La Versione di Banfi

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Draghi? Lo vuole l'Europa

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Draghi? Lo vuole l'Europa

A Bruxelles chiedono Super Mario fino al 2023. Niente Quirinale. Fedez fa dimenticare i lavoratori anche il primo maggio. I tifosi a Milano come i religiosi nel Gange? Tanti veleni dalle e sulle toghe

Alessandro Banfi
May 3, 2021
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Draghi? Lo vuole l'Europa

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Al di là del merito della legge Zan, di cui pochi parlano davvero, il caso Fedez al Concertone del primo maggio ha qualcosa di emblematico. Segna il compiersi di un amaro destino della sinistra italiana. Lo spiega bene Selvaggia Lucarelli sul Fatto: nel giorno della difesa dei diritti dei lavoratori e del lavoro, è un esponente dello star system, miliardario, a diventare leader e punto di riferimento. Lo aveva scritto Federico Rampini tre anni fa, nel suo libro La notte della sinistra: perso il contatto con il popolo, la sinistra è guidata da Hollywood e lascia le masse popolari alla destra di Trump. Rileggerlo oggi fa effetto: “Tra i guru «progressisti» vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer sui social media, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity. Mentre trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo”.

Polito sul Corriere ricorda che in Italia già Berlusconi e Grillo sono diventati leader politici grazie alla tv e all’indignazione sommaria (e populista), organizzata da pulpiti mediatici. Poi i partiti cercano, come sempre, di approfittarne. La dirigente di RAI3 che discute al telefono con Fedez è stata anche portavoce di Veltroni ma Letta e Conte (l’ultimo a nominare l’attuale dirigenza) si schierano col cantante e chiedono svolte in RAI, preparandosi alla prossima tornata di nomine, da loro già lottizzate e che determineranno ancora. Enrico Letta ha un problema in più.  Sembra aver perso completamente l’equilibrio, dimostrato sui temi etici dai Prodi e persino dalle Bindi, in un passato recente, e sposa adesso in blocco, senza batter ciglio, il DDL Zan. Una legge che, sebbene proposta da un esponente del Pd, ha scatenato molti dubbi anche fra altri esponenti di sinistra e fra le femministe storiche. Impossibile che Letta non sia a conoscenza di questo dibattito ed è molto grave che non si sia ancora espresso su di esso.

Riaperture. Nessuno si preoccupa troppo dell’assembramento dei tifosi dell’Inter in piazza Duomo a Milano per la vittoria dello scudetto. Liberi tutti per almeno 30 mila persone. Speriamo che a Milano non finisca come in India, dopo il raduno religioso nel Gange che il governo ha tollerato. Da noi l’ultima religione intoccabile e sacra è quella del tifo calcistico: il sindaco di Milano Sala ha lasciato circolare liberamente tutti. Intanto la vaccinazione di massa va avanti nella pausa domenicale: dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 379 mila 950 somministrazioni. Il primo maggio, nonostante la festività, era andata meglio: 426 mila 846. Speriamo la campagna si rimetta subito in carreggiata coi 500mila, recuperando magari le fiale perdute nel fine settimana. Importante intervista di David Sassoli alla Stampa sulla Russia di Putin, che lo ha “bannato”. Bello anche l’incontro del Corriere con la scrittrice Edith Bruck. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Il concertone del primo maggio ha fatto ancora notizia. Non sul lavoro. Il Corriere della Sera: Il caso Fedez agita i partiti. Per la Repubblica: Ciclone Fedez sulla Rai. La Stampa attribuisce al rapper il giudizio: Fedez: questa Rai è vergognosa. Per Il Giornale: Sinistra in mala-Fedez. Quotidiano nazionale si occupa ancora delle riaperture ma sostiene che, con i divieti, i locali lavorano solo al 50 per cento: Prova d’estate, ma i conti non tornano. Il Messaggero per una volta è ottimista sui dati economici, riferendo un’intervista col commissario europeo Paolo Gentiloni: «L’Italia cresce più del previsto». Il Sole 24 Ore invece si concentra sulla scuola: Guida Maturità. Tesina, curriculum e voti: è iniziata la corsa all’esame. Capitolo veleni, oggi ampio. Il Fatto pubblica la foto di un incontro del leader di Italia Viva: 007, Renzi attaccava Conte e vedeva la spia all’autogrill. La Verità stampa invece i verbali della vittima dello stupro in cui è coinvolto il figlio del garante dei 5 Stelle: «Così m’hanno stuprato in casa Grillo». Per Libero c’è: Il marasma giustizia. Il Domani si occupa di un fenomeno inquietante, spesso i tribunali tolgono i figli a donne migranti, perché non sono considerate buone madri. Titolo: I bambini strappati.

