Il mondo degli schiavi bambini
Rapporto choc di Onu e Unicef: 160 milioni di minori sfruttati per lavoro. Biden riunisce i 7 Grandi in Cornovaglia. Speranza deve decidere su AstraZeneca. 4 candidati per Roma. Il Papa dice no a Marx
Diciamoci la verità: non sempre le informazioni scientifiche sembrano le stesse che abbiamo avuto nei mesi scorsi. Oggi su tutti i giornali si dice che nel caso di AstraZeneca l’evento raro della trombosi, che colpisce soprattutto le giovani donne, ha questa frequenza: una segnalazione ogni 100mila somministrazioni. Il che significa che, ad esempio, se tutti i maturandi d’Italia fossero stati vaccinati con AstraZeneca, avremmo avuto 5 casi a rischio decesso. Un incubo. È evidente che si tratta di una proporzione altissima, rispetto alle probabilità di morte per Covid 19 per giovani e giovanissimi. Se il dato, un caso ogni centomila, è davvero realistico, si dovrebbe accettare che è stato un grave errore proporre gli Astra Open Day sotto i 50 anni. È vero: ci sono state Regioni che hanno scelto diversamente, a cominciare dal Veneto e altre, come la stessa Liguria, dove è morta la 18enne Camilla, che invece hanno spinto molto di più, esponendosi, anche statisticamente al rischio. Ma questo tipo di decisioni non può essere dettata dalla logistica e dalle decisioni delle Regioni in ordine sparso. È il Ministero, su parere del Cts, che deve decidere e disporre in modo chiaro: si può/non si può. Raccomandare l’utilizzo agli over 50, per poi permettere nei fatti l’uso anche per i giovani, è stato un grave sbaglio.
Tanto più che il caso della 18enne di Genova ha innescato un meccanismo che rischia di danneggiarci tutti, creando sfiducia in un vaccino che è sicuro ed efficace, se usato nel modo giusto. AstraZeneca è un vaccino conveniente per gli over 50 (mancano ancora due milioni di over 60 all’appello), ma l’attenzione mediatica rischia di farlo apparire “pericoloso” per chi invece non lo è. Per fortuna, per ora, non ne risente il ritmo della campagna vaccinale: dalle 6 di ieri mattina alle 6 di questa mattina sono state fatte 612 mila 178 iniezioni. Di fatto giugno è iniziato con dati record. Da lunedì, oggi è il giorno dei monitoraggi dell’epidemia e relativi decreti, la maggior parte dell’Italia sarà bianca e senza più coprifuoco e divieti.
Comincia oggi il G7 in Cornovaglia, appuntamento importante perché farà emergere tutto il peso della nuova presidenza Usa di Biden. I Sette Grandi dovranno rispondere alle sollecitazioni americane su Cina e Russia. Proprio oggi ci sono dati impressionanti sui minori sfruttati nel mondo e Repubblica ha un’interessante intervista con Abbas, leader del primo partito arabo che entra nel nuovo Governo israeliano.
La politica italiana racconta di un centro destra alle prese con le sue discussioni. Marcello Pera sul Giornale rilancia l’idea delle nozze Berlusconi-Salvini come “partito liberale di massa” mentre Polito delinea in un affresco sui 4 candidati la corsa al Campidoglio. Nei 5 Stelle si attendono le nuove regole dell’ex premier e il gossip di Palazzo segnala un pranzo Bettini-Conte.
Il Papa respinge le dimissioni del cardinal Marx e lo invita a continuare. Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
Campagna pubblicitaria di Poste italiane in occasione della prima partita dell’Italia agli europei di calcio, che ha preso il posto delle normali prime pagine. Questi i titoli “veri”, oggi per molti quotidiani a pagina 3. Avvenire si concentra sul rapporto choc dell’Unicef a proposito dello sfruttamento minorile nel mondo: Il lavoro sbagliato. Ma la maggioranza dei titoli di apertura è dedicata alla vicenda di AstraZeneca. Il Corriere della Sera: AstraZeneca solo sopra i 60 anni. La Repubblica allude alla seconda dose: Un milione cambia il vaccino. La Stampa ricapitola: Muore a 18 anni dopo il vaccino, ancora dubbi su AstraZeneca. Quotidiano nazionale mette in luce l’incertezza del Ministro della Salute: Caos AstraZeneca, Speranza non decide. Il Fatto domanda: Camilla, vittima n. 1. Chi chiede scusa? Il Manifesto sintetizza il dilemma: Vax o non vax? Il Mattino spiega che la divisione è anche fra gli esperti: AstraZeneca ai giovani, scontro tra scienziati. Guardano all’Italia in bianco senza coprifuoco Il Messaggero: Lazio, via i divieti da lunedì e Libero che si riferisce anche ai buoni dati dell’economia: Dai che si riparte. Il Sole 24 Ore ancora sul fisco: Il ritorno del redditometro. La Verità sceglie la clamorosa notizia della Procura di Milano sotto accusa per non aver valutato prove a favore degli imputati: Video pro difesa ignorato. Indagati due pm di Milano. Mentre Il Giornale ricorda che uno dei due Procuratori aveva accusato Berlusconi: Indagato il Pm anti-Cav.
VACCINI ITALIA, IL NUOVO CASO ASTRAZENECA
Dopo la tristissima notizia della morte di Camilla, 18 enne di Genova, che ha avuto una trombosi dopo aver ricevuto AstraZeneca, si attende chiarezza dal Governo. Il punto di De Bac e Sarzanini sul Corriere.
