La Versione di Banfi

Share this post

Il Governo del nostro scontento

alessandrobanfi.substack.com

Il Governo del nostro scontento

Sindacati furiosi per gli appalti. Il giornale della Confindustria grida all'inganno di Orlando. I Ministri si lamentano: Draghi fa tutto da solo. A Gaza regge la tregua. San Pietro a Tor Pignattara?

Alessandro Banfi
May 23, 2021
Share this post

Il Governo del nostro scontento

alessandrobanfi.substack.com

Italia verso la zona bianca, “total white”, con le vaccinazioni che proseguono. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 520 mila 770 somministrazioni. La media della settimana 17-23 maggio è di 439 mila, peggio della precedente. Nonostante che negli ultimi giorni, anche grazie ai vari Open Day, il ritmo sia cresciuto. Si apre domani la settimana decisiva per il decreto Semplificazioni e ci sono diverse polemiche sul Governo. Qui ve ne raccontiamo tre: Landini e i sindacati sono contrari a toccare il Codice degli appalti. Il Sole 24 Ore, giornale della Confindustria, in un durissimo titolo parla di “inganno” del ministro Orlando sui licenziamenti. Il Fatto ha raccolto i malumori fra i Ministri verso Draghi che “decide da solo”.

Domani inizia anche l’assemblea generale della Cei, dei Vescovi italiani, di nuovo in presenza. Avvenire mette in fila temi e preoccupazioni. Nel mondo dei partiti, va segnalato il messaggio di Casaleggio ai dirigenti 5 Stelle: ci fidiamo solo di Di Maio, e non dei “procrastinatori seriali”. Repubblica offre un lungo speciale sull’avvocato che ha denunciato la loggia Ungheria. Titolo: Il mio nome è Amara. Come diceva 007? Il mio nome è Bond. James Bond.

La tregua a Gaza per ora regge, mentre ancora si fanno i conti veri dei danni e delle vittime. Il Presidente Biden ha ribadito ieri che lui crede ancora nella soluzione dei due popoli-due Stati. Anche se la sua politica estera ha già dovuto trasformarsi rispetto alle iniziali intenzioni. Lo scrittore Grossman è sceso in piazza a Tel Aviv per il futuro di Israele e dà un segnale di speranza.

Sono passati 29 anni dalla strage di Capaci, il Corriere pubblica la prefazione di Marta Cartabia ad un libro che stampa la tesi di laurea di Giovanni Falcone. Tesi di fondo: Falcone aveva la cultura della prova. Avvenire stampa un intervento radiofonico di Aldo Moro del 1944 su epurazione, perdono e unità della nazione. Antonio Socci su Libero dà notizia di uno studio di archeologia che identifica come possibile luogo di sepoltura dell’apostolo Pietro le catacombe romane di Tor Pignattara. Vediamo come aprono i quotidiani.  

LE PRIME PAGINE

Titoli della domenica in ordine sparso. Non c’è un tema che catalizza l’attenzione di tutti. Avvenire anticipa la quattro giorni dell’Assemblea dei Vescovi italiani, da domani riuniti: «Chiesa in ascolto, voce alle comunità». Il Corriere della Sera si occupa ancora della campagna vaccinale: Sfida sui vaccini in vacanza. Il Secolo XIX spiega meglio di che si tratta: Patto Liguria-Piemonte, vaccini a 300mila turisti: «Il governo non ci fermi». Il Mattino annuncia una campagna di somministrazione domiciliare: I vaccini a tutti gli anziani gli infermieri vanno a casa. Il Fatto attacca Draghi, con l’espressione che usò Salvini: Pieni poteri. Anche La Repubblica critica l’esecutivo sul decreto semplificazioni: Governo diviso sugli appalti. Landini: «Scelta indecente». Il Sole 24 Ore è molto allarmato per il comportamento del Ministro del Lavoro: Licenziamenti, l’inganno di Orlando. La Stampa ha sentito la campana della Lega: Salvini: «Azzeriamo il codice degli appalti». Per il Giornale il reddito di cittadinanza è un: Reddito clandestino. Il Quotidiano Nazionale va su un altro tema: Violenza sulle donne, orrore infinito. Il Manifesto apprezza il segretario del Pd: Di Letta e di governo. Il quale invece è preso in giro da La Verità: Suor Letta vuole le donne prete. Libero tasta il polso degli italiani sugli sbarchi: Immigrati, sondaggio verità. Il Domani è concentrato sui guai della Lega: La grande sconfitta di Salvini nell’avanzata della Lega al Sud. Il Messaggero si occupa di aerei e del post Alitalia: Ita è pronta a decollare, con il via libera della Ue. Oggi vediamo anche La Gazzetta dello Sport, perché è l’ultima giornata del campionato di calcio. In novanta minuti tre squadre si giocano il destino della prossima stagione: Thriller Champions.

ACCORDO TOTI CIRIO SULLE VACANZE, DOMENICA DI OPEN DAY

Accordo fra i presidenti di Regione Toti e Cirio, obiettivo di Liguria e Piemonte: vaccinare 300 mila persone durante le vacanze.  Fabrizio Caccia:

