La Versione di Banfi

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Eitan, il bimbo salvato

alessandrobanfi.substack.com

Eitan, il bimbo salvato

La comunità ebraica si mobilita per il piccolo sopravvissuto alla tragedia del Mottarone. Buio ancora sulle cause. Compromesso sui licenziamenti. Over 60 senza vaccino. Bufera su Wuhan

Alessandro Banfi
May 25, 2021
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Eitan, il bimbo salvato

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La fune spezzata, il cavo portante tranciato. E il freno d’emergenza che non entra in funzione a bloccare la cabina, come avrebbe dovuto in questi casi. Ma perché è accaduto? La tragedia della funivia del Mottarone non ha ancora spiegazioni plausibili, né chiare. I giudici indagano, ci sono diverse aziende coinvolte. Il Corriere si concentra sul “forchettone”, un meccanismo che potrebbe aver mantenuto aperte le ganasce dei freni. Il Giornale avanza l’ipotesi che il lungo lockdown abbia provocato un’usura diversa dal solito, sottovalutata nei controlli. Commovente la storia di Eitan, unico salvato in una compagnia di sommersi. Il padre avrebbe fatto scudo col suo stesso corpo agli urti più gravi e rischiosi per il bambino.

Non si placano le polemiche sul Governo e le misure che riguardano la proroga dei licenziamenti. È stata modificata in parte la norma voluta dal Ministro Orlando, “inganno” per la Confindustria. Ma il clima fra i partiti della maggioranza sta peggiorando visibilmente. Fubini sul Corriere ricorda che non c’è molto tempo per approvare le norme che ci chiede l’Europa. Paolo Mieli si chiede: ma che fine ha fatto la loggia Ungheria?

Sul fronte del virus e dei vaccini, dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 466 mila 869 somministrazioni. La campagna non riesce a stabilizzarsi sopra le 500 mila dosi al giorno. Clamoroso rapporto segreto americano sul Laboratorio virologico di Wuhan, pubblicato ora da Wall Street Journal: già nel novembre 2019 tre scienziati del Laboratorio avevano sintomi da Covid. Anche Anthony Fauci comincia ad avere dubbi seri sull’origine della pandemia.

Pazzesca la storia dell’aereo Ryanair dirottato dal dittatore Lukashenko a Minsk per arrestare uno dei passeggeri, suo oppositore, insieme alla sua fidanzata. La Ue si muove. Iniziata a Roma l’Assemblea annuale dei Vescovi. Vediamo i titoli.  

LE PRIME PAGINE

Perché? Quali sono le cause della tragedia del Mottarone? Il Corriere della Sera dà notizia delle immagini raccolte dagli inquirenti: Nei video la fune che si spezza. La Stampa fa la stessa scelta: Il video della tragedia in 14 secondi. Mentre per la Repubblica: Nel freno la chiave della strage. Libero scrive che non si sa di chi è la funivia: Solita Italia. Gli altri giornali vanno sui problemi del Governo, a cominciare dallo scontro Confindustria-Orlando. Il Sole 24 Ore: Licenziamenti, salta la proroga. Il Messaggero intervista Bonomi di Confindustria: «Licenziamenti, intese tradite, così non si fanno le riforme». Interpretazione opposta del Manifesto: Ti licenzio quando voglio. E del Fatto: Confindustria ordina e il governo obbedisce. Il Giornale vede all’opera: I sabotatori di Draghi. Il Domani nota: La gestione dei fondi Ue è diventata l’unica cosa su cui i partiti non litigano. La Verità chiede indagini sul Governo Conte: Fuori la verità sulle spese di Arcuri. Mentre Avvenire dà notizia dell’assemblea annuale della Cei iniziata ieri e che proseguirà fino a giovedì: Avanti col Sinodo.

LA TRAGEDIA DEL MOTTARONE. CHE COSA È ACCADUTO?

La fune si è spezzata di colpo e il freno d’emergenza non è entrato in azione. Perché? Andrea Pasqualetto sul Corriere della Sera spiega che esiste un meccanismo, il “forchettone”, che tiene sempre aperte le ganasce del freno.

«Su una cosa tutti sembrano concordare: la rottura della fune, quella che chiamano traente perché traina le cabine della funivia su e giù per la montagna. Rottura rarissima, sulle cui cause indagheranno periti e Procura. Il mistero riguarda invece il sistema frenante. Cioè, per quale ragione dopo la caduta della fune non si è attivato il freno automatico che avrebbe fermato la cabina tenendola agganciata al cavo fisso? Se avesse funzionato il disastro si sarebbe evitato, perché la cabina non avrebbe preso a correre veloce e incontrollata verso valle finendo per scarrucolare e precipitare una volta giunta al primo pilone. E qui gli esperti e chi conosce l'impianto fanno varie ipotesi, da quella più banale che tira in ballo le pastiglie dei freni consumate a quella più sconosciuta ai profani: il cosiddetto forchettone. Si tratta di un elemento in ferro che tiene sempre aperte le ganasce del freno, impedendone l'attivazione in caso di necessità. Il forchettone si usa normalmente quando le cabine sono vuote e viene fatto un giro di prova senza vetturino per vedere se tutto funziona bene. In questo modo il gestore evita perdite di tempo nel caso in cui scatti il freno bloccando la cabina in mezzo al percorso, costringendo un operatore ad andare sul posto per disattivarlo. Succede per esempio quando salta la corrente o si verifica un guasto del sistema idraulico. Se c'è il forchettone, la vettura scende ugualmente. Se non c'è bisogna andarla a sbloccare ed è una complicazione. Tutto ciò a cabine vuote. Ma con la gente a bordo il blocco dev' essere tolto, in modo che il freno sia in grado di funzionare all'occorrenza. Se poi l'occorrenza è un evento eccezionale come la rottura del cavo traente, la presenza di quel pezzo di ferro che è il forchettone può avere effetti devastanti. Quanto alla rottura del cavo, causa prima del disastro, gli esperti ricordano che la parte più debole è quella terminale che aggancia il carrello della cabina. «Nel corso del tempo la fune tende ad allungarsi e quindi per mantenere la tensione ideale ne viene tagliata una parte per poi essere riagganciata - spiega un ingegnere che si occupa di impianti a fune - e quello naturalmente può diventare un punto di maggior fragilità, ragione per cui dev' essere adeguatamente controllato». Entrano in ballo le manutenzioni, che devono essere regolari e scrupolose. Il gruppo Leitner di Vipiteno (Bolzano), che ha fornito le cabine, si occupa della maggior parte delle revisioni periodiche sulla funivia di Stresa. Ieri ha comunicato che i controlli previsti dalla revisione quinquennale sono stati eseguiti a fine marzo e che lo scorso primo dicembre è stata fatta pure una simulazione della rottura della fune traente con conseguente attivazione del freno d'emergenza. Detta così, sembrerebbe tutto regolare. Ma la fune si è rotta e sono morte 14 persone.».

