Bianchi è accusato perché «indebitamente si faceva dare i fondi come prezzo della propria mediazione illecita verso Lotti per l'erogazione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una tv scientifica su piattaforma satellitare e digitale, corrisposta alla Open».

CAOS 5 STELLE, GRILLO A ROMA

Beppe Grillo è a Roma e incontrerà sia Conte che Di Maio ma in momenti diversi. Il fondatore pensa a un organo di militanti che avvii l'iter su statuto e leadership. Emanuele Buzzi per il Corriere.

«Incontri bilaterali a certificare la frattura interna al gruppo e intenzioni chiare, in primis quella di riportare gli attivisti al centro della scena: Beppe Grillo torna a Roma e lo fa per gestire la crisi del Movimento, capire come uscire dall'impasse senza correre rischi. Il garante dei Cinque Stelle non vuole bruciare le tappe, né essere tantomeno tirato per la giacca in una direzione o in un'altra. Il pericolo - dopo l'ordinanza del tribunale di Napoli che ha di fatto azzerato i vertici del Movimento - è finire in una spirale di cause, che prosciugherebbero le casse e le risorse politiche. La parola chiave in questa fase è prudenza. L'avvocato dei ricorrenti a Napoli, Lorenzo Borrè, ha fatto intendere che vede un iter preciso con tre punti: la nomina di un comitato di garanzia, quella del comitato direttivo e il voto su Rousseau. Un percorso alternativo potrebbe dare il là ad altre querelle giudiziarie. Gli avvocati sono al lavoro per trovare una sintesi, ma l'ala contiana propende per evitare sia il passaggio sulla vecchia piattaforma sia sul comitato direttivo: preferirebbero un voto sul nuovo statuto appena possibile. Per Grillo quella di oggi sarà una giornata scandita da una serie di incontri. A certificare la frattura nel Movimento, non si terrà il solito tavolo all'hotel Forum, ma appunto incontri bilaterali. Incerta anche la sede: il garante potrebbe optare per spostarsi nei vari palazzi romani evitando l'assedio all'albergo capitolino che lo ospita. Grillo vedrà comunque diversi Cinque Stelle: dal presidente «congelato» Giuseppe Conte, ai membri del comitato di garanzia (il dimissionario Luigi Di Maio, Virginia Raggi e - impegni istituzionali permettendo - Roberto Fico), i capigruppo, Davide Crippa e Mariolina Castellone. Ad alcuni incontri parteciperanno i legali. Quello con Conte sarà certamente lo snodo centrale della giornata. Da ambienti vicini all'ex premier filtrano voci di «una sintesi vicina» tra gli avvocati del garante e di Conte. Il presidente in pectore viene descritto come «sereno» e il clima «molto positivo». C'è soddisfazione anche per la decisione di incontri singoli. «Conte è comunque il leader», viene fatto notare. Di Maio, invece, è concentrato su dossier istituzionali. Il ministro degli Esteri, ieri a Lione, sa che si tratta di un passaggio cruciale e non farà mancare il suo contributo. Ma Grillo - secondo i ben informati - avrebbe già qualche idea in testa sia in prospettiva per il Movimento, sia per il primo step della questione, il comitato di garanzia. Il fondatore dei Cinque Stelle vorrebbe rimettere i militanti (proprio da tre di loro nasce la causa a Napoli) al centro della scena. Non è nemmeno escluso che Grillo possa pescare da una rosa di attivisti i nomi per il comitato di garanzia: persone di sua fiducia, che si sono spese per anni per il Movimento lontano dalle luci della ribalta politica. Intanto tra i parlamentari cresce la preoccupazione per il futuro - almeno a breve termine - del Movimento. Molti sperano che l'intervento del garante possa essere risolutivo. C'è anche chi la prende con ironia e canticchia con le parole di Dargen D'Amico: «Balla, tra i rottami balla, per restare a galla». E la situazione non è migliore sui territori. I big nazionali hanno invitato a non presentare liste se il rischio è essere a percentuali minime: un gesto che ha creato altro malessere a livello locale».

CENTRO DESTRA, CERCASI LEADER

Anche nel centro destra la leadership è un problema, mentre Fratelli d’Italia rilancia sul presidenzialismo. Meloni: vediamo chi vuole davvero innovare. Salvini: «Giorgia ha ambizioni? Tutti le hanno». Giuseppe Alberto Falci per il Corriere.

«Non ci sono incontri ufficiali, né tantomeno telefonate tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il clima nel centrodestra non muta. Le tensioni dunque restano, in una giornata che in Transatlantico i deputati di Lega e Fratelli d'Italia definiscono «di riflessione». Di buon mattino il leader della Lega parla dai microfoni di Radio Capital mettendo in chiaro che oggi l'emergenza di cui intende occuparsi «è approvare un decreto su luce e gas». «Il centrodestra può aspettare una settimana», taglia corto. Non vuole polemizzare, Salvini. I dissidi con l'alleata Meloni? «Ci sentiremo, io sono in quarantena quindi ho difficoltà a muovermi». Le ambizioni da premier della leader di Fratelli d'Italia? «Ognuno le ha: poi sono i cittadini che decidono. Io sono stato ministro e la gente se lo ricorda. Io ho pagato prezzi per fare il mio dovere». Allo stesso tempo, assicura, «non ho tempo di litigare con nessuno e soprattutto cerco di unire superando le divisioni che in questo momento non servono a niente, e a nessuno». Sia come sia, rimane valida la proposta del segretario del Carroccio di far nascere un partito repubblicano sul modello americano. Uno scenario che fa alzare le spalle alle truppe di FdI. «Non si possono esprimere giudizi perché questo progetto non è stato declinato. È più o meno un titolo. Noi comunque non siamo stati coinvolti né siamo interessati» replica il dirigente di FdI e vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. Nel frattempo Meloni, intervenendo alla presentazione del libro dedicato a Pinuccio Tatarella, rilancia la proposta di presidenzialismo. «Io penso che sia ora di passare dalle parole ai fatti: il 28 febbraio arriverà in Aula la proposta di legge di Fratelli d'Italia sul presidenzialismo e vedremo come si comporteranno in questa occasione le forze politiche al di là dei proclami. Capiremo in Aula chi vuole davvero innovare l'Italia e chi preferisce difendere lo status quo, chi vuol far entrare l'Italia nella terza Repubblica e chi lavora per tornare nella prima, magari restaurando un sistema proporzionale». E sempre nella stessa occasione Meloni avverte gli alleati che «una destra che rappresenta i valori della maggioranza del popolo italiano» ha «il diritto di andare al governo senza che per farlo lo si debba fare con il Pd e con la sinistra». Quanto a Forza Italia, Antonio Tajani annuncia l'adesione di due consiglieri comunali di Perugia e del sindaco di Stroncone, comune di Terni. Mentre il sottosegretario azzurro Giorgio Mulè invia un messaggio a Meloni e Salvini: «Il centrodestra dovrà essere unito perché la storia insegna che il centrodestra diviso è condannato a perdere».

