"Educare alla pace"
Israele si difende dall'accusa di genocidio. Il processo all'Aja favorisce Netanyahu, che non vuole affrontare una discussione sul dopo? Houti colpiti. Taiwan indipendentista. Sardegna, prevale Meloni
Venerdì Israele si è difeso davanti alla Corte di Giustizia internazionale dell’Aja dall’accusa di genocidio. Gli avvocati di Tel Aviv hanno ribaltato l’impianto del Sudafrica e hanno attribuito la colpa della morte di tanti civili palestinesi nella Striscia all’attacco di Hamas del 7 ottobre. Sono i terroristi che usano come tecnica principale quella di nascondersi tra i civili e Israele si è difeso dalla loro aggressione. Sotto il controllo di Israele la popolazione palestinese è cresciuta e si è sviluppata negli anni, è stato inoltre osservato. È molto improbabile che la Corte emetta una sentenza in tempi brevi, ma certo è in ballo la credibilità del diritto internazionale, che non può essere solo deciso dalla forza bruta e dalla guerra. Difficile, tuttavia, che il reato di genocidio (elaborato proprio dai sopravvissuti alla Shoah nel Secondo dopoguerra) sia attribuito ad Israele.
Anna Foa su Avvenire di sabato scrive lucidamente che l’esagerazione dell’accusa contro Israele potrebbe finire di fare il gioco dello stesso governo Netanyahu e degli estremisti di Hamas. Gli abitanti di Gaza e in genere la Palestina e Israele hanno oggi bisogno di ritrovare forme di convivenza e soluzioni politiche ai conflitti. Davvero l’iniziativa legale sudafricana può favorire uno stop alle operazioni militari e alle sofferenze dei civili nella Striscia? Il dubbio è legittimo. Resta il comportamento bellico sproporzionato di Tel Aviv che ha provocato 23mila vittime fra i palestinesi, migliaia di bambini uccisi o mutilati per sempre. Migliaia di bombe da 800 chili sganciate in pochi chilometri quadrati.
Interessante l’intervento dello scrittore israeliano Etgar Keret, che sul Corriere della Sera in modo suggestivo e letterario, invita ad un ripensamento comune delle “regole del gioco” e ammette: “Ci sentiamo tutti perdenti”. L’Europa drammaticamente è assente, ancora una volta. Non per niente, come nota Il Manifesto oggi, si divide anche sulla causa all’Aja. Ci sarebbe bisogno di una vera leadership europea che aiutasse lealmente Usa e Israele a tematizzare il “dopo”: il futuro di due popoli e forse due Stati, uscendo dagli estremismi. E mettendo fine a questa guerra continua a Gaza, che sembra avere come unico fine quello di mantenere al potere il governo di Benjamin Netanyahu.
Non sarà facile ricostruire una convivenza in Medio Oriente. Ci vorrà tempo, pazienza, aiuti della comunità internazionale, garanzie multilaterali, vera solidarietà dei Paesi arabi e dell’Europa. All’Angelus oggi papa Francesco è tornato a ricordare a Israele e Palestina la necessità di “educare alla pace”. La pace è un traguardo difficile da raggiungere, sempre precario, sempre frutto di compromesso, dove tutti fatalmente si sentono fatalmente “perdenti”, per citare Keret. Ma questa volta nel modo giusto. Se solo ci fosse un’educazione dei popoli, la pace diventerebbe più auspicabile di un’impossibile “vittoria”.
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