Un logoramento anomalo potrebbe essere avvenuto per il prolungato fermo dell’impianto dovuto al lockdown. È l’ipotesi che formula sul Giornale Stefano Zurlo, il quale riferisce delle inchieste giudiziarie sulla tragedia della funivia.

«Nessuno si sbilancia, ma qualche investigatore azzarda: «Dobbiamo indagare sul lockdown. Gli impianti sono rimasti chiusi per un tempo lunghissimo e questo può aver provocato un logoramento del cavo che si è spezzato e dei freni che non hanno fatto il loro dovere». Ipotesi, naturalmente, tutte da verificare. E però anche una possibile spiegazione di quello che non trova al momento una spiegazione plausibile. Insomma, c'è un'usura da inerzia che vale per la macchina che resta in garage un anno e mezzo, per la bicicletta che rimane in cantina per mesi e potrebbe dare qualche suggerimento per interpretare quel che è accaduto domenica al Mottarone. «Lo stop - prosegue il tecnico - potrebbe aver scaricato la tensione che di solito si distribuisce per tutta la lunghezza in un unico punto, danneggiando il cavo. E il fermo potrebbe aver compromesso anche i freni. Diciamo che si era verificata una situazione anomala, mai accaduta in precedenza, e forse la manutenzione ordinaria non era in grado di cogliere questo processo di alterazione». Ci sarebbero voluti esami più sofisticati e occorre capire se qualcosa sia sfuggito ai controlli. In ogni caso saranno gli esperti a decifrare il mistero del Mottarone: «L'ipotesi del dolo - spiega il procuratore di Verbania Olimpia Bossi - è assolutamente da escludere». Nessuno ha manomesso le strutture e non c'è da immaginare alcuna fiction dietro lo scempio della cabina precipitata. Lo confermano i reati contestati, tutti colposi: l'omicidio plurimo, le lesioni, che naturalmente riguardano il bambino, l'unico sopravvissuto, e il disastro colposo, un classico di queste situazioni che sarebbe scattato anche se nessuno fosse morto. Le questioni da verificare non sono poche: «Ci sono più aziende coinvolte», precisa Bossi».

Sul Fatto Antonio Padellaro tende ad attribuire le responsabilità della caduta della funivia a chi vuole “la liberalizzazione dei subappalti”. Come il governo Draghi.  

«Il ponte Morandi di Genova che si sbriciola in una nuvola di cemento marcito. Domenica, la cabina della funivia del Mottarone accartocciata al suolo, con una fune tranciata di netto (cavi che dovevano durare "altri 8 anni"), e un freno che "misteriosamente" non ha funzionato. Allora, 43 morti e 11 feriti. Domenica, 14 morti e un bimbo sopravvissuto all'intera famiglia distrutta. Non differiscono invece le maschere tragiche sulla scena delle responsabilità. Quel giorno la famiglia Benetton, con il tutto a posto sottoscritto sulle certificazioni dei manager di Autostrade e timbrato dai ministeri competenti. Mentre domenica abbiamo il gestore già cacciato per "grave degrado", ma che poi ha vinto l'appalto per gestire l'impianto. Per le indagini della magistratura, le perizie e il giudizio degli esperti (insieme all'inevitabile scaricabarile), Stresa dovrà attendere, se va bene, un paio di anni ma già qualcosa ci ricorda Genova. Leggiamo: "Impianto vecchio e fermo a lungo. Tanti cinque anni dalla revisione" (Gianpaolo Rosati, ordinario di tecnica delle costruzioni, intervistato su La Stampa). Un paio di domande. Tutto questo c'entra qualcosa con un sistema dei controlli che d'abitudine controlla affidandosi alle verifiche delle aziende controllate? Agli esami "visivi"? Agli "interventi straordinari", che spesso vuole dire aggiustare, rattoppare, accomodare? Poiché sostituire costa? Infatti, "un'opera concepita negli anni 60 e 70 per durare 50 anni, oggi va verso la fine della sua vita e ha prestazioni diverse da una struttura più recente" (Rosati). Ma più in generale se riguardo a strutture e infrastrutture, comprese quelle della mobilità, l'idea dominante dei governi (compreso il governo Draghi) si fonda sulla liberalizzazione dei subappalti, sulle gare al minimo ribasso, sull'appalto integrato - quello che affida allo stesso soggetto la progettazione e l'esecuzione dell'opera (tutto a posto) - ci dite per cortesia dov' è l'"evento inspiegabile"?».