«Somministrazione soltanto a chi ha più di 60 anni. È questa la raccomandazione che dovrebbe arrivare oggi dal ministero della Salute sull'utilizzo del vaccino AstraZeneca. Una chiara marcia indietro rispetto alla linea seguita finora con gli «open day» organizzati in varie regioni proprio per vaccinare i più giovani. Un cambio di rotta che provoca la protesta dei governatori e la richiesta «urgente» di una indicazione chiara, dopo i dubbi espressi da numerosi esperti sull'uso per i ragazzi e le donne sotto i 40 anni. «Tutti i vaccini sono sicuri», dichiara in Parlamento il ministro della Salute Roberto Speranza spiegando di essere in attesa del parere del Comitato tecnico scientifico. Ma il verbale tarda ad arrivare rendendo evidente il nodo da sciogliere: chi dovrà prendersi la responsabilità di cambiare ancora una volta la linea su AstraZeneca. Anche perché si dovrà decidere se autorizzare la seconda dose con un vaccino diverso da quelli a «vettore adenovirale» come appunto è AstraZeneca, ma pure Johnson&Johnson. L'ipotesi attorno alla quale si lavora è stabilire in modo perentorio il tetto dei 60 anni. Non è escluso di scendere ai 50. Chi è più giovane dovrebbe essere indirizzato verso una profilassi diversa, con Moderna o Pfizer-BioNTech, basati su una tecnologia innovativa che finora non ha procurato gli effetti collaterali gravi osservati in tutti i Paesi europei sia pur con un'incidenza inferiore allo zero. Casi di trombosi rare, in organi solitamente non colpiti dai coaguli, accompagnate da carenza di piastrine. Soggetti più esposti gli under 55, soprattutto donne. Ecco perché di fronte alla scelta dell'agenzia europea Ema di lasciare libertà d'uso per i vaccini AstraZeneca e Johnson&Johnson, l'Italia aveva «raccomandato un uso preferenziale sopra i 60 anni». Si dovrebbe passare alla formula «raccomandato sopra i 60 anni» o «fortemente raccomandato». La Sicilia si è portata avanti e ha già sospeso AstraZeneca, ma solo per le prime dosi. Chi ha già fatto un'iniezione potrà, invece, fare il richiamo. Il problema riguarda le varie indicazioni fornite a partire dall'inizio della campagna vaccinale. Il 9 febbraio - seguendo le indicazioni dell'Ema - una circolare del ministero della Salute ne «raccomanda l'uso per le persone dai 18 fino al compimento dei 55 anni». L'8 marzo si cambia: «AstraZeneca può essere somministrato anche agli over 65». L'8 aprile una nuova circolare evidenzia che «è approvato a partire dai 18 anni di età» ma ne «raccomanda un suo uso preferenziale agli over 60». Il 14 maggio, quando la campagna vaccinale può contare ormai su grande disponibilità di dosi e una sperimentazione sul campo, la struttura guidata dal generale Figliuolo invia alle Regioni il parere espresso il 12 maggio dal Cts che «non rileva motivi ostativi a che vengano organizzate iniziative quali "vaccination day" mirate a offrire, in seguito a richiesta volontaria, i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni». È il via libera ufficiale: in molte aree del Paese si organizzano eventi per le inoculazioni di massa. Migliaia di ragazzi si mettono in coda per avere le dosi. Il Lazio - senza che nessuno a livello centrale eccepisca - vaccina chi deve fare la Maturità. Ma c'è anche chi prende le distanze da queste iniziative: il Veneto di Zaia, il Friuli-Venezia Giulia di Fedriga, il Piemonte di Cirio scelgono una strategia vaccinale in sicurezza. Una settimana fa vari gruppi scientifici chiedono di rivedere i termini della somministrazione vietando i vaccini ai giovani. Anche perché da aprile a oggi la situazione epidemica è cambiata. Il virus circola poco e l'Italia dispone di dosi in abbondanza. Occorre aggiornare subito le precedenti indicazioni per dare certezze e smontare la seconda ondata di paura nei confronti di AstraZeneca. Prima che la situazione diventi irrecuperabile e le dosi debbano essere buttate bisogna chiarire chi corre rischi, sia pur infinitesimali, e chi no. Per questo il ministro Speranza viene chiamato in Parlamento e ieri, durante il question time al Senato, afferma che i benefici dei vaccini a vettore adenovirale aumentano con l'età, come ha ribadito Ema, poi sottolinea: «Queste valutazioni verranno considerate nel prossimo parere del Comitato tecnico scientifico». In realtà il parere del Cts era stato annunciato per martedì, ma da due giorni i tecnici sono divisi su chi dovrà assumersi la responsabilità di modificare nuovamente le indicazioni e dunque il piano, escludendo la somministrazione ai giovani. «Ci siamo già espressi - è la linea prevalente all'interno dell'organismo di esperti - il ministero ha tutti gli elementi per indicare la strada». Dopo una trattativa estenuante il documento potrebbe essere pubblicato oggi. Sarà poi il ministro a dover decidere, chiarendo anche se sia opportuno effettuare il richiamo con un vaccino diverso da AstraZeneca, così come vorrebbero fare molti cittadini che hanno avuto effetti collaterali dopo la prima dose. Per farlo si terrà comunque conto del rapporto di farmacovigilanza aggiornato ieri dall'Aifa: i casi di trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti immunizzati con AstraZeneca sono in linea con quanto osservato in Europa. Uno ogni 100mila dosi somministrate, prevalentemente sotto i 60 anni. Nessuna segnalazione dopo la seconda dose».
