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Draghi scatenato sui vax

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Draghi scatenato sui vax

Mentre la curva preoccupa, Draghi accentra i poteri sulle vaccinazioni. Conte sarà il leader di un 5Stelle rifondato. Renzi deve chiarire sui sauditi. Parla Ratzinger: il Papa è uno solo.

Alessandro Banfi
Mar 1, 2021
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Draghi scatenato sui vax

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“Adulti e vaccinati”, si dice. È il sogno di questo periodo. Finalmente essere messi in grado di tornare a vivere. La luce in fondo al tunnel si intravede ma il ritorno di fiamma del Covid tiene in apprensione tutti. E la curva epidemiologica, vista in prospettiva, fa paura. Abbiamo ancora davanti almeno un mese di difficoltà. Sui giornali si parla anche molto del piano vaccini, con un Draghi scatenato. Due punti forti oggi: togliere i poteri alle Regioni, che stanno spesso incasinando “l’ultimo miglio” della vaccinazione. E spingere Europa e autorità italiane ad usare Sputnik. Parla Remuzzi, l’esperto che dovrebbe diventare il Fauci italiano, il portavoce scientifico del Governo e insiste sulla prima dose a tutti. Repubblica offre uno spaccato della corruzione in atto con un’inchiesta mentre c’è scandalo per la scelta di una no vax fra i naufraghi dell’Isola dei famosi. La politica mette in primo piano due grandi casi: la “rifondazione” del Movimento 5Stelle, ieri il vertice romano senza Casaleggio ha designato Conte leader. E l’affare Renzi-Sauditi, polemica che non si fermerà facilmente. Il Papa emerito Joseph Ratzinger parla sul Corriere otto anni dopo l’annuncio delle sue dimissioni e ricorda che il Papa è uno solo.

LE PRIME PAGINE

Titoli del lunedì ancora tutti centrati sulla lotta al Covid. E al piano vaccini di Draghi. Il Corriere della Sera sceglie: Dose unica, così la campagna. Mentre La Stampa entra nel merito delle competenze di Regioni e Protezione civile: Vaccini, Draghi si riprende i poteri. Il Messaggero personalizza ma la notizia è la stessa: Virus, in campo Gabrielli e Curcio. Quotidiano nazionale cerca di rassicurare gli esercenti: Le Regioni: garanzie di ristori per tutti. Libero assolutizza, a modo suo, un sms della Regione Lombardia a chi è in coda e ha fatto richiesta del vaccino: Lo Stato scrive agli ottantenni: «Niente vaccini, arrangiatevi». Mentre La Verità genericamente se le prende con le bufale di questo periodo: Tutte le bugie dette sui vaccini. Repubblica propone un’inchiesta vecchio stile, a più mani, sui tanti casi di corruzione e truffe legati alla pandemia in tutta Italia: Covid, abusi per 2 miliardi. Sull’economia va Il Giornale: Bomba disoccupazione. E Il Sole 24 Ore del lunedì: Operazione 730: per le famiglie rischio trappole su contanti e card. Unica apertura di politica quella de Il Fatto, che celebra il Conte Day: Conte dice sì: «Nuovo M5S, accogliente e intransigente». Sono nati i giacobini dal volto umano?

DA OGGI I NUOVI COLORI, ASSEMBRAMENTI ALLA VIGILIA

Il punto sulla pandemia. Polemiche sugli assembramenti dell’ultima ora nelle zone da oggi arancioni, dati molto preoccupanti sulla scuola e i contagi fra i giovani, ansia per una curva che si sta rapidamente impennando in molte situazioni. La Cassandra di oggi (non per niente è lunedì) si chiama Roberto Battiston, è uno stimato fisico dell’Università di Trento, che studia i numeri e le curve. Lo intervista Repubblica.  