C’è una storia che ha commosso l’Italia: quella del bambino unico sopravvissuto, anche grazie allo scudo che gli avrebbe fatto il padre negli ultimi istanti. Su Repubblica Maurizio Crosetti scrive di Eitan, questo il suo nome, da Torino.

«Eitan è un bimbo diverso, un figlio in più. Lo ha adottato un'onda altissima di amore collettivo. La mamma di un altro piccolo ricoverato ha portato un Teddy Bear e una lettera che dice «Ciao Eitan, ce la devi fare, ti lascio il pupazzo di mio figlio per giocare e dormire con lui». Un orsetto in divisa blu, sentinella contro ogni male. Nella notte buia cominciata in un mezzogiorno di sole tra lago e monti, il destino di Eitan Moshe Biran di anni cinque è la speranza che ci tiene uniti, l'unica possibile luce per dare un senso all'insensato. Nello schianto, il bambino ha perso il papà, la mamma, il fratellino di due anni, i bisnonni materni. Cosa lo abbia salvato è impossibile dire, forse l'ala di un angelo (ma allora era distratto, quell'angelo, per tutti gli altri?), forse l'estremo abbraccio di papà Amit che potrebbe avergli attutito il colpo: è solo un'ipotesi, ma è tutto ciò che il padre sogna a questo mondo. Poter proteggere, facendo scudo di sé stesso, i propri figli sempre. Fare della vita, e del corpo, un cuscino per i nostri cuccioli (per noi lo saranno sempre, anche quando avranno quarant' anni lo saranno). Eitan vive, e ogni minuto che passa rafforza la sua forza, volgendo il verbo verso un possibile, incredibile futuro. Vive, vivrà. Vivere. «Ha passato una notte tranquilla, non ci resta che sperare». Il dottor Giorgio Ivani è il direttore della rianimazione al Regina Margherita. È lui il custode del sonno di questi bambini, e in parte il depositario del loro futuro, oggi così fragile ma domani chissà. Ha i capelli bianchi. Ne ha viste tante ma questa, forse, è diversa da tutte. Anche i dottori che hanno sopportato per mestiere le urla e il pianto di un bambino, sanno che c'è l'Italia intera accanto a questo lettino bianco, c'è il mondo intero. Tre nonni, una zia e uno zio vegliano ora accanto a Eitan. All'ospedale è arrivato anche l'ambasciatore israeliano Eydar Dror, che ha guidato una breve preghiera. Altri parenti hanno portato da lontano dei lumi per i corpi all'obitorio di Pallanza, e domani le salme potrebbero tornare a casa. Anche Eitan, quando e se sarà possibile, verrà ricondotto in Israele per crescere con i nonni, là dove è nato per arrivare quasi subito in Italia, aveva un anno appena. A Pavia ha frequentato l'asilo dalle suore e a settembre avrebbe cominciato la prima elementare. La rete di solidarietà, fittissima, si è sviluppata proprio dalla scuola materna pavese per estendersi alla comunità ebraica di Milano, dove la Fondazione Scuola ha aperto una raccolta di fondi per aiutare il bambino. In tanti hanno poi lasciato un pensiero, un messaggio, qualche parola sulla pagina Facebook di Amit Biran, il papà di Eitan. Lui è l'unico sopravvissuto, ma a quale vita? Come glielo diranno? Chi dovrà farlo? Oggi, se tutto continua ad andare bene, proveranno a svegliarlo. La risonanza magnetica ha escluso danni neurologici sia a livello cerebrale che del tronco encefalico. «Questo ci autorizza a cominciare un cauto risveglio del bambino», hanno confermato ieri sera i medici nell'ora della grande stanchezza e di una speranza ancora più grande. Quando l'hanno portato all'ospedale, Eitan gridava di lasciarlo stare, e che aveva paura. Chiamava la mamma. Tutti i bambini lo fanno, però la sua mamma non c'è più. Si chiamava Tal, e il 16 gennaio aveva scritto a Eitan un messaggio su Facebook per raccontargli l'anniversario di matrimonio, per quando il bimbo fosse stato in grado di leggerlo e capirlo. «Io e papà ci siamo scambiati l'anello, quel giorno, e così siamo sempre connessi. Tu continua a crescere». Dovrà farlo da solo, povera stella. È bellissimo, dicono quelli che hanno visto Eitan, i medici, gli infermieri, il presidente Cirio, l'ambasciatore. Neppure un graffio sul viso, nemmeno il più piccolo livido. Un miracolo, si dice in questi casi, chi crede e chi non crede. Come quando cade l'aeroplano e si salva uno solo. L'incredibile, spaventoso volo di Eitan Moshe Biran verso quel prato al margine del bosco, quasi contro gli alberi dove si è schiacciata una cabina ma non tutta la vita che conteneva, ora ci consegna un bambino che dorme. Sssst, non disturbiamolo. Sia il nostro amore la sua culla». 