IL CASO FEDEZ, PRIMO MAGGIO DI POLEMICHE

Il rapper Fedez, ospite del concertone del primo maggio, accusa la Rai di aver cercato di censurare il suo discorso. La Rai nega e minaccia azioni legali ma l’ad Fabrizio Salini ha comunque chiesto scusa per le incomprensioni coi dirigenti di Rai3. Conte e Letta si sono schierati con Fedez. Selvaggia Lucarelli sul Fatto quotidiano scrive una riflessione non banale:

 «E fu così che nel giorno della festa dei lavoratori si finì per parlare solo di un cantante milionario che ha gridato alla censura col megafono offerto da chi l'avrebbe censurato (la Rai) e per niente dei lavoratori. Ed è finita, pure, che per attaccare la Lega, Fedez ha in realtà accusato di tentativo di censura la vicedirettrice di Rai 3 Ilaria Capitani, che è in quota Pd. E dunque Matteo Salvini ha potuto difendersi dicendo: "E mica ce l'ho messa io lì, chiedete al Pd". Nel frattempo, la Rai si è difesa dicendo che il video di Fedez era tagliato ad arte e in effetti, dalla telefonata integrale, si evince che i toni della Capitani non fossero esattamente quelli della censura, per cui sì, Fedez aveva tagliato il video che neanche Le iene nei loro giorni migliori. Mentre succedeva tutto questo, sui social era tutto un fioccare di tweet di politici che si rallegravano "Bravo Fedez!" dimenticando che alla lottizzazione della Rai partecipano pure i loro partiti, nessuno escluso. Intanto qualcuno faceva notare che da un po' tempo Fedez e la Ferragni si sono rivolti ad una società di consulenza che indica ai Ferragnez i temi che stanno a cuore alla generazione Z, dal veganesimo alla fluidità di genere, per cui lei è passata dal promuovere un'azienda di carni agli snack vegani, e lui dallo scrivere testi tipo "Si era presentato in modo strano con Cristicchi 'Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing. Ora so che ha mangiato più würstel che crauti. Si era presentato in modo strano con Cristicchi. Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?'" al diventare il paladino dei diritti Lgbt. Qualcuno ha fatto notare "chi se ne frega, l'importante è il risultato". Il che è anche vero. Se sostieni il ddl Zan e spieghi a qualche ragazzo giovane (che magari lo ignora) che cosa sia la lottizzazione della Rai, va comunque bene, pure se lo fai senza quella scintilla di verità che ci vuoi far credere. Infine, in questo putiferio, qualcuno ha fatto sommessamente notare che Fedez è testimonial Amazon con cui ha un contratto a parecchi zeri. E che sarebbe stato coraggioso, nel giorno della festa dei lavoratori, ricordare al suo principale datore di lavoro le condizioni disumane in cui lavorano i suoi dipendenti costretti a fare la pipì nelle bottiglie. Lì sì che l'impavido rapper avrebbe avuto qualcosa da perdere. Che avremmo avuto un po' più Ken Loach e un po' meno Ferragnez. Perché si sa, il giocatore si vede dal coraggio, e qui il coraggio è stato quello di tirare un rigore a porta vuota. Attendiamo quello in cui Fedez giocherà partite più difficili e magari a porte chiuse. Chissà se, senza tifo, la voglia di correre sarà la stessa».

Antonio Polito sul Corriere della Sera vede nella polemica un’opportunità di divisione facile per partiti, altrimenti costretti a stare insieme.   