«I nuovi casi giornalieri cresceranno per almeno altre 4 settimane. E se non si interverrà rapidamente l'incremento durerà ancora di più. Il perché lo spiega Roberto Battiston, professore di fisica all'Università di Trento che da mesi studia l'andamento dell'epidemia. I casi aumentano, cosa sta succedendo? «Qualcosa di simile a quanto avvenuto a ottobre, quando all'improvviso l'Rt ha iniziato a crescere, passando in 3 settimane e mezzo da 1,15 a 1,85. Allora però allora avevamo una serie di frecce al nostro arco per piegare la curva e riportarla a valori accettabili, cosa avvenuta ai primi di dicembre». E adesso? «Stiamo già usando tutti gli strumenti a disposizione: mascherine, distanziamento, vaccini, immunità di gregge di chi si è già ammalato. Però abbiamo di fronte le varianti, molto più aggressive del virus ordinario, che stanno diventando le forme più diffuse». Quali sono le province più in difficoltà? «Quelle in condizioni più gravi sono una ventina, altrettante stanno peggiorando. Nel primo gruppo ci sono Pescara, Chieti, Matera, Salerno, Imperia, Bergamo, Brescia, Ancona, Ascoli, Campobasso, Monza, Trento e buona parte della Toscana. Tra le zone che peggiorano ci sono il comune di Napoli, il Piemonte, alcune province del Friuli, Frosinone, e province lombarde come Como e Cremona. Va sottolineato che tre settimane fa in condizioni critiche c'erano solo la provincia di Perugia e quella di Bolzano». (…) Per quanto tempo cresceranno i nuovi casi giornalieri? «Visti i tempi di intervento e reazione, per almeno 4 settimane il numero dei nuovi positivi continuerà a crescere. Ma dobbiamo agire subito per osservare gli effetti sull'Rt in 1-2 settimane. Se ritardiamo le azioni di contenimento ci fermeremo solo quando il sistema sanitario non reggerà più l'urto. Rischiamo di trovarci presto in una situazione molto peggiore di ottobre».

IL PIANO VACCINI NON PUÒ ANDARE PIANO

Il piano vaccini di Draghi prevede una grande accelerazione, con 200-300 mila vaccinazioni al giorno. Ma non solo, soprattutto disegna un accentramento dei poteri e la fine del Far west regionale. Ilario Lombardo su La Stampa concentra su questo tema l’attenzione (titolo: “Vaccini, Draghi si riprende i poteri”).

«È sul metodo e sulla strategia che invece l'ex banchiere centrale sta concentrando in queste ore la propria attenzione. Puntando su un obbiettivo, tra gli altri: centralizzare maggiormente il piano a Roma ed evitare il far west regionale. Per farlo però non dovrebbe ritagliare un ruolo di comando a misura di un solo uomo. L'idea di un coordinatore unico sui vaccini richiesto ieri da Antonio Tajani a nome di Forza Italia non trova sponda a Palazzo Chigi. Draghi non vuole replicare il modello del governo Conte che aveva affidato a Domenico Arcuri uno strapotere nella lotta alla pandemia. (…)  I poteri di Arcuri torneranno maggiormente in capo alla Protezione civile che per volontà di Draghi e su suggerimento del neo-sottosegretario con delega ai Servizi, Franco Gabrielli, è tornata a essere guidata da Fabrizio Curcio. Il premier vuole che gli uomini dell'emergenza, anche dell'esercito che il ministero della Difesa metterà a disposizione, si muovano in una cornice normativa ben definita e alla luce della sentenza della Corte costituzionale di cinque giorni fa. La lotta alla pandemia, hanno stabilito i giudici della Consulta, è competenza dello Stato. Cosa vuol dire? Che in questo lungo anno di battaglia al virus il conflitto tra governo centrale e Regioni non aveva ragione di essere se non per una errata interpretazione del federalismo sanitario. La traduzione attuale sui piani vaccinali è la fotografia di una situazione non omogenea, con Regioni che hanno un passo più virtuoso e sostenuto, e altre che invece faticano e non sono nemmeno nell'orizzonte di completare a breve il primo step dell'immunizzazione, quello che riguarda gli over 80. Per Draghi la sentenza è una leva per riorganizzare il coordinamento su base nazionale dei piani regionali. (…) Nel frattempo il governo si augura l'immediato via libera al nuovo vaccino Johnson&Johnson che essendo monodose potrebbe facilitare la campagna della prima iniezione di massa sul modello inglese. Tutte le armi diventano importanti. E per Matteo Salvini tra queste c'è il vaccino russo Sputnik. «Perché non usarlo?» insiste. Dopo Ungheria, Austria, e San Marino, anche la Repubblica ceca ha avviato le trattative con Mosca. Bisognerà capire se l'appello di Salvini non indebolisce i buoni propositi atlantici di Draghi.»