LA LETTERA DI RAZTINGER. PARLANO SCOLA E ZUPPI

Parla il cardinal Angelo Scola e commenta la lettera di Joseph Ratzinger: "Il Papa emerito si è preso la responsabilità e la sua lettera è un esempio". L’intervista per Repubblica è di Paolo Rodari.

«Dice che su un'indagine in Italia sugli abusi come quella fatta in Germania devono decidere i vescovi, ma spiega che la cosa importante è anzitutto un'altra e cioè andare alla radice del problema. E tornare al secondo dopoguerra: la Chiesa in Italia «vedeva le parrocchie riempirsi senza che si ricercassero in profondità le ragioni di tanta pratica religiosa». Lì, in questa domanda non posta, «è nato tutto» e ora, «come dice Francesco, siamo al redde rationem». Il cardinale Angelo Scola, 80 anni, vive a Imberido, sopra il lago di Oggiono, dove si è ritirato dopo l'incarico come arcivescovo di Milano. Immerso in un paesaggio spettacolare - «anche in un giorno freddo e ventoso sul balcone di casa mia luce e colori», ha twittato ieri - segue le vicende del mondo e della Chiesa con attenzione. Eminenza, dopo la lettera di Benedetto sugli abusi a Monaco, c'è necessità di una indagine in Italia? «Sono i vescovi italiani a dover decidere. Comunque, sia che si faccia un'indagine sia che non la si faccia, la cosa più urgente è andare alla radice del problema. Noi paghiamo le difficoltà di una vita della Chiesa che dopo la seconda guerra mondiale riempiva le parrocchie di gente con le varie associazioni che pullulavano di impegno e fervore, senza che ci si chiedesse il "perché" e il "per chi" di questo stesso impegno, perché si andava massicciamente a messa, perché ci si dedicava al volontariato. Prevaleva la convenzione sulla convinzione. Da lì, dal non entrare nelle ragioni profonde della pratica religiosa e dell'impegno sociale, è nata la deriva e una reale scristianizzazione con tutte le conseguenze». Qual è allora il male della Chiesa? «Francesco cita il teologo De Lubac che parla di "mondanizzazione della Chiesa". Sono nuove forme di pelagianesimo e di gnosticismo ad attaccare oggi la Chiesa dal suo interno. Il Papa fa riferimento a due eresie dei primi secoli che a suo giudizio, e ovviamente secondo tutte le sfumature necessarie, continuano ad avere un'allarmante attualità. Una è lo gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell'immanenza della sua ragione o dei suoi sentimenti. L'altra è il pelagianesimo autoreferenziale di coloro che fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile di vita. Mentre la salvezza, anche contro i crimini terribili della pedofilia, viene da donne e uomini che accolgono la grazia di Cristo e che sono aiutati a domandarsi "perché" e "per chi" seguono il Signore. La nostra speranza è lì». Che giudizio dà della lettera? «Leggendola ho avuto una conferma di ciò che ho imparato di lui in questi lunghi anni a partire dal 1971 e soprattutto della sua modalità di essere e di agire che ho sperimentato come consultore e membro della Feria Quarta della Dottrina della fede: Ratzinger è un uomo che strutturalmente si concepisce a servizio della verità. L'ha detto bene anche padre Lombardi sull'Osservatore Romano : Benedetto serve la verità. Non solo formulare l'ipotesi che lui abbia scelto la strada della menzogna per difendersi, ma addirittura, come qualcuno ha fatto, che abbia cercato un escamotage è un assurdo come la stessa lettera e la nota tecnica a corredo dimostrano». Crede che così sia andato fino in fondo sulle responsabilità a cui il rapporto lo chiama? «È una lettera profonda, in tutto ratzingeriana, che mostra la volontà di vivere il senso di comunione ecclesiale prendendosi sulle spalle la responsabilità di quanto fa ogni membro della Chiesa e dell'intero popolo di Dio, nel bene come nel male. Per me è una testimonianza clamorosa, in un tempo di individualismi dove tutti sono tesi solo a giustificare la propria persona e a dire "io son fuori da questa responsabilità, non c'entro, gli altri faranno quello che vorranno"». Le responsabilità però sono anzitutto personali. «Sono sempre personali, ma c'è una solidarietà implicata nella comunione che è il bene più importante che Cristo ha portato. Lui per primo ha dato l'esempio. Cristo vede l'obbrobrio del peccato che sembra impedirgli ogni comunicazione con il Padre e, invece di fuggire, prende su di sé il peccato di tutti, lo assume fino in fondo sul palo ignominioso della croce». Benedetto scrive che presto si troverà davanti al giudice ultimo della vita. E che può avere motivo «di paura» ma anche di letizia. «La lettera dice di un uomo che, nell'ombra della morte, si dona. Questo è il senso più vero dell'abbandono. Le fatiche e le prove di questa vita lunga non gli tolgono la felicità. Davanti a sé vede bene le sofferenze delle vittime e prova vergogna di quel terribile crimine che è la pedofilia, ma insieme sa che, dal dono dell'amico Gesù - come lui dice - in croce, può fiorire l'implorazione del perdono». Crede che il testo sia tutto frutto del suo sacco? «Nel mio ultimo incontro con Ratzinger l'ho trovato, sul piano dell'acutezza e della memoria, molto più fresco di me. È molto fragile fisicamente, parla con un flatus vocis, ha bisogno di aver vicino qualcuno che lo aiuti a far capire bene le sue parole all'interlocutore, ma ha una mente ancora sveglissima. Mi ha ricordato particolari della nostra amicizia che io avevo completamente dimenticato».