«Fedez può diventare il nuovo Grillo? E perché no? Siamo il Paese-guida della democrazia dell'intrattenimento, quello che per primo ha appaltato la politica allo spettacolo. Un quarto di secolo fa un partito fu fondato da un impresario della televisione, e vinse le elezioni. Tredici anni fa un partito nacque dagli show di un comico, e vinse le elezioni. Se è già successo, può succedere di nuovo. Qualcuno ha fatto notare che Fedez vanta su Instagram un numero di follower superiore al numero dei voti presi dal centrodestra alle ultime elezioni. (…) Resta così solo l'indignazione, che è diventata il pane della politica. Tanto è vero che partiti che stanno insieme al governo, e dunque concordano sull'essenziale, diventano irriducibilmente nemici sui temi etici, quelli che per l'appunto consentono di indignarsi. Si può naturalmente essere d'accordo con ciò che Fedez ha detto dell'omofobia e dei suoi propagandisti. E si deve certamente essere d'accordo sulla sua libertà di dirlo da un palco sul quale è stato invitato. Lo si sarebbe con ancora maggiore entusiasmo se i difensori del diritto di parola di Fedez avessero usato la stessa energia nel difendere le canzoni di Povia, o la comicità di Pio e Amedeo. Ma l'indignazione ha questo di speciale: è selettiva. Non ci si indigna mai contro quelli che la pensano come te. Ed è perciò che, alla lunga, in assenza di banche che la investano, la moneta dell'indignazione si inflaziona. La si spende in quantità sempre maggiori, ma ci si comprano sempre meno cambiamenti reali. L'evoluzione dei Cinquestelle da questo punto di vista è emblematica: se non si trasforma in politica, la rabbia non può fare altro che divorare se stessa. In fin dei conti anche Salvini è nato come un influencer: con le sue felpe, i suoi meet-up e i suoi video su Instagram. La legge dello spettacolo voleva che trovasse prima o poi un antagonista. Magari l'ha trovato in Fedez».

DISTANZIAMENTO DA SCUDETTO

Capitolo riaperture. I morti per Covid registrati ieri sono stati 144, ancora tanti ma è il dato più basso degli ultimi sette mesi. Era domenica, dunque aspettiamo. Si attenua la polemica sul coprifuoco, ma Quotidiano nazionale racconta lo scontento di gestori di bar e ristoranti. Coi soli dehors e il coprifuoco, gli incassi sono dimezzati. La vittoria dello scudetto dell’Inter, che mancava da qualche tempo, ha scatenato la più che legittima gioia dei suoi tifosi. Che però si sono maxi assembrati nel centro di Milano, col placet delle autorità. Libero polemizza con il sindaco Sala.

«Le regole vanno fatte rispettare, è giustissimo, ma se si sceglie la strada del rigore questa deve essere uguale per tutti. Perché ci mettiamo nei panni di un barista o di un ristoratore quando ha visto le immagini di piazza Duomo dalle cinque in avanti e non possiamo che pensare: perché chi lavora deve fare sacrifici, licenziare personale e rimetterci quattrini mentre chi festeggia per il calcio è libero di violare ogni regola? Perché i locali che hanno speso fior di soldi per mettersi in regola e sanificare gli spazi devono servire piatti e bevande alla velocità della luce, e al freddo, per rispettare coprifuoco e regole bizzarre pena multe da capogiro? Non ce l’abbiamo assolutamente coi tifosi interisti, anzi siamo contenti per loro perché ha vinto lo scudetto la squadra che lo ha meritato di più. Complimenti a Conte, Lukaku e a tutta la banda nerazzurra. I tifosi fanno i tifosi e se vincono un titolo voglio festeggiare radunandosi: sciarpe, bandiere, cori, insulti ai rivali. La colpa non è loro ma di chi doveva garantire l’ordine ed evitare scene da delirio con migliaia di persone ammassate, molte senza mascherine, che si gridavano a squarciagola da mezzo centimetro di distanza. I vigili quasi non si vedevano nella macchia nerazzurra. Anche perché, se si fanno i blitz nelle vie del centro tra famiglie con bambini e si demonizza la movida perché si pensa che il covid sia più letale all’ora dell’aperitivo, allora c’è qualcosa che non torna. A meno che Beppe Sala, sempre lo stesso che a inizio pandemia aveva criticato la scelta di chiudere i voli dalla Cina, sia passato dalla modalità “abbracciamo un cinese” a quella “abbracciamo un interista”».