È il Fauci italiano, così almeno lo vede Mario Draghi. Lo scienziato a cui affidare il ruolo di portavoce unico nella lotta alla pandemia. Giorgio Remuzzi, direttore dell’Istituto Negri, è un vero numero uno. E nei lunghi mesi dell’emergenza si è sempre distino per equilibrio, conoscenza e buon senso. Il Corriere della Sera, con Cristina Marrone, lo ha intervistato:

«Per fare il salto di qualità nella lotta al virus bisogna organizzarsi con almeno 500 mila dosi giornaliere» sostiene Giuseppe Remuzzi, nefrologo, direttore dell'Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri. Come va organizzata la campagna di vaccinazione? «Serve un'unica regia centrale. Vanno coinvolti Protezione civile ed Esercito per puntare ai grandi numeri. Non significa che i medici di base o le farmacie saranno esclusi: ogni aiuto in più è prezioso». Dove vaccinare? «In grandi spazi come palestre, palazzetti dello sport, teatri che Regioni e Comuni potranno mettere a disposizione. L'Esercito può costruire in poche ore strutture mobili, come quelle utilizzate dopo un terremoto o un'alluvione». A chi affidare le iniezioni? «In ogni struttura deve esserci un medico in grado di affrontare i rarissimi effetti collaterali gravi. Le iniezioni possono farle infermieri, ma anche specializzandi che già hanno una retribuzione. Per loro sarebbe un'esperienza formativa di cui andare fieri». Lei è favorevole a una singola dose, come mai? «Per ragioni tecniche e pratiche. Che sia chiaro, il richiamo va fatto, il punto è quanto presto. Le ragioni pratiche sono che abbiamo pochi farmaci: se immunizziamo tutti gli over 80 con tutti i prodotti disponibili togliamo subito la pressione sugli ospedali, tagliando l'80% dei pazienti in terapia intensiva e abbattendo i decessi. Per ragioni tecniche perché tutti i vaccini approvati funzionano nelle cose che contano: evitano la malattia grave e la morte». Per vaccinare gli over 80 con tutti i prodotti intende anche con AstraZeneca? «Sì. Un lavoro appena pubblicato in Scozia che ha studiato 5,4 milioni di persone ha evidenziato che la prima dose Pfizer è stata associata a un'efficacia dell'85%, mentre la prima dose di AstraZeneca a un'efficacia del 94% tra i 28 e i 34 giorni dopo la somministrazione, anche in chi ha più di 80 anni con patologie come obesità, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari o precedenti malattie respiratorie che sappiamo espongono a maggior rischio di morte». I dati pubblicati dal «Nejm» indicano però che il vaccino Pfizer protegge dalla malattia al 57% con prima dose e al 94% con seconda dose. «Noi siamo abituati a discutere come se l'efficacia del 90% fosse la normalità, ma non è così. Guardiamo al vaccino contro l'influenza che protegge in media del 50%: tutti quelli che si vaccinano, anche se si ammalano, sono protetti dalle forme gravi». Non sappiamo ancora però quanto durerà l'immunità indotta dal vaccino. «I dati scozzesi ci indicano una protezione di almeno un mese, ma se guardiamo gli studi che si sono susseguiti su quanto dura l'immunità dei guariti da Covid-19 possiamo stimare una media di sei mesi. Improbabile che un vaccino protegga per un tempo inferiore. Per essere prudenti dimezziamo e arriviamo a fare un richiamo dopo tre mesi. Per AstraZeneca è già così. Vaccini Moderna ce ne sono pochi. Johnson&Johnson è monodose. Il problema si pone con Pfizer, ma quando arriveranno abbondanti dosi come promesso potremo tornare al protocollo originale che prevede la doppia dose». (…) Arriverà in Italia Sputnik? «Ne abbiamo bisogno, credo che i documenti arriveranno presto all'Ema (l'Agenzia europea per i medicinali, ndr ). L'efficacia di Sputnik sfiora il 94% e la sicurezza la vediamo con l'alto numero di vaccinati in tutto il mondo. Va fatta l'analisi di conformità delle strutture produttive tenendo conto che gli ispettori non possono pretendere che un vaccino prodotto in Russia o in Cina sia creato da macchine con marchio CE. Quando il prodotto sarà validato dall'Ema mi auguro che Aifa (l'Agenzia italiana per il farmaco, ndr ) arrivi all'approvazione in pochi giorni».