Papa Francesco ha mandato un messaggio affettuoso e di sostegno al Papa emerito. La notizia dalla Stampa.

«Papa Francesco ha inviato un messaggio di sostegno al Papa emerito Benedetto XVI dopo la vicenda del dossier di Monaco di Baviera sugli abusi nella Chiesa. Lo ha detto monsignor Georg Gaenswein al Tg1: «E' arrivata a Benedetto XVI una bellissima lettera di Francesco, una lettera in cui parla da pastore, parla da confratello e parla anche da persona che di nuovo ha espresso la sua piena fiducia, il suo pieno sostegno e anche la sua preghiera». Nell'intervista andata in onda al Tg1, il segretario particolare del Papa emerito ha replicato alle critiche della stampa tedesca alla lettera di Benedetto XVI. «Chi legge la lettera in modo sincero non può condividere queste critiche», ha affermato Gaenswein che ha ricordato che «in occasione della Via Crucis del 2005 Papa Giovanni Paolo II chiese al cardinal Ratzinger di scrivere le meditazioni, in cui lui parla dello sporco all'interno della Chiesa. Allora ci sono prove che il cardinal Ratzinger, Papa Benedetto, ha fatto tanto in questo ambito delicato per portare avanti una pulizia interna». E a proposito del rapporto di Monaco, secondo cui gli arcivescovi che si sono succeduti «non potevano non sapere» degli abusi, Gaenswein ha risposto: «Se loro hanno le prove, allora devono dire "questa è la prova che tu sei colpevole". Ma le prove non ci sono».

Sempre sulla Stampa Domenico Agasso intervista il cardinale di Bologna Matteo Zuppi. Dice Zuppi: "Ratzinger accetta il giudizio umano, la sua lettera è una svolta epocale".

«Il cuore del mea culpa di Ratzinger è nella condivisione del suo esame di coscienza davanti a Dio e agli uomini su un tema attuale e di rilievo. Benedetto XVI non intende riferirsi "solo" al giudizio di Dio, come per fuggire dalle responsabilità nei confronti dell'umanità dei tempi e luoghi del suo governo ecclesiale». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, definisce «bella e intensa» la lettera diffusa dal Papa emerito in risposta al rapporto sugli abusi sessuali commessi nell'arcidiocesi di Monaco. È un testo «nobile, spirituale, umano ed indica una risposta ai problemi che ci sono: esorta la Chiesa a combattere contro il peccato chiamandolo per nome». Però nella galassia cattolica c'è chi ritiene che sia una manifestazione troppo personale per un pontefice: lei che cosa ne pensa? «Io credo il contrario: la forza di aprirsi e di raccontare le riflessioni compiute da uomo e da credente rappresentano la sincerità e l'autenticità della "grandissima colpa", facendo sue le responsabilità della Chiesa. Benedetto chiede perdono per le inadempienze mostrando dolore e profonda vergogna, dando una lezione di umiltà e responsabilità e prova di coraggio». In che senso? «Affidarsi "solo" al giudizio di Dio può diventare un modo per sfuggire al riconoscimento di sbagli di fronte agli altri uomini e donne. Joseph Ratzinger invece ha armonizzato le due direzioni verso cui si è rivolto: la responsabilità nei confronti dell'umanità nei tempi e luoghi in cui ha avuto incarichi di guida all'interno della Chiesa, e il rapporto con Dio. Si è espresso in una dimensione da grande uomo e credente, lanciando un messaggio di umanità e di fede». Lei pensa che sarà compreso? «È la preoccupazione che ho. Spero che sia capito nella sua altezza, universalità, mentre oggi è molto più facile pensare che l'unico criterio che conta è quello soggettivo. È l'individualismo diffuso nelle nostre società, dove esiste soltanto l'io. In Ratzinger invece coesiste la spinta a mettersi di fronte agli uomini e abbandonarsi con fiducia al giudizio finale di Cristo. Certo, riconosce che "nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere motivo di spavento e paura", ma dice anche di sentirsi "con l'animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l'amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato". Questo passaggio è da leggere e rileggere». Quali sono le differenze da altri celebri mea culpa papali? «Questo affronta una piaga aperta e sanguinante, mentre altri si riferivano a malefatte compiute da uomini di Chiesa in tempi precedenti e anche lontani. Ovviamente ciò non significa dare un ordine di importanza. Ratzinger dice: "Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi". Qui c'è un coinvolgimento personale che aiuta tutti quanti a non sfuggire dai propri doveri ancora presenti». C'è chi sostiene che la missiva di Ratzinger getta un'ombra incancellabile sul suo pontificato e sulla sua persona, minandone l'immagine nella storia: è d'accordo? «No. Anzi: con questa ammissione ha ulteriormente rafforzato la sua autorevolezza di uomo, sacerdote, vescovo e Papa emerito. Già da cardinale si era espresso chiaramente più volte, sul tema. Peraltro lui esprime il dolore, che è anche un interrogativo, per chi utilizza una svista per dubitare della sua veridicità. Tutti siamo sempre inadeguati. È ipocrita chi si scandalizza delle fragilità umane. Dio non si scandalizza del peccato. È san Pietro che si dispera per la propria debolezza, tanto che cerca di esorcizzarla affermando ciò che non farà: "Non ti tradirò mai"; per poi sentirsi perduto quando tradisce. Dio ci aiuta a essere davvero liberi dal peccato non facendo finta, fuggendolo, ma ammettendolo e affrontandolo». La Chiesa che cosa dovrebbe apprendere da questa lettera? «La Chiesa tutta è chiamata a combattere compatta il peccato, mai il peccatore. In questo papa Francesco è un esempio per tutti. Tutti siamo chiamati a metterci di fronte al giudizio di Dio, che è anche un grande aiuto. E farlo come è indicato nella lettera: con equilibrio, fede, lealtà, e allo stesso tempo affidandosi a Lui come avvocato». Non è un modo per assolversi? «No. Perché alla giustizia si arriva con il giudizio sulle colpe. Difesa non è il modo di evitare il giudizio, anzi, abbiamo bisogno del giudizio. Per i credenti entrambi i ruoli li ricopre il Signore. Ecco perché è importante non scappare dalle verifiche, umane e di fede». Papa Francesco ieri mattina ha detto che sono belle le parole di Benedetto XVI sulla morte «Ratzinger ci ha spiegato come non lasciare prevalere il timore e l'angoscia davanti alla "porta oscura": guardarla negli occhi ci aiuta a vivere meglio».