VACCINI, 60ENNI ESITANTI. OMBRE SUL LABORATORIO DI WUHAN

Sono tanti i cosiddetti over 60 “scomparsi dai radar” per coloro che portano avanti la campagna vaccinale. Un bel 15 per cento, a livello nazionale, che non si è ancora presentato nei diversi centri di somministrazione. Paolo Russo su la Stampa:

 «Tra il popolo dei capelli bianchi dai 60 anni in su e i sanitari sono tre milioni i dispersi della campagna vaccinale. Un esercito uscito fuori dai radar sia delle Regioni che del Commissario straordinario e che si dovrà cercare di convincere a immunizzarsi perché è proprio tra chi è più in là con gli anni e tra i professionisti della salute che il Covid fa più danni. Mentre parte delle Regioni pensano a come fare il richiamo ai vacanzieri e accelerano nelle somministrazioni a under 60, giovani e giovanissimi maturandi, tanti, troppi fragili e sanitari refrattari al vaccino rischiano di non immunizzarsi mai. (…)  Nella fascia di età 60-69 all'appuntamento con la prima dose non sono andati in 2 milioni e 683 mila, mentre molte fiale stanno andando ai più giovani. La curva delle somministrazioni giornaliere ai sessantenni scende infatti dalle 161.139 del 17 maggio alle 136.140 di ieri, mentre i cinquantenni da inizio mese sono passati da appena 33.696 somministrazioni a 137.848. E le curve si impennano in salita anche per le altre fasce di età. Eppure un milione e 400 mila tra i 60 e i 69 anni si è messo in fila prenotandosi, ritrovandosi magari davanti chi ha meno anni. Incongruenze che sono già valse alle Regioni una tirata d'orecchie dal generale, che le ha richiamate a rispettare l'ordine di priorità impartito dal piano nazionale vaccini. Un secondo problema, meno facile da risolvere, è che circa un milione e 200 mila sessantenni non si è proprio fatto avanti per avere il vaccino, nonostante le prenotazioni in tutte le regioni siano oramai aperte da molto tempo per questa fascia di età. Uno zoccolo duro che non si tratterà tanto di stanare ma di convincere a vaccinarsi, spiegando che alla loro età il virus è ancora altamente pericoloso. Compito che nel piano di Figliuolo spetterebbe tanto ai medici di famiglia, che continuano a reclamare più dosi in studio, che ai farmacisti, che stanno proprio in questi giorni iniziando le somministrazioni in diverse regioni».

Il Giornale di Caputo dedica l’editoriale di prima pagina alla clamorosa indiscrezione del Wall Street Journal che ieri ha pubblicato un rapporto dell’intelligence Usa: tre scienziati cinesi del Laboratorio virologico di Wuhan erano già ammalati nel novembre 2019. Gian Micalessin.

«Dopo la pubblicazione sul Wall Street Journal delle rivelazioni dell'intelligence statunitense secondo cui i primi ad ammalarsi di Covid, nel novembre 2019 - ovvero un mese e passa prima dell'effettivo allarme lanciato da Pechino il 31 dicembre - furono tre scienziati dell'Istituto di virologia di Wuhan. Ovvero tre scienziati del centro di ricerca dove la dottoressa Shi Zhengli, massima esperta cinese di coronavirus, lavorava ad un vaccino capace di prevenire epidemie simili a quella Sars considerata il precursore del Covid 19. Che il ruolo della dottoressa Shi Zengli e del laboratorio fossero quantomeno ambiguo lo si era già capito un anno fa. Allora la ricercatrice aveva ammesso in un'intervista a Scientific American di aver temuto che il contagio si fosse sviluppato proprio nel suo istituto. «Potrebbe esser arrivato dai nostri laboratori» - ammise la dottoressa che aggiunse «quello è stato un vero peso, non ho chiuso occhio per giorni». Un dubbio costatole caro. All'indomani di quelle dichiarazioni venne, infatti, imbavagliata e messa nell'ombra. Ma alcuni dubbi sono emersi anche sul versante italiano. Soprattutto dopo la mancata pubblicazione di Perché guariremo, il libro del ministro della Salute Roberto Speranza prima annunciato e poi ritirato dagli scaffali. Nelle sue pagine, come già notato da il Giornale, Speranza ricorda che fin da dicembre «si rincorrevano le voci su nuovi focolai virali» nella provincia di Wuhan. Una notazione singolare visto che il primo annuncio ufficiale delle autorità cinesi risale al 31 dicembre. Ed ancor più singolare risulta, con il senno di poi, il vertice romano del 9 novembre tra Speranza e il suo omologo cinese. Un vertice in cui, un mese prima dello scoppio del Covid, viene varato un accordo sanitario focalizzato a «sviluppare strategie di prevenzione» per affrontare anche «la pandemia di malattie infettive come l'influenza». Data per scontata la buona fede di Speranza c'è da chiedersi perché ai primi di novembre i cinesi avessero tanta fretta di concludere accordi per la lotta alla pandemia con l'Italia. Al di là di questi dubbi è però evidente che le rivelazioni dell'intelligence americana rendono quanto mai problematica l'omertà con cui una potenza mondiale pronta a misurarsi con Stati Uniti ed Europa ha affrontato un contagio costato, ad oggi, la vita di tre milioni e mezzo di individui. Ed ancor più inquietante è la complicità imposta da Pechino all'Organizzazione Mondiale della Sanità. Una complicità comprata grazie ai voti con cui la Cina e le sue colonie africane tenute al guinzaglio del credito hanno eletto ai vertici dell'Oms l'ex ministro etiope Tedros Ghebreyesus. Così l'agenzia chiamata a governare la sanità mondiale si è trasformata in un ventriloquo della propaganda cinese pronto ad avvallare, anche nell'ultima presunta indagine, tutte le tesi pre-confezionate da Pechino. Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere. I milioni di morti causati dall'omertà di Pechino resteranno un monito indelebile. Un monito pronto a ricordarci gli inganni nascosti dietro l'illusione di progetti ricamati sullo sfondo fascinoso della Via della Seta, ma disegnati, in verità, su quell'ordito comunista che continua a richiedere reticenze e omertà per coprire orrori, massacri e violazioni dei diritti umani».

I GUAI DEL GOVERNO. LICENZIAMENTI E SEMPLIFICAZIONI

Federico Fubini sul Corriere descrive il compromesso raggiunto ieri da Draghi sul lavoro, dopo le durissime critiche di Confindustria al ministro Orlando.