Sul Fatto, che da quattro giorni mette in prima pagina questa vicenda, c’è un interessante commento di Peter Gomez:
«Ora che due giovani donne lottano per sopravvivere in ospedale e un'altra è morta perché colpita, come loro, da una rara forma di trombosi, la politica corre lentamente ai ripari. In Campania viene sospeso l'Open day in cui chiunque si poteva vaccinare con AstraZeneca; il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, spiega che questo tipo di vaccino non andrebbe somministrato sotto i 30 anni e a donne che non ne abbiano almeno 50; in Liguria è interrotta l'inoculazione di un intero lotto di fiale di cui faceva parte quella che ha verosimilmente ucciso la diciottenne ricoverata. Nessuno però arriva al cuore del problema. O meglio nessuno pone la domanda giusta: perché diavolo alcune Regioni hanno deciso di consentire la vaccinazione con AstraZeneca a partire dai 18 anni quando l'Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco) aveva detto e ripetuto che quel vaccino era raccomandato per gli ultrasessantenni? Il messaggio della scienza era chiaro: le trombosi celebrali sono eventi molto rari, ma sotto quella soglia di età conviene non rischiare e somministrare Pfizer o Moderna. Per questo all'estero, anche tra chi è meno prudente, ci si comporta più o meno allo stesso modo. In Gran Bretagna, la nazione che ha inventato AstraZeneca, si è stabilito di non inocularlo sotto i 40 anni, in Germania sotto i 55. In altri Paesi del Nord Europa quel vaccino è stato addirittura bandito. In Italia invece abbiamo deciso di farlo. L'Aifa "raccomanda in via preferenziale" e i politici (per fortuna non tutti come dimostra, ad esempio, la scelta di Luca Zaia) fanno finta di capire che non essendo esplicitamente vietato si possono invitare centinaia di migliaia di persone a vaccinarsi con esso. Il principio di precauzione non scatta. Col risultato di mettere a rischio la salute e la vita di cittadini che in ogni caso, prima della fine dell'estate, sarebbero comunque stati vaccinati, ma con un siero diverso. Le menti geniali protagoniste di questa scelta non hanno poi nemmeno preso in considerazione l'ipotesi che, se qualcosa fosse andato storto, in tantissime persone si sarebbe potuta creare una sfiducia generalizzata in tutti i vaccini. Non lo hanno fatto loro e non lo ha fatto nemmeno il generale Francesco Figliuolo, che intervistato da Radio 24 risponde alla domanda su AstraZeneca con una supercazzola degna di Amici Miei: "Polemiche sugli Open day per vaccinare i giovani? Oggi noi sappiamo che questo tipo di vaccini sono consigliati agli over 60, dopodiché possono essere usati per tutte le classi di età. È bene fare un'anamnesi molto approfondita, ma ovviamente le riflessioni le devono fare gli scienziati. E io sono sempre pronto a recepire qualsiasi riflessione che venga fatta in ambito ufficiale, quindi le raccomandazioni che poi daranno sono da applicare". Bra- vo, bene, bis. Peccato che gli scienziati abbiano già raccomandato. Se non ci fosse di mezzo la salute, verrebbe da dire che la situazione è tragica, ma non seria. Anche perché, se qui qualcuno non si rimette a ragionare, il tutto corre il rischio di ripetersi con il vaccino dato agli under 16. In Germania l'istituto Robert Koch ha suggerito di vaccinare con Pfizer solo bambini e adolescenti con patologie gravi. Per gli scienziati tedeschi è inutile rischiare i rari episodi di miocardite nei giovanissimi causati dai vaccini a Rna messaggero, quando si sa che nessuno di loro, se sano, morirà mai di Coronavirus e nemmeno si ammalerà gravemente. In Italia tutto, o quasi, invece tace. E così si può solo sperare che quella della scienza tedesca sia solo troppa prudenza».
DA LUNEDÌ MEZZA ITALIA IN ZONA BIANCA
È stato un miraggio per mesi, oggi verrà ufficializzato il passaggio di gran parte dell’Italia in zona bianca. Francesco Malfetano per il Messaggero:
«Una Penisola finalmente a prevalenza bianca. È quella in cui si risveglieranno gli italiani a partire da lunedì 14 giugno. Ovvero da quando, in base ad un'ordinanza del ministro Roberto Speranza attesa per oggi, altre 6 regioni entreranno ufficialmente nella fascia di rischio più bassa. Lazio, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia e provincia autonoma di Trento quindi, diranno addio in un colpo solo a coprifuoco e limiti agli spostamenti, raggiungendo Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Molise - in questa fascia dal 31 maggio - e Liguria, Veneto, Umbria e Abruzzo - in bianco dal 7 giugno. In altre parole, quello di lunedì è un passo in avanti fondamentale per la ripartenza del Paese perché per la prima volta dall'introduzione del sistema dei colori, la maggior parte delle regioni italiane si troverà nella fascia di minor rischio. Perché ciò avvenga davvero però, bisognerà attendere - prima ancora dell'ordinanza di Speranza - la consueta valutazione dei dati del monitoraggio settimanale da parte della cabina di regia del ministero della Salute che si terrà oggi. In ogni caso dovrebbero esserci sorprese. I dati delle regioni attenzionate infatti sembrano confermare il trend iniziato ormai più di due settimane fa. Sì perché l'ingresso in zona bianca si ottiene registrando per 21 giorni consecutivi meno di 50 nuovi casi su 100mila abitanti e, In base agli ultimi dati a disposizione (che oggi saranno appunto aggiornati), non paiono esserci grossi dubbi: questa settimana il Lazio ha registrato 23 nuovi casi ogni 100mila residenti, la Lombardia 22, il Piemonte 25, l'Emilia-Romagna 23, la provincia di Trento 26 e la Puglia 23. Numeri assolutamente positivi confermati anche dal monitoraggio indipendente di Gimbe. Nel suo report settimanale infatti, la fondazione testimonia non solo l'ulteriore riduzione dei casi riscontrata negli ultimi 7 giorni (-31,8%) e dei decessi (-34,9%) ma anche, grazie alla vaccinazione di anziani e fragili, l'ulteriore decongestione degli ospedali. L'occupazione dei posti letto Covid a livello nazionale, secondo Gimbe, si attesta ormai all'8% sia in area medica che in terapia intensiva. Nonostante questi numeri, proprio per tener fede al meccanismo trisettimanale che consente di entrare in zona bianca, dovranno attendere un'altra settimana in giallo Toscana, Marche, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Provincia di Bolzano. Anche per loro però, il conto alla rovescia va rapidamente esaurendosi e, salvo sorprese, entreranno in bianco a partire dal 21 giugno».
IL GARANTE DELLA PRIVACY BOICOTTA IL GREEN PASS?