DRAGHI AL GOVERNO? CE LO CHIEDE L’EUROPA

Veniamo al Governo. Claudio Tito da Bruxelles su Repubblica scrive una pagina intera di retroscena per dire: l’Europa vuole che Draghi resti almeno fino al 2023 a Palazzo Chigi. Dunque non può essere lui il successore di Mattarella.  Racconta i dialoghi con gli interlocutori europei:

«Il nuovo capo dello Stato italiano viene eletto a gennaio». «Del 2023?». «No, del 2022». Ecco, a quel punto i volti si trasfigurano. Pochi attimi e la curiosità evolve in paura. «Ma se è così- è il ragionamento che viene fatto da chi frequenta quei tre Palazzi - allora Draghi non può prendere ora il posto di Mattarella. È troppo presto. Il suo lavoro non può finire tra otto mesi». Il punto è proprio questo. Il presidente del consiglio italiano sta ricoprendo il suo ruolo esattamente nel modo in cui tutti si aspettavano e si auguravano. A Bruxelles è diventato una «garanzia». Una sorta di cambiale in bianco concessa al Paese-Italia. Ma con una scadenza implicita: sovrapposta inscindibilmente alla permanenza a Palazzo Chigi dell’ex presidente della Bce. Ovviamente ogni riflessione viene strettamente connessa al Recovery Plan. Ai documenti che sono stati spediti solo tre giorni fa alla Commissione europea e che non avrebbero ricevuto il via libera della tecnostruttura di Bruxelles se non ci fosse stata la “fideiussione” di Draghi. E ai prossimi passi che l’Italia dovrà compiere da qui al 2026. Una road map piuttosto impegnativa segnata ogni sei mesi da tappe intermedie che se non vengono raggiunte precludono l’emissione di nuove tranche di finanziamenti. Per di più senza alcun paracadute: ogni obiettivo fallito significa perdere in maniera irrecuperabile una quota di soldi del NextGenerationEu. La richiesta del tutto informale (o forse può essere definita anche una aspettativa) dell’intero gruppo di comando dell’Unione europea, dunque, è tanto semplice quanto diretta: sarebbe bene che Draghi rimanesse al suo posto almeno fino al 2023. Si tratta di un periodo minimo per incardinare concretamente tutte le riforme previste dal Pnrr».

PNRR, OVVERO LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Il nuovo ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani parla al Corriere e cerca di diradare la nebbia su uno dei punti chiavi del Pnrr.   

«Il mondo produttivo teme di avere una palla al piede. Sbaglia? «Non abbiamo alternative: nessuno nel mondo ne ha. Non ci possiamo permettere un ulteriore degrado delle condizioni del clima, delle acque, del suolo. Le crisi sanitarie globali e gli eventi climatici estremi diventano sempre più frequenti». (…) Lei sta stilando il piano per il ministero della Transizione ecologica. Cosa ci sarà? «I nostri obiettivi sulle emissioni comportano una trasformazione anche sociale. Ovviamente sono possibili aggiustamenti, se cambiano le condizioni. Ma con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza abbiamo cinque anni per partire lanciati in questa corsa che durerà trent' anni e sappiamo cosa vogliamo: nuove infrastrutture, mobilità elettrica, protezione del territorio, acqua, natura, mari. Prendiamo l'idrogeno. Vogliamo una società in cui i mezzi di trasporto o le acciaierie usino idrogeno verde, da energia rinnovabile». Come ci si arriva? «Installando entro il 2030 settanta Gigawatt di potenza per la produzione di rinnovabili». Quanti ne stiamo installando all'anno, per ora? «L'obiettivo è di 6, ma finora ne abbiamo installati 0,8. Così ci mettiamo novant' anni, non nove». Come si risolve? «Stiamo costruendo una legge di accelerazione, più che semplificazione, del Pnrr. Senza quella, non c'è niente. Ma il ministero della Transizione ecologica dovrà anche dotarsi di una componente tecnica e di una internazionale capaci, che durino oltre il mio mandato, per seguire lo sviluppo dei progetti. E quando il governo ogni anno farà la legge di bilancio, il ministero dovrà poter bollinare in maniera vincolante la sostenibilità ambientale di ogni misura. In futuro ci verrà richiesto, se dobbiamo convincere i mercati a investire nel nostro debito. Ma ora la cosa più urgente è cambiare le procedure autorizzative». Come valuta il modello Genova? (il giornalista allude alle procedure accelerate per il nuovo ponte di Polcevera ndr) «Ha funzionato, quindi va analizzato bene. Capisco chi dice che quella era una procedura d'emergenza e non si può gestire così un piano di cinque anni come il Recovery. La Commissione Ue ci dà tempi certi, con il rischio di perdere i soldi se non li spendiamo. Ed è a partire da lì che possiamo pensare a un nuovo sistema stabile, competitivo, che duri anche dopo i cinque anni del Pnrr. Se poi non dovessimo riuscire, allora possiamo passare a piani di emergenza sul modello Genova».