A proposito di Sputnik, dai giornali si capisce che c’è un braccio di ferro politico/burocratico. Si potrebbe usare subito anche in Italia ed è molto efficace. Dopo l’Ungheria, lo farà la Repubblica Ceca, ignorando le lentezze della Ue, e anche l’Austria. Roma vorrebbe fare come Vienna, Budapest e Praga ma mancano le autorizzazioni di Ema e di Aifa. Margherita De Bac intervista il direttore dello Spallanzani, Francesco Vaia.

«Sputnik funziona. Noi ne abbiamo fatto una valutazione indipendente, come istituto di ricerca, non come gruppo isolato. Il documento è stato condiviso senza nessuna volontà di intervenire su questioni politiche». Replica così il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia, a Nicola Magrini, direttore dell'agenzia italiana del farmaco, intervistato dal Corriere della Sera . (…) L'efficacia è di oltre il 90% contro la malattia sintomatica e del 100% per la malattia grave. Quindi «si ritiene che Sputnik possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro Sars-CoV-2». Viene però rimarcato il limite delle informazioni sulla «tecnologia utilizzata per lo sviluppo dei vettori virali e sulla genetica relativa al Dna trasportato dal vettore». E ancora. Dei protocolli di studio si conosce solo una sintesi e i dati di efficacia provengono da un'unica sperimentazione sviluppata solo a Mosca, in un solo gruppo etnico e sotto il controllo di un'unica autorità regolatoria. Infine «non sono noti i dati sull'impatto delle varianti». Magrini in realtà non ha messo in dubbio la validità di questo «candidato», da lui definito «ottimo, dal disegno interessante e intelligente». Però ha sottolineato che l'agenzia non intende precorrere i tempi e avallare un'eventuale procedura per averlo in Italia prima del via libera da parte dell'ente europeo Ema. Vaia respinge il sospetto che l'iniziativa sia stata sollecitata dal governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, e del suo assessore alla Sanità, Alessio D'Amato, favorevole a una procedura d'urgenza per portare da noi il vaccino russo: «No, la politica non c'entra. È una nostra iniziativa. L'auspicio è che si vada oltre la burocrazia e si accelerino i passaggi. Abbiamo in mano un buon prodotto e in questa fase non possiamo permetterci di perdere tempo. L'epidemia non si ferma e si è visto che nelle categorie già immunizzate, operatori sanitari e anziani, i contagi e i decessi sono sensibilmente calati».

UNA NO VAX ALL’ISOLA DEI FAMOSI? SCELTA GRAVE

Ieri sui social è stato annunciato che Daniela Martani parteciperà al reality “L’Isola dei Famosi”. È una scelta grave ed importante, che oggi i giornali passano sotto silenzio. Ma in questo caso bisognerebbe porre delle domande e per una volta sottrarsi al ruolo di pura cassa di risonanza della Tv. La tv commerciale vuole promuovere qualcuno che ha mantenuto la sua popolarità litigando in pubblico per non volersi mettere la mascherina, un personaggio che è esistito nei social solo perché ha predicato che i vaccini non vanno fatti e che i vegani sono immuni per la loro alimentazione. A che punto può arrivare il cinismo dei dirigenti tv?  Qui si gioca con la vita e con la morte di centinaia, se non migliaia di persone. Come ha detto Silvio Berlusconi, “Il Covid è una malattia terribile”.

