La Versione di Banfi

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Draghi prigioniero dei partiti

alessandrobanfi.substack.com

Draghi prigioniero dei partiti

Tutti i leader vogliono che Supermario resti al governo. Intanto il Bilancio resta com'è e va alle Camere. Crisi umanitaria vergognosa: profughi in trappola fra Bielorussia e Polonia. Caos in Etiopia

Alessandro Banfi
Nov 10, 2021
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Draghi prigioniero dei partiti

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Chi conosce la storia sa che il destino della Polonia è drammaticamente intrecciato con quello di tutta l’Europa. Da sempre. La crisi dei migranti al confine con la Bielorussia non fa che sottolineare la vergogna di quel muro e di quel filo spinato che corrono nella campagna e fra i boschi per impedire l’arrivo dei migranti della rotta balcanica. Proprio ieri cadeva l’anniversario della caduta del Muro di Berlino, avvenuta 32 anni fa, e mai avremmo pensato di raccontare altri muri nel cuore del nostro continente. Certo anche il bielorusso Lukashenko, protetto da Putin, sembra volere usare i profughi come ricatto verso la Ue. Con l’incredibile ponte aereo organizzato apposta per i profughi. È una situazione drammatica e i racconti dei migranti afghani, siriani, iracheni e africani in fuga, alcuni senza scarpe e senza cibo da giorni, che non possono essere neanche aiutati dalla popolazione, crea un enorme disagio in tutti noi. Quattro, forse otto, sono già morti. Che cosa serve l’Onu se non agisce? Che cosa serve la Ue? E la Croce rossa internazionale? La Caritas?

Non ci sarà un Consiglio dei ministri bis sulla legge di bilancio, in un primo tempo annunciato per domani. Il testo resta formalmente quello approvato il 28 ottobre scorso. Draghi ha scelto di lasciare alle Camere il peso del compromesso sulle partite rimaste ancora in sospeso o entrate nel mirino delle singole forze politiche. Come pensioni e Reddito di cittadinanza. Ci sono state ieri solo “limature tecniche” per la legge che domani comincia l’iter parlamentare.

Sul fronte pandemia, la novità (ma già da ieri se ne conoscevano i contorni) è la stretta sulle manifestazioni No Green pass e No Vax. Il presidente Mattarella è sceso in campo sull’argomento e in modo molto netto nell’incontro con i Sindaci riuniti dall’Anci. La violenza dei No vax non sarà più tollerata.

A proposito di Quirinale, adesso i partiti vogliono “imprigionare” (copyright Minzolini) Mario Draghi a Palazzo Chigi. Praticamente tutti i leader si sono pronunciati in questo senso, ieri si è aggiunto Renzi, che ha allargato la motivazione al fatto che l’Europa, nel 2022, dovrà riformulare il patto di stabilità, dopo il Recovery. E chi vogliamo mandare a Bruxelles a trattare se non Supermario? L’unica ufficialmente a favore di Draghi al Quirinale resta Giorgia Meloni. Che però usa un’argomentazione kamikaze per i parlamentari: dopo l’elezione al Quirinale di Draghi si va subito al voto… Ah, ecco. Ma le manovre dei partiti hanno un punto debole. Che cosa ne pensa Draghi stesso? Per ora è una sfinge. Come dice il Manifesto “non si sbilancia”. Se dovesse dire: mi candido, tutto potrebbe cambiare.  

Delle cronache estere, oltre alla crisi umanitaria in Polonia, colpisce il caos di Addis Abeba. Missionari sono stati arrestati dal regime di Abiy, perché di origine tigrina, mentre gli occidentali scappano dall’Etiopia. Buona notizia invece sul fronte dei prezzi energetici: Putin apre i rubinetti della Gazprom e le quotazioni del gas sui mercati scendono subito dell’11 per cento.

Potete ancora ascoltare un vero esempio di economia circolare e solidale, una storia davvero positiva. La racconto nel quarto episodio della serie Podcast originale realizzata da me con Chora Media per Vita.it. e con il sostegno di Fondazione Cariplo, intitolata Le Vite degli altri e che racconta vicende di chi dedica il proprio impegno e il proprio tempo agli altri. Il titolo di questo quarto episodio è “Un Quid della moda”. Protagonista è la trentenne veronese Anna Fiscale che ha realizzato un’impresa sociale di successo, che ha il marchio “Progetto Quid”, riutilizzando materiale avanzato da grande aziende della moda, come Calzedonia. Dando anche lavoro a persone abitualmente tagliate fuori dal sistema produttivo, compresi disabili e detenuti. Si può creare qualcosa di diverso e responsabile, scommettendo su ciò che la società consumistica lascerebbe ai margini. La storia di Anna lo dimostra. Questa l’immagine della “cover”.

Troverete Le vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo:

https://www.spreaker.com/user/13388771/le-vite-degli-altri-anna-fiscale-v2

Attenzione, attenzione: da domani sarà disponibile il nuovo episodio che riguarda un’esperienza di resistenza alla camorra nel quartiere Scampia di Napoli. Altra storia da non perdere. FINO A VENERDÌ ASPETTATEMI NELLA VOSTRA CASELLA DI POSTA PRIMA DELLE 8 CON LA RASSEGNA. Vi rammento anche che potete scaricare gli articoli integrali in pdf nel link che trovate alla fine della Versione. Consiglio di scaricare subito il file perché resta disponibile solo per 24 ore. Scrivetemi se volete degli arretrati. Fate pubblicità a questa rassegna, seguendo le istruzioni della prossima frase.

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Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

È La Stampa a dedicare l’apertura alla crisi umanitaria fra Polonia e Bielorussia: Sulla pelle dei migranti. Quasi tutti i quotidiani hanno foto e notizie in prima pagina sulla vicenda ma poi decidono di privilegiare altri temi. Il Corriere della sera punta sulla legge di bilancio: Manovra, un freno ai partiti. Avvenire è ancora sul Covid: Europa, allarme Oms e stretta per i no-vax. Tema scelto anche dal Quotidiano Nazionale: Come evitare un nuovo lockdown. La Repubblica sottolinea i nuovi limiti alle manifestazioni, caldeggiati dal presidente Mattarella: “Basta violenza No Vax”. Stessa scelta di Libero che nei giorni scorsi ha dato grande spazio alle proteste di commercianti e milanesi: La legge anti No vax. La Verità torna a polemizzare con il Ministro Speranza, sulla base di un servizio di Report: L’uomo che vuole l’emergenza eterna ha mentito in aula per nascondere le sue magagne. Altra ossessione: Il Fatto spulcia ancora le carte e trova nuovi “documenti” del 2018 contro il leader di Italia Viva: Renzi ecco la email per pilotare tg e talk. Corsa al Quirinale e manovra per Il Manifesto che mette una foto di Draghi con questa didascalia: Non mi sbilancio. Il Giornale punta su un’intervista di Minzolini a Berlusconi: «Draghi resti premier». Il Domani ragiona sulla manovra: Per fare sul serio la transizione ecologica, eliminiamo il superbonus. Il Messaggero sottolinea il taglio delle tasse sui costi energetici: Bollette, via al taglio dell’Iva. Il Sole 24 Ore avverte sul 110%: Bonus Casa, subito i controlli.

VERGOGNA NEL CUORE DELL’EUROPA

Due pagine del Corriere della Sera a firma di Andrea Nicastro ricostruiscono la crisi umanitaria fra Polonia e Bielorussia.