L’ESAME DI MATURITÀ, MEGLIO ABOLIRLO?

Claudio Giunta, professore di Italianistica a Trento, penna brillante anche sull’attualità (suo l’azzeccato saggio sul fondatore di Italia Viva per il Mulino Essere #Matteo Renzi) scrive stamattina sul Foglio una critica sensata e ragionata all’esame di maturità. Come sapete, venerdì scorso gli studenti sono tornati in piazza per chiedere l’abolizione (almeno) del secondo scritto.

 «Io l'esame di stato lo abolirei, perché un esame che passano praticamente tutti non è un esame. "Ma - si obietta - è comunque una prova, una soglia che si supera, un rito di passaggio, nonché un buon modo per convincere i ragazzi più svogliati a studiare un po' più del solito ("quest' anno c'è la maturità!")". Sì, ma dobbiamo smettere di prendere le cose non per il loro valore in sé ma per i loro effetti collaterali o il loro significato simbolico: la condanna troppo severa che però dà l'esempio agli altri aspiranti delinquenti, le mascherine sulla faccia anche se non servono perché così uno sta attento, gli esami che si superano in ogni caso ma intanto mettono addosso un pochino di virtuosa tensione. Nessun angolo della vita associata senza il suo bravo nudge. Non va bene. Un esame dovrebbe accertare il possesso di determinate conoscenze o competenze o abilità. Le accerta l'attuale esame di stato? No, quindi meglio prenderne atto, risparmiare i soldi e la fatica, concentrarsi su cose più utili (per esempio non passare dei mesi a prepararsi per l'esame) e consegnare all'università o alla vita o a nessuno il compito di fare filtro. Ma visto che l'esame is here to stay, prove orali o prove scritte? La reazione pavloviana dei professori (quindi anche la mia) è: "Ma cosa vogliono questi? Altro che abolire la prova scritta, non due ce ne vogliono ma tre, quattro, anzi la retroversione dall'italiano al latino come ai bei tempi, che poi quando vanno a fare i concorsi in magistratura fanno un errore di grammatica per riga". La reazione pavloviana è ragionevole, un po' scentrata e discutibile. Ragionevole: perché chi non pensa che gli esami debbano essere seri e rigorosi, e che un compito scritto consenta un giudizio più oggettivo rispetto a un colloquio orale, e solleciti competenze che è importante poter misurare? Un po' scentrata: perché il problema, ripeto, non sta nell'orale o nello scritto, ma nell'esame in sé, in un esame -dicevo- concepito non come prova da superare ma come soglia, rito, festa di congedo. Discutibile: perché una prova scritta c'è già per tutti, la prima, l'inossidabile tema su un testo letterario, o su un argomento di attualità; e i dubbi (formulati dal Cspi e da alcuni studenti) riguardano soprattutto la seconda prova caratterizzante, non perché si voglia a tutti i costi facilitare l'esame, ma un po' perché chi lo sa se a giugno si potrà stare nelle aule senza mascherina, un po' perché veniamo da due anni di semi-scuola, quando non di non scuola, e forse sarebbe stato opportuno proporre delle prove che tenessero conto della vita difficile che gli studenti hanno vissuto in questo arco di tempo. Quali? Difficile dirlo senza scendere nel dettaglio degli indirizzi, delle discipline; ma va forse in questo senso la decisione di dare alle singole commissioni l'incarico di formulare le seconde prove scritte: decisione sensata, ma che mette un'altra responsabilità e un'altra fatica sulle spalle degli insegnanti, anche loro piuttosto provati dai mesi passati in Dad o in classe con la mascherina (l'insegnante-scrittore Mario Fillioley ne ha parlato in maniera molto spiritosa e molto vera sulla sua pagina Facebook: consiglio la lettura). Si arriverà, immagino, a un compromesso all'italiana; si sarà cioè molto gentili e comprensivi, anche più del solito, nella valutazione delle prove scritte, e addirittura amichevoli al colloquio orale: mano di velluto in guanto di ferro (il ritorno delle prove scritte!), il che dopo questa ordalia di due anni - non sono ironico - mi pare persino giusto».

UCRAINA, EUFORIA BELLICISTA E DIPLOMAZIA

Crisi sull’Ucraina. Oggi iniziano esercitazioni militari sul campo mentre i ministri britannici sono in tour diplomatico. Il presidente Usa Biden approva i piani d'evacuazione da Kiev. Su Repubblica Paolo Mastrolilli.