Dopo essere stati vaccinati, si potrà circolare liberamente? Teoricamente sì, mostrando il certificato o il green pass ma c’è il Garante della Privacy (lo stesso grazie a cui riceviamo solo dalle 3 alle 10 telefonate al giorno di venditori e call center) ha dei grossi dubbi sulla questione. L’unica app pubblica davvero funzionante, la Io, secondo lui non potrà essere usata. Come racconta Il Foglio:
«Chi lavora al dossier, a Palazzo Chigi e non solo, mostra un certo pessimismo: perché il pass vaccinale era uno strumento pensato per accelerare, e invece la sua attuazione, ora, rischia di impantanarsi. L'inghippo più evidente è quello relativo alla app "Io": quella, cioè, che secondo i tecnici del ministero della Salute e della Transizione ecologica, dovrebbe essere il principale veicolo di trasmissione del certificato di avvenuta vaccinazione, la piattaforma più pratica e più diffusa. E invece no, non sarà attraverso "Io" che, almeno per ora, i cittadini che viaggiano in giro per le regioni per motivi di lavoro e per vacanza potranno agevolmente dimostrare di essersi immunizzati. Perché, contestualmente al parere fornito sul "green pass", il Garante ha emesso un provvedimento - sulla base della relazione della vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni, di area leghista - che denuncia le troppe falle di "Io" e di Pagopa, la app universale per i pagamenti telematici a favore della Pubblica amministrazione. Colpevoli, l'una e l'altra, di dialogare in maniera troppo lineare con Google e altre piattaforme di web analytics (come Mixpanel), tutte di base negli Usa, nonché di attivare in automatico troppe funzionalità di notifiche automatiche. Tecnicismi astrusi per i profani della materia, ma che implicano, per gli addetti ai lavori, la necessità di pesanti interventi correttivi. Che andranno elaborati entro trenta giorni: perché questo è il termine che il Garante concede al governo per modificare le modalità di attivazione dei servizi disponibili all'interno di "Io". Ma poi c'è l'altro corno del problema. Quello che forse spaventa di più i tecnici che seguono il dossier nei vari ministeri coinvolti. Perché nel parere che dà il via libera al "green pass", come si diceva, le prescrizioni e le richieste di correzioni al decreto "Riaperture" in fase di conversione sono assai ingombranti. Riguardano soprattutto un punto: "la necessità - segnalata dal Garante - di individuare con chiarezza i casi in cui può essere chiesto all'interessato di esibire la certificazione verde per accedere a luoghi o locali"».
G7, BIDEN “L’EUROPEO” ANTI CINA VUOLE LA VERITÀ SU WUHAN
Comincia oggi il G7 in Cornovaglia e Biden, sul fronte vaccini, chiede agli alleati due cose: un’indagine in Cina sull’origine del virus e una campagna per vaccinare il resto del mondo, dopo l’Occidente. Su La Stampa Alessandra Rizzo.
«Un'indagine nuova e trasparente per accertare l'origine del virus che ha causato oltre tre milioni e 700 mila morti e paralizzato il mondo. Che sia trasmissione animale o fuga da laboratorio, i leader dei grandi Paesi vogliono vederci chiaro, e dal vertice G7 mandano un messaggio alla Cina. «Il mondo ha il diritto di sapere cosa è successo», ha detto il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla vigilia dell'incontro. Dalla riunione dei leader del G7 che si apre oggi in Cornovaglia, la prima «in presenza» dell'era Covid, arriva anche la promessa di donare un miliardo di dosi di vaccino al resto del mondo entro il prossimo anno. L'origine del coronavirus non è ancora stata chiarita. L'ipotesi più probabile resta quella di una trasmissione da animale a uomo, forse da un pipistrello nel mercato di Wuhan, la città da cui è partita la diffusione. Ma la possibilità di una fuga accidentale da un laboratorio, inizialmente liquidata come teoria complottista priva di fondamento, ha di nuovo preso piede. I leader del G7, su spinta del presidente Usa Joe Biden, chiederanno che la nuova indagine sia condotta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, stando alla bozza del comunicato finale citata dall'agenzia Bloomberg e da fonti del vertice. La richiesta di un'indagine «trasparente, basata sui dati e priva di interferenze» verrà ribadita anche al vertice Ue-Usa che si terrà la settimana prossima a Bruxelles. L'Oms, che nei mesi scorsi aveva già condotto un'indagine in Cina, aveva allora concluso che l'ipotesi di fuga fosse «altamente improbabile». Ma gli esperti non avevano avuto accesso al laboratorio di Wuhan e ai relativi dati. «È necessario che chi conduce l'inchiesta abbia pieno accesso a dati e luoghi», ha detto la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. La Cina, che ha negato l'ipotesi della fuga e offerto finora modesta cooperazione, difficilmente acconsentirà alla richiesta di trasparenza. Ma per Biden, che sull'origine del virus ha già ordinato un rapporto dell'intelligence Usa e che con Pechino tiene una linea dura, è comunque un successo diplomatico».
Marina Catucci sul Manifesto analizza gli altri contenuti politici del vertice dei sette grandi Paesi industrializzati.