 «All'accordo di massima nel governo si è arrivati ieri con fatica, dopo aver cercato fino a ieri sera le coperture finanziarie mancanti (per 160 milioni di euro, a quanto pare). Tutto nasce da un'aggiunta all'ultimo decreto sostegni che Andrea Orlando, il ministro del Lavoro (Pd), aveva definito giovedì scorso «una norma che abbiamo costruito in modo un po' repentino nelle ultime ore» per «alcune dinamiche che si stanno determinando». Il timore di Orlando è proprio un'ondata di ristrutturazioni di medio-piccole imprese manifatturiere, in particolare nella moda. Per questo nella forma originaria il provvedimento aveva un'altra parte, oltre a quella appena concordata: il divieto di licenziamento fino al 28 agosto per le imprese che da ora fino a fine giugno chiedono l'attivazione della cassa Covid (anch' essa tutta a carico dello Stato). Nel pre-consiglio a Palazzo Chigi fra alti funzionari la proposta non era stata discussa, ma rinviata al consiglio dei ministri: «Su questo la discussione è politica», aveva detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli. Poi però la discussione in Consiglio dei ministri era stata praticamente inesistente. Nessuno al tavolo sembra aver colto la natura esatta delle norme, a parte Orlando. Che ora si difende: «Le proposte sono state presentate secondo le procedure previste». A quanto pare, con l'invio di un testo in posta certificata al resto del governo due giorni prima. Di sicuro Daniele Franco, il ministro dell'Economia, ha poi osservato che andavano trovate in bilancio nuove risorse per pagare la cassa al posto delle imprese. Le polemiche di questi giorni hanno fatto saltare la parte meno rilevante della norma (il blocco di due mesi legato alle nuove richieste di cassa Covid), ma non la sostanza. E ora restano pochi giorni anche per l'avvio delle prime riforme legate al Recovery. La Commissione Ue ha visto una prima bozza del decreto Semplificazioni e osserva già che va convertito in legge entro giugno, insieme alle norme sulla «governance» del piano e sul reclutamento nell'amministrazione. Dunque il tempo stringe, per non prendere ritardo sulla tabella di marcia. Il pacchetto va varato in Consiglio dei ministri la settimana prossima, anche se restano da prendere decisioni delicatissime su come gestire gli appalti e i subappalti».

La Confindustria torna a polemizzare dalle colonne del Messaggero:

«Presidente Carlo Bonomi, Confindustria ha già espresso tutte le sue riserve sulla proroga del blocco dei licenziamenti a fine agosto: che margini ci sono perché il governo cambi idea? «Intanto mi faccia dire che la dimensione di quanto è accaduto l'ha data con grande onestà intellettuale il sottosegretario al Lavoro Tiziana Nisini, che ha parlato di un'imboscata. Non lo dice solo Confindustria ma anche un rappresentante del governo. Più chiaro di così». Ma a questo punto deve intervenire il premier Draghi? «Noi abbiamo dato una grande disponibilità anche a questo governo, com' è nella tradizione di Confindustria, anche in materia di lavoro. Avevamo incontrato il ministro ed era stato trovato un accordo per prorogare il blocco dei licenziamenti al 30 giugno. Poi ci siamo trovati di fronte ad un cambio di metodo inaspettato e inaccettabile: parlo di metodo perché nel merito ci si poteva confrontare e ragionare con la massima trasparenza. Mi sembra però che a mancare sia la volontà del ministro di affrontare i veri problemi del mondo del lavoro». Sui quali Confindustria aveva già da tempo indicato le sue proposte: ne avete mai discusso fino in fondo con il governo? «Da un anno, infatti, abbiamo messo nero su bianco le nostre proposte sulla riforma degli ammortizzatori sociali e sulle politiche attive del lavoro ma a quanto pare, al momento, è solo Confindustria ad avere idee e proposte al riguardo. Dispiace che questa ulteriore sorpresa da parte del ministro Orlando metta in ombra quanto di positivo è contenuto nel decreto Sostegni Bis come, per esempio, il recupero dell'Iva derivante da crediti fallimentari». 

LE AMMINISTRATIVE E IL DDL ZAN  

Vertice del Centro destra sulle prossime amministrative. L’orientamento è quello di puntare su figure “civiche”. La cronaca di Carlo Tarallo per La Verità.

«Visto quanto è bello ma difficile, malpagato e giuridicamente pericoloso fare il sindaco, entro questa settimana presenteremo una proposta di legge per aumentare lo stipendio e le tutele giuridiche dei sindaci»: sta tutto in questa frase di Matteo Salvini il succo dello stallo del centrodestra sui candidati da presentare alle amministrative delle grandi città del prossimo autunno. Anche il vertice del centrodestra di ieri a Roma si è concluso con una fumata nera: nessuna decisione è stata presa, con i riflettori puntati in particolare su Roma e Milano. Il leader della Lega, al termine dell'incontro, ha reso esplicito quello che nell'ambiente della politica è ormai un dato di fatto: nessuno vuole candidarsi a sindaco perché l'indennità è bassa e i rischi di beccarsi un avviso di garanzia sono, invece, altissimi. Nulla di fatto, dunque, ma qualche passo in avanti si registra. (…) Sul tavolo, tra le altre ipotesi, quelle di Enrico Michetti, star della radio, per la Capitale, sembra non aver entusiasmato i protagonisti della riunione. Più probabili le indicazioni del giudice Catello Maresca per Napoli e dell'imprenditore Paolo Damilano per Torino. Per Roma è circolato anche il nome del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, ma l'opzione di candidare esponenti della società civile sembra prevalere. Nella mattinata di ieri, per Milano, è circolato il nome della presidente di Federfarma Lombardia, Annarosa Racca, che ha smentito: «L'ipotesi della mia designazione non ha alcuna concretezza», ha detto la Racca prima dell'inizio del vertice. «Sono usciti diversi nomi», ha commentato Salvini, «tutti civici, che non c'erano la scorsa settimana e ognuno si è impegnato ad approfondire soprattutto a Bologna, Roma e Milano. L'unità del centrodestra ci rende ottimisti nei confronti della litigiosità della sinistra. Alcuni di loro li sentirò personalmente, c'è qualche primario ospedaliero e imprenditore. Michetti e Racca? Non ci sono nomi di serie B», ha precisato Salvini, «noi badiamo alla sostanza e non alla forma, quando parliamo di avvocati, imprenditori e professori universitari tutti sono in grado di fare meglio della Raggi». La Lega insiste sull'apertura e sull'allargamento del centrodestra al mondo delle imprese, del volontariato e delle professioni. L'obiettivo è trovare candidati civici di alto profilo».