«A tre ore da una capitale europea, lungo un'autostrada diritta e trafficata, ci sono almeno duemila persone accampate accanto al filo spinato di confine. Hanno poche tende e ancora meno sacchi a pelo. Dormono per terra, accanto a legna che brucia senza scaldare perché qui l'aria è già sottozero, porta via il calore e si infila nei giacconi come una lama. Già almeno cinque persone sono morte assiderate nell'ultima settimana. Altri potrebbero non risvegliarsi questa mattina. Tra loro ci sono bambini di due, tre anni. Eppure da una parte e dall'altra del filo spinato tra Bielorussia e Polonia, questa emergenza umanitaria, è trattata con la retorica delle operazioni militari. Il premier polacco Mateusz Morawiecki evoca la Guerra Fredda. In una riunione straordinaria del Parlamento parla di un «nuovo tipo di offensiva», con migranti usati come armi, di una Polonia «impegnata a difendere la pace a fianco degli alleati della Nato» perché «lo sponsor dell'attacco bielorusso è a Mosca e si chiama Vladimir Putin». Anche a Bruxelles i toni sono insolitamente alti. Un portavoce della Commissione denuncia «metodi da gangster» e da «guerra ibrida». Dalla parte opposta Lukashenko non è da meno: «Non voglio lo scontro armato, ma non mi piegherò». Varsavia ha schierato agenti in tenuta anti sommossa a pochi metri dai migranti, imposto lo stato di emergenza a un'intera regione. Il traffico commerciale è deviato, il valico di frontiera chiuso, le auto dei giornalisti vengono bloccate. Elicotteri, carri trasporta truppe, edifici pubblici requisiti per farne caserme. Già alla fine dell'estate Varsavia aveva intuito i piani di Minsk e steso chilometri di filo spinato. Negli ultimi due giorni però la crisi è precipitata. Da piccoli gruppi di 10 o 15, i migranti sono diventati centinaia. I soldati polacchi si danno i cambi, al caldo per mangiare e riposarsi. I migranti restano lì, sempre più stanchi, perché anche di notte volano gli elicotteri con i riflettori accesi a controllare che non si muovano . Dietro di loro, a tenerli imbottigliati, ci sono le truppe del dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko. Dall'inizio dell'anno, secondo fonti Ue, 8mila migranti sono arrivati in Europa dalla sua Repubblica assolutista, nuova socia di un club affollato. La Libia ricatta l'Italia da decenni con i profughi africani, dal 2016 la Turchia di Erdogan tiene l'Europa per il portafogli con i siriani, quest' anno il Marocco ha aperto le porte verso l'enclave di Melilla quando ha voluto lanciare un avvertimento alla Spagna. Si trattava però sempre di Paesi di transito. In Bielorussia il flusso migratorio è stato creato ad arte, con un ponte aereo. Da mesi in Turchia, Siria, Emirati Arabi, Azerbaigian e forse anche qualche Paese dell'Africa, le ambasciate bielorusse offrono visti turistici a chi è disposto a pagare una fortuna per una finta vacanza nelle steppe: 10/12mila euro. Il governo ha anche ridotto il numero di agenzie turistiche autorizzate, in sostanza Lukashenko starebbe lucrando sui viaggi come un qualsiasi trafficante di uomini. La promessa è di un facile passaggio verso la fortezza europea. Quel che succede dopo è nel racconto di chi è riuscito a passare come Alì Noruddin. «Ci hanno portato fino al confine con i pullman, ritirato i cellulari, distribuito asce e tronchesi e poi abbandonati nel bosco. "Europa, Europa" indicavano con il dito. Arrivati al filo spinato non abbiamo fatto in tempo a tagliarlo perché dall'altra parte c'erano già i polacchi. Chi ha cercato di tornare alla strada è stato picchiato dai bielorussi e sbattuto di nuovo alla frontiera». Alì Noruddin è un hazara afghano, con tagli sulle gambe e sulle braccia ancora aperti da domenica sera quando ha scavalcato il filo. Ora è nascosto a Bialystok, dalla parte polacca del confine. «"Usate quei tronchi" ci hanno spiegato i bielorussi a gesti. Secondo loro avremmo dovuto appoggiarli sopra le punte acuminate e passare, ma i polacchi sono arrivati e hanno sparato i lacrimogeni. Non c'è riparo al confine e non c'è cibo. Ora che la Polonia si è accorta di noi, chi è rimasto lì, è in trappola. Io ce l'ho fatta da solo, camminando di notte, ma non so come andare avanti». Verso dove? «In Germania, vogliamo tutti andare in Germania». Pare che Lukashenko abbia a disposizione 10/20mila migranti da lanciare come missili verso la Polonia oppure verso la Lituania e la Lettonia che a loro volta hanno mobilitato l'esercito. A sperare di passare sono afghani, siriani, iracheni, africani che non pensavano di essere usati come sale sulle contraddizioni dell'Unione Europea. La campionessa dei diritti umani che lascia gente al gelo a due passi da casa. L'ironia del dittatore è acida: «Colonne blindate polacche si muovono contro questa gente sfortunata. Vergogna». Polonia e le Repubbliche Baltiche invocano la solidarietà europea e atlantica. Bruxelles è pronta a nuove sanzioni contro Lukashenko. Le più utili sarebbero nei confronti delle compagnie aeree complici del flusso. Se ne parlerà da lunedì. Sicuro, invece, il finanziamento Ue a un muro di confine, l'ennesimo a protezione dell'Europa. Una frontiera sigillata convincerebbe i partner europei a dimenticare alcune leggi polacche lontane dai valori comunitari. Anche Lukashenko pensa di guadagnare dalla sofferenza dei migranti. Non solo per il prezzo dei biglietti. Mosca suggerisce all'Ue di pagare la Bielorussia per fermare il flusso come fa con la Turchia. A Lukashenko sarebbe forse sufficiente che i dissidenti rifugiatisi in Europa perdessero la possibilità di fare attività politica contro di lui. Il suo messaggio è chiaro e spregiudicato: smettete di destabilizzare la Bielorussia e io fermerò i migranti».

Il grande giornalista francese Bernard Guetta scrive un commento, in Italia pubblicato da Repubblica, che parte da un sentimento preciso: “Io mi vergogno”, dice.

«La Polonia che accoglie così generosamente i rifugiati bielorussi e li sostiene senza risparmiarsi nella loro lotta per la libertà, la Polonia che nel 1980 aveva segnato la fine del comunismo senza aver mai smesso di combatterlo dal 1956, in questa circostanza evidenzia una mancanza assoluta di solidarietà nei confronti di altri esseri umani che fuggono dalla miseria e dalla morte. Così facendo, la Polonia non soltanto tradisce sé stessa e qualsiasi sentimento di compassione umana e perfino quella fede cristiana che professa in modo così prevalente ma, oltre a ciò, la totalità dell'Unione europea si rende complice del reato di violazione dell'obbligo di soccorso a persone in grave pericolo. Così pronta a difendere e patrocinare sempre i suoi valori, l'Unione permette che questo rimpallo di esseri umani alla frontiera tra Polonia e Bielorussia prosegua perché vuole evitare che si moltiplichino i temi di conflitto con Varsavia, e perché la Commissione e il parlamento europei sanno bene che l'accoglienza dei rifugiati non è proprio popolare tra l'opinione pubblica europea, e perché un braccio di ferro con i dirigenti polacchi a questo proposito non si risolverebbe necessariamente a vantaggio dell'Unione. Non so voi ma, quanto a me, io provo vergogna. Provo vergogna che una dittatura riesca a prenderci in trappola così facilmente nelle nostre contraddizioni. Provo vergogna prendendo atto che l'opposizione polacca non trova quasi niente da dire contro la ricostruzione di un muro nel cuore stesso dell'Europa. Provo vergogna che nel suo complesso l'Unione abbia paura dei rifugiati perlopiù perché sono musulmani. Provo vergogna per il fatto che non siamo capaci di trovare il modo di far capire a Lukashenko che il suo giochetto deve finire una volta per tutte. Provo vergogna per la mia stessa impotenza e perché comprendo sempre meglio, nel mondo di oggi, come il mondo in passato abbia potuto coprirsi gli occhi e tapparsi le orecchie davanti a Hitler e a Stalin».

Lukashenko segue la lezione di Gheddafi ed Erdogan: usa spregiudicatamente i migranti. Ma l’Europa Festung, cioè Fortezza, un continente chiuso ai migranti, che la Polonia sta proponendo col suo filo spinato, è un problema anche per noi. Lo spiega Gad Lerner sul Fatto:

«Da chi avrà imparato il bielorusso Lukashenko ad adoperare la disperazione dei migranti per minacciare i suoi vicini di casa? Noi italiani lo sappiamo bene. Il colonnello Gheddafi utilizzò per primo, con astuzia, l'apri-chiudi di quel flusso di vite umane - fomentando la nostra paura d'essere invasi dai pezzenti africani - fino a imporci nel 2008 il trattato "di amicizia" che li mercificava: pagatemi e diventerò il vostro gendarme. Altrimenti ve li rovescio addosso. A seguire, nel 2015, venne il turco Erdogan, altro mercante di carne umana: stavolta profughi mediorientali trattenuti dall'intraprendere la rotta balcanica a suon di miliardi. Modello replicato due anni dopo dal governo italiano, con tanto di spedizione del ministro Minniti fra i capotribù del Fezzan, i trafficanti del deserto, seguita dalla fornitura di motovedette ai clan insediati sulla costa libica. Cambia lo scenario, ma non la sostanza del ricatto praticato dai dittatori sulla pelle dei poveracci. Dai cinquanta gradi all'ombra del Sahara alle temperature sottozero della grande pianura russa, si alimenta la sindrome da assedio in spregio al senso di umanità. Ora è il regime dispotico di Minsk, incoraggiato da Putin, a usare la stessa arma, nelle terre che già conobbero nel secolo scorso la più atroce delle carneficine europee. "Tattica ibrida", la chiamano gli esperti di geopolitica. Dove gli ibridi sarebbero uomini, donne e bambini inermi ma additati come arma letale, in grado di mettere gli uni contro gli altri gli Stati europei malati di egoismo. L'Unione europea balbetta, impietrisce lacerata dai governi sovranisti - Polonia in testa - che per la prima volta vedono persone dalla pelle olivastra premere alle loro frontiere. Stavolta dà loro man forte anche la Germania, orfana della Merkel. È uno spettacolo indecoroso, perso il senso delle proporzioni. Per sbarrare il passo a quattromila, forse diecimila afghani, curdi iracheni, siriani, si mobilitano dodicimila soldati e s' invoca l'intervento della Nato. Lukashenko e Putin gongolano. Fiutata la viltà degli occidentali, son pronti a fare rifornimento per via aerea di altro materiale umano da riversare sul filo spinato di una frontiera infinita. A loro poco importano il freddo e la fame patiti nella trappola della terra di nessuno da famiglie prive di riparo. Le tragedie storiche già vissute fra Brest-Litovsk e Bialystok, l'itinerario verso la salvezza narrato a ritroso da Primo Levi ne La tregua, nulla hanno insegnato. La solidarietà con i fuggiaschi da Kabul, tre mesi dopo, è già finita nel dimenticatoio. Quegli esseri umani sono nient' altro che ibridi da rispedire non si sa bene dove e a chi. La politica tappabuchi pensa solo a "sigillare i confini dell'Ue", parole testuali del premier polacco Morawiecki. Seguito dai Paesi baltici e dalla Grecia anche nella richiesta di finanziamenti a Bruxelles per erigere nuove barriere. L'unica preoccupazione del momento sembra essere l'inasprirsi delle tensioni con la Russia che muove come una marionetta il suo satellite bielorusso. Il soccorso necessario a quegli innocenti, a quanto pare, verrebbe considerato non una priorità, ma un segno di debolezza. Meglio vederli morire, per poi dare la colpa a chi ce li ha sbattuti a ridosso? È in scelte come questa che si consuma la perdizione morale dell'Europa. Il dramma in corso tra le foreste e le paludi della Bielorussia non ci rivela soltanto che i flussi migratori sono inarrestabili. Se non programmati e governati, senza piani di ricollocazione, accoglienza e integrazione, troveranno sempre nuovi, imprevedibili tragitti di avvicinamento. Bloccare all'infinito con l'impiego degli idranti e dei lacrimogeni, oltre che incivile è velleitario. Ma c'è di più. Festung Europa, cioè la Fortezza Europa che fu il sogno delirante del Terzo Reich, è sempre un'idea generatrice di tensioni belliche inaspettate. Già in Africa e in Asia le migrazioni sono state pretesto di guerre. Succede, quando la paura prende il sopravvento sulla pietà».

MATTARELLA E I LIMITI AI NO VAX

Il Capo dello Stato approfitta dell’incontro con i sindaci italiani, organizzato dall’Anci, per stigmatizzare le violenze delle manifestazioni contro il Green pass e i vaccini. In questo modo Mattarella sostiene la linea del Governo di mettere limiti alle proteste. La cronaca di Concetto Vecchio per Repubblica.

«I sindaci giunti a Parma da tutta Italia lo sommergono di applausi quando Sergio Mattarella dice: «Dobbiamo sconfiggere il virus, non attaccare gli strumenti che lo combattono». Il Presidente deve interrompere per un attimo il suo discorso: un duro attacco alle piazze No Vax. «Hanno provocato un pericoloso aumento del contagio », s' indigna. Il caso Trieste, con l'impennata dei positivi, ben duecento, causata dai sit-in di chi si oppone ai vaccini e ai Green Pass, ha fatto suonare l'allarme al Quirinale. L'assemblea dell'Anci è quindi l'occasione per fare un richiamo al Paese. Ma in questo modo Mattarella sostiene anche il governo che sta per varare una stretta sui cortei nei centri storici. Un giro di vite per tutelare la salute e lo shopping natalizio. Non sono ammessi disordini, è il messaggio del Colle. Il sostegno per le nuove regole del Viminale viene esplicitato così: «In queste ultime settimane manifestazioni non sempre autorizzate hanno tentato di far passare come libera manifestazione del pensiero l'attacco recato al libero svolgersi delle attività. Accanto alle criticità per l'ordine pubblico, sovente con l'ostentata rinuncia a dispositivi di protezione personale e alle norme di cautela anticovid, hanno provocato un pericoloso incremento del contagio». E a proposito dei disordini argomenta: «In ogni caso atti di vandalismo e di violenza sono gravi e inammissibili e suscitano qualche preoccupazione, sembrando, talvolta, raffigurarsi come tasselli, più o meno consapevoli, di una intenzione che pone in discussione le basi stesse della nostra convivenza». Il pensiero corre all'assalto squadrista di Forza Nuova nella sede della Cgil, a Roma, lo scorso 9 ottobre. La quarta ondata del resto mette inquietudine. L'Italia tiene, rispetto all'Europa. Ma i ricoveri crescono anche da noi. Un mese fa erano 2.742, oggi sono già 3.436. E l'inverno è alle porte. L'impressione del Quirinale è che tenda a insinuarsi un pericoloso lassismo. Mattarella invita quindi i cittadini alla saggezza. I deboli vanno protetti: bisogna essere prudenti. Vaccinarsi con la terza dose, come ha fatto lui. La pandemia non è finita. «Non possiamo rimuovere le cautele», dice. Il capo dello Stato è stato accolto con calore. È stato un punto di riferimento per tanti sindaci in questo settennato. E lui ha contraccambiato: «Che bel clima c'è qui». «I sindaci, indipendentemente dalle loro appartenenze, si sono trovati ancora una volta in prima fila e hanno saputo schierarsi in difesa della sicurezza e della salute dei propri concittadini», li ha elogiati Mattarella. «La loro dedizione quotidiana è stata decisiva per far fronte sul campo, unitamente all'impegno degli operatori sanitari, alla crisi che il nostro Paese ha dovuto affrontare con la pandemia. Abbiamo dato dimostrazione di saggezza e volontà di ripresa. È stato fatto un grande lavoro. Ma adesso occorre prevenire e contrastare le ulteriori, pericolose insidie, che provengono dai nuovi contagi». C'è anche una bacchettata ai partiti che sembrano aver perso l'obiettivo su come spendere al meglio gli oltre 200 miliardi del Recovery plan: «Non possiamo vanificare la grande opportunità che si presenta avanti a noi. È la nostra priorità. Ad essa vanno subordinati interessi parziali. Perché non ci sarà un'altra occasione». Poco prima il presidente dell'Anci Antonio Decaro aveva chiesto al Parlamento, che sta discutendo della riforma dell'abuso d'ufficio, di «definire in maniera più netta il perimetro delle nostre responsabilità. Non chiediamo immunità. Ma possono i sindaci rispondere penalmente di valutazioni che non sono ascrivibili alle loro competenze, rispondere di qualunque cosa accada nella loro città?» si è chiesto. «I sindaci balzano agli onori delle cronache solo quando sono iscritti nel registro degli indagati. È una questione di dignità». Mattarella a questo proposito ha detto che «il riconoscimento del valore del ruolo di chi amministra è parte della dignità delle istituzioni democratiche. A questo riguardo il Parlamento è impegnato nell'esame di proposte di legge che includono richieste sostenute dall'Anci anche sul tema delle responsabilità degli amministratori locali». Non si è pronunciato, ma al Colle hanno ben presente la situazione che vivono molti sindaci».

Massimo Donelli sul Quotidiano nazionale guarda all’estero: Austria e Singapore hanno preso decisioni drastiche nei confronti di ch non vuole vaccinarsi.