«L'America è tornata» continua a ripetere il presidente Usa per cancellare il trauma dei quattro anni di Trump, e quando ha lasciato Washington, ha detto ai giornalisti di volere usare il suo primo viaggio all'estero per rendere «chiaro a Putin e alla Cina che l'Europa e gli Stati Uniti sono compatti e che il G7 si muoverà». Il problema è che le dichiarazioni di Biden sugli obiettivi condivisi con gli alleati non sono supportate dalle dichiarazioni e dalle azioni degli alleati stessi; ad esempio Germania e Francia, non sembrano essere d'accordo quando si tratta di presentare un fronte unito contro Cina e Russia, come ambirebbero fare gli Usa. In questo primo viaggio Biden deve ricostruire un'immagine degli Usa come superpotenza, e forse è da leggere in quest' ottica l'annuncio dato alla vigilia della partenza riguardo l'acquisto di 500 milioni di dosi di vaccino Pfizer contro il coronavirus da donare al resto del mondo, e del «piano mondiale di vaccinazione» per affrontare l'emergenza globale legata alla pandemia da Covid. L'impegno a distribuire fiale di vaccino è stato ribadito dal Regno Unito specificando che le prime spedizioni avverranno ad agosto «con la stessa rapidità con cui escono dalla linea di produzione», ha detto Biden, definendo la decisione di condividere i vaccini come «un impegno monumentale da parte del popolo americano». I temi in campo al g7 sono molti, a fare la parte da leone nelle sei sessioni di lavoro sarà inevitabilmente il Covid ma anche la lotta al cambiamento climatico, in tutte le declinazioni, economica, sanitaria, geopolitica; il disaccordo in corso tra il Regno Unito e l'Unione europea sui controlli normativi post-Brexit sulle merci che entrano in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna, sembra destinato a caratterizzare pesantemente le discussioni diplomatiche nei prossimi giorni. Prima dell'inizio del summit Biden ha incontrato Boris Johnson per parlare della revoca delle restrizioni ai viaggi tra Stati Uniti e Regno Unito, e accettare una nuova «Carta atlantica», aggiornando la dichiarazione fatta da Franklin Roosevelt e Winston Churchill, che delinea gli obiettivi condivisi per il secondo dopoguerra. Il documento firmato da Johnson e Biden aggiorna l'accordo firmato nel 1941, e cerca di basarsi su principi comuni per affrontare nuove sfide globali, inclusi i cambiamenti climatici e gli attacchi informatici. Sembra chiaro che sia Johnson che Biden vogliano presentarsi al mondo come «i bravi ragazzi globali», come li ha definiti Nic Robertson della Cnn, e ognuno porta al G7 il proprio bagaglio di necessità: Johnson vuole una Gran Bretagna globale e vuole essere il migliore amico di Biden, che a sua volta vuole il sostegno di tutti contro la Cina. Ovviamente anche gli altri partecipanti hanno i loro programmi. La cancelliera tedesca Angela Merkel apprezza la leadership americana, ma non tanto quanto l'apprezzava una volta. Il presidente francese Emmanuel Macron vuole sostegno nella regione africana del Sahel, di cui ha annunciato la fine dell'operazione Barkhane. Il giapponese Suga condivide molte delle preoccupazioni di Biden sulla Cina e conta fortemente sugli alleati per aiutare le Olimpiadi di Tokio. Mario Draghi guarderà al G7 per sostenere la stabilità in Libia e il controllo delle rotte migratorie mediterranee. Il canadese Justin Trudeau ricorda ancora il G7 del 2018 che aveva ospitato, e il caos causato quando l'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva rifiutato di approvare il comunicato congiunto finale».
BLOCCO DEI LICENZIAMENTI, IL PD LO VUOLE SELETTIVO
Se Draghi è all’estero, non si ferma la discussione sul blocco dei licenziamenti. Avvenire ci aggiorna sul dibattito fra partiti e sindacati. Nicola Pini.
«Pioggia di emendamenti (quasi 4mila) in commissione Bilancio della Camera al decreto Sostegni bis, con l’attenzione tutta rivolta al tema dei licenziamenti. Con la fine del divieto che scatta a fine mese, la maggioranza resta divisa sul da farsi e dal Pd arriva una proposta di intervento selettivo. L'emendamento depositato dai dem prevede una proroga di tre mesi del blocco (fino alla fine di settembre) ma solo per le imprese che appartengono ai settori ancora in crisi e sottoscrivono un apposito accordo con le organizzazioni sindacali. Il perimetro dell'intervento dovrebbe essere individuato con un decreto ministeriale dello Sviluppo Economico. In cambio le aziende interessate avrebbero diritto a 13 settimane di cassa Covid aggiuntiva. La proposta va nella direzione auspicata dal ministro del Lavoro Andrea Orlando che ieri ha detto di non essere d'accordo con la proroga generalizzata fino a ottobre mentre ha definito l'intervento selettivo «una strada possibile»: a patto però che sia frutto del confronto tra i partiti perché «è inutile fare ipotesi che non trovano poi la convergenza». Quanto ai posti di lavoro a rischio, per il ministro «non ci sarà l'ecatombe che ho sentito dire». La convergenza tra partiti comunque ancora non c'è. Nemmeno nell'area dell'ex maggioranza che sosteneva Conte. Leu si è espressa per una proroga fino a 31 ottobre, equiparando così grande industria ed edilizia alle piccole imprese, per le quali il blocco scade tra quasi 5 mesi. Mentre il M5s propone un'estensione non selettiva fino alla fine di agosto, agganciata alla cassa Covid gratuita. «Non è con i codici Ateco che si può affrontare l'impatto sul piano occupazionale delle ripartenze», ha spiegato l'ex premier Giuseppe Conte, che chiede di «introdurre dei meccanismi di protezione dell'occupazione che più che basarsi su settori astrattamente definiti, si basi sui cali di fatturato reali, su criteri circostanziati e precisi». Parole che non chiudono a un intervento selettivo, strada su cui continua a insistere anche il sottosegretario della Lega Claudio Durigon. Frenano invece Italia Viva e Forza Italia. Il «tema è molto delicato, si parla della vita delle persone, ma dobbiamo essere consci che bloccare i licenziamenti non significa bloccare i fallimenti», ha detto il presidente Iv Ettore Rosato, che riapre le ostilità contro il reddito di cittadinanza, definito «uno strumento parassita che non funziona». Per il capogruppo di Fi in commissione Lavoro Paolo Zangrillo «ora che si incomincia a rivedere la luce, reiterare il blocco dei licenziamenti significa arrendersi ad una prospettiva di salvaguardia fittizia dei posti di lavoro». In questo clima è difficile che il governo possa prendere l'iniziativa di un intervento di urgenza, come chiesto dai sindacati. Anche la via parlamentare non è in discesa. Ma se per ora i partiti piantano le loro 'bandierine' non è escluso che alla fine un accordo per un intervento mirato e limitato nel tempo spunti fuori. Ipotesi alla quale Palazzo Chigi non si opporrebbe».