LE ACCUSE FRA TOGHE AL CSM

Capitolo veleni fra magistrati. Luigi Ferrarella sul Corriere vede un inevitabile scontro fra Davide Ermini, vicepresidente del Csm e Piercamillo Davigo. I due hanno versioni diverse di quello che è accaduto a proposito dei verbali sulla loggia segreta “Ungheria”.   

«Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, nel maggio 2020 avrebbe ricevuto dall'allora consigliere togato Csm Piercamillo Davigo anche i verbali segretati delle delicate dichiarazioni fatte ai pm di Milano nel dicembre 2019 dal controverso avvocato esterno Eni Piero Amara sulla lobby giudiziaria «Ungheria», e non soltanto invece la confidenza di Davigo sull'esistenza di quelle dichiarazioni e sul fatto che la Procura di Milano tardasse a scandagliarle. I verbali sono quelli che l'ex pm di Mani Pulite un mese prima aveva ricevuto in formato word e non firmati dal pm milanese Paolo Storari, convinto di allertare così l'istituzione tramite Davigo e nel contempo di tutelarsi dalla stasi investigativa ascritta ai colleghi, a suo dire non pari all'urgenza di discernerne verità o calunnia. Ma sul tema si intuisce già che Ermini e Davigo si troveranno su versioni opposte. Ermini, infatti, nega che Davigo glieli abbia consegnati per poter meglio esporre il delicato argomento al presidente della Repubblica e presidente del Csm Sergio Mattarella. Ma Davigo, interpellato ieri per chiarire se sia vero che abbia dato i verbali al vicepresidente Csm, il quale gli avrebbe poi riportato il ringraziamento istituzionale del Quirinale, non conforta la smentita di Ermini ma risponde che «quello che ho da dire lo dirò, prima, nelle sedi istituzionali in cui verrò ascoltato». Ermini, che sul Quirinale non intende rispondere, e che nei giorni scorsi aveva accennato all'essere stato solo «marginalmente» informato da Davigo, ora però dice che Davigo gli parlò della vicenda in più colloqui progressivi, e arriva sino a confermare solo di aver a un certo punto compreso che alcune carte in mano a Davigo fossero proprio i verbali di Amara: ai quali però, in assenza di una formalizzazione da Davigo, avrebbe smesso di pensare quando una volta che l'allora consigliere Csm gli disse di averne parlato anche con il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, titolato (a differenza del vicepresidente Csm) a interloquire con le Procure su indagini in corso».

Il Giornale intervista Sabino Cassese sui mali della giustizia in Italia. Ne elenca molti, ecco solo alcune delle sue osservazioni:

«Veniamo al potere delle procure. «Il terzo fattore di crisi è costituito dalle procure e dal modo in cui alcune di queste hanno stabilito rapporti con i mezzi di formazione dell'opinione pubblica, svolgendo quella funzione che viene chiamata «naming and shaming»: vengono iniziate indagini, se ne dà notizia agli organi di informazione dell'opinione pubblica, la durata di queste indagini oscilla in archi di tempo pluriennali, la procedura si conclude con un nulla di fatto o viene ridimensionata, ma intanto l'indagato è stato condannato». Ma la politicizzazione di alcuni pm è leggenda o realtà? «È una malattia endogena, che viene dall'interno e che colpisce in particolare alcuni procuratori. Per spiegarla, bisogna chiarire che i costituenti temevano l'influenza della politica sulla magistratura e hanno quindi organizzato un sistema di garanzie, che culmina nel Consiglio superiore della magistratura, che opera come uno scudo rispetto ad interferenze esterne. Se, tuttavia, i magistrati siedono in uffici amministrativi, e quindi operano all'esterno di questo scudo, oppure maturano aspirazioni a svolgere funzioni politiche, lo scudo non funziona». Come arginare le manovre delle correnti al Csm? «Il Consiglio superiore della magistratura è un organo para-parlamentare nel quale, paradossalmente, è proprio la componente magistratuale che si divide lungo linee partigiane. L'organo, che doveva soltanto essere uno schermo per evitare l'invadenza della politica, è diventato di autogoverno. Ora, assistiamo alla sua incapacità di porre rimedio ai propri errori funzionali». Ma la magistratura è in grado di correggere queste distorsioni? «No, nonostante sia composta da persone di prim' ordine, non è in grado di autoriformarsi. So che ci sono iniziative di gruppi di magistrati preoccupati dello stato attuale, che si incontrano per avanzare proposte di razionalizzazione. Sarebbe bene che proposte venissero rapidamente redatte, valutate, discusse, perché i rimedi debbono venire prevalentemente dall'interno. Ho grandissima fiducia sul nuovo titolare del ministero della Giustizia, che fin dai primi passi ha indicato i rimedi per risolvere il problema dei tempi della giustizia». L'opinione pubblica è sempre più disorientata. «È il settimo fattore. La percezione diffusa circa lo stato dell'ordine giudiziario è molto preoccupante. E i rimedi sono attesi con urgenza».

Maurizio Belpietro scrive l’editoriale della Verità sul tema dei rapporti fra giustizia e politica. Giovedì Mattarella dovrebbe partecipare alla riunione plenaria del Csm, colpito dai veleni del caso Amara e della loggia “Ungheria”.

«Insomma, a distanza di quasi trent' anni siamo al punto di partenza, dove tutto, durata dei governi, carriere politiche, carriere nella magistratura e intrighi istituzionali, si decidono non nell'urna, ma in qualche Procura. Bisognerebbe fare pulizia, smontare il sistema, ricondurre la giustizia nell'alveo che le è assegnato dalla Costituzione, ma nessuno ne ha il coraggio e la forza e dunque siamo in balia delle inchieste, magari fantasiose, come quelle che hanno colpito Finmeccanica, Eni e Unipegaso, per restare alle più clamorose. Mario Draghi si è incaricato di presentare, insieme al Recovery plan, una riforma della giustizia, ma se non smonterà le correnti, se non cancellerà questo Csm per fare un organo di governo della magistratura che non risponda alla magistratura, se non renderà credibili i procedimenti disciplinari contro le toghe, sarà difficile che la giustizia torni a essere quella immaginata dai padri costituenti, ossia autonoma e indipendente. Soprattutto sarà impossibile che torni a essere un organo dello Stato e non un potere indiscusso che sovrasta gli altri poteri, fino a condizionarli. Insomma, spazzare via questo Csm, aprire un'indagine sui lati oscuri di alcuni processi di alcune nomine ai vertici degli uffici giudiziari non è più un'ipotesi: è una necessità».

SASSOLI: “NESSUNO MINACCIA LA RUSSIA, MA LIBERATE NAVALNY”

Doppia paginata de La Stampa che pubblica una lunga intervista di Marco Zatterin a David Sassoli, Presidente del parlamento europeo, clamorosamente giudicato persona “non gradita” da Mosca.