«Basta. Davvero. Basta. Abbiamo sopportato, pazientemente, due lockdown passando intere giornate a casa. Abbiamo interrotto, diligentemente, le vacanze per ricevere la seconda dose di vaccino. Abbiamo scaricato, disciplinatamente, il Green pass e lo utilizziamo per lavorare, studiare, divertirci. Ci siamo sacrificati, cioè, e ci siamo ripresi la vita. E ora, invece, eccoci qui alle prese con i No vax, i talebani della porta accanto, che vogliono riportare indietro l'orologio del Covid-19 ai giorni bui della primavera 2020. Quelli delle strade vuote e silenziose, dove l'unico rumore era la sirena delle ambulanze. Quelli del quotidiano bollettino di morte a reti tv unificate. Quelli in cui tuo padre, tua moglie, tuo fratello finivano i loro giorni in un letto d'ospedale senza che tu potessi dirgli addio. E, quindi, davvero, basta. Abbiamo combattuto il virus, ora è tempo di combattere contro i suoi complici. Contro la nuova febbre del sabato sera che non solo ha impestato il fine settimana di cittadini e commercianti, ma ha anche generato focolai (Trieste docet). Un andazzo intollerabile. Da interrompere subito. Come? Per esempio, imitando l'Austria. È stato sufficiente che il governo di Vienna annunciasse uno specialissimo lockdown riservato solo ai nemici dell'igiene, i No vax, appunto, per triplicare in un week end la media giornaliera di vaccinati in un Paese che ne ha pochissimi e si è ritrovato con le terapie intensive al collasso. Oppure si può prendere esempio dallo Stato-modello nella lotta al Covid-19, Singapore, che, viceversa, ha uno dei più alti tassi di vaccinazione al mondo (l'85% della popolazione): dall'8 dicembre, i No vax che vivono nelle 60 isole dell'arcipelago asiatico dovranno pagare di tasca propria ospedali, medici, farmaci e quant' altro se saranno colpiti dal virus. Hanno un mese di tempo, quindi, per mettersi in regola. Capito come si fa? Da noi, invece, per ora si annunciano solo nuove regole per le manifestazioni che assomigliano tanto alle grida di manzoniana memoria: va bene scendere in piazza, ma non nei centri storici e, comunque, alla larga da ambasciate, palazzi delle istituzioni, sedi sindacali e di partito; non più cortei, ma solo sit-in; urlare il proprio dissenso si può, però solo con la bocca coperta dalla mascherina. Ok. E se i No vax disobbedissero? Dalla risposta dipenderanno la dignità dello Stato, la nostra salute e la nostra libertà».

LA MANOVRA NON CAMBIA

Ieri il Sole 24 Ore aveva dato per certo un nuovo esame in settimana della legge di bilancio. Ieri invece la notizia ufficiosa: la manovra non cambia. O meglio se accadrà, lo farà il Parlamento. Non ci sarà un nuovo Consiglio dei Ministri sul tema. Marco Galluzzo per il Corriere.

«Piccoli aggiustamenti della manovra di Bilancio. Più che altro formali. Non ci sarà un altro Consiglio dei ministri, dopo quello di dieci giorni fa», né ci saranno correzioni di rilievo, verrà dunque confermato il tetto di 25 mila euro di Isee relativo al Superbonus. Nel pomeriggio, dopo una giornata di voci, riunioni e richieste dei partiti, a Palazzo Chigi mettono un punto. Non esiste un'altra versione della manovra, che sarebbe in corso di correzione. Insomma la riunione della mattina con Draghi, alcuni ministri e i tecnici del Mef è servita soltanto ad apportare al testo dei piccoli aggiustamenti. È stata centrata soprattutto sul reddito di cittadinanza, la cui struttura non cambia rispetto a quanto già deciso. E dunque decalage a partire dal primo rifiuto di un'offerta di lavoro congrua, mentre lo stop all'assegno scatta dal secondo no (finora la sospensione partiva dal terzo rifiuto). Cambia invece «opzione donna» rispetto a quanto stabilito a fine ottobre: salta infatti la soglia anagrafica di 60 anni per le uscite delle lavoratrici, viene riportata a 58 per le dipendenti e a 59 per le autonome, com' era previsto finora. In attesa che la manovra di Bilancio arrivi in Parlamento, dove comincerà dal Senato, forse oggi stesso, si moltiplicano le richieste di modifiche dei partiti: i Cinque Stelle insistono per togliere il tetto dei 25 mila euro per il Superbonus, rimarcando che quasi tutti i partiti sono d'accordo, mentre Matteo Salvini per la Lega chiede l'aumento «delle pensioni d'invalidità andando a tagliare i furbetti del reddito di cittadinanza», nonché l'incremento «della flat tax, la tassa ridotta per partite Iva, autonomi e piccoli imprenditori fino a 100 mila euro di fatturato». Un antipasto di quello che succederà alla Camere, cui è demandato decidere come dividere e su quali poste piazzare gli 8 miliardi di euro di riduzione fiscale. Da Bruxelles invece il ministro dell'Economia Daniele Franco rimarca che il Pil italiano tornerà ai livelli pre-crisi «nel primo trimestre dell'anno prossimo». Meno preoccupazione che nel resto dell'eurozona invece per l'inflazione: «A ottobre in Italia è stata 3,1%, quindi un punto inferiore a quella europea, con un'inflazione core (di base) dell'1,3%. Vedremo adesso quanto questo sia temporaneo, però è qualcosa che ci aiuta anche a recuperare competitività». Infine sul debito pubblico: «Bisogna ridurlo, ma ad un ritmo giusto, senza portare il Paese in recessione».

BERLUSCONI ANCORA SU DRAGHI “PRIGIONIERO”

Doppia paginata sul Giornale di intervista a Silvio Berlusconi. Mr.B torna a ribadire il concetto che Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi fino al 2023. Augusto Minzolini.

«Ad Arcore, a villa San Martino, incontri un Silvio Berlusconi particolarmente sereno. Le conseguenze del Covid per il leader di Forza Italia ormai sono solo un brutto ricordo. «Mi sento bene, mi sono addirittura messo a dieta» confida. E infatti ha voglia di dire la sua, è disposto a parlare di tutto, dimostrando di avere le idee chiare sul futuro. Probabilmente anche la politica contribuisce alla sua tranquillità. Berlusconi è convinto di avere riacquistato una posizione centrale non solo nel centrodestra ma negli equilibri del Paese. È stato uno dei fautori del governo Draghi ed è forse il primo garante della governabilità in una fase estremamente complicata per l'Italia che, dopo la tragedia dell'epidemia, deve ripartire e, in un certo senso, ricostruirsi. Poi il ruolo in cui il leader di Forza Italia eserciterà la sua centralità nei prossimi anni, si vedrà. (…) È ancora convinto che la politica debba garantire le condizioni affinché il governo Draghi prosegua fino alla scadenza naturale della legislatura del 2023? «Sempre di più. Interrompere il buon lavoro del governo mentre la ripresa è appena avviata e l'emergenza sanitaria - pur controllata grazie al vaccino - è ancora attuale sarebbe irresponsabile. Di tutto ha bisogno l'Italia meno che di mesi di conflitto politico paralizzante». Negli ultimi giorni abbiamo denunciato lo scandalo del reddito di cittadinanza come misura clientelare che spesso premia criminalità e truffatori. Non è ora che il governo intervenga decisamente sull'argomento, senza ascoltare chi paventa disordini in caso di abolizioni di questo strumento? «Non è in discussione il principio che nessuno deve essere lasciato indietro. Però il reddito di cittadinanza così com' è ha dimostrato di non funzionare, di essere la risposta sbagliata ad un problema reale, quello della povertà. Quello di milioni di italiani sotto la soglia di povertà è un dramma sociale che esiste e che richiede risposte adeguate: ma devono essere risposte responsabilizzanti, non assistenziali e che non si prestino ad abusi vergognosi come quelli che sono stati denunciati». Parliamo di centrodestra. Quanto può durare l'anomalia di una coalizione che per due terzi è al governo (Forza Italia-Lega) e per un terzo (Fratelli d'Italia) è fuori dalla maggioranza? «Durerà fatalmente fino alle elezioni del 2023, quando ci presenteremo uniti». Ci sono state fibrillazioni in Forza Italia, spesso interpretate come momenti di tensione tra il vertice di partito e la delegazione ministeriale. Vede fughe in avanti da parte dei suoi ministri? «Sulla linea politica di Forza Italia, che è chiarissima, mi pare non ci siano distinguo né fibrillazioni da parte di nessuno. Siamo parte integrante ed essenziale del centrodestra, il nostro ruolo è quello di un partito di centro liberale e cristiano ben distinto da quello dei nostri alleati, siamo europeisti e garantisti, sosteniamo lealmente fino in fondo il governo Draghi, che è nato prima di tutto per nostra iniziativa. È un orientamento chiaro e lineare, scaturito da una comune riflessione fra tutti noi e del quale io naturalmente sono il garante. Non ho sentito nessuno proporre strade diverse, che del resto non esistono. Altra cosa sono piccole incomprensioni personali, del tutto normali in una grande comunità umana e perfettamente risolvibili con rispetto reciproco e spirito costruttivo». Sappiamo che lei non vuole parlare di Quirinale finché resta in carica il Presidente Mattarella. Ma condivide l'importanza storica di una occasione che possa portare sul Colle un'alta personalità non riconducibile all'area di sinistra, come quelle che si sono succedute negli ultimi vent' anni? Sarebbe utile un'alternanza anche alla Presidenza della Repubblica? «Non metterei la cosa in questi termini. Naturalmente il centrodestra è in grado di esprimere candidature di alto livello alla Presidenza della Repubblica. Ma il Capo dello Stato deve rappresentare l'Unita della Nazione al di là degli schieramenti. Nel momento in cui viene eletto viene meno ogni sua appartenenza. Non considererei mai il Presidente Mattarella, per esempio, come l'espressione di una parte politica. Non lo sono stati Einaudi, Saragat, Pertini, che pure come lui venivano da una storia di impegno politico attivo ad alti livelli». 