QUATTRO CANDIDATI PER ROMA
Dopo che anche il centro destra ha scelto il suo candidato, Antonio Polito sul Corriere della Sera analizza la corsa al Campidoglio. La corsa dei quattro: Raggi, Gualtieri, Calenda e Michetti.
«Dal posteriore di ogni autobus della capitale un Calenda a mezzo busto, versione «slim-fit», ci guarda e dice: «Roma, sul serio». Se si riferisce a sé stesso (di solito è così con Calenda) vorrà dire che lui è serio e gli altri no, o che ci crede sul serio sennò non avrebbe speso tutti questi soldi per la campagna elettorale. Ma se si riferisce a Roma dobbiamo dissociarci: la situazione della città è sì grave, ma non seria, per parafrasare il motto di uno che la conosceva bene, Ennio Flaiano. E infatti, a parte Calenda che si è candidato da solo, gli altri tre potenziali sindaci della Capitale d'Italia sono scelte obbligate, o non scelte, dei partiti che li sostengono. Il gruppo dirigente del M5S, si sa, la Raggi l'avrebbe tenuta volentieri a casa, anche perché la sua corsa smentisce la sacra norma del doppio mandato. Gualtieri è lì anche per la rinuncia del nome vincente, Zingaretti, che non ha voluto rompere la luna di miele con Conte sfidando la sindaca. Il pressoché sconosciuto Enrico Michetti, poi, è uscito dal cilindro della Meloni, la «maghetta» del centrodestra convinta di poter trasformare il «tribuno» delle radio romane in re, ma per renderlo digeribile ha dovuto accettare la scorta: a fianco una candidata vice sindaco, Simonetta Matone, e alle spalle un candidato assessore alla cultura, Sgarbi. Non si accettano ironie sulla modestia dei nomi. La storia di Roma è piena di homines novi (…) Interrogato dal Corriere sul programma Michetti ha ammesso con onestà che ci sta ancora lavorando, ma sull'ispirazione non ha dubbi: seguire le orme di imperatori e pontefici, che «costruivano ponti, strade, acquedotti, anfiteatri per il benessere dei cittadini». Se fa anche un paio di archi di trionfo, saranno felici i «centurioni», che avranno più fondali per le foto con i turisti mentre fanno il saluto romano (pardon, «igienico», come lo ha definito il neo candidato in un empito nostalgico). Un sindaco che vuole costruire i Colossei del ventunesimo secolo sarebbe davvero un bel contrappasso per i romani, appena usciti dai cinque anni di una sindaca che non è riuscita neanche a costruire il nuovo stadio della Roma, pur volendolo, senza dire delle discariche e degli impianti che servirebbero per non mandare fuori la gran parte dell'immondizia dei romani, che ora gli altri si sono stufati di prendere e infatti resta nelle strade, senza dire della candidatura rifiutata per le Olimpiadi, senza dire dei tombini che restano intasati e allagano i quartieri, senza dire di topi, cinghiali e pantegane, senza dire aggiungete voi. D'altra parte il giudizio sul funzionamento dei servizi essenziali della Capitale l'ha dato la sindaca stessa, cambiando sedici assessori in cinque anni, cinque amministratori dell'azienda dei rifiuti, tre di quella dell'acqua e sei di quella dei trasporti. Però l'eredità Raggi va letta con attenzione. La prova di governo dei Cinquestelle cominciò infatti con una comprensibile ossessione: o-ne-stà. Solo che per eliminare il malaffare, che c'era, la Raggi ha fermato per anni anche gli affari correnti. Ha messo l'Urbe in coma farmacologico, ha sospeso tutte le funzioni vitali della città, così che nessun organo si potesse ammalare. Come una bella addormentata, la città eterna è scivolata in un sonno profondo, plasticamente evidente durante i mesi del lockdown, quando senza più persone, traffici, trasporti, lavoro, turisti, movida, vita, era bellissima. Questo stile di governo ha i suoi estimatori in città. Gli stessi che dei Cinquestelle hanno amato la decrescita felice, il reddito di cittadinanza, e i negozi chiusi alla domenica. Non sono pochi e comunque sono agguerriti. Nelle urne non scompariranno. Anzi, si può dire che le competizioni elettorali cominciate ieri in realtà siano due. La prima, per usare un termine ciceroniano, è tra i «populares», oggi detti populisti: sia Raggi sia Michetti cercano gli stessi voti, i voti del popolo che si possono mobilitare contro le élite. Si giocheranno uno dei due posti al ballottaggio. L'altra gara è tra gli «ottimati», quelli che invece cercano il voto dei ceti medi riflessivi, non solo nella Ztl, ma anche a Parioli e Testaccio, a Prati e Roma Nord. Uno è Gualtieri, una persona onesta, un riformista con le scuole giuste, ma più a suo agio nelle atmosfere ovattate dell'Europarlamento che nella lotta di gladiatori che promette di essere la campagna elettorale capitolina. Ha dietro di sé l'organizzazione di un partito che qui ha sempre saputo come prendere voti, ma ha anche sempre saputo poi farli pesare sul sindaco (vedi Marino). Il suo concorrente è Calenda, golden boy dei centristi, che ha un piano per ogni problema e un problema nel credere che questo basti per vincere, perché la democrazia non è il governo dei migliori, ma di quelli che prendono più voti. In un mondo ideale, in finale dovrebbero arrivare i campioni dei due schieramenti, e lì giocarsela. Su chi abbia più capacità di sfondare al secondo turno ho le mie idee, ma me le tengo. Perché Roma è una sorpresa da 28 secoli, meglio non azzardare. Ciò che di cui si può essere sicuri è che a vincere o perdere saranno i candidati, non i partiti. Per far loro un complimento, Enrico Michetti ha detto ieri che «sono come la cartilagine con il ginocchio». Ecco».