«Liguria e Piemonte hanno già trovato un accordo, sulla base della reciprocità. L'intesa, che potrebbe essere estesa alla Valle d'Aosta, verrà adesso sottoposta all'approvazione dello stesso Figliuolo. La sinergia prevede che i residenti in Piemonte quest' estate potranno ricevere la vaccinazione anti-Covid presso i punti vaccinali della Liguria, così come i residenti in Liguria potranno ricevere la medesima vaccinazione in Piemonte. Ma a queste condizioni: il soggiorno deve avvenire a scopo turistico durante il periodo estivo e per una durata che rende difficoltosa la somministrazione del vaccino nel territorio di residenza. Nella richiesta, poi, l'interessato dovrà specificare la sua condizione di soggetto non vaccinato oppure presentare la certificazione della data e tipologia della prima dose ricevuta. E infine rilasciare le autorizzazioni al trattamento dei dati. Secondo il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, Figliuolo avrebbe già offerto «grande disponibilità». Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, assicura che l'accordo col Piemonte non è affatto una «stravaganza» ma un «servizio importante per i cittadini». Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, ieri ha ricevuto la prima dose di vaccino a Muggia. Vaccini in vacanza? «Ci vuole buon senso - dice -. Anche se l'appuntamento per la seconda dose dovesse capitare nel periodo estivo, per i vaccini Pfizer e Moderna il richiamo si può fare tra i 21 e i 42 giorni, quindi una persona si può organizzare». Ed è «utile e giusto», secondo lui, «ampliare i target per non lasciare dei vuoti nelle agende» della campagna. Ampliare i target, dunque. Si moltiplicano, infatti, gli «Open day» in tutt' Italia studiati dalle Regioni per invogliare i cittadini e smaltire le dosi - specie J&J e AstraZeneca - che rischiano di rimanere inutilizzate. Così: weekend da tutto esaurito a Matera come a Napoli, in Abruzzo e nelle Marche. Nel Lazio, addirittura, per il secondo weekend consecutivo. In Sardegna, ieri e oggi, sold out per gli over 40. E in Alto Adige la Provincia ha lanciato pure una «Open Night» AstraZeneca, con tutto esaurito a Bolzano e intrattenimento musicale di un dj. Alla Fiera del Mediterraneo di Palermo, al padiglione 20, over 18 e over 80 anche oggi potranno presentarsi insieme senza prenotazione».

LE SPINE DEL GOVERNO. CODICE APPALTI E CASO ORLANDO

Annalisa Cuzzocrea per Repubblica fa il punto sul decreto semplificazioni. La discussione è molto vivace coinvolge soprattutto sindacati e partiti di sinistra.

«Un "punto politico" sul decreto semplificazioni a Palazzo Chigi già domani mattina. Con tutti i ministri coinvolti e con una rappresentanza delle forze politiche che sulla legge hanno idee molto diverse, a partire dalla questione della proroga delle deroghe al codice degli appalti e dell'innalzamento del tetto dei subappalti per le grandi opere. La bozza discussa venerdì mattina e circolata in queste ore quella che ha suscitato l'allarme di sindacati e associazioni che lottano per la legalità - non è affatto chiusa, fanno sapere dal governo. Il lavoro continua e gli articoli incriminati sono evidenziati in giallo, vanno rivisti, concordati. Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera, dice che «liberalizzare l'utilizzo senza limiti dei subappalti per velocizzare le opere pubbliche è un rimedio ben peggiore del male». Il Partito democratico sembra della stessa idea. L'ex ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli dice: «Il Pd non può consentire il ritorno del massimo ribasso negli appalti, perché in quelle pieghe si inseriscono le mafie. Bisogna proteggere il lavoro, i cantieri della criminalità organizzata». I 5 Stelle, che pure su questo un tempo agitavano grandi battaglie, non sono pervenuti».

Sempre dalle colonne di Repubblica intervista al segretario della Cgil Landini.

«È una vera scelta indecente quella che si appresta a fare il governo», attacca Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ancor prima che inizi questa intervista. Qual è la scelta indecente, segretario? «La liberalizzazione del subappalto, le gare al massimo ribasso, e poi ci mancava pure l'appalto integrato, quello che affida allo stesso soggetto la progettazione e l'esecuzione dell'opera. Trovo del tutto sbagliato e grave l'orientamento che il governo sembrerebbe prendere con il decreto Semplificazioni. Così si torna indietro di vent' anni, ai tempi del governo Berlusconi e del suo ministro Lunardi. E abbiamo già visto che cosa significa: riduzione dei diritti per chi lavora sugli appalti, scarsa qualità del lavoro, scarsa qualità delle opere, maggiore insicurezza nei cantieri e, infine, il rischio di alimentare il male oscuro italiano, quello della corruzione e dell'illegalità». Per queste ragioni lei sta pensando allo sciopero generale? «Alcune nostre categorie unitariamente sono già pronte. Noi, conseguentemente, lo valuteremo insieme a Cisl e Uil. Al governo stiamo dicendo che non va, che sta sbagliando. Si era impegnato a discutere con noi prima di approvare le riforme e i decreti, invece non lo sta facendo. Dunque è chiaro che se non cambia direzione ragioneremo su tutte le forme di mobilitazione necessarie, nessuna esclusa». Ma lei pensa che l'opinione pubblica possa comprendere una scelta così radicale in una fase in cui migliaia di persone hanno perso il lavoro e con l'economia che sta cominciando a dare flebili segnali di ripresa? «Guardi che noi ci stiamo giocando ora il futuro del Paese. Non può essere che solo un anno fa tutti riconoscevano il valore essenziale del lavoro e delle persone per uscire dalla pandemia e adesso si possono tranquillamente sbloccare i licenziamenti e aprire alla liberalizzazione degli appalti».

La Stampa intervista Matteo Salvini a tutto campo, in doppia paginata. Ecco il passaggio della lunga chiacchierata sul codice degli appalti:

«Senatore, il Recovery snellisce le procedure sugli appalti. Gli imprenditori sono felici, i sindacati furibondi. «Che le snellisca è una fortuna, che i sindacati siano furibondi non direi. Lo sono alcuni. Ma a essere felici saranno gli operai, perché lavoreranno di più». In che condizioni? «Nelle stesse condizioni che ci sono state per la costruzione del ponte Morandi. Una grande opera fatta in fretta, a regola d'arte, senza incidenti, senza tangenti e senza problemi. In questo dobbiamo seguire l'Europa». Colpo di scena. Dopo Draghi, l'Europa. «La via d'uscita finale su cui stiamo lavorando è l'azzeramento del codice degli appalti e l'utilizzo delle norme europee che sono più veloci e snelle. E io darei ai sindaci i poteri diretti sulle grandi opere».