ANCHE RENZI VUOLE DRAGHI A PALAZZO CHIGI?

Marco Bresolin sulla Stampa racconta che Matteo Renzi ha parlato a Bruxelles, presentando il suo ultimo libro. Il leader di Italia Viva ha sostenuto che il 2022 sarà l’anno cruciale per riformulare il patto di stabilità europeo (dopo la stagione del Recovery). Ed è difficile che l’Italia si privi di Draghi in un momento così. Dunque: che resti a Palazzo Chigi.

«Nel 2022 il governo italiano si gioca una partita determinante in Europa perché bisogna riscrivere le regole del Patto di Stabilità. E il Presidente della Repubblica italiana non cambia l'Europa, semmai la cambia il Presidente della Repubblica francese». Matteo Renzi frena sull'elezione di Mario Draghi al Quirinale. E lo fa proprio da Bruxelles, dove è arrivato dopo aver fatto tappa a Parigi per una due giorni di incontri con alcuni esponenti liberali «per costruire la "maison commune" dei riformisti europei». Che ovviamente ha il suo pilastro nella persona di Emmanuel Macron. L'occasione è la presentazione del suo libro, Controcorrente (edizioni Piemme), anche se inevitabilmente si finisce a parlare del suo conto corrente. Nella sede del partito liberale fiammingo Open Vld, davanti a una cinquantina di sostenitori (tutti con il Green Pass, pochi con la mascherina, nonostante l'obbligo imposto dalle leggi belghe) l'ex premier si difende dalle accuse dei magistrati per i finanziamenti alla fondazione Open: «Non ho commesso alcun reato». E fa spallucce quando gli viene fatto notare che un senatore non dovrebbe ricevere soldi da uno Stato estero: «Ho fatto conferenze ovunque e ho preso un sacco di soldi. Sì, è vero: anche in Paesi non democratici. Ma non vi siete mai chiesti perché Renzi lo chiamano e Conte no?». L'ossessione del senatore di Scandicci è proprio Conte. Anzi, «quello squallido ex presidente del Consiglio che si chiama Giuseppe Conte, il prototipo del populismo squallido». Risponde per le rime agli attacchi dell'avvocato del popolo, che ha accusato i ministri di Italia Viva di essersi opposti alla revoca della concessione autostradale ai Benetton perché finanziati dalla famiglia. «No - urla lui in una Bruxelles che per quasi tre anni lo ha visto protagonista e che ora lo accoglie come uno dei tanti comprimari -. La revoca delle concessioni è stata un'idiozia per il semplice fatto che lo Stato ha regalato 8 miliardi di euro ai Benetton». La polemica sulle conferenze a pagamento, sostiene, è soltanto una scusa «per indebolire Italia Viva a due mesi dell'elezione del Presidente della Repubblica». Renzi non fa nomi su possibili candidati perché «quelli bravi a fare queste cose stanno zitti». E lui, modestamente, ritiene di esserlo. Anche se poi si prende in giro con un'imitazione di se stesso che parla in inglese («First reaction: shock!»). Ammette che Draghi potrebbe fare qualsiasi cosa - «presidente del Consiglio, della Repubblica, della Commissione e del Consiglio europeo», però lascia intendere la sua preferenza: meglio che resti al governo. E la sua certezza: «Nemmeno Godzilla riuscirà a far terminare in anticipo la legislatura». Il 2022, comunque, sarà «una lunga notte di San Lorenzo: l'anno delle Cinque Stelle cadenti». Ma Renzi cosa farà nel prossimo futuro, a parte continuare a girare il mondo incassando «un sacco di soldi» con le conferenze? Secondo Romano Prodi «cambierà mestiere». Di certo non farà il segretario della Nato: «Non sono adatto, se vado lì nel giro di un quarto d'ora faccio scoppiare due guerre». In quel ruolo dice che vedrebbe bene «Letta, Mogherini o Gentiloni». Non Conte «perché gli americani non si fidano». Prima di rientrare in albergo confida che alla Leopolda tornerà alla carica per convincere il governo a chiedere i 36 miliardi del Mes sanitario. La stessa arma usata un anno fa per dare la spallata a Conte. Ma questa volta non finirà così. Mario Draghi può stare sereno».

Il Copasir, il comitato parlamentare che si occupa di servizi segreti e sicurezza, vuole fare luce sui finanziamenti esteri a Open, la fondazione di Renzi, ma anche sui finanziamenti del Venezuela ai 5 Stelle. Materie scottanti, oggetto di inchieste penali. Gianni Santamaria per Avvenire.

«Il caso dei compensi ricevuti da Matteo Renzi e pubblicati dal Fatto quotidiano finisce sotto la lente del Copasir. Insieme alla vicenda dei rapporti tra M5s e Venezuela, dopo le notizie di stampa su presunti fondi al movimento, secondo quanto avrebbe dichiarato l'ex capo degli 007 di Caracas. Ora - dopo aver trattato le due vicende nel corso dell'audizione del direttore dell'Aise (l'Agenzia informazioni e sicurezza per l'estero) Giovanni Caravelli - il comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti di casa nostra ha deciso di chiedere alle procure che stanno indagando su questi filoni gli atti delle inchieste. In modo da verificare eventuali profili di interesse del Copasir, e, cioè, possibili minacce alla sicurezza nazionale. Il passo cade nel bel mezzo della polemica politica incandescente, che va avanti da giorni. Ieri il leader di Iv ha replicato a brutto muso al presidente del M5s Giuseppe Conte, che martedì aveva collegato il compenso a Renzi da una società della famiglia Benetton con l'atteggiamento assunto da Iv nella discussione sulla revoca della concessione di Autostrade, controllata dalla Atlantia della famiglia veneta. E aveva rilanciato sul conflitto di interessi, ricevendo il plauso anche da Alessandro Di Battista («ma governa con loro», aggiunge l'ex esponente di punta del Movimento). Conte «sostiene che per la mia attività di speaker con alcuni fondi di investimento - tra cui 21 Invest - non avrei giudicato in serenità l'operato del governo. L'illazione è squallida e dimostra come ormai Conte sia un uomo dominato dal rancore», l'affondo di Renzi, che rivendica con orgoglio la scelta di averlo fatto cadere. E prosegue sostenendo che grazie a Conte i Benetton non hanno pagato ma incassato 8 miliardi. «Iv si è schierata contro, praticamente da sola, e sono grato a Teresa Bellanova e Elena Bonetti per aver avuto il coraggio di smarcarsi dal voto in Consiglio dei ministri», conclude il senatore di Scandicci, invitando il leader M5s a un confronto in tv, cosa che «ha paura di fare». Conte «dice che non si confronta con me, perché non ho consenso e poi mi attacca senza contraddittorio: se solo non fosse ridicolo, farebbe tenerezza », l'ulteriore affondo. M5s, che ha presentato numerose proposte in materia, insiste sull'approvazione rapida di una legge sul conflitto di interessi. Mentre a difesa di Renzi continuano a levarsi voci del centro destra come il governatore della Liguria Giovanni Toti (Cambiamo) e Antonio Tajani (Forza Italia), che invocano la «barbarie» per la pubblicazione dei conti di Renzi, tratti da atti giudiziari. Una solidarietà che si spiegherebbe, secondo alcuni commentatori, con un progetto in pista per far confluire Iv nel centrodestra. «Non diciamo idiozie», è stata la secca risposta di Renzi ai cronisti che lo hanno interrogato sulla questione a Bruxelles, dove presentava il suo libro. Nella capitale belga e a Parigi Renzi è stato per una serie di colloqui per «costruire la maison comune dei riformisti europei». Anche dal Pd, rimasto finora in silenzio ai piani più alti, arriva una nuova solidarietà a Renzi, dopo quella di Andrea Marcucci. È Irene Tinagli a parlare di «violazione di diritti fondamentali della persona», ricevendo il «grazie» di Ettore Rosato. La sua è una «voce autorevole ma solitaria in un Pd sempre più giustizialista », sottolinea il presidente di Iv».