CENTRO DESTRA
Il Centro destra, oggi si schiererà unito alla presentazione ufficiale di Michetti a Roma. Mentre sul candidato a sindaco di Milano, sostiene Marco Cremonesi sul Corriere, Albertini si oppone a Lupi:
«Per Salvini i problemi, in questo momento, si chiamano amministrative. Perché il candidato sindaco, a Milano, ancora non c'è. Molta enfasi sarà data questa mattina alla presentazione pubblica del ticket per Roma, Enrico Michetti e Simonetta Matone. Poi però Salvini dovrà volare a Milano. Ai suoi confida fiducioso: «Nel weekend si chiude». Oggi Salvini incontrerà il comunicatore del gruppo Mediolanum (nonché genero di Ennio Doris) Oscar di Montigny. Ma ancora nulla è deciso. E nell'incertezza salgono le quotazioni di Maurizio Lupi: affidabile, con un esperienza formidabile su Milano e il suo consiglio comunale e da tutti conosciuto. Stefano Bolognini, assessore lombardo vicinissimo a Salvini, ricorda che «il candidato sarà una figura civica». In realtà, Lupi ha un nemico agguerrito: Gabriele Albertini. Che ieri si è detto disponibile a candidarsi con una sua lista civica a sostegno di qualunque candidato di centrodestra «ad eccezione di uno». Smentisce di essere della partita Dalia Gaberscik, figlia di Ombretta Colli e Giorgio Gaber: «Faccio un lavoro che amo, in questo momento sto preparando un evento con Gianni Morandi e Jovanotti». La Lega non è proprio tranquillissima per le elezioni nelle città. E così, ieri è passato l'ordine di scuderia. A Roma, così come in tutte le altre città al voto, la Lega candiderà i suoi volti più noti: eletti in Parlamento, Europarlamento e nei consigli regionali. Un traino per le liste, anche se non a tutti i leghisti piace l'idea di testare il proprio consenso in elezioni amministrative: hai visto mai che poi si tenga conto del responso per le politiche».
Il Giornale con Stefano Zurlo valorizza l’opinione di Marcello Pera, ex presidente del Senato, che propone un orizzonte ideologico per la federazione Lega-Forza Italia, lanciata da Salvini e gradita a Berlusconi:
«Sul nome non si fa problemi: «Lo possiamo battezzare in tanti modi: partito conservatore, oppure liberale, o ancora repubblicano, all'americana». Marcello Pera, filosofo, ex presidente del Senato, accarezza la Federazione di centrodestra. Favorevole? «Certo, la Lega si sta spostando al centro, pensi al cambio di marcia sull'Europa o sulla giustizia. Mi pare venuto il momento di mettere insieme forze che, sia pure con sensibilità diverse, rappresentano lo stesso centrodestra». Sarebbe la fine di Forza Italia? «Basta con le recriminazioni. Piuttosto, l'unione segnerebbe l'avvento di una nuova stagione. Draghi, con l'aiuto di 4 o 5 ministri a lui più vicini, decide le politiche del governo, i partiti sono in qualche modo più liberi di ridefinire le proprie identità». C'è un riposizionamento generale? «Si spaccano i vecchi contenitori». Il Pd? «Si è spostato a sinistra o, se vogliamo, sta diventando un partito radicale di massa, intestandosi la battaglia dei diritti civili a cominciare dal disegno di legge Zan». I Cinque stelle? «No, non si è ancora capito cosa vogliono essere». La Lega? «Sta progressivamente abbandonando le posizioni più gridate». C'è uno spazio comune con Forza Italia? «C'è la possibilità per la prima volta di creare un partito liberale e conservatore di massa». Liberale? «Liberale sul versante dell'economia e delle riforme, a cominciare da quella della Costituzione». Conservatore? «Rispetto ai valori che poi sono la difesa della tradizione cristiana». La Meloni? «È una destra diversa da quella per la quale si scisse dal Pdl, non sentendosi rappresentata». Che vantaggi porterebbe questa nuova federazione? «Anzitutto rafforzerebbe il governo Draghi che in questo momento è la miglior soluzione per l'Italia. E poi sarebbe la premessa per la nascita di un soggetto politico capace di innescare dinamiche utili per il Paese. Penso alle riforme, iniziando dalla seconda parte della Costituzione, all'economia e ai valori». I sovranisti cambieranno faccia? «È arrivato il momento di ridiscutere parole che vanno ripensate: sovranismo, europeismo, conservatorismo».
5 STELLE, IN ARRIVO LE NUOVE REGOLE DI CONTE
Giuseppe Conte sta per presentare i nuovi tratti del movimento 5 Stelle, comprese nuove regole. Che accadrà sul doppio mandato? Emanuele Buzzi dalle colonne del Corriere.
«Il conto alla rovescia è partito. Tra meno di cento ore il nuovo statuto del M5S sarà reso pubblico. Beppe Grillo - nel suo confronto con Giuseppe Conte - ha dato il via libera alle modifiche che daranno un nuovo corpo ai Cinque Stelle. Si tratta per lo più di cambiamenti organizzativi e strutturali, a partire dall'introduzione di una segreteria di fatto e alla creazione di una rete di rappresentanti territoriali. Un passo fondamentale per la rifondazione contiana del Movimento. Eppure tra i Cinque Stelle continuano mugugni e mal di pancia. Un problema da risolvere in tempi brevi per l'ex premier. A tenere banco ci sono diversi fattori. Si va dai malumori per il peso nel governo (c'è chi chiede la testa del ministro Cingolani dopo l'attribuzione delle deleghe) ai temi - strettamente legati tra loro - delle restituzioni mensili e della revisione della regola del tetto dei due mandati per gli eletti pentastellati. I dubbi sono talmente forti che alla fine travalicano i confini dei gruppi. «Secondo me è arrivato il momento di superare il vincolo» dice Azzurra Cancelleri (alla sua seconda legislatura) all'Adnkronos . Mentre Gianluca Castaldi sottolinea: «Bisogna valorizzare le esperienze». «Non credo che ci siano più dogmi inaffrontabili», spiega all'Huffington Post un altro veterano, Sergio Battelli. E poi punge Conte: «Spero non ci sia un uomo solo al comando». Alessandro Di Battista, dalla Bolivia, difende la regola aurea M5S e attacca i suoi ex colleghi: «È avvilente leggere le dichiarazioni di moltissimi parlamentari del Movimento 5 Stelle che oggi - scrive su Facebook - a pandemia non ancora finita, con la classe media al collasso, con Confindustria che fa il bello ed il cattivo tempo e con una crisi sociale fuori dal comune, preferiscono metter bocca sulla regola del doppio mandato ovviamente con l'obiettivo di cancellarla e poter continuare a vivacchiare nelle Istituzioni». La minaccia reale - per Conte - è che i parlamentari ritardino volutamente il versamento del contributo di mille euro mensili, ossigeno per le casse malandate dei Cinque Stelle (affossate anche dall'accordo da 250 mila euro con Rousseau). I parlamentari vogliono che l'ex premier si esprima in maniera chiara. Ogni posizione rischia però di scontentare una fazione».