“Draghi fa tutto da solo”. Il Fatto, assillato dal paragone con il precedente Governo, raccoglie il malcontento degli esponenti dei partiti di maggioranza, che vorrebbero entrare di più nelle decisioni. Luca De Carolis:

«Mario Draghi guida da solo, e i partiti che il volante neanche lo sfiorano hanno il mal di pancia, si vede: però dovevano aspettarselo. "In una maggioranza così larga come questa i Consigli dei ministri non possono essere vertici in cui si discute davvero, come faresti?", sospira ma ammette un veterano. Rapido, nel fare subito il paragone con il governo Conte: "In quel caso sì, i Cdm potevano essere anche dei vertici di maggioranza". Ma ora no, anche se più di qualcuno ha chiesto più condivisione. E raccontano che da Palazzo Chigi la risposta, data a diverse orecchie di rango, sia stata grosso modo questa: "Il governo si preoccupa di governare, le mediazioni le fanno i partiti, in Parlamento". Tradotto, discutetene tra voi nelle Camere, ma poi per vere trattative con Draghi e i suoi due o tre ministri di riferimento non c'è tempo né modo. Una replica ottima anche per scaricare le tensioni di governo sulle forze politiche cioè sui portatori d'acqua. E anche su questo la formula dell'esecutivo di unità, emergenza o salvezza nazionale, a seconda di come lo si voglia declinare, incide. Però ci sono nodi operativi di cui i partiti sono già abbastanza esausti. Primo tra tutti, quello sui testi di legge, che arrivano in via definitiva solo a ridosso dei Cdm. Anche il decreto Sostegni-bis è approdato nel pre-consiglio di mercoledì ancora in bozza. "Il testo finale l'abbiamo avuto solamente a meno di un'ora dal Consiglio", racconta un ministro. E capidelegazione e ministri dei partiti non hanno esattamente gradito. Tanto che, seppure con toni pacati, il problema è stato sollevato in Cdm, più volte. Dal dem Dario Franceschini al leghista Giancarlo Giorgetti, fino a forzisti e grillini, hanno posto il tema davanti a Draghi: "Presidente, vorremmo avere più tempo per studiare i testi"».

Accuse anche più pesanti e una polemica durissima da parte del Sole 24 Ore nei confronti del ministro Orlando. Quello che in prima pagina è presentato come “l’inganno di Orlando”. L’articolo di Claudio Tucci:

«La norma sui licenziamenti portata, a sorpresa, "e fuori sacco" giovedì in Cdm dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, non smette di far discutere; e nei fatti rinvia ancora l'approdo in Gazzetta ufficiale del decreto Sostegni bis. Il provvedimento che stanzia 40 miliardi approvato giovedì dal Consiglio dei Ministri, non è ancora un articolato definitivo, complice anche le tensioni sulla proposta del titolare del Lavoro di prorogare nuovamente, e senza preavviso, il blocco dei licenziamenti dopo il 30 giugno. Della norma non c'è mai stata traccia nelle bozze di dl Sostegni bis circolate prima della riunione di governo, e anche nel testo in entrata in Consiglio dei Ministri la disposizione non c'era. E non ne fa cenno neanche il comunicato stampa che Palazzo Chigi pubblica al termine del Cdm. Il punto è che la soluzione tecnica prospettata dal ministro Orlando non è stata discussa in riunioni ufficiali né con le parti sociali né con altre forze di maggioranza. Insomma, nessuno ne sapeva nulla fino all'annuncio del ministro del Lavoro; e, peraltro, non era neppure attesa visto che un accordo sulle misure emergenziali già si era trovato. Il Parlamento, infatti, a distanza di poche ore dal Consiglio dei Ministri, aveva approvato il decreto Sostegni 1 con il quale si era sancita la doppia uscita dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa Covid-19, gratuita: 30 giugno per manifattura ed edilizia, 31 ottobre per tutti gli altri, essenzialmente terziario e piccole imprese, che rientrano nel campo di applicazione della cig in deroga e del Fis».

CINGOLANI SI DIFENDE

Un capitolo specifico di polemiche sull’operato del Governo riguarda proprio il Ministero della Transizione ecologica. Con un’intervista al Corriere della Sera, Roberto Cingolani si difende.

 «Ministro Cingolani, a causa delle trivelle nell'Adriatico ora la accusano anche di far scappare i turisti. Addirittura le vongole... «Quelle trivelle erano già li. C'erano delle valutazioni di impatto ambientale positive per la continuazione della loro attività, prossima alla scadenza, che erano state completate ben prima del mio insediamento. La legge impone di concludere gli atti amministrativi e così è stato fatto. Ovviamente si trattava di trivelle esistenti che non rientravano nella moratoria. Non c'è quindi nessuna trivella nuova». Non è che ha trovato anche altro nei cassetti delle funzioni dei ministeri che sono convenuti nel suo? «Stiamo lavorando tutti moltissimo per accelerare tutte le pratiche in sospeso e per costruire la struttura del nuovo ministero». Si aspettava tante voci contro su un tema costruttivo come la transizione ecologica? Troppo radicalismo sulla parola ambiente? «Fermo restando che le critiche e il dissenso sono normali e fanno migliorare le cose, credo che in sole 11 settimane sia stato fatto il massimo possibile. Al di là di qualche posizione comunque negativa, in generale abbiamo riscontrato buoni ritorni. La vera sfida adesso è mettere in pratica i progetti essenziali per avviare celermente la transizione massiccia verso le rinnovabili che a loro volta ci consentiranno i grandi salti verso la mobilità elettrica, l'abbattimento delle emissioni dei settori industriali cosiddetti hard to abate , la produzione di idrogeno verde etc. È importante ricordare che i tempi li detta la Commissione europea e che quindi dovremo fare un enorme sforzo per rispettare la tabella di marcia per l'utilizzo dei fondi Pnrr».