IL SACCO DEL COVID

Lo anticipavamo nei titoli di prima pagina: Repubblica oggi stampa una doppia paginata di inchiesta vecchio stile a firma di un’intera squadra di cronisti, dove mette insieme tutte le inchieste penali su truffe e abusi che si sono sviluppati con la pandemia. È il “sacco” del Covid, e i nuovi Lanzichenecchi hanno percorso l’intera nostra penisola.

«Reparti allestiti e mai aperti, conflitti di interesse, forniture farlocche, un milione di euro spesi su Amazon alla ricerca di materiale sanitario da inviare agli ospedali, il racconto che le procure italiane stanno facendo di quello che è accaduto in questi 12 mesi in Italia è quello di un grande sacco. Le inchieste sono almeno venti: Milano, Roma, Napoli, Torino, Bari, Ma anche Reggio Calabria, Prato, Messina, Trani, in tutta in Italia i magistrati hanno messo le mani su affidamenti di comuni, Asl e Regioni. Due miliardi di euro almeno il giro di affari sotto indagine, dicono i calcoli della Guardia di Finanza. Un sacco cominciato e non ancora terminato».

È NATA UNA STELLA, ANZI UNA 5STELLA E SI CHIAMA CONTE

Hotel Forum di Roma: il summit domenicale dei capi dei 5Stelle si è svolto ad un passo dalla casa che abitò Michelangelo. Qui il capolavoro però lo fa Grillo ed ha un nome solo: Giuseppe Conte, la parola chiave è “rifondazione”. Il processo riguarderà una svolta più profonda della sola ”governance” del Movimento. Monica Guerzoni sul Corriere della Sera racconta così il Conte day.

«Sarà lui il leader dei 5 Stelle, del nuovo Movimento che sorgerà dalla rifondazione voluta da Beppe Grillo. Dopo giorni di riflessioni e dubbi, l'avvocato che sognava un partito tutto suo ha raccolto l'invito del fondatore del M5S e ha accettato di mettersi al lavoro sulla «ristrutturazione integrale» della prima forza politica del Parlamento italiano, dilaniata dal sì al governo Draghi e decimata da fughe ed espulsioni. (…) Forte dei sondaggi e di quattro milioni di seguaci sui social, stando ai numeri di Rocco Casalino, l'avvocato ha chiesto carta bianca, o quasi: libertà di pensiero e di manovra per trasformare i 5 Stelle nati dal «vaffa» in una forza più aperta alla società civile, europeista, ambientalista e moderata, che non rinunci ai temi storici come legalità, transizione ecologica, lotta alla corruzione. «Conte offrirà alla nostra causa un contributo determinante», gli ha aperto le braccia Luigi Di Maio, che con grande realismo ha siglato la tregua con il rivale di un tempo recente. L'idea di Grillo è che l'ex presidente del Consiglio assuma la guida del nuovo Movimento come capo unico, senza più quel comitato direttivo a cinque che diventerebbe l'epicentro degli scontri tra le correnti e rischierebbe di indebolirlo. Anche Conte teme un organismo uscito da una votazione su Rousseau e, per quanto voglia muoversi con rispetto e cautela, interpreta la rifondazione come un cambiamento profondo, anche nei rapporti con Davide Casaleggio e la sua creatura. Se la via sarà quella che l'avvocato auspica bisognerà riscrivere lo statuto e far saltare la governance a cinque, al limite per sostituire il direttivo con una segreteria politica di suo gradimento. A giudicare dai pubblici encomi, la corsa a farne parte è già iniziata».

Sulla svolta Il Fatto, giornale molto vicino al Movimento, sottolinea un aspetto importante: c’erano i leader, ma non tutti. Mancava Davide Casaleggio.

