Gaza sotto black out
Non si sa più niente dalla Striscia. Netanyahu e Biden non si parlano da 3 settimane. Padre Faltas: "È il momento della pace". Asse Meloni-Von der Leyen. Solinas nei guai. Lezione del Papa sull'amore
Anche oggi edizione ridotta della Versione di Banfi. Alla fine di questa introduzione, della Foto del Giorno e dei titoli dei quotidiani, trovate direttamente il link degli articoli scelti in pdf. Come sempre, non tutti gli articoli riportati integralmente saranno citati, ma sono comunque quelli ritenuti i più importanti della giornata. Buona lettura e scusate per il disservizio.
Nel conflitto tra Israele e Hamas «spetta alla comunità internazionale trovare una soluzione: tutti dicono "due popoli in due Stati". Quando realizzare il progetto se non adesso, dopo tutti questi morti e distruzione? Questo è il momento di fissare una data e di arrivare alla pace". E se non faremo presto «il conflitto si allargherà agli Stati circostanti e non solo. In parte sta già accadendo. Il rischio è una terza guerra mondiale. All'Europa chiedo di fare presto e di tutto per la pace, perché il vento della guerra tira forte». Così padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, in un'intervista a Toscana Oggi. La cronaca degli eventi internazionali dà ragione a padre Faltas, in questi giorni a Firenze. C’è grande tensione tra Iran e Pakistan. Ci sono stati attacchi pakistani nel sudest dell’Iran, in risposta ai raid iraniani. Gli Stati Uniti hanno lanciato nella notte un quarto raid contro 14 obiettivi Houthi in Yemen, mentre i ribelli yemeniti hanno attaccato la terza nave americana nel Mar Rosso dall’inizio della settimana.
In Terra santa Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, ha subito uno dei più intensi attacchi aerei dall'inizio dell’offensiva israeliana. Mentre due raid israeliani nella Cisgiordania occupata hanno ucciso nove palestinesi. C’è un nuovo lungo black out dalla Striscia. Scrive Anna Lombardi su Repubblica: «Gaza è isolata dal resto del mondo ormai dal 12 gennaio. Colpa dei bombardamenti pesanti, che hanno interrotto certi cavi sotterranei molto complessi da riparare in ambiente di guerra. Da giorni dunque gli abitanti dell’enclave non possono comunicare fra loro e col mondo esterno. Un blackout delle comunicazioni, che ostacola enormemente il lavoro delle organizzazioni umanitarie e degli operatori d’emergenza: ambulanze, medici e chi lavora per recuperare persone ancora vive da sotto le macerie».
Michele Giorgio sul Manifesto riferisce la situazione in Cisgiordania: «Solo a Jenin e nei villaggi vicini dal 7 ottobre sono stati uccisi oltre 50 combattenti e civili sui 360 palestinesi che, secondo calcoli del ministero della Sanità, sono morti sotto il fuoco di soldati e coloni israeliani. Tra le vittime ci sono almeno 95 minori, uno dei quali era un bambino di 9 anni. Dall’inizio di quest’anno sono già stati uccisi 41 palestinesi in Cisgiordania. Gli ultimi nove ieri in attacchi con droni e durante un raid dell’esercito nei campi profughi di Balata (Nablus) e di Tulkarem».
Dal punto di vista politico-diplomatico, c’è il nodo del rapporto tra Usa e Israele. Joe Biden e Benjamin Netanyahu, scrive Davide Frattini sul Corriere di oggi, non si parlano da tre settimane. Diversi commentatori americani cominciano a mettere sott’accusa la debolezza internazionale di Biden, dopo la valanga di consensi ottenuta da Donald Trump in Iowa. Basterebbe una mossa decisa della Casa Bianca a far cadere il governo Netanyahu per aprire così la strada al “dopo”. Un dopo che per il premier israeliano non deve invece mai arrivare.
La guerra in Ucraina. La condanna di un attivista nella repubblica della Baschiria ha provocato una delle più grandi proteste pubbliche in Russia dall’invasione di Putin, con centinaia di manifestanti che si sono scontrati con la polizia. Gonzalo Lira, un blogger cileno con cittadinanza statunitense, è morto in un carcere ucraino. Gonzalo era sposato in Ucraina e abitava a Kharkiv da prima della guerra. Era stato prelevato da casa sua a maggio del 2023 dai servizi segreti di Kiev per le posizioni pro russe. Secondo il padre non è stato curato durante la detenzione.
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