ISRAELE E PALESTINESI. BIDEN VUOLE ANCORA I DUE STATI

La tregua regge, per ora. Si lavora a livello dip0llomatico per definire i contorni della pace. Su Avvenire il punto di Elena Molinari:

«“Prego perché questo cessate il fuoco regga”, ha detto ieri il capo della Casa Bianca, che la drammaticità delle ostilità e la mediazione dell'Egitto hanno costretto a uscire dall'atteggiamento di temporeggiamento e ad assumere un ruolo diplomatico più attivo. «C'è ancora bisogno della soluzione dei due Stati, è l'unica risposta», ha aggiunto ieri Biden durante una conferenza stampa con il presidente sudcoreano Moon Jae-in, dopo la tregua tra Israele e Hamas. Salvo poi confermare che «non c'è nessun cambiamento nel mio impegno rispetto alla sicurezza di Israele. Punto. Nessun cambiamento. Fino a quando nella regione non si dirà inequivocabilmente che viene riconosciuto il diritto di Israele a esistere come Stato ebraico indipendente, non ci sarà pace». Poche ore prima il dipartimento di Stato aveva annunciato la partenza del capo della diplomazia Usa, Antony Blinken, per Israele e Cisgiordania il 26 maggio, nell'intento di «consolidare la tregua a Gaza». Il viaggio comprenderà anche tappe in Giordania e in Egitto, il cui intervento diplomatico è stato fondamentale per impedire che il confronto militare prendesse traiettorie imprevedibili. Ed è stato proprio il timore di lasciare che fosse Il Cairo l'unica voce in grado di condizionare le tensioni tra Israele e Hamas ad aver scosso Biden dal suo attendismo. Non a caso la mediazione è valsa al presidente egiziano Abdel Fatah al-Sissi, che aveva stretto una relazione amichevole con Trump, una tanto desiderata telefonata da parte di Biden - che finora aveva mantenuto le distanze dal leader a causa delle sue violazioni dei diritti umani - e la sua «sincera gratitudine». Il tentativo di Biden di dedicare al Medio Oriente il minimo dell'energia necessaria, concentrando i suoi sforzi nella regione a un rinnovato accordo sul nucleare iraniano sembra dunque naufragato. Anche i colloqui indiretti con Teheran in corso da aprile, con i diplomatici europei a fare da intermediari, passano ora inevitabilmente per il conflitto israelo-palestinese. Sollevare le sanzioni all'Iran è diventato improvvisamente più delicato, a causa del supporto dell'Iran per Hamas. Delicata anche la ricostruzione di Gaza, definita una priorità dal presidente Usa, che ha dovuto ieri promettere di volerlo fare «per la popolazione palestinese» evitando a tutti i costi di «dare ad Hamas l'occasione di ricostruire il suo sistema di armamenti». (…)  Ma se umanamente Biden ha deluso molti nella comunità internazionale, strategicamente non ha fallito: è riuscito a preservare la relazione con Israele in vista proprio della sua intenzione di ripristinare l'accordo nucleare iraniano del 2015, a cui Netanyahu e molti altri leader israeliani si oppongono fermamente giudicandolo una minaccia alla sicurezza di Israele. Un accordo dal quale Donald Trump aveva sottratto gli Stati Uniti, seminando non poca confusione fra gli alleati Usa».

Cronaca su La Stampa di una manifestazione a Tel Aviv, a cui ha preso parte lo scrittore David Grossman. L’articolo è di Fabiana Magri.

«Sotto le fronde del sicomoro di Piazza Habima, David Grossman guarda con speranza alla folla che, a Tel Aviv, issa cartelli inneggianti alla pace, alla tolleranza, alla coesistenza. Valori che - ripete più volte lo scrittore - sono in pericolo in Israele, adesso. Al suo fianco, il leader della lista araba unita Ayman Odeh, la parlamentare del partito di sinistra Meretz, Tamar Zandberg e la cantante Noa. «Sono fiera di essere qui - dice Noa a "La Stampa" prima di esibirsi -. Quelle che vede stasera su questa piazza, sono le migliori persone di Israele, quelle che lottano da anni e costantemente per la coesistenza e per la pace». (…) Dopo il suo applauditissimo discorso, lo scrittore israeliano si ferma accanto ai tre cerchi della scultura d'acciaio "Hitromemut" (Ribellione) dell'artista israeliano Menashe Kadishman. Grossman è un'immagine che riscalda il cuore dopo una settimana di filmati e fotografie di guerriglie urbane e assalti. «Sono sorpreso da tutta la gente che ha preso parte alla manifestazione. La sensazione era quella di essere rimasti in pochi, deboli e piccoli. Invece guardi questa bellissima folla. Sente l'empatia e il supporto?» Cosa ha voluto trasmettere alle persone, con il suo intervento? «La necessità di raccogliere le nostre forze, tutti insieme. Pace, uguaglianza e democrazia sono in pericolo, minacciati dalla situazione orribile che stiamo vivendo, con gli scontri nelle nostre strade, con i linciaggi». A un certo punto, all'inizio delle violenze nelle città israeliane miste di arabi ed ebrei, poteva sembrare che la società israeliana fosse sull'orlo del punto di non ritorno. L'ha sfiorata, questo timore? «Assolutamente no. Ci sarà un ritorno. Ed è esattamente quello per cui stiamo lavorando sodo. La lotta oggi non è tra ebrei e arabi in Israele. Ci sono esseri umani, da entrambe le parti, che difendono e credono nella pace, nell'uguaglianza e nella democrazia. Persone che non ne possono più di razzismo, paura e odio. Queste sono le linee del fronte tra i diversi poteri in Israele». Pensa che l'avversario in carica di Netanyahu, il centrista Yair Lapid, abbia qualche chance di formare un governo prima della scadenza dell'incarico affidatogli dal Presidente Rivlin? «Non sono un commentatore politico, né voglio scendere in questi dettagli. Ribadisco solo che dobbiamo lavorare sodo per contrastare i poteri dell'odio e della disperazione, che sono così dominanti in Israele in questo momento. Sembra di vivere sotto i colpi di grandi martelli che colpiscono ancora e ancora, senza inventiva. Ma la svolta non arriva. Siamo intrappolati nella nostra situazione. Davvero intrappolati. Iniziative come queste hanno l'effetto di un massaggio su questa durezza. Possono sciogliere una situazione congelata». Le è già capitato di sentirsi così in trappola? «Mai. È una situazione molto estrema, una delle più estreme in cui ci siamo mai trovati. E purtroppo è ancora in corso, e lungi dall'estinzione. Il razzismo è molto predominante in Israele oggi». Nel suo discorso ha comunque parlato di speranza. «Ne traggo molta speranza dal fatto che così tante persone ancora aderiscano alla coesistenza. Magari non arriveremo ad amarci reciprocamente. L'importante è comprendere che restare uniti è nell'interesse comune».