«Il convitato di pietra, alla fine, non si è fatto vedere. Beppe Grillo aveva chiesto a Davide Casaleggio di sedersi al tavolo in cui verranno riscritte le regole che governano il Movimento Cinque Stelle. Ma lui ha rifiutato l'invito, ufficialmente perché impegnato nella sesta tappa del tour "La Base incontra Rousseau". La verità è che ha già ben chiara una cosa: per fare posto a Giuseppe Conte, il primo che dovrà spostarsi sarà lui. Il carrozzone di Rousseau, con le sue liturgie e i conflitti d'interesse sempre dietro l'angolo, è lontano anni luce dall'idea del nuovo M5S che l'ex premier ha intenzione di provare a guidare. Lo ha spiegato chiaramente nel vertice, l'avvocato richiamato a gran voce: "Questo tema va risolto e dovete farlo voi". E, va detto, ha affondato il coltello con una discreta facilità, visto che da tempo la casa madre milanese è nel mirino di una grossa fetta del gruppo parlamentare, stanco di versare 300 euro al mese, e pure del gruppo dirigente, arcistufo della tiritera sui dati degli iscritti "di proprietà" della piattaforma con cui Casaleggio di fatto tiene sotto scacco il Movimento. La soluzione di un "contratto di servizio" che trasformi l'associazione Rousseau in un fornitore esterno è ancora in via definizione. Di certo, l'arrivo di Conte darebbe alla pratica una accelerazione immediata. Cosa che l'erede di Gianroberto sa bene e che lo ha spinto a segnare il suo distacco, con il mancato arrivo ieri all'assise dell'hotel Forum a Roma. (…)Altrettanto ingombrante è la partita che riguarda la raffica di richieste di espulsioni, fioccata dopo che decine di parlamentari hanno disobbedito, voltando le spalle all'esecutivo guidato dall'ex presidente della Bce. Al momento è tutto in stand by: sui probiviri, che hanno aperto l'istruttoria dei provvedimenti disciplinari nonostante la contrarietà di uno dei tre membri del collegio, pesa la recentissima decisione del tribunale di Cagliari, che ha nominato un curatore speciale del M5S , ritenendo l'associazione priva di rappresentanza legale (…) resta la grande incognita dell'organo collegiale: come dicevamo, due settimane fa la base lo ha battezzato. Ma pochi giorni dopo è partito il pressing dei contiani - e di Grillo - per ricominciare daccapo: per interrompere il processo che dovrà eleggere i 5 componenti serve un intervento formale del Garante. E ormai nessuno dubita più che arriverà.».

Repubblica parla della futura collocazione del nuovo Movimento rifondato all’interno delle grandi famiglie della politica europea. I grillini chiederanno di entrare nei socialdemocratici.  

«L'obiettivo è chiudere un accordo nel giro di qualche mese, ma le premesse sono più che buone affinché il M5S entri nella famiglia socialista del Parlamento europeo. La capogruppo dei Socialisti e Democratici, la spagnola Iratxe García Pérez (Psoe), ha informalmente fatto sapere che non ci sono preclusioni all'ingresso dei 5 Stelle; ma con una postilla, cioè che l'ultima parola spetta al Pd. Se i compagni italiani daranno il via libera, allora si farà. I 145 eletti iscritti al gruppo socialista diventerebbero quindi 155, rafforzando il proprio ruolo di seconda forza europea dopo l'area centrista dei popolari. Non si tratta ovviamente di una improvvisa conversione alle ragioni della socialdemocrazia da parte del Movimento, ma di sicuro da quando si è formato il Conte bis assieme a Pd e Leu anche in Europa i rapporti si sono consolidati. Non è più il M5S contrario all'euro del 2014 che una volta nel Parlamento Ue si alleò con l'euroscettico Nigel Farage e nemmeno quello che flirtava con i gilet gialli francesi del 2018».

Su La Verità la voce critica nei confronti della svolta rifondatrice è offerta da un’intervista all’ex senatore grillino Emanuele Dessì.