Riprende la discussione sul ddl Zan in Senato. Ne parla Avvenire.

«Nella complessa partita sul ddl Zan, che riprende oggi in Senato, entra l'incontro di ieri tra Davide Faraone, presidente del gruppo di Italia Viva al Senato, e Aurelio Mancuso con Giovanna Martelli per i 450 progressisti firmatari dell'Appello che chiede di cambiare la legge, tra loro Cristina Gramolini (ArciLesbica), Marina Terragni (RadFem), Fabrizia Giuliani (Senonoraquando-libere) e Vittoria Tola (Udi nazionale). Il confronto - spiega una nota dei partecipanti - «è stata l'occasione per esporre a Faraone le proposte che sono state avanzate fin dall'inizio della discussione della proposta di legge alla Camera, e i rilievi a cui non si è voluto dare ascolto». In particolare «suscita forte preoccupazione l'utilizzo, tra le varie fattispecie, del termine "identità di genere", discutibile sul piano scientifico e utilizzato in diverse parti del mondo per mettere in discussione i diritti acquisiti delle donne attraverso l'auto-certificazione dell'identità sessuale». Faraone «ha confermato il suo impegno affinché tutte le voci che vogliono contribuire all'approvazione di un testo largamente condiviso vengano costruttivamente coinvolte» perché per giungere a una legge efficace va superata la logica «del muro contro muro, provocato da una polarizzazione della discussione politica».

IL METODO UNGHERESE: LA LOGGIA È UN VENTICELLO

Che fine ha fatto la loggia Ungheria? Metà classe dirigente italiana ne avrebbe fatto parte. Passione per l’Est Europa? Paolo Mieli, nell’editoriale di oggi sul Corriere, prova ad entrare nell’intricata questione.