LA POLIZIA IN CINA ARRESTA PRETI E SEMINARISTI

Avvenire riporta la notizia di una retata in Cina di preti e seminaristi.

«In soli due giorni, secondo quanto riportato da AsiaNews, «quasi tutto il personale ecclesiastico della prefettura apostolica di Xinxiang è stato azzerato con un'operazione delle forze di polizia della provincia dell'Hebei». Giovedì sono stati arrestati sette sacerdoti e 10 seminaristi presenti nell'edificio - una piccola manifattura di proprietà di un fedele cattolico che lo ha messo a disposizione - utilizzato come seminario diocesano. L'azione avvenuta nel primo pomeriggio avrebbe coinvolto, ricostruisce l'agenzia, «cento poliziotti di Cangzhou, Hejian e Shaheqiao» che hanno proceduto all'arresto di quattro sacerdoti, insegnanti del seminario, e altri tre sacerdoti che svolgono lavoro pastorale. «Insieme a loro - hanno aggiunto le fonti locali contattate dall'agenzia Asia News - sono stati arrestati 10 seminaristi che ricevevano lezioni nella fabbrica». Secondo le fonti locali dell'agenzia, venerdì ad essere arrestato sarebbe stato invece il vescovo, monsignor Giuseppe Zhang Weizhu, 63enne e dal 1991 a capo della prefettura apostolica che accoglie circa 100mila fedeli ma non è riconosciuta dalle autorità cinesi preposte al controllo delle attività religiose. In passato, ricorda l'agenzia d'informazione, monsignor Zhang era stato più volte arrestato e imprigionato per la sua attività pastorale considerata illegittima perché attuata senza l'approvazione ufficiale. L'azione delle autorità non è stata motivata ufficialmente e sembra contrastare con i lenti passi compiuti nel dialogo e andare controcorrente rispetto al percorso intrapreso tra governo di Pechino e Santa Sede per un riconoscimento congiunto dei pastori cattolici a partire dall'Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese riguardante la nomina dei vescovi del 22 settembre2018, rinnovato alla scadenza biennale fino al 22 ottobre 2022. Un cammino non certo facile, come peraltro riconosciuto dalle stesse autorità vaticane, ma che, nell'ottica di favorire la libertà religiosa e una distensione anche internazionale, cerca di superare ostacoli che per lungo tempo hanno segnato la Chiesa e la comunità cattolica della Repubblica popolare cinese che conterebbe attualmente fino a 16 milioni di fedeli».

5 STELLE: CASALEGGIO CREDE SOLO A DI MAIO

Torniamo alla politica italiana per capire che cosa accade nei partiti. Enrica Sabatini, dell’Associazione Rousseau, lancia un segnale molto preciso dalle colonne del Corriere della Sera. Casaleggio ritiene Di Maio il solo interlocutore affidabile.

«Enrica Sabatini, c'è una trattativa in corso tra il M5S e Rousseau. È possibile un accordo? «Fino che ci sarà Vito Crimi saranno zero. Da 10 mesi, fa saltare ogni possibile serena collaborazione. Purtroppo se cerchi autorevolezza politica in un foglio di un tribunale, si arriva alla situazione imbarazzante che viviamo oggi». Si possono evitare le vie legali? «È necessario un interlocutore serio e legittimato. Probabilmente oggi l'unico potrebbe essere Luigi Di Maio che è il fondatore, insieme a Davide Casaleggio, dell'associazione Movimento 5 Stelle, conosce Rousseau perché ha guidato il M5S con il suo supporto e, inoltre, è un decisionista a differenza di tanti procrastinatori seriali». Quali sono gli ostacoli in questa fase? «Gli stessi vissuti per tutta la reggenza di Crimi: forzature di regole, promesse vuote e tradimenti di principi. Dal non votare il capo politico, come da statuto, perché avrebbe vinto Di Battista, al tradire le decisioni degli iscritti agli Stati generali, dal far votare quesiti faziosi fino alla richiesta, pochi giorni fa, di consegnare l'elenco degli iscritti violando la normativa sulla privacy». Avrete avuto anche voi delle responsabilità in questi quindici mesi di gestione ... «Sì, abbiamo fatto l'errore di non andare via subito, visto che era chiaro l'obiettivo di azzerare la democrazia interna eliminando anche Rousseau e di usarlo come foglia di fico per tutti i problemi. Ancora oggi si mantiene la controversia alta con Rousseau solo perché serve l'innesco cognitivo per creare il nemico comune utile a compattare il gruppo parlamentare e per giustificare ritardi e inadeguatezza politica».

Aldo Grasso, sulla prima del Corriere, pizzica l’ex ministra dell’Istruzione Azzolina, che criticando Formigoni, è scivolata sull’italiano.