«Quando i sistemi autoritari sono in difficoltà hanno bisogno di trovare i nemici esterni per placare il disagio sociale interno», argomenta il presidente dell'Europarlamento, che vede in questo match diplomatico anche la conseguenza del fastidio per una politica estera europea capace di mordere. Ora, le istituzioni di Bruxelles studiano la strategia di reazione. «Noi crediamo nel dialogo - assicura l'eurodeputato Pd -, ma la risposta sarà adeguata». Presidente, lei è persona "non grata" in Russia. L'hanno bannata... «Non è un fatto personale, si colpisce il presidente per colpire il parlamento». Putin si sente minacciato. Lavrov dice che l'Europa vuole imporre il suo concetto unilaterale di ordine mondiale. «Il popolo russo merita rispetto e i suoi governanti non dovrebbero costringerlo a guardare all'Europa con diffidenza. Nessuno minaccia la Russia. Ma finora, alle iniziative europee, hanno sempre risposto gli atti di ostilità e le gravi ingerenze provocate dal Cremlino». Perché? «C'è un risvolto interessante in questa vicenda. È che le critiche con cui imputa all'Unione di avere una politica estera debole si dimostrano infondate». Cosa glielo fa pensare? «L'azione delle istituzioni europee a tutela dei diritti umani conta al punto da provocare reazioni pesanti come questa. A dispetto di quanti sottovalutano le capacità dell'Europarlamento di incidere in politica estera, questa vicenda dimostra che le nostre prese di posizione hanno grande eco nei dibattiti interazionali. Ecco perché continueremo a sostenere con forza che Alexsey Navalny debba essere liberato». La sua detenzione si pone come rilevante elemento di frattura e contrasto. «Lo è perché ha fatto aumentare la distanza fra il potere e i cittadini, affermando apertamente che nessuna forma di opposizione è garantita in Russia. Al contrario, oggi la lotta per la sopravvivenza economica e la tutela della libertà sono due facce della stessa medaglia. Lo spiega bene Dostoevskij ne "Le notti bianche", quando scrive che "quanto più siamo infelici tanto più profondamente sentiamo l'infelicità degli altri". È così che sta crescendo il movimento di opposizione. Avviene sulla base di una diffusa e condivisa sofferenza sociale». Tuttavia Mosca non pare proprio disposta ad ascoltare gli appelli dell'Europa. «Avremmo bisogno di collaborazione, invece i dirigenti del Cremlino ci propongono tensioni, violenza nei confronti degli oppositori, intrusioni nei nostri sistemi democratici, intensificazione delle attività di spionaggio, fake news, movimenti di truppe alle frontiere orientali, sconfinamenti aerei».

IL PANE PERDUTO DELLA BRUCK

Paolo Conti sul Corriere della Sera ha incontrato Edith Bruck. 90 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, è stata insignita pochi giorni fa da Mattarella della nomina di cavaliere di Gran Croce. Papa Francesco è stato a trovarla nel suo appartamento a Roma. Ora un suo libro corre per il premio Strega.

«Edith Bruck, lei oggi compie 90 anni. Il suo libro Il pane perduto (La Nave di Teseo) corre per il premio Strega, giovedì 29 aprile il presidente Sergio Mattarella l'ha ricevuta al Quirinale per nominarla Cavaliere di Gran Croce, papa Francesco è venuto il 20 febbraio a trovarla a casa. Un momento straordinario della sua vita di intellettuale ebrea, sopravvissuta alla Shoah. «Sì, tutti avvenimenti bellissimi. Sono contenta. Se fosse accaduto vent' anni fa sarebbe stato diverso. Oggi mi sembra una specie di conclusione, di fine. Ho una maculopatia progressiva, vedo sempre meno: però, non so come, riesco a scrivere. Ma sono qui, e certo non mi lamento». Lei si chiede nel libro se i riconoscimenti siano più alla sopravvissuta a diversi campi di concentramento (Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen) o più alla scrittrice. Ha una risposta? «Sono spesso indicata come una sopravvissuta, forse anche per la mia decisione di testimoniare. Ma sono una scrittrice, un'autrice di poesie. Io non parlo solo di me stessa, nei libri: ma del mondo, dei giovani e del loro domani, dell'umanità. Ieri la persecuzione è toccata a me con il nazismo, oggi può toccare a te, domani ad altri. Per questo scrivo. Non bisogna mai tacere per esempio oggi contro il razzismo, l'intolleranza, l'aggressività, l'indifferenza, anche la volgarità. Vedo raduni di fascisti, incredibilmente tollerati. È una nube nera che avanza, molto preoccupante». Cosa la preoccupa? «Io ho novant' anni e certe volte sono stanca di girare... Ma per esempio giorni fa alcuni professori di una scuola romana mi hanno detto: signora per favore venga a raccontare, qui certi ragazzi cantano inni fascisti, non sappiamo più come fare. Come si fa a tirarsi indietro? Sono piena di lettere di giovani che mi ringraziano dopo le mie visite nelle scuole. I ragazzi supplicano di sapere e di capire, molto più di quanto pensiamo».

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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