5 STELLE, LE SPINE DI CONTE E L’ATTESA DI GRILLO

Beppe Grillo verrà a Roma? Forse sì, forse no. Pare che sia irritato delle indiscrezioni sulla sua discesa nella capitale. Anche Conte è descritto “nervoso”. Luca De Carolis sul Fatto.

«Giuseppe Conte è impaziente, anche nervoso. Vede l'assedio dei nemici, innanzitutto interni, quel malessere dipinto su certi volti dell'assemblea congiunta di ieri sera, molto tesa. E sente il fiato sul collo del convitato di pietra, quel Beppe Grillo che oggi doveva essere a Roma, per incontrare l'ex premier, i suoi vice e i capigruppo, ma che alla fine ha marcato visita, irritato dalle indiscrezioni sul suo arrivo. E già questo balletto racconta una fase. Quella dei 5Stelle e del loro presidente Conte, che si giocherà moltissimo nei prossimi due mesi e mezzo, cioè fino alla partita del Quirinale, da cui deve uscire se non vincitore almeno politicamente vivo. "Superate le votazioni per il Colle sarà tutta un'altra storia, perché ora siamo deboli ma dopo cambierà tutto" ringhia un contiano di rango, che già sogna rivincite, ad occhio quando bisognerà stilare le liste. Però bisogna arrivarci, a inizio anno. Per questo lunedì sera a Otto e Mezzo Conte ha detto che Mario Draghi farebbe meglio a restare dov' è, a Palazzo Chigi: perché i suoi parlamentari pretendono la certezza che le urne anticipate non ci saranno. E sempre per questo, a breve, sembra entro la settimana, l'ex premier farà votare sul web dagli iscritti i suoi cinque vicepresidenti, assieme ai quattro coordinatori dei comitati tematici (tra i nomi probabili, il deputato Francesco Silvestri e l'europarlamentare Fabio Massimo Castaldo). E non è escluso che vadano in votazione altri ruoli, come quelli dei rappresentanti per le aree territoriali. Perché il leader deve blindare la sua segreteria, la struttura del suo nuovo M5S , e mostrare che è lui a decidere. Urgono nuove nomine, oltre a quella del comitato economico di cui il Fatto aveva scritto già settimane fa, composto da Laura Castelli, Michele Gubitosa, Mario Turco, Stefano Buffagni ed Emiliano Fenu. Ma serve anche molto altro. Per esempio trovare un modus vivendi con Grillo, che a scadenza settimanale dal suo blog dice la sua su ogni tema, dai tamponi al reddito di cittadinanza, ben oltre il suo ruolo di Garante recintato nello Statuto. Il fondatore viene invocato a Roma ogni settimana da molti parlamentari, come fosse il liberatore. E dopo vari falsi allarmi questa volta doveva venire sul serio. Per la naturale ansia di Conte, che ne temeva i possibili effetti dirompenti sui gruppi. "Potrei anche andare a trovarlo io" aveva buttato lì lunedì. Nel frattempo dietro le quinte si era arrivati a una sorta di compromesso: Grillo a Roma, ma per incontrare solo Conte e i dirigenti. Niente riunioni con i parlamentari, dove sarebbe ingestibile. Ma ieri sulla sua visita si è scatenato una ridda di voci e ipotesi. E in serata si è capito che, salvo blitz, oggi il Garante non si farà vedere. Di sicuro lui e Conte prima o poi dovranno discutere di questioni centrali, dal Quirinale fino all'entrata del M5S nel gruppo europeo del Pse, un altro snodo come ricorda al Fatto l'europarlamentare Laura Ferrara: "Sarà un passaggio fondamentale del nuovo corso di Conte, perché vogliamo essere protagonisti di una stagione di riforme con le nostre idee, dal Patto di Stabilità a rivedere al salario minimo". E in serata in assemblea congiunta Conte conferma che "si è aperto il dibattito tra noi e S&D in Europa". Nella riunione però l'ex premier dice soprattutto altro, ovvero quasi si appella agli eletti: "Non vi ho mai chiesto professioni di fede ma sostenetemi, abbracciate il nuovo corso". Chiede aiuto: "Io voglio aprire a tutti, non costruiamo retroscena". Ma quando difende l'ordine di mandare in tv solo i 5 vice - "devono farsi conoscere, non dovete chiamarlo diktat" - due senatori, Primo Di Nicola e Vincenzo Presutto, reagiscono, scattano. E si sfiora la lite, in un'atmosfera tesa, senza applausi o sorrisi. Lo specchio del M5S attuale».

COP26, SI TRATTA FINO A DOMENICA

A Glasgow gli esperti della Cop26 continuano a discutere alla ricerca di un’intesa. Probabile che si chiuderà all’ultimo, domenica sera. Il rischio è quello di un fallimento. Luca Fraioli e Antonello Guerrera per Repubblica.

«Dagli accordi sul clima di Parigi nel 2015, il Madagascar ha avuto soltanto una stagione delle piogge normale. Risultato: campi depredati da siccità e locuste, mentre un milione di persone ha sofferto fame e carestie, costringendole a migrazioni incontrollate. Alla luce della crisi climatica su cui alla Cop26 di Glasgow non si riesce ancora a trovare un'intesa, il rapporto del World Food Programme dell'Onu fa rabbrividire. Ma ieri è stata la giornata di altri due studi agghiaccianti. Uno è quello di Climate Action Tracker, che ha stabilito come la temperatura terrestre, alla luce degli accordi annunciati sinora a Glasgow e delle attuali negligenze dei Paesi, potrebbe salire addirittura di 2,4 gradi entro il 2100. Altro che il +1,5% tetto massimo secondo gli scienziati per evitare la catastrofe. Il secondo è una ricerca del Met Office, l'agenzia meteorologica britannica: con un aumento di 2 gradi delle temperature, 1 miliardo di persone sarebbero a rischio di ondate di calore, siccità e inondazioni. Insomma, se qualcuno non l'avesse capito, alla Cop26 è questione di vita o di morte. Ieri i negoziatori hanno lavorato tutta la notte, alcuni gruppi anche 24 ore di fila. Del resto, "c'è ancora una montagna da scalare", ha detto Alok Sharma, il presidente della Cop26. Si risente puzza di fallimento: oltre alle conclamate resistenze di Cina e India, ieri è saltato anche un annuncio, pensato dai britannici, sullo stop della vendita di vetture a diesel e benzina dal 2035, con gli Usa che si sono sfilati «perché per noi è impossibile». L'Italia non ha partecipato a quello della sanità a emissioni zero. E così, dopo l'arrivo delle parlamentari statunitensi Nancy Pelosi e la star Alexandria Ocasio-Cortez ("l'America è tornata!") al cruciale vertice sul clima di Glasgow stamattina giungerà anche il padrone di casa, ossia il primo ministro britannico Boris Johnson, per parlare con ministri e negoziatori e salvare il salvabile. Johnson, apprende Repubblica, dirà queste parole: «C'è ancora tanto da fare. È tempo che tutti i Paesi vadano oltre le loro differenze. Dobbiamo riunirci per salvare il pianeta, i cittadini del mondo, e tenere vivo il sogno di +1,5 gradi». Ma, come ha spiegato uno studio di Germanwatch e Legambiente ieri, nessun Paese ricco al mondo ha raggiunto singolarmente questo obiettivo nel 2020. Stamattina avremo il primo abbozzo di "cover decision", ossia il riassunto di un possibile un accordo Cop26. I nodi principali sono tre: il riconoscimento che l'obiettivo resti quello di Parigi (un innalzamento delle temperature al 2100 di 1,5 gradi), l'addio alle fonti fossili, l'aiuto economico ai Paesi in via di sviluppo perché possano fronteggiare la transizione ecologica e le conseguenze dell'emergenza climatica. I Paesi più vulnerabili al clima impazzito chiedono che il testo finale sia esplicito nel riconoscere che occorrono azioni drastiche per restare entro 1,5 gradi, che una di queste azioni è il pensionamento di petrolio, gas e carbone e che, infine, i Grandi manterranno la loro promessa di aiuti da 100 miliardi di dollari l'anno per sei anni. Ma c'è anche chi spinge per formule più vaghe in vista del voto finale di venerdì. Anche se, oramai è certo, si andrà ad oltranza nel weekend».