«Da una parte Biden approva i piani per l'evacuazione degli americani dall'Ucraina, mentre Mosca e Kiev lanciano esercitazioni militari; dall'altra la diplomazia cerca una via d'uscita pacifica. La crisi cammina sul filo, sospesa tra la minaccia del conflitto e la speranza di evitarlo ridisegnando l'architettura della sicurezza europea. Il Wall Street Journal ha rivelato che Biden ha dato via libera alle modalità per l'evacuazione. La portavoce Psaki ha detto che 6.600 americani sono in Ucraina: «Li incoraggiamo a partire adesso». Alcuni dei 1.700 parà dell'82nd Airborne Corps inviati in Polonia avranno il compito di preparare la fuga. Il piano non prevede l'ingresso in Ucraina per un ponte aereo tipo Afghanistan, che il Pentagono non ritiene necessario, ma creare checkpoint e campi di accoglienza per i profughi. L'ambasciata Usa a Kiev ha informato i cittadini su come raggiungere via terra Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia e Moldova, dove dovranno arrivare con mezzi propri. La maggioranza è attesa in Polonia, dove troverà i paracadutisti a facilitare l'uscita. Si tratta di una precauzione necessaria, per non ripetere il disastro afghano, a gestirla sarà il generale Donahue, ultimo militare Usa a lasciare Kabul. Oggi Russia e Ucraina iniziano esercitazioni contemporanee. Mosca le condurrà in Bielorussia, dove ha inviato 30mila soldati che potrebbero marciare su Kiev da nord. L'importanza di queste manovre è confermata dal fatto che a supervisionarle è andato il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov. Il ministro della Difesa ucraino Oleksij Reznikov ha annunciato che nelle stesse ore le sue truppe avvieranno l'addestramento all'uso dei missili anti carro forniti da Usa e Gran Bretagna, e i droni turchi. La Germania ha lanciato l'allarme su calo delle riserve di gas, e Papa Francesco ha ammonito che «la guerra è una pazzia». Sullo sfondo di questi segnali, la diplomazia continua a lavorare. Ieri la Ue ha risposto alle richieste di Mosca per rivedere gli equilibri europei e, pur non accettando veti sull'allargamento Nato, ha dichiarato che «insieme ai partner dell'Alleanza, è pronta a continuare il dialogo con la Russia sui modi per rafforzare la sicurezza di tutti». La Ue ritiene che l'Osce «sia il forum appropriato per affrontare le preoccupazioni delle parti interessate, con altri formati, compreso il Consiglio Nato-Russia». Non è tutto quello che vuole Putin, ma il portavoce del Cremlino Peskov ha detto che durante la conferenza stampa di Zelenskij e Macron «ci sono stati segnali positivi». Il presidente francese ha parlato al telefono con Biden degli sforzi diplomatici in corso. Il 14 Putin dovrebbe andare a discutere la crisi in Turchia, dove Erdogan ha offerto di mediare, mentre a Mosca sono in visita i ministri degli Esteri e della Difesa britannici, Truss e Wallace. La vice segretaria di Stato Sherman ha fatto il punto con gli alleati, fra cui il direttore politico della Farnesina Ferrara, per tenere aperti i canali diplomatici, ma prepararsi anche alle sanzioni in caso di invasione».

OMICIDIO ATTANASIO, DUE FUNZIONARI INDAGATI

Strage nel Congo. La Procura di Roma ha chiuso le indagini, dopo un anno dall’attentato, e ha indagato per omicidio colposo due funzionari del Pam, il programma alimentare dell’Onu. Parla all’Avvenire il padre dell’ambasciatore Attanasio, Salvatore, che insiste: ci sono stati depistaggi e omissioni. L’intervista è di Diego Motta.

«La morte di mio figlio non può essere letta come un semplice fatto di cronaca. Luca era un ambasciatore e la sua uccisione è stata un atto politico contro lo Stato italiano». Salvatore Attanasio custodisce da quasi un anno la memoria del massacro avvenuto in Congo. Non ha mai creduto alle notizie sugli arresti dei presunti responsabili effettuati a Goma e ha sempre individuato nel comportamento del Pam, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, la causa di quanto è accaduto. L'inchiesta della Procura di Roma è finalmente «un primo passo verso la verità - dice -. Ora ne serviranno altri».

Quali?

Mio figlio si trovava nel nord Kivu, quel giorno, su invito del Pam. La lettera di viaggio per quella missione era stata firmata dall'Onu, i voli aerei su cui ha viaggiato erano dell'Onu. A loro spettava di garantire il massimo della sicurezza. Perché non è avvenuto? Perché nel documento in cui si presentava la missione, il nome di mio figlio non era indicato? Perché mancavano auto blindate per garantire maggiore protezione? Sono queste le domande a cui non abbiamo mai avuto risposta in questi mesi. E oltre all'alterazione delle lettere di viaggio, resta l'incredibile decisione dei testimoni oculari di rifiutarsi di parlare, trincerandosi dietro una presunta immunità diplomatica.

Si aspettava questa svolta?

Assolutamente sì. Mi sarei stupito del contrario. Ripeto: opporre l'immunità di fronte a un triplice omicidio è gravissimo. Ora per arrivare alla verità è necessario che le indagini vadano avanti: è necessario interrogare questi signori per poter ricostruire l'esatta dinamica dei fatti. Serve maggiore pressione dallo Stato e anche dall'Europa, di cui l'Italia è Paese fondatore. Ci sono stati troppi tentativi di depistaggio, troppe omissioni. Si arrivi alla verità, perché senza verità non ci sarà mai giustizia.

Quali ricadute sono possibili, dal punto di vista diplomatico?

Non sta a me dirlo. Durante il G20, Mattarella e Draghi hanno incontrato il presidente del Congo e questo è stato un segnale importante. A Strasburgo, una mozione firmata da 48 europarlamentari italiani ha chiesto un impegno chiaro all'Unione, perché si impegni a fare chiarezza sulla vicenda. Penso che ottenere la massima trasparenza dal Programma alimentare mondiale sia a questo punto il minimo, anche vincolando eventualmente i fondi destinati a queste strutture alla necessaria collaborazione nelle indagini.

Il capo dello Stato, nel consegnare alla vostra presenza l'onorificenza di Gran Croce d'Onore dell'Ordine della Stella d'Italia alla memoria di Luca, ne parlò come di un emblema e un simbolo per lo stile del diplomatico.

Luca preferiva i fatti alle parole, non amava il clamore. Interpretava la diplomazia come un servizio alla comunità e ricordava spesso che l'ambasciata, la sua ambasciata, doveva essere la casa degli italiani. Per questo, amava i medici e i missionari. In questi mesi abbiamo ricevuto testimonianze e ricordi del suo impegno a tutte le latitudini, dall'Africa agli Stati Uniti. Speriamo che il suo sacrificio non sia vano».

BOSNIA, I PROFUGHI DIMENTICATI

Reportage dalla Bosnia tra i dannati del nuovo campo profughi che contiene tremila migranti. “La polizia ci insegue coi cani”. Mattia Marinolli per la Stampa.