«A seguito del monito - ieri a ventinove anni dall'uccisione di Giovanni Falcone, della moglie e degli agenti della scorta - diciamo meglio dell'allarme del presidente della Repubblica sulle liti che minano la credibilità della magistratura, viene da domandarci: che fine ha fatto la «loggia Ungheria»? Stiamo parlando di quella quarantina di personaggi che - secondo le dichiarazioni rese dall'avvocato Piero Amara ai pm milanesi Paolo Storari e Laura Pedio nel dicembre del 2019 - avrebbero provocato, in associazione tra loro, un qualche danno al corretto funzionamento del nostro sistema giudiziario e forse non solo a quello. I nomi dei trentanove sono ancora coperti da segreto, anche se da qualche spiffero abbiamo appreso che della congrega farebbero parte importanti magistrati, membri del Csm, avvocati di grido, imprenditori, alti ufficiali dei carabinieri, il comandante generale della Guardia di Finanza, il procuratore generale di Torino, il prefetto di Roma, il presidente del Consiglio di Stato, assieme ad altre personalità di pari livello. Per come sono andate le cose, è evidente che a Pedio (e al capo della Procura di Milano Francesco Greco) è subito parso che le indicazioni di Amara non fossero sufficientemente irrobustite da riscontri e che, perciò, quell'indagine non meritasse una corsia particolare. Storari fu di diverso avviso e, quattro mesi dopo l'interrogatorio, ritenne di denunciare questa sospetta lentezza al consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Al quale consegnò copia dei verbali di Amara dopo esser stato da lui rassicurato circa la liceità di tale comportamento. L'intenzione dichiarata di Storari era quella di imprimere un'accelerazione all'indagine che Greco, a suo avviso, aveva frenato. Poi però Storari non fece caso al fatto che di mesi ne trascorsero altri dodici (un anno!) senza che si muovesse foglia. Evidentemente si fidava dell'interlocutore: ci avrebbe pensato Davigo a smuovere le acque in tempi e modi che avrebbe saputo individuare facendo ricorso a tutta la sua sapienza e a tutta la sua esperienza. Sicché Storari mai ritenne, neanche in seguito, di denunciare - per vie, diciamo così, più tradizionali - l'inerzia dei suoi superiori. E, mentre i mesi passavano, probabilmente pensò che la lentezza con cui il tutto procedeva fosse da mettere nel conto della pandemia. Il dottor Davigo, dal canto suo, preoccupato che la notizia dei sospetti «incappucciati d'Ungheria» giungesse alle orecchie di alcuni membri del Csm il cui nome compariva negli incartamenti, parlò della questione in via riservata con il vicepresidente del Consiglio superiore David Ermini. Ma anche con il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, con il primo presidente della Corte di cassazione Pietro Curzio e con altre persone scelte sulla base di un criterio difficile da decrittare. Quanto all'incartamento affidatogli da Storari, ancor oggi non è dato sapere con certezza se ne abbia consegnato copia completa a qualcuno dei suoi interlocutori. Poi, a ottobre, Davigo è andato in pensione e non si capisce a chi abbia lasciato in eredità quelle carte incandescenti e segrete. È un fatto però che in seguito quei fogli hanno preso a diffondersi tra colleghi e giornalisti, forse ad opera della segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, che - ha poi raccontato lo stesso Davigo - gli era parsa negli ultimi giorni in cui l'aveva vista «un po' sopra le righe». Finché il tutto, sempre in forma anonima, è finito nelle mani di un collega di Davigo, Nino Di Matteo, che meritoriamente ha rotto l'incantesimo. Di Matteo ha portato questa strana storia allo scoperto parlandone al cospetto del Csm, un uditorio in cui alcuni già sapevano e altri no. A quel punto alcuni di quelli che hanno ammesso di esser stati già da tempo depositari di quel segreto, si sono trovati concordi su una circostanza: ad ognuno di loro Davigo aveva sottolineato la presenza in quel brogliaccio del nome di un membro del Consiglio, Sebastiano Ardita, fino a qualche tempo prima grande amico nonché compagno di corrente di Davigo stesso. Poiché ci fidiamo dell'esperienza giuridica del dottor Davigo, siamo portati a pensare che in Italia d'ora in poi entrerà in vigore il «metodo ungherese» di cui quella descritta è stata l'esperienza pilota. Le regole dovrebbero essere le seguenti: se un sostituto procuratore ha qualcosa da ridire sui comportamenti del capo della Procura di cui fa parte, può rivolgersi - all'insaputa del capo stesso e dei colleghi che indagano assieme a lui - ad un componente del Consiglio superiore della magistratura di suo gradimento; a lui può consegnare carte coperte da segreto a patto che siano in copia, così che non sia identificabile chi le ha fatte uscire; di questa documentazione riservata, il destinatario, a sua volta, potrà fare l'uso che più gli aggrada informando, in qualche caso sommariamente, «chi di dovere» (cioè i suoi riferimenti istituzionali); ma gli è altresì concesso di renderne edotti anche parlamentari e colleghi che gli sembrino meritevoli delle sue confidenze; potrà persino correre il rischio che questi suoi sussurri generino disagi alle persone citate nelle carte: può star sicuro infatti che la quasi totalità dei giuristi italiani (ministri ed ex ministri di Giustizia, magistrati di ogni livello, presidenti ed ex presidenti della Corte Costituzionale) non troverà - come fino ad oggi non ha trovato - alcunché da eccepire all'applicazione del «metodo ungherese». Se poi una imprevedibile fuga di notizie dovesse provocare fastidi a qualche malcapitato il cui nome è finito nei fascicoli «segreti», nessun problema: un'accurata indagine porterà all'individuazione dell'usciere o della segretaria responsabile dello spiffero e a lui (o a lei) verrà comminata una pena adeguatamente severa. A questo punto non possiamo non complimentarci con il fortunato dottor Ardita che ha avuto la buona sorte di essere stato il primo ad esser finito con il suo nome nel ventilatore sicché, al momento, è stato l'unico a poter dimostrare in modo circostanziato la propria estraneità all'ordito massonico che aveva allarmato Storari e Davigo. Nomi e cognomi degli altri trentanove appartenenti alla supposta loggia non hanno avuto uguale opportunità di difesa pur essendo stata resa semipubblica la loro identità, in qualche caso, persino sui giornali. Restano così, i trentanove sospetti cospiratori, in uno stato di sospensione, esposti a dileggio e insinuazioni. Diciamo la verità: una condizione non invidiabile. Tocca ora al procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone fare chiarezza sui presunti membri della «loggia Ungheria» separando quelli come Ardita che provatamente non dovrebbero restare un giorno di più nel girone dei sospetti, dagli altri la cui posizione merita di essere ulteriormente esplorata. Quanto a noi, pur ammirati da questo metodo di ricerca della verità assai innovativo, continuiamo a prediligere quello antico che passava per le carte protocollate».

Libero si occupa di una dura polemica fra la giornalista Lucia Annunziata e l’ex premier Giuseppe Conte, che potrebbe finire in Commissione parlamentare di vigilanza Rai. Enrico Paoli.

«Durante la puntata di domenica scorsa la giornalista ha letto una lettera inviatale dall'ex capo del governo con la quale respinge l'accostamento fra la vicenda delle consulenze per la compravendita di un albergo a Venezia, prima che egli arrivasse a Palazzo Chigi, e il caso dell'esponente della Lega, Claudio Durigon. L'Annunziata, dopo aver dato conto della posizione di Conte, ha annunciato di aver chiesto di essere ascoltata dalla Commissione di vigilanza sulla Rai. Avendo «gestito» viale Mazzini (dal 13 marzo del 2003 al 4 maggio del 2004 è stata la presidente dell'azienda) la giornalista conosce le regole del gioco meglio di chiunque altro. Insomma, difficile prenderla in castagna. Per questa ragione la conduttrice televisiva, dopo l'affondo dell'ex capo del governo, offeso e pronto a querelare, ha deciso di spostare il «duello» all'interno degli organi parlamentari, essendo le due camere gli azionisti della Rai. L'Annunziata, chiedendo «l'applicazione del codice etico della Rai», ha messo sul piatto la richiesta di convocazione in Vigilanza «per giudicare se ho effettivamente violato questi codici del Servizio Pubblico. Pronta ad assumere le mie responsabilità. Pronta anche a confrontarmi con il Professor Conte, nel caso accettasse uno dei tanti inviti rivoltigli nel corso della sua presidenza», sottolinea la giornalista. La mossa della conduttrice di Rai Tre non è passata inosservata è rischia di trasformarsi in un boomerang per Conte».