«La scelta politica è in mano a chi ha già peccato di autoreferenzialità. Giuseppe Conte potrebbe certamente risolvere alcuni problemi, ma sarà una mera questione di immagine. Di fatto, tutto resterà come prima: Beppe Grillo si terrà il suo ruolo da padre nobile, Luigi Di Maio il suo posto al ministero degli Esteri. I territori, sbriciolati in mille rivoli, non saranno nemmeno consultati. Personalmente, mi aspettavo una scelta diversa da Conte». Di che tipo? «Pensavo che avrebbe assunto il ruolo del federatore di una vasta area politica, non delle correnti del Movimento 5 stelle». Qual è il senso di questa operazione, allora? «Alla base c'è la paura che Conte possa farsi un contenitore politico proprio, che svuoterebbe gran parte del Movimento». «Chi oggi invoca Conte, ha contribuito alla sua fine», ha detto Massimo Bugani. È d'accordo? «Vista la facilità con cui ci si è buttati sul Governo Draghi, non ho visto gente strapparsi i capelli mentre Conte veniva estromesso. Nel Movimento c'è un problema di metodo: le scelte vengono prese da un ristretto numero di persone, al chiuso di una stanza. I gruppi parlamentari e la base vengono tenuti all'oscuro di tutto».

IL CASO RENZI SAUDITI

Matteo Renzi è alle prese con un caso, quello della sua visita a Riyad, sempre più spinoso. Il Fatto pubblica una lettera aperta alla Casellati firmata dall’ex senatore DS Giangiacomo Migone perché il Presidente del Senato intervenga immediatamente su Renzi. Il Corriere intervista Carlo Calenda, che propone una legge ad hoc.

«Dice Carlo Calenda, leader di Azione ed europarlamentare: «Invece di continuare questa discussione all'infinito sarebbe meglio varare una norma che vieti ad un rappresentante in carica di percepire soldi direttamente o indirettamente da un governo straniero». E la discussione riguarda Matteo Renzi. (…) Onorevole, Renzi continua a difendersi e a ripetere: «Giusto parlare con i sauditi» che definisce «un baluardo contro l'estremismo islamico, uno dei principali alleati dell'Occidente da decenni».È politicamente opportuno svolgere una prestazione per un dittatore ed elogiarlo pubblicamente? «No. E difendersi menzionando i rapporti tra governi vuol dire buttare la palla fuori campo. Metà del mondo non è democratico e bisogna averci a che fare, ma attraverso le relazioni diplomatiche, non incassando soldi personalmente mentre si è pagati dai cittadini italiani. Questo è il punto». A suo avviso dovrebbe dimettersi? «Non è obbligato a farlo, per il semplice motivo che ha fatto una cosa eticamente sbagliata ma lecita». Sarebbe opportuno che restituisse il denaro ricevuto? «In questi casi, ognuno si regola come vuole». Lei è stato il primo ad avanzare una proposta che è stata già ribattezzata norma «antiRenzi». «Anti conflitti di interesse, ed è molto semplice: occorre scrivere una norma che vieti a un eletto di percepire emolumenti diretti o indiretti da governi stranieri, ovvero da società o enti posseduti da governi stranieri. Si tratta di un principio di civiltà talmente evidente...».

OTTO ANNI DA EMERITO, PARLA BENEDETTO XVI

Il Corriere della Sera propone un colloquio, a firma di Massimo Franco, con il Papa emerito Benedetto XVI, otto anni dopo l’annuncio delle sue dimissioni (11 febbraio 2013). Ratzinger consegna un messaggio “significativo”: il Papa è uno solo e le sue dimissioni sono state una scelta libera e consapevole.  