«Una struttura pensata come centro di accoglienza e passaggio per migranti rende il confine verso la Croazia sempre più distante. Un luogo asettico fatto di bianchi container e capannoni che si confondono tra foschia e neve; recinzioni all'esterno e all'interno in una conca desolata raggiungibile da una strada sterrata a 26 km a Est di Bihac, capoluogo del cantone di Una-Sana in Bosnia Erzegovina. Il campo Lipa assomiglia molto di più a una prigione che a un centro temporaneo di accoglienza. Il 19 novembre 2021 è stata «inaugurata» la nuova struttura che può ospitare 1500 persone, attualmente ci sono 400 persone. Va a rimpiazzare i tendoni della vecchia, bruciata nell'incendio scoppiato in pieno inverno lo scorso anno che ha catalizzato i media di tutto il mondo. Il progetto finanziato dall'Unione Europea insieme ad alcuni partner tra cui il ministero degli Esteri italiano è gestito da Iom, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite. Rispetto al vecchio campo, le condizioni sono migliorate; ora gli ambienti sono riscaldati e c'è persino l'acqua calda. Sicuramente una non prospettiva per tutte quelle persone che, vedendosi negato l'accesso in Europa, si sono trovate bloccate per mesi o per anni in questo angolo della Bosnia Erzegovina lasciato solo dal governo centrale e dall'Europa tutta. Dal check-point d'ingresso la strada scende verso il refettorio, un capannone diviso al suo interno in due parti che separano minorenni e maggiorenni. Sono le 11 e un'ottantina di migranti stanno consumando la colazione. Le persone entrando percorrono il corridoio ricavato dalle reti metalliche che fanno da divisorio per raggiungere la fila per prendere il vassoio. Nella sala c'è quasi silenzio, ai tavoli sono perlopiù sedute quattro persone, alcuni parlano. I visi spenti guardano davanti a loro, tra i molti ragazzi provenienti dal Pakistan c'è anche un gruppetto di tre cubani, sono dieci in tutto a Lipa. Sono atterrati in Russia con la speranza di raggiungere la Spagna. Anche loro si sono trovati bloccati in questo limbo dimenticato ai confini della Bosnia. Molte delle persone in cammino verso l'Europa avrebbero il diritto di richiedere lo status di rifugiato, garantito dall'articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951, e invece si trovano assoggettate alle regole del «game» ovvero il tentativo di entrare in Europa passando per i vari stati balcanici. Un gioco fatto di respingimenti illeciti, violenze e lunghe camminate nei boschi in balia del freddo. Non si vince facilmente, i più sono costretti a tornare sui loro passi e preparare nuovamente il viaggio, per alcuni il gioco è fatale. Il 29 dicembre scorso 4 ragazzi pakistani stavano guadando un fiume che li avrebbe portati in Croazia. Haq Ljaz Ul, ventiquattro anni, affoga e viene portato via dalla corrente davanti all'impotenza dei compagni. I tre si dirigono dalla polizia croata per chiedere di recuperare il corpo. Ad oggi il corpo di Haq non è ancora stato trovato e i tre sono stati deportati in Bosnia. Questo è solo uno dei numerosi incidenti mortali che fanno parte di questo macabro gioco. Negli ultimi mesi i flussi verso Bihac e Velika Kladua, una cittadina situata nell'estremo Nord-ovest del Paese, sono diminuiti; lo scorso novembre erano bloccati in Bosnia Erzegovina circa tremila migranti, rispetto ai diecimila dell'anno prima. Sembra che la rotta stia cambiando, complice probabilmente la difficile situazione che in questi anni si è respirata al confine croato. Quelli conosciuti come pushbacks, i respingimenti della polizia croata, rendono impossibile il tragitto verso l'Europa. Numerosi sono stati i casi di violenze perpetrate a danni dei migranti. Il pattern descritto è sempre lo stesso: «La polizia ferma il gruppetto, chiede chi possa parlare inglese, umiliazioni verbali, violenze fisiche con teasers e aggressioni corporali, in alcuni casi i cani vengono utilizzati per la partita di caccia tra i monti che dividono il confine», raccontano i migranti. Alcuni vengono privati delle scarpe; cellulari e soldi vengono rubati e vengono poi rispediti oltre il confine. In molti casi al di qua del confine i furgoni dello Iom sono lì pronti ad aspettare i respinti e portarli a Lipa. Con l'emergenza Covid le regole sono cambiate. Chi entra a Lipa viene tenuto due giorni in una parte del campo. Dopo il tampone vengono rinchiusi nei container per un'ulteriore quarantena dove resteranno cinque giorni, al termine dei quali potranno decidere se restare o tornare a piedi verso Bihac percorrendo la lunga statale che porta alla cittadina. Molti migranti preferiscono evitare Lipa, troppo distante dal confine, la mensa è poco apprezzata e sembra di stare in galera. Altri, mossi dal freddo, telefonano in struttura per farsi venire a prendere e passare l'inverno lì per poi provare il «game» con condizioni climatiche migliori. Sembra paradossale che un Paese come la Bosnia Erzegovina che vive in una perenne crisi politica e sociale, fuori dall'Europa, ma nel cuore della stessa, si trovi a gestire da sola un dramma che dovrebbe coinvolgere tutti. Se con i primi flussi del 2017 la popolazione aveva empatizzato con i migranti, oggi non è più così. Nella maggior parte dei negozi i migranti non sono ben accetti, a volte è loro negato l'accesso, altre volte vengono lasciati fuori con la scusa del Green Pass in un Paese dove la percentuale dei vaccinati è la più bassa d'Europa».

OGGI LA MEMORIA DELLE FOIBE

Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio dedica la sua rubrica di dialogo con i lettori al Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe che si celebra oggi.