Intanto ieri sono arrivati nuovi dati. Nella classifica della cosiddetta “performance climatica” l'Italia scende al 30esimo posto fra tutti i Paesi. Luca Martinelli sul Manifesto.

«Così non va. L'Italia fa un altro passo indietro nella classifica dei Paesi in lotta contro la crisi climatica: ieri è stato presentato il «Climate Change Performance Index 2022», il rapporto annuale di Germanwatch, Can e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta - realizzato in collaborazione con Legambiente per l'Italia - e il nostro Paese ha fatto uno scivolone all'indietro di tre posizioni, finendo quest' anno al 30°posto in graduatoria. Questo «risultato» è stato raggiunto per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (34° posto della classifica specifica) e per una politica climatica nazionale ancora inadeguata a fronteggiare l'emergenza climatica. Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) consente infatti entro il 2030 un taglio delle emissioni di appena il 37% rispetto al 1990. L'Italia è in cattiva compagnia: nel rapporto, che prende in considerazione la performance climatica di 60 Paesi, più l'Unione Europea nel suo complesso, quelli che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali, la Cina, che è il maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola di quattro posizioni al 37° posto. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le sue emissioni continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del suo sistema produttivo. Ancora più indietro si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, che troviamo al 55° posto (anche se qui c'è stato un passo in avanti di sei pozioni rispetto allo scorso anno, grazie alla nuova politica climatica ed energetica avviata dall'Amministrazione Biden). Tra gli altri Paesi del G20, solo Regno Unito, India, Germania e Francia si posizionano nella parte alta della classifica. Anche l'Ue scivola di sei posizioni al 22° posto, soprattutto per Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, in fondo alla classifica. L'indice che misura la performance ha come parametri di riferimento gli obiettivi dell'Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il Ccpi si basa per il 40% sul trend delle emissioni e per il 60% in parti uguali su sviluppo delle rinnovabili, efficienza energetica e politica climatica. Anche quest' anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite: nessuno sta fronteggiando l'emergenza climatica per contenere il surriscaldamento del Pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. In testa troviamo i Paesi scandinavi, che guidano la corsa verso zero emissioni: Danimarca, Svezia e Norvegia si posizionano dal quarto al sesto posto. In fondo alla classifica ci sono Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia. «Il peggioramento in classifica dell'Italia - dichiara Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente - ci conferma l'urgenza di una drastica inversione di rotta. Si deve aggiornare al più presto il Pniec per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, di almeno il 65% entro il 2030». Come a sottolineare l'esigenza di questo «aggiornamento», ieri la Camera dei Deputati ha ospitato la conferenza stampa di presentazione della petizione «Il nucleare non sia incluso nelle rinnovabili!», promossa da Osservatorio per la Transizione Ecologica-Pnrr (Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, LaudatoSì e NOstra!) e da FacciamoECO, componente politica del gruppo misto rappresentato dall'onorevole Rossella Muroni. Pubblicata sulla pattaforma Change.org, è indirizzata al ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Il messaggio è semplice: «Il nucleare e il gas non sono fonti energetiche rinnovabili e come tali vanno mantenute fuori dalla tassonomia verde europea», il riconoscimento green che garantirebbe importanti finanziamenti sia pubblici che privati al settore».

ETIOPIA, ARRESTATI I MISSIONARI

Addis Abeba è nel caos e la caccia al tigrino non risparmia missionari e salesiani: venti di loro sarebbe ancora in arresto. Mentre Londra consiglia ai connazionali: «Lasciate subito il Paese». Paolo Lambruschi per Avvenire.

«Addis Abeba nel caos. La caccia al tigrino scatenata dal governo etiopico con lo stato di emergenza in vigore da una settimana non ha risparmiato i missionari salesiani, i religiosi copti e i funzionari delle Nazioni Unite. La polizia etiopica cerca i «ribelli» e si è scatenata contro chiunque sia nato in Tigrai. Nella capitale molti vivono nascosti, gli altri sono bersagli. Venerdì scorso forze militari governative hanno fatto irruzione nel quartiere generale dei salesiani nella zona di Gottera, ad Addis Abeba, hanno sequestrato pc e cellulari ed effettuato 35 arresti tra sacerdoti, fratelli e impiegati. L'unica colpa pare essere la nascita nella regione settentrionale del Paese, dove è in corso da un anno il conflitto più sanguinoso del pianeta tra il governo centrale guidato dal premier AbiyAhmed e il partito del Fronte popolare di liberazione tigrino. Un conflitto oscurato fin dal principio, ma le sconfitte sul terreno con la perdita delle città di Dessié e Kombolcha sulla strada che conduce alla capitale etiope e la dichiarata intenzione dei tigrini, alleati con l'esercito di liberazione Oromo, di prendere Addis Abeba hanno fatto esplodere la situazione. I salesiani europei e i non etiopici sono stati liberati quasi subito dalla polizia federale, ma una ventina circa dei consacrati e dei laici tigrini sono stati trattenuti senza accuse e deportati in un luogo sconosciuto. Tra gli arrestati il superiore provinciale di Etiopia ed Eritrea padre Hailemarriam Medhin e l'economo della provincia dei due Paesi del Corno fra Tedros Berhe, poi economi e coordinatori di scuole e dei centri giovanili di Macallè e Shire, in Tigrai. I salesiani in Etiopia, in un messaggio inviato all'agenzia Fides, scossi dagli arresti, hanno invitato a «pregare per la pace e l'unità del Paese» chiedendo la liberazione dei confratelli. Domenica, dopo l'Angelus, il Papa si era per la terza volta pronunciato sul conflitto in Etiopia rilanciando l'appello affinché prevalessero «la concordia fraterna e la via pacifica del dialogo». Invece ad essere prese di mira sono le attività umanitarie e scolastiche cattoliche. I salesiani sono nel Paese africano dal 1975 e da allora hanno stabilito una presenza significativa in cinque regioni, tra cui il Tigrai. Si occupano come da tradizione anche con l'Ong Vis di educazione professionale, asili, scuole primarie, scuole superiori e centri di orientamento e formazione professionale, sanità e, in particolare, nella capitale hanno aperto centri per i bambini di strada. Molti dei loro progetti sono stati finanziati dalle comunità cattoliche di molti Paesi, soprattutto in Italia. «La notizia dell'arresto di sacerdoti, diaconi e laici etiopi ed eritrei che vivevano nella casa provinciale dei salesiani - ha commentato don Mosè Zerai, presidente dell'agenzia Habesha - ci lascia sgomenti. Non riusciamo ancora a comprendere quali siano i motivi alla base di un atto così grave. Ci auguriamo che tutto si risolva al più presto e che si giunga a una rapidissima liberazione di tutti, e che questa follia non sia di ostacolo alla missione della Chiesa verso i poveri e verso quanti si trovano in difficoltà. I centri salesiani funzionano bene, sono aperti a tutti senza nessuna distinzione di etnia, religione, classe sociale. Non vogliamo un nuovo Ruanda». Neppure la chiesa copta ortodossa, maggioritaria nel grande Paese africano, è stata risparmiata. Come riporta il sito di informazione Africa Express, agenti di polizia sono entrati addirittura nella cattedrale copta di Addis Abeba, costringendo sacerdoti e monaci tigrini a interrompere le funzioni sacre. I religiosi sono poi stati caricati sui furgoncini delle forze di sicurezza e deportati. Anche almeno 16 cittadini etiopici dipendenti delle Nazioni Unite sono stati arrestati ad Addis Abeba durante «le operazioni contro i ribelli del Tigrai». Ne hanno dato notizia fonti Onu. Alcuni di loro sono stati arrestati nelle loro case. L'Onu ha chiesto al ministero degli Esteri etiopico il loro immediato rilascio. Sul fronte diplomatico il nodo pare lo sblocco degli aiuti umanitari al Tigrai fermati da Addis Abeba dal 18 ottobre, secondo l'Onu. L'ex presidente nigeriano Obasanjo, inviato dell'unione Africana, ha incontrato lunedì, d'accordo con il premier etiope Abiy Ahjmed, il presidente regionale tigrino Debretsion Gebremichael nel capoluogo tigrino Macallè. Il leader avrebbe acconsentito a restituire le centinaia di camion di aiuti trattenuti dai tigrini negli ultimi mesiin cambio diviveri e medicinali per la popolazione. Secondo Washington, che ha nel Corno l'inviato di Biden Jeffrey Feltham, vi sarebbe una «finestra stretta sulla pace». Intanto la Gran Bretagna ha chiesto ai propri connazionali di non recarsi in Etiopia e a chi vi si trova di lasciare il Paese perché la situazione sta peggiorando. I leader degli insorti avrebbero acconsentito a restituire i camion di aiuti trattenuti negli ultimi mesi in cambio di viveri e medicinali per la popolazione. Secondo Washington c'è ancora una «finestra stretta sulla pace».