«Sputare sentenze. Lucia Azzolina come Cetto La Qualunque, anzi peggio. Per offendere l'avversario politico, il povero De Santis, Cetto se ne usciva con una perla della sua saggezza: «Io non ti sputo se no ti profumo». L'Azzolina, per deprecare una decisione del Consiglio di Garanzia del Senato, che ristabiliva il diritto alla pensione per l'ex presidente della Regione Lombardia e senatore Roberto Formigoni, ha paragonato il provvedimento a una grande sputazza sugli italiani. A onor del vero, l'ex ministra nel governo Conte II ha usato un termine molto più forte: «Come scatarrare sui cittadini onesti». Scatarrare è un verbo poco elegante per una ex ministra dell'Istruzione, quella che voleva combattere il Covid con gli inutili e inutilizzati banchi a rotelle, ma la reazione della Azzolina ha subito trovato il conforto di altri esponenti del M5S che confondono ancora il vitalizio con la pensione (che non si nega nemmeno agli ergastolani). Da siciliana, l'ex ministra sa bene che lo sputo non è una semplice emissione di saliva, c'è tutto un arco di spregio che va dalla semplice sputazza alla sgracchiata catarrosa, un gesto che non conosce metafore. C'è chi sputa l'anima per imparare le buone maniere e c'è chi usa un lessico politico appiccicato con lo sputo. Questione di gusti. O di disgusti.».

Ancora dal mondo dei 5 Stelle, interessante sortita di Stefano Buffagni su Repubblica, che lancia un’iniziativa politica sulla Regione Lombardia, alternativa alla Lega:   

«"Serve costruire da subito una proposta con un fronte largo per superare il disastro di Attilio Fontana e della Lega in Lombardia", dice rivolgendosi al Pd e alla Sinistra l'ex viceministro dello Sviluppo economico dei 5 Stelle, Stefano Buffagni. (…) Sarà quindi una alleanza contro le destre? "Assolutamente no, l'impostazione non può essere questa: bisogna costruire e non combattere, ci sono tante professionalità umiliate in questi anni dalla lottizzazione leghista a partire dalla Regione. Pensi alle vaccinazioni: appena è stata bypassata la Regione, superando Aria spa e affidando le prenotazioni a Poste, le vaccinazioni sono ripartite alla grande, questo a dimostrazione che il tessuto del territorio è fondamentalmente sano". Però Fontana e Letizia Moratti possono vantare questo successo, cioè che oggi la Lombardia con i vaccini si sta riscattando. "Il merito non è della loro politica ma dello spirito lombardo, del voler fare, che va oltre i partiti. Parlo delle migliaia di volontari, medici in pensione, infermieri, sanitari, protezione civile, persone che si sono messe a disposizione. Dobbiamo coinvolgere queste persone qui". Ma esiste già una discussione in corso tra voi e il Pd? "Come opposizioni in Consiglio regionale si lavora su ciò che ci unisce con un confronto basato sui temi e sui punti ripartendo di fallimenti conclamati della gestione Fontana e Gallera. Come 5 Stelle abbiamo iniziato anche a dialogare con gli elettori delusi e moderati che avevano votato Fontana ma che ora sono pronti a rimettersi in gioco per una terra che ha dato tanto a tutti, salvando quel che di buono c'era prima della riforma Maroni. Poi penso che vadano evitate anche le frammentazioni della sinistra, sono contro la scissione dell'atomo anche in quel versante, quel mondo lì va coinvolto e incluso". Prima della riforma Maroni c'era Roberto Formigoni, allora andava bene? "Non si deve sempre buttare il bambino con l'acqua sporca". Quindi l' ‘acqua sporca’ qual è? "Per prima cosa occorre un riequilibrio della sanità, oggi troppo sbilanciata sul privato. E poi bisognerà essere in grado di spendere i soldi del Recovery evitando che finiscano nelle tasche dei soliti amici degli amici. Il privato in generale è una risorsa, ma non può essere il player che dà le carte: la programmazione deve essere in capo alla Regione, nell'interesse pubblico e non dettata da chi finanzia le campagne elettorali". A proposito di campagna elettorale, si dice che lei vorrebbe candidarsi presidente con questo schema di alleanza, è così? "No, non credo sia un tema di nomi, certamente però conosco la macchina regionale e molti dirigenti interni e capaci"». 

CAPUTO SUI 100 GIORNI DI DRAGHI

Commento del neo direttore Livio Caputo sul Giornale, che analizza i primi cento giorni del Governo Draghi.

«Il risultato più evidente e forse il più prezioso prodotto dal cambio della guardia a Palazzo Chigi, è la risalita del prestigio e perfino dell'autorevolezza dell'Italia sul piano internazionale. È finito il tempo in cui Trump chiamava lo sconosciuto avvocato del popolo Conte «Giuseppi». Ora tutti, da Biden alla Von der Leyen a Macron, sanno di avere a che fare con un premier di grande esperienza, che ha accettato di mettersi in gioco non tanto per ambizione personale, quanto perché ha preso atto che c'era finalmente la possibilità di imprimere una svolta al Paese. Infatti, la voce dell'Italia si sta facendo sentire su quasi tutti i temi del momento, dalle iniziative sull'ambiente agli aiuti all'Africa, e si può perfino sperare che si trovi finalmente una qualche soluzione europea più favorevole a noi al problema dell'immigrazione. Molto significativo è stato il modo, discreto ma fermo, con cui Draghi ha salvato il nostro Recovery plan dalle critiche di Bruxelles. Parimenti, la sua presidenza ha contribuito a far sì che la Bce prosegua sulla linea da lui inaugurata a suo tempo e che rimane essenziale per favorire la nostra ripresa. Sul piano interno le cose sono inevitabilmente più complicate, soprattutto perché i partiti che hanno accettato di far parte della maggioranza non cessano un momento di tirarlo per la giacca, rendendo difficile almeno finora l'avvio di quel serio programma di riforme che non è solo indispensabile per riparare i danni del Covid e uscire da vent' anni di stagnazione, ma che l'Europa ci chiede prima di elargire i fondi che ci ha destinato (siamo, non dimentichiamolo, il Paese che dovrebbe riceverne di più). Tuttavia, anche su questo piano non mancano i segnali che il premier non intende arrendersi a questo gioco e, quando serve, non esita a picchiare il pugno sul tavolo».