«Le foibe sono ferite nella terra e cicatrici nella memoria delle donne e degli uomini di retta coscienza. Per questo Giorno del Ricordo, il diciottesimo che l'Italia celebra, ho scelto lettere diversamente provocanti. È potente la saldatura che Mario Sani fa tra il ricordo e i sentimenti della madre esule e il gesto luminoso e forte di dolore e di riconciliazione compiuto dai presidenti Mattarella e Pahor davanti alla foiba di Basovizza. È delicato e bellissimo l'appello ai ragazzi di Maria Grazia Stepancich a tener cari i ricordi più semplici per essere solidali con coloro che proprio a partire da piccoli ricordi hanno dovuto e saputo ricostruire la propria vita, dando senso e anima alle sofferenze subite, all'esilio ingiusto, all'identità custodita. È saggia e preziosa, soprattutto in questo tempo sbadato e sbandato, la raccomandazione di Alessandro Franzetti a ricordare sempre le vittime dell'odio etnico e politico e a non dimenticare che libertà e democrazia vanno difese sempre e per tutti. Proprio per tutti. È appassionata la perorazione di Beppe De Giovannini a nome del Centro culturale 'Péguy' di Stresa. Vorrei soffermarmi solo su quest' ultima. Giorno verrà, e sarà un giorno benedetto, in cui - parafrasando i versi- profezia del grande Paul Éluard - i figli sapranno camminare insieme («a due a due», dice il poeta). E sapranno far memoria insieme di ogni orrore che ha sfigurato la storia dell'umanità e di ogni amore che, invece, l'ha fatta più giusta, più buona e più bella. E insieme, infine, «rideranno della leggenda nera» dove ogni uomo «piange in solitudine» il suo passato e il suo presente, senz' essere capace di futuro. Giorno verrà, io spero. Ma per preparare quel giorno niente della specificità di ogni tragedia dev' essere dimenticato, fuso e confuso. E tutta la consapevolezza di ciò che tremendamente è stato, e non per destino ma per disumana scelta, va preservata, va trovata e ritrovata ancora, e va trasmessa. Abbiamo bisogno di ogni singolo Giorno dedicato alla memoria e al ricordo. Di ogni Giornata di verità, di parole oneste e di disarmato coraggio. Abbiamo - avremmo! - bisogno di saper dire e ripetere ogni singolo nome di vittima. Ne abbiamo bisogno per far maturare la vera pace. E che Dio ci aiuti, perché - nonostante i passi fatti insieme, le mani strette e i pugni disserrati - non è affatto facile».

Il professore di Storia dell’Arte, e rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari ha organizzato un seminario dal titolo: «Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del ricordo». Aldo Grasso critica la sua “ossessione” contro le Foibe.

«Più che una riflessione è un'ossessione, più che un'analisi è un'esibizione, più che storiografia è mitomania. Per Tomaso Montanari, rettore dell'Università per stranieri di Siena, le foibe rappresentano sempre una buona occasione per mettersi in mostra davanti a una sinistra «dura e pura». Di cui, evidentemente, si sente l'ultimo erede. Alla vigilia del Giorno del ricordo, «istituito - come recita la legge n. 92 del 30 marzo 2004 - al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra», Montanari ha pensato bene di organizzare a Siena un seminario dal titolo: «Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del ricordo». Nel presentare il convegno (in una sala semideserta), Montanari ha ribadito il carattere accademico dell'incontro («l'università non si schiera politicamente»), che in discussione non è la tragedia delle vicende ma il revanscismo fascista che ha portato all'istituzione della legge del 2004, e tuttavia (nonostante la qualità degli interventi) a nessuno sfugge il carattere di provocazione per ribadire, ancora una volta, come questa ricorrenza sia «una falsificazione storica» voluta dalle destre. Il Giorno del ricordo non è nato in evidente opposizione alla Giornata della memoria (della Shoah). Se alcuni faziosi lo fanno (e lo fanno), se ne assumano la responsabilità. Ma non esiste nessuna equiparazione fra i due eventi: la Shoah indica l'unicità di una tragedia senza paragoni. Le foibe sono un abisso, la voragine dell'inebetimento umano. Non paragonabili al calcolato progetto di genocidio dei nazisti ma pur sempre parte di quell'ideologia di purificazione etnica che imbianca tutti i sepolcri del mondo. La disinvoltura sul numero dei morti «costituisce - ha scritto Raoul Pupo - un ottimo trampolino di balzo per il negazionismo, che ha buon gioco nel denunciare esagerazioni e incongruenze e che nel facile risultato trova la spinta a mettere in discussione non solo la retorica rappresentazione, ma la sostanza dei fatti». La memoria va a corrente alternata? Memoria significa anche ricordare l'accoglienza riservata da molti italiani ai profughi. Come suggerisce Toni Concina, presidente dei Dalmati italiani nel mondo: «Vorremmo che la Nazione ricordasse con serietà e orgoglio i suoi 350.000 figli estirpati dalle loro terre e dimenticati per decenni. E che si smetta di considerarla legata soltanto all'occupazione fascista! Basta leggere i censimenti austriaci dell'inizio '900 e paragonarli con quelli croati di fine secolo per toccare con mano la sostituzione etnica effettuata sulla pelle di cittadini laboriosi e onesti, principali vittime delle conseguenze della sciagurata Seconda guerra mondiale».

LA CATECHESI DEL PAPA: SAN GIUSEPPE E LA MORTE

Ieri Papa Francesco ha dedicato la catechesi del mercoledì al tema della morte. E ha detto: «La morte va accolta, non provocata. È disumano accelerarla negli anziani». Ecco il testo integrale dell’intervento pubblicato da Avvenire.  

«Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Nella scorsa catechesi, stimolati ancora una volta dalla figura di San Giuseppe, abbiamo riflettuto sul significato della comunione dei santi. E proprio a partire da questa, oggi vorrei approfondire la speciale devozione che il popolo cristiano ha sempre avuto per San Giuseppe come patrono della buona morte. Una devozione nata dal pensiero che Giuseppe sia morto con l'assistenza della Vergine Maria e di Gesù, prima che questi lasciasse la casa di Nazaret. Non ci sono dati storici, ma siccome non si vede più Giuseppe nella vita pubblica, si pensa che sia morto lì a Nazaret, con la famiglia. E ad accompagnarlo alla morte erano Gesù e Maria. Il papa Benedetto XV, un secolo fa, scriveva che «attraverso Giuseppe noi andiamo direttamente a Maria, e, attraverso Maria, all'origine di ogni santità, che è Gesù». Sia Giuseppe sia Maria ci aiutano ad andare a Gesù. E incoraggiando le pie pratiche in onore di san Giuseppe, ne raccomandava in particolare una, e diceva così: «Poiché Egli è meritatamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l'assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire quei pii sodalizi che sono stati istituiti per supplicare Giuseppe a favore dei moribondi, come quelli "della Buona Morte", del "Transito di San Giuseppe" e "per gli Agonizzanti"» (Motu proprio Bonum sane, 25 luglio 1920): erano le associazioni del tempo. Cari fratelli e sorelle, forse qualcuno pensa che questo linguaggio e questo tema siano solo un retaggio del passato, ma in realtà il nostro rapporto con la morte non riguarda mai il passato, è sempre presente. Papa Benedetto diceva, alcuni giorni fa, parlando di sé stesso che «è davanti alla porta oscura della morte». È bello ringraziare il papa Benedetto che a 95 anni ha la lucidità di dirci questo: «Io sono davanti all'oscurità della morte, alla porta oscura della morte». Un bel consiglio che ci ha dato! La cosiddetta cultura del "benessere" cerca di rimuovere la realtà della morte, ma in maniera drammatica la pandemia del coronavirus l'ha rimessa in evidenza. È stato terribile: la morte era dappertutto, e tanti fratelli e sorelle hanno perduto persone care senza poter stare vicino a loro, e questo ha reso la morte ancora più dura da accettare e da elaborare. Mi diceva una infermiera che una nonna con il Covid stava morendo e le disse: «Io vorrei salutare i miei, prima di andarmene». E l'infermiera, coraggiosa, ha preso il telefonino e l'ha collegata. La tenerezza di quel congedo. Nonostante ciò, si cerca in tutti i modi di allontanare il pensiero della nostra finitudine, illudendosi così di togliere alla morte il suo potere e scacciare il timore. Ma la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla. Prima o poi, tutti noi andremo per quella porta. La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo. Ecco la luce. E scrive san Paolo: Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» ( 1 Cor 15,12-14). C'è una certezza: Cristo è resuscitato, Cristo è risorto, Cristo è vivo tra noi. E questa è la luce che ci aspetta dietro quella porta oscura della morte. Cari fratelli e sorelle, solo dalla fede nella risurrezione noi possiamo affacciarci sull'abisso della morte senza essere sopraffatti dalla paura. Non solo: possiamo riconsegnare alla morte un ruolo positivo. Infatti, pensare alla morte, illuminata dal mistero di Cristo, aiuta a guardare con occhi nuovi tutta la vita. Non ho mai visto, dietro un carro funebre, un camion di traslochi! Dietro a un carro funebre: non l'ho visto mai. Ci andremo soli, senza niente nelle tasche del sudario: niente. Perché il sudario non ha tasche. Questa solitudine della morte: è vero, non ho mai visto dietro un carro funebre un camion di traslochi. Non ha senso accumulare se un giorno moriremo. Ciò che dobbiamo accumulare è la carità, è la capacità di condividere, la capacità di non restare indifferenti davanti ai bisogni degli altri. Oppure, che senso ha litigare con un fratello o con una sorella, con un amico, con un familiare, o con un fratello o una sorella nella fede se poi un giorno moriremo? A che serve arrabbiarsi, arrabbiarsi con gli altri? Davanti alla morte tante questioni si ridimensionano. È bene morire riconciliati, senza lasciare rancori e senza rimpianti! Io vorrei dire una verità: tutti noi siamo in cammino verso quella porta, tutti. Il Vangelo ci dice che la morte arriva come un ladro, così dice Gesù: arriva come un ladro, e per quanto noi tentiamo di voler tenere sotto controllo il suo arrivo, magari programmando la nostra stessa morte, essa rimane un evento con cui dobbiamo fare i conti e davanti a cui fare anche delle scelte. Due considerazioni per noi cristiani rimangono in piedi. La prima: non possiamo evitare la morte, e proprio per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l'accanimento terapeutico (cfr Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2278). Quella frase del popolo fedele di Dio, della gente semplice: "Lascialo morire in pace", "aiutalo a morire in pace": quanta saggezza! La seconda considerazione riguarda invece la qualità della morte stessa, la qualità del dolore, della sofferenza. Infatti, dobbiamo essere grati per tutto l'aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette "cure palliative", ogni persona che si appresta a vivere l'ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile. Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch' esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti. Ma io vorrei sottolineare qui un problema sociale, ma reale. Quel "pianificare" - non so se sia la parola giusta - ma accelerare la morte degli anziani. Tante volte si vede in un certo ceto sociale che agli anziani, perché non hanno i mezzi, si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno, e questo è disumano: questo non è aiutarli, questo è spingerli più presto verso la morte. E questo non è umano né cristiano. Gli anziani vanno curati come un tesoro dell'umanità: sono la nostra saggezza. Anche se non parlano, e se sono senza senso, sono tuttavia il simbolo della saggezza umana. Sono coloro che hanno fatto la strada prima di noi e ci hanno lasciato tante cose belle, tanti ricordi, tanta saggezza. Per favore, non isolare gli anziani, non accelerare la morte degli anziani. Accarezzare un anziano ha la stessa speranza che accarezzare un bambino, perché l'inizio della vita e la fine è un mistero sempre, un mistero che va rispettato, accompagnato, curato, amato. Possa san Giuseppe aiutarci a vivere il mistero della morte nel miglior modo possibile. Per un cristiano la buona morte è un'esperienza della misericordia di Dio, che si fa vicina a noi anche in quell'ultimo momento della nostra vita. Anche nella preghiera dell'Ave Maria, noi preghiamo chiedendo alla Madonna di esserci vicini "nell'ora della nostra morte". Proprio per questo vorrei concludere questa catechesi pregando tutti insieme la Madonna per gli agonizzanti, per coloro che stanno vivendo questo momento di passaggio per questa porta oscura, e per i familiari che stanno vivendo il lutto. Preghiamo insieme: Ave Maria...».

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