L’EUROPA CONTRO LUKASHENKO, IL GESUITA IN INDIA

Francesca Basso sul Corriere racconta la reazione dell’Europa a Lukashenko, il dittatore bielorusso, che ha dirottato un aereo della Ryanair per rapire e incarcerare un suo oppositore, il giornalista Protasevich e la sua fidanzata.

«I capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri riuniti al Consiglio europeo straordinario si sono trovati rapidamente d'accordo sulle misure da adottare per «condannare con forza» l'atterraggio imposto dalle autorità della Bielorussia al volo Ryanair Atene-Vilnius che ha portato all'arresto del giornalista dissidente Roman Protasevich e della sua fidanzata Sofia Sapega. I leader Ue hanno chiesto il rilascio immediato di entrambi e che sia garantita loro la libertà di movimento. Protasevich è apparso in video dal suo luogo di detenzione assicurando di «stare bene», ma con il volto segnato. I leader Ue hanno deciso che siano adottate il più velocemente possibile nuove sanzioni nei confronti di persone ed enti della Bielorussia. Le sanzioni attuali - divieto di viaggio e congelamento dei beni - hanno già colpito sette entità e 88 persone tra cui lo stesso dittatore Alexandr Lukashenko, suo figlio Viktor che è consigliere per la sicurezza nazionale e altre figure chiave. I capi di Stato hanno invitato tutte le compagnie aeree con sede nell'Ue a evitare di sorvolare la Bielorussia e chiesto al Consiglio Ue di adottare le misure necessarie ad evitare il sorvolo dello spazio aereo dell'Unione da parte delle compagnie bielorusse e di impedire l'accesso agli scali dell'Ue. Hanno inoltre richiesto un'indagine dell'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (Icao) sull'accaduto. Inoltre invitano l'Alto rappresentante Josep Borrell a presentare proposte per nuove sanzioni economiche mirate o settoriali. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a margine del vertice, ha detto che «ci sono 3 miliardi di euro di investimenti pronti nell'Ue, congelati finché la Bielorussia non diventerà una democrazia». Questo per fare pressione su Minsk».

Il Domani si occupa di padre Stan Wamy, il gesuita di 84 anni detenuto nelle carceri indiane.

«Perché il governo indiano ha così paura di un gesuita di 84 anni malato di Parkinson da arrestarlo in piena notte e incarcerarlo da oltre otto mesi? È una domanda a cui nemmeno venerdì l'Alta corte ha dato risposta, dopo l'ennesimo ricorso dei legali di padre Stan Swamy, il gesuita indiano arrestato insieme a 15 attivisti lo scorso ottobre e tuttora internato nella prigione di Taloya, a Mumbai. Il 21 maggio i giudici hanno dato parere negativo sul suo rilascio, nonostante il peggioramento della sua salute: «La corte ha visionato il rapporto dei medici e poi ha parlato direttamente con Stan, collegatosi in videoconferenza» ha riferito l'avvocato gesuita padre Arockiasamy Santhanam. La prossima richiesta di rilascio su cauzione sarà valutata il 7 giugno: per ora il gesuita resta in carcere per presunti legami con i ribelli maoisti, seppure il religioso stesso si sia sempre detto estraneo, con una tesi peraltro avvalorata da un rapporto del Washington Post. «In realtà, la cauzione si potrebbe ottenere per motivi di salute, visto che ci sono anche altri malati, ma finora l'opzione non è stata per nulla considerata» spiega a Domani padre Ashok Ohlol, gesuita della provincia indiana di Ranchi, e vicino a padre Swamy: «Da quando è stato arrestato, non ho avuto modo di parlare con lui» ammette con amarezza».

ASSEMBLEA ANNUALE DEI VESCOVI ITALIANI

Primo giorno di lavori dell’assemblea annuale della Cei, i Vescovi italiani. Carlo Marroni sul Sole 24 Ore sintetizza temi e questioni.

«Seminari, tribunali ecclesiastici, Sinodo: sono questi i tre temi che il Papa vuole affrontare con i vescovi italiani riuniti nell'assemblea annuale. «Sono i temi che mi stanno a cuore», ha detto prima che cominciasse l'incontro a porte chiuse, solo tra lui e i presuli italiani, presieduto dal cardinale Gualtiero Bassetti. Il tema centrale per i prossimi mesi è il Sinodo, una sorta di "stati generali" della Chiesa nazionale, un confronto a tutto campo mai realizzato: un'idea lanciata da Civiltà Cattolica e che ormai è entrata nell'agenda. «Il Sinodo deve cominciare dal basso in alto, nelle piccole comunità, nelle piccole parrocchie. Questo ci chiederà pazienza, ci chiederà lavoro, ci chiederà far parlare la gente» ma da lì arriverà «la saggezza del popolo di Dio». Poi il tema della formazione e dei seminari, tasto molto delicato: «In questo momento c'è un pericolo molto grande: sbagliare nella formazione e anche sbagliare nella prudenza nell'ammissione dei seminaristi». Poi una battuta entrando all'Ergife, albergo che spesso ospita i concorsi: «Appena sono entrato ho avuto un cattivo pensiero: è un'assemblea dei vescovi o un concorso per eleggere il vescovo più bello? Perché qui si fanno dei concorsi...». Nella mattina Francesco ha visitato la storica sede di Radio Vaticana a Palazzo Pio (che ora ospita tutte le testate editoriali), incontrando gli oltre trecento dipendenti del Dicastero per la Comunicazione, guidato dal prefetto Paolo Ruffini, che ha condotto in porto la complessa riforma dei media. A tutti l'invito, in diretta radiofonica, ad essere «funzionali e creativi per arrivare alla gente».

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana   https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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Eitan, il bimbo salvato

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