AL MANIFESTO PIACE IL PD DI LETTA E DI GOVERNO

Il Manifesto si compiace delle ultime uscite del segretario del Pd. Racconta oggi con soddisfazione di un Enrico Letta “barricadero”, che guida un Pd “più di sinistra”. Andrea Carugati:

«C'è un ragionamento che in questi giorni barricaderi, anche nei confronti dell'amico Mario Draghi, Enrico Letta sta facendo con i suoi più stretti collaboratori. E cioè che alle elezioni «ci andremo a testa alta e con la schiena dritta». Significa che il leader del Pd intende presentarsi alle politiche cambiando il volto del partito in modo radicale rispetto ai tempi del renzismo: più deciso, più battagliero, più di sinistra. Sia sui diritti (ius soli, omofobia, immigrati), sia sulle politiche sociali, vedi la dote da 10mila euro per i diciottenni da finanziare con una tassa al 20% sulle successioni sopra i 5 milioni. Insomma, se anche le cose alle urne andassero male (cosa che Letta con tutta sincerità non dà affatto per scontata) lui non intende avere rimpianti, pensare di non aver osato abbastanza, tarlo che gli è rimasto dalla sua precedente vita politica terminata nel 2014. E questo accadrà anche a costo di irritare Mario Draghi, cui il sostegno nei fatti non mancherà, ma nel dibattito pubblico il Pd di Letta non vuole apparire appiattito sul governo. (…) Se arriveranno altre scomuniche dall'establishment, meglio. Sarà un modo per dimostrare che il Pd «non è il partito delle Ztl». Nei confronti dei commentatori e dei poteri forti la sfida è aperta: «Siamo alla lotta di classe al contrario, l'élite più conformista e meno cosmopolita al mondo raccolta intorno al povero ereditiere milionario», commentano nel giro stretto del segretario. «Sono gli stessi che da anni danno lezioni alla sinistra, pretendendo che faccia la destra...». Letta si concede anche una battuta: «Il nostro è davvero un Paese dal cuore d'oro. Vedo solidarietà diffuse per quell'1% più ricco per evitare che si trovi a pagare la tassa di successione, come succede invece negli Usa, in Francia e nel regno Unito». Un paradosso, per un ex ragazzo accusato per anni di essere un rampollo dell'establishment, un predestinato. Troppo colto però per non capire che «solo in Italia una proposta del genere può passare come eretica». Forse perché, ragionano al Nazareno, «solo in Italia si pretende ancora che un partito di sinistra applichi le vecchie ricette fallite del blairismo anni 90».

MORO E FALCONE. VERITÀ E PERDONO

A 29 dalla strage di Capaci, il Corriere della Sera pubblica la prefazione della ministra Marta Cartabia alla pubblicazione della tesi di laurea di Giovanni Falcone, oggi stampata a cura della Treccani. Il concetto chiave è quello di “cultura della prova”.

«Qualcuno potrebbe essere sorpreso del fatto che Giovanni Falcone non scrisse la sua tesi di laurea in diritto penale o in procedura penale, bensì in diritto amministrativo. Si laureò nell'anno accademico 1960-1961, ebbe come relatore Pietro Virga, allievo della scuola siciliana di diritto pubblico. La sua tesi è dedicata a L'istruzione probatoria nel diritto amministrativo. La scelta del tema è, in sé, particolarmente interessante, essendo focalizzata sulla disciplina processuale dei mezzi di prova. Nella breve introduzione alla sua dissertazione egli esplicita questa consapevolezza, laddove afferma che l'istruzione è «la fase centrale del processo», sicché «l'esatta individuazione dei principi che stanno alla base di essa si ripercuote inevitabilmente su tutto il processo». L'interesse per l'accertamento del fatto, per il suo dispiegarsi nella dinamica processuale e per gli strumenti di acquisizione delle prove, dunque, già emergeva a conclusione dei suoi studi universitari, benché in questa fase fosse rivolto ad un settore, quello del diritto amministrativo, diverso da quello in cui la sua attività di giudice si sarebbe poi espressa, con risultati di valore inestimabile per la storia del nostro Paese. Ancor più, l'elemento rivelatore della sua caratura di giurista e di futuro giudice è dato, a mio avviso, dal metodo della sua indagine. È l'impostazione metodologica impressa dal giovane Giovanni Falcone alla sua analisi a portarlo, nel breve spazio di una settantina di pagine - scritte con chiarezza adamantina, con un asciutto nitore e con una maturità degna di uno studioso affermato - a elaborare preziose riflessioni di carattere generale sulle caratteristiche fondamentali del processo giurisdizionale visto nelle sue varie declinazioni, in ambito civile, penale e amministrativo». 

Avvenire pubblica un discorso radiofonico di Aldo Moro del 1944, tema l’epurazione dopo il Fascismo. Titolo Il no di Moro al fascismo. Senza vendette.  

«Proponiamo in queste colonne il testo di un intervento tenuto a Radio Bari, presumibilmente nei primi mesi del 1944, nel quale Aldo Moro si schiera contro le intransigenze giustizialiste. (…) Quello che sembra in definitiva giusto e necessario è una misura di garanzia e non una vendetta volgare; cioè una misura di garanzia che sia irrogata, la parola non sembri strana, perché è semplicemente cristiana ed italiana, con spirito di comprensione e di amore, nell'intento cioè di persuadere e di rieducare alla vita civile ed al rispetto della libertà, anziché porre soltanto impedimenti fisici o giuridici a nuovi possibili attentati al nostro vivere umano e civile. Qui è veramente il nucleo dell'assillante problema. Che l'epurazione si debba fare prima o poi è una cosa secondaria. Quello che conta è vedere quel che debba intendersi per epurazione e se si debba essere attenti ad una umana e cristiana voce di comprensione o se si debbafascisticamente tirare diritto. E qui soccorre la comune considerazione che l'etica è veramente cosa economica, che anzi un agire sistematicamente contro di essa è umanamente e socialmente impossibile, che un perdono generoso, e tuttavia sempre vigile, (salvi s' intende i casi più gravi) non è solo un omaggio reso ai supremi valori di fraternità e di umanità della vita, ma pure un calcolo accorto, almeno per chi guardi lontano, per ricostruire una società che ebbe troppo a soffrire di alcune divisioni, perché non abbia ora bisogno urgente di unità».