ORTEGA, DA SOCIALISTA A DITTATORE

Appena rieletto in elezioni farsa (la moglie è diventata co-presidente) Daniel Ortega compie 76 anni. Paolo Lepri sul Corriere:

«Quando Daniel Ortega compirà domani 76 anni, la moglie Rosario Murillo (promossa co-presidente) e gli altri fedelissimi potranno brindare al «leader» più longevo di un intero continente. «Dittatore» invece sarebbe la parola giusta, perché l'uomo rieletto l'8 novembre per la quarta volta consecutiva al vertice del Nicaragua in un voto-farsa senza avversari (sette possibili candidati in grado di batterlo sono in carcere o agli arresti domiciliari) si è trasformato in uno spietato caudillo simile a quell'Anastasio Somoza che i sandinisti costrinsero nel 1979 a fuggire a Miami. Fu una rivoluzione, la sua, che riempì il mondo di speranze. Altri tempi . La festa dell'11 novembre sarà così una nuova giornata di tristezza per un intero popolo, che accende le candele solo per ricordare le oltre trecento vittime del pugno di ferro con cui sono state stroncate le manifestazioni del 2018. Lui, il «Comandante Daniel», che non è mai stato in realtà una figura carismatica ma una sorta di funzionario del potere di se stesso, ringrazierà la poetessa che conobbe in carcere e che è diventata l'ispiratrice di ogni giravolta. Se portasse ancora quegli enormi occhiali, un po' a goccia, che non andavano molto accordo con la divisa verde oliva, li metterebbe sul tavolo per asciugare qualche finta lacrima. È pensando invece alla sue sette vite che Ortega può provare commozione. La sua forza è stata infatti quella di sopravvivere a tutto. Torturato in carcere (vi rimase sette anni, quando da giovane rapinò la Bank of America di Managua per finanziare il fronte sandinista), fu uno dei detenuti scambiati con alcuni ostaggi del regime somozista e mandato a Cuba da dove riuscì poi a rientrare clandestinamente in Nicaragua. Vinta la grande battaglia contro un regime impresentabile, navigò negli anni felici della giunta che tentò di ricostruire il Paese, chiudendo senza troppi danni la pagina poco edificante della guerriglia dei «contras» pagati dall'America di Reagan. Le sconfitte degli anni Novanta e dell'inizio del 2000 non lo hanno fatto uscire di scena. Eccolo di nuovo, come se niente fosse accaduto, nel 2006 : una data che segna l'avvio dell'involuzione autoritaria e dell'alleanza con il mondo oscuro degli affari (per non parlare delle conversioni mistiche e della virata anti-abortista). Un'ulteriore dimostrazione di resistenza fu la battaglia vinta nel 2009 per cambiare la Costituzione abolendo il divieto di due mandati consecutivi. Questo stratagemma gli consentì di restare ancora al potere, seppur ridimensionato da due rielezioni di stretta misura, nel 2011 e nel 2016. Ma la prova più dura fu rappresentata dalle accuse di stupro lanciate oltre venti anni fa dalla figliastra Zoilamérica, che oggi, in esilio, è una avversaria politica del patrigno e della madre. Ortega ha sempre negato. Si salvò incredibilmente grazie all'immunità parlamentare, spalleggiato senza esitazioni dalla moglie. Concluso ingloriosamente il capitolo delle elezioni di domenica, è lecito interrogarsi che cosa ci sia nella testa di quest' uomo, quali siano le dinamiche che lo spingono a dichiarare, subito dopo la diffusione dei risultati, rispondendo alle critiche di Bruxelles, che «L'Unione europea ha un parlamento nel quale fascisti e nazisti sono in maggioranza». Alzare il livello dello scontro in maniera scriteriata può essere un sintomo di debolezza. Conviene però non illudersi. Sarà anche il simbolo del «fallimento del socialismo radicale», come dice Mario Vargas Llosa, ma Ortega sta andando vicino ad essere eterno».

PUTIN APRE I RUBINETTI DEL GAS

Putin sblocca le forniture di gas per l’Europa e subito le quotazioni vanno in picchiata: meno 11%. Ma la Von der Leyen rilancia sul nucleare: "Ci serve. Subito acquisti comuni e una riserva strategica". Francesco Spini per La Stampa:

«La Russia ricomincia a pompare gas verso l'Europa, scongiurando i timori di chi, in vista dell'inverno, temeva una stretta di Zar Vladimir. Il risultato della ripresa dei flussi non si fa attendere: i prezzi della materia prima, lunedì impazziti al rialzo, invertono la rotta. Il contratto future quotato nei Paesi Bassi sulle consegne di dicembre, praticamente dopodomani, segna un -11,6%, allo stesso modo il contratto britannico arretra dell'11,2%. La grande paura del Vecchio Continente si stempera nelle parole che giungono da Gazprom, rilanciate su Telegram e altri canali online. Il colosso russo del gas segnala di aver «approvato e avviato l'attuazione del piano di iniezione di gas in cinque depositi sotterranei europei», aggiungendo che «i volumi e le rotte del trasporto del gas sono stati determinati». Dati provenienti dalla Germania e riportati da Reuters mostrano che in effetti già nella serata di lunedì - mentre l'Europa temeva ancora di essere ormai sotto scacco di Vladimir Putin, sospettato di legare il via libera ai rifornimenti al sì di Bruxelles al Nord Stream 2 - i flussi si stavano riavviando. Secondo quanto riferito dal Transmission System Operator ucraino, Gazprom avrebbe prenotato altri 10 milioni di metri cubi al giorno di capacità del gasdotto al confine tra Ucraina e Slovacchia. Fatto sta che le forniture attraverso il gasdotto che da Yamal, in Siberia, arriva in Europa stanno fluendo verso ovest dalla Polonia alla Germania. Non è ancora uno scampato pericolo. Putin però non ha chiuso i rubinetti ma ha anzi chiesto a Gazprom di aumentare la fornitura a occidente: il Vecchio Continente parte da una situazione di estrema preoccupazione rispetto a un inverno che stava cominciando con le scorte al livello stagionale più basso da oltre dieci anni e un costo dell'energia in rapido aumento. Per vedere ulteriori importanti ribassi dei prezzi del gas serviranno un inverno non troppo rigido e nuovi segnali di distensione dalla Russia che da sola fornisce un terzo del fabbisogno di gas. Per questo anche la politica europea si interroga. «Il 90% del gas che usiamo è importato e questo non è sostenibile», dice la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. «Dobbiamo discutere di una riserva strategica europea e la possibilità di un approvvigionamento comune», dice. Sostiene che occorre investire in rinnovabili ma allo stesso tempo «abbiamo bisogno di risorse stabili, il nucleare, e nella transizione, il gas naturale». Nel breve termine, la Ue e i suoi Stati membri devono «sostenere le persone più colpite dallo choc dei prezzi dell'energia, ovvero i consumatori vulnerabili e le imprese più esposte». Caro-energia significa anche inflazione. «Il picco durerà nei prossimi mesi ma dall'inizio dell'anno prossimo tenderà ad attenuarsi», prevede il ministro dell'Economia, Daniele Franco, al termine della riunione dell'Ecofin. C'entrano motivi tecnici: «Il fatto che gli aumenti dell'Iva in Germania non avranno più impatto, e il venir meno o l'attenuarsi delle strozzature alle catene di approvvigionamento e il ridursi dei prezzi dell'energia». Questo, chiarisce Franco, «non vuol dire che l'inflazione e il prezzo dell'energia convergano sui livelli di un anno fa, molto bassi. Però vuol dire uscire dalla situazione attuale».

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