«La sua precisazione sull'unicità del Papato è scontata per lui ma non per alcuni settori del cattolicesimo conservatore più irriducibile nell'ostilità a Francesco. Per questo, ribadisce che «il Papa è uno solo» battendo debolmente il palmo della mano sul bracciolo: come se volesse dare alle parole la forza di un'affermazione definitiva. È significativo: consegna il messaggio al Corriere proprio alla vigilia del 28 febbraio, lo stesso giorno di otto anni fa in cui divenne effettiva la sua rinuncia al Papato, annunciata l'11 febbraio. A distanza di tanto tempo, il disorientamento, lo stupore, le maldicenze che hanno accompagnato quel gesto epocale ristagnano ancora. E Benedetto sembra volerli esorcizzare. Chiediamo se in questi anni abbia ripensato spesso a quel giorno. Annuisce. «È stata una decisione difficile. Ma l'ho presa in piena coscienza, e credo di avere fatto bene. Alcuni miei amici un po' "fanatici" sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta. Penso alle teorie cospirative che l'hanno seguita: chi ha detto che è stato per colpa dello scandalo di Vatileaks, chi di un complotto della lobby gay, chi del caso del teologo conservatore lefebvriano Richard Williamson. Non vogliono credere a una scelta compiuta consapevolmente. Ma la mia coscienza è a posto». Le frasi escono col contagocce, la voce è un soffio, va e viene. E monsignor Gaenswein in alcuni rari passaggi ripete e «traduce», mentre Benedetto annuisce in segno di approvazione. La mente rimane lucida, rapida come gli occhi, attenti e vivaci. I capelli bianchi sono leggermente lunghi, sotto lo zucchetto papale candido come la veste. (…) Ogni giorno si leggono i giornali selezionati in precedenza dagli uffici vaticani. In più gli arrivano in edizione cartacea l'Osservatore romano, il Corriere della Sera e due quotidiani tedeschi. A tavola, con le Memores si discute spesso anche di politica. E adesso il Papa emerito chiede incuriosito di Mario Draghi. «Speriamo che riesca a risolvere la crisi», dice. «È un uomo molto stimato anche in Germania». Accenna a Sergio Mattarella, sebbene ammetta di conoscere il capo dello Stato meno del predecessore, Giorgio Napolitano. «Come sta?», si informa. E il discorso scivola sull'epidemia del Covid-19. Ratzinger si è già vaccinato, ha ricevuto la prima dose e poi gli è stata somministrata la seconda, come a monsignor Gaenswein e a gran parte degli abitanti della Città del Vaticano. Sotto questo aspetto, il piccolo Stato viene osservato con una punta di invidia in Italia e in gran parte dell'Europa, nelle quali i vaccini arrivano a rilento. Il virus fa paura, e Benedetto accenna alla drammatica esperienza vissuta dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, guarito dopo una lunga battaglia. «L'ho appena rivisto e mi ha detto che ora sta molto meglio. L'ho trovato bene». E quando si chiede al Papa emerito della prossima visita di Francesco in Iraq, l'espressione diventa seria, preoccupata. «Credo che sia un viaggio molto importante», osserva. «Purtroppo cade in un momento molto difficile che lo rende anche un viaggio pericoloso: per ragioni di sicurezza e per il Covid. E poi c'è la situazione irachena instabile. Accompagnerò Francesco con la mia preghiera». Alcuni uomini della Gendarmeria vaticana e delle guardie svizzere sono già lì per organizzare tutte le possibili misure di protezione intorno a papa Francesco. Sono presenti da settimane anche agenti dell'intelligence italiana, ma non è chiaro con chi stiano collaborando. Su questo, dal monastero dove vive Ratzinger non arrivano commenti. Viene spontaneo pensare agli Stati Uniti, e osservare che ora, con Joe Biden alla Casa Bianca al posto di Donald Trump, i rapporti col Vaticano sono destinati a migliorare. Su Biden, il secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy, Ratzinger esprime qualche riserva sul piano religioso. «È vero, è cattolico e osservante. E personalmente è contro l'aborto», osserva. «Ma come presidente, tende a presentarsi in continuità con la linea del Partito democratico... E sulla politica gender non abbiamo ancora capito bene quale sia la sua posizione», sussurra, dando voce alla diffidenza e all'ostilità di buona parte dell'episcopato Usa verso Biden e il suo partito, considerati troppo liberal.»

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