TRE STUDIOSI: “IL CORPO DI SAN PIETRO È NELLE CATACOMBE”

Incursione finale, e domenicale, nelle pagine di cultura. Antonio Socci per Libero dà notizia di un’interessante ricerca archeologica sulla Tomba di San Pietro. Si troverebbe non in Vaticano ma a Roma, nelle catacombe di Tor Pignattara.

«Tre studiosi italiani, Liberato De Caro, ricercatore del Cnr, Fernando La Greca, professore all'Università di Salerno, ed Emilio Matricciani, docente al Politecnico di Milano, hanno firmato un accurato studio sulla rivista scientifica internazionale Heritage, intitolato: «The search of St Peter' s memory "ad catacumbas" in the cemeterial area "ad Duos Lauros" in Rome». La sepoltura dell'apostolo - secondo questo studio - dovrebbe trovarsi nelle grandi (e in parte inesplorate) catacombe "ad duos lauros", a Topignattara. È la periferia di Roma, sulla via Casilina, che negli anni Cinquanta ospitava le baraccopoli immortalate da Pasolini in Ragazzi di vita. Anche il film Accattone in buona parte fu girato in queste borgate. La zona è dominata dall'alto Mausoleo di S. Elena il cui soffitto è fatto con anfore di terracotta, nel gergo popolare "pignatte", da cui il toponimo "Torre delle pignatte" e poi Torpignattara. Delle grandi catacombe sottostanti pochi sanno. Per quale motivo sta qui la tomba della madre di Costantino, colui che cristianizzò l'Impero romano e cambiò per sempre la storia? In realtà, in quest' area che apparteneva agli "equites singulares" di Massenzio, Costantino fece costruire, sulle catacombe cristiane, una grande basilica (oggi non più esistente) e il mausoleo anche per se stesso oltreché per la madre (però poi lui morì a Costantinopoli e fu sepolto là). Ma perché l'Imperatore costruì quella basilica e voleva essere sepolto proprio lì, con sua madre? C'è un segreto celato da quasi due millenni ed è appunto la presenza, in quelle catacombe, del corpo del principe degli apostoli. (…) Gli archeologi di Pio XII, nel 1949, ritennero così di aver trovato la tomba, quantomeno la prima tomba, di Pietro, ma non le ossa. Negli anni successivi l'epigrafista Margherita Guarducci pensò di aver trovato le ossa di Pietro nei resti di quegli scavi. Ma padre Ferrua sj, che era presente ai lavori, si oppose sempre a questa identificazione. La Guarducci sostenne di aver individuato la prova della sua scoperta in un minuscolo graffito, con frammenti di poche lettere, dove ritenne di leggere il riferimento al nome di Pietro. Le polemiche, anche su questo frammento di intonaco (oggi datato alla prima metà del III secolo) sono state infinite e non si è mai arrivati a una conclusione certa. La Chiesa non si pronuncia su queste ricerche. Ma l'argomento è scottante e non solo per gli archeologi. (…) Oggi gli esperti, anche ammettendo che quel loculo vaticano, anticamente, abbia ospitato il corpo di san Pietro, ritengono che i suoi resti siano stati poi spostati "ad catacumbas" (prima per le persecuzioni, poi per le scorrerie dei barbari nell'Urbe). Infatti, nel Cronografo (cioè Calendario Romano) dell'anno 354 troviamo che «la commemorazione di San Pietro era ad catacumbas, non sul colle vaticano», ricordano i nostri tre studiosi su Heritage. De Caro, La Greca e Matricciani analizzano il "Liber Pontificalis", dove nel VI secolo furono raccolte le biografie dei papi con documenti d'archivio dei secoli precedenti, e scoprono che, fra tutte le antiche basiliche romane la cui costruzione è attribuita a Costantino (per esempio San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme), l'unica che certamente fu edificata da lui è proprio quella (oggi sparita) di Tor Pignattara dove anche costruì il Mausoleo per sé e la madre. (…) Qui dunque sarebbe la tomba dell'apostolo ed è accanto a Pietro che Costantino voleva essere sepolto, con la madre. I tre studiosi rintracciano anche, nelle catacombe, una significativa epigrafe sepolcrale, su Pietro, della metà del IV secolo e un affresco rappresentante San Pietro che regge un cartiglio. In base a complicati calcoli sulla pianta della Basilica, i tre autori ritengono infine di aver individuato la cripta, ancora inesplorata, dove potrebbe trovarsi il sepolcro dell'apostolo. Si potranno adesso fare degli scavi? Un ultimo dettaglio (che esula da questo studio). Pio XII, negli anni degli scavi sotto San Pietro, fece interpellare una mistica che stimava, Maria Valtorta, la quale rispose che la tomba dell'Apostolo è nelle catacombe "ad duos lauros" a Torpignattara e lei aveva visto in visione i suoi resti mummificati, con le mani che tengono un'antica pergamena. La Valtorta descrisse pure la cripta. Il ritrovamento sarebbe un evento straordinario. Paolo VI diceva che le ossa di Pietro, per la Chiesa, sono come oro. È la sua carne infatti che toccò e abbracciò il Salvatore del mondo».

Una notizia per chi fosse interessato all’opera e alla memoria del cantautore Claudio Chieffo. Dopo la realizzazione della mostra “A tutti parlo di Te” (al Meeting di Rimini del 2017) il Comitato Amici di Claudio Chieffo, sta costruendo nuovi progetti. Benedetto Chieffo invita tutti gli amici, grati a suo padre, a visitare il sito https://a-tutti-parlo-di-te-9363.mailchimpsites.com/ e a iscriversi alla newsletter per conoscere le varie iniziative. 

Share this post

Il Governo del nostro scontento

alessandrobanfi.substack.com
Comments
TopNewCommunity

No posts

Ready for more?

© 2023 Alessandro Banfi
Privacy ∙ Terms ∙ Collection notice
Start WritingGet the app
Substack is the home for great writing