Giuseppe Conte, intanto, si è visto a pranzo con Goffredo Bettini, stratega del Pd. Lo racconta un retroscena di Federico Capurso per La Stampa:
«Ci sono due anime, nei nostri partiti. Si dovrà trovare un equilibrio». L'argomento viene sollevato, non senza una nota di preoccupazione nella voce, al tavolo di un ristorante nel centro di Roma dal Dem Goffredo Bettini, il grande tessitore dell'alleanza con i Cinque stelle. Seduto di fronte a lui, ad ascoltarlo, c'è Giuseppe Conte, il capo in pectore dei grillini. Il rapporto tra i due è saldo, tanto che nei mesi scorsi, quando l'ex premier si lamentava di non riuscire a completare la nuova Carta dei valori del M5S, Bettini gli avrebbe persino proposto: «Ti aiuto io a scriverla». Il problema però, in questo momento, riguarda la pacificazione da ottenere nei loro partiti. Il Movimento è spaccato tra i "contiani" e i parlamentari ancora fedeli a Luigi Di Maio. Se Conte ora punta al Nord, trasformando i Cinque stelle in un partito «riformista che parla alle imprese, ai giovani, alle famiglie», l'impressione al tavolo è che Di Maio possa avere progetti diversi, costruendo una sua corrente a trazione meridionale: un Movimento del Sud dentro il Movimento di Conte. Due visioni che potrebbero coesistere, come si augura Conte, ma anche deflagrare. Lo stesso rischio che corre il Pd, diviso tra l'anima «bianca», centrista e cattolica, e l'anima degli ex Ds. «Se ci spostiamo a sinistra - è in sintesi il ragionamento di Bettini -, potrebbero però esserci delle spinte interne difficili da governare».
I MINORI SFRUTTATI NEL MONDO
L’agenzia Onu per il lavoro e l’Unicef denunciano un fenomeno inquietante, cui Avvenire dedica l’apertura del giornale: lo sfruttamento dei minori. 160 milioni nel mondo. Letizia Tortello su La Stampa:
«Archie si sveglia ogni mattina alle 5, si veste e fa colazione, prima di andare a piedi al lavoro. Ha 7 anni e non ha tempo di giocare. Condivide il nome con il figlio dei duchi di Sussex, ma la sua infanzia è ben diversa: è un minatore. Le sue gambe smilze e le sue mani già forti vengono sfruttate per scavare e cercare alla cieca l'oro in un pozzo sotterraneo in Burkina Faso. Respira attraverso un tubo attaccato a un compressore. Va avanti per dieci o dodici ore, su e giù dal giacimento. È uno dei 160 milioni di minori nel mondo vittime di sfruttamento, costretti a rischiare la vita per permettere alla propria famiglia di sopravvivere. Presi tutti i giovanissimi della Terra, uno su dieci ha in sorte questo destino: 63 milioni di ragazze, più dell'Italia intera, e 97 milioni di ragazzi. Lo racconta un report pubblicato insieme dall'Ilo (International Labour Organization, l'agenzia Onu per il Lavoro) e dall'Unicef, il più drammatico degli ultimi vent' anni, perché per la prima volta i dati sono in peggioramento. La pandemia ha ricacciato nel baratro un trend che stava migliorando: il numero dei bimbi schiavi del lavoro è cresciuto di 8 milioni di individui tra i 5 e i 17 anni, dal 2016. Sono ingranaggi «necessari» nelle economie di molti Paesi dell'Africa subsahariana, dell'Asia e dell'America Latina. E non si parla solo degli Stati più poveri del globo: un esempio per tutti è la Cina, ma anche Perù ed Egitto. Il dato più impressionante, però, è proprio a Sud del Sahara: la maxi regione conta più lavoratori minori che tutto il resto del mondo. Obbligati a sporcarsi le mani nei campi, nelle cave, nelle fabbriche, a setacciare e lavare il cobalto senza mascherine e senza guanti, esposti ad un elevato rischio di malattie. Sono 87 milioni, il 24% della popolazione di quell'età. Mentre in Asia e in Sudamerica, le iniziative al contrasto della povertà, quelle educative e gli aiuti ai governi hanno prodotto risultati significativi».
“VOGLIO ESSERE UN PONTE”, PARLA MANSOUR ABBAS DI RA’AM
Repubblica con Sharon Nizza ha intervistato il leader del partito arabo che entra, ed è un fatto storico, nella maggioranza del nuovo governo israeliano. Governo che dovrebbe partire domenica.
«È stato definito l'ago della bilancia, l'islamista enigmatico che non esclude nessuna alleanza; in due anni di carriera parlamentare, ha creato un rapporto diretto con Netanyahu, per essere poi l'uomo chiave, con i 4 seggi del suo partito Ra' am, grazie a cui domenica la nuova coalizione si presenterà alla Knesset per chiedere la fiducia e mandare il mago della politica israeliana all'opposizione, dopo 12 anni. Mansour Abbas sente la responsabilità. «Non è stato facile arrivare a questo momento. Ed è solo l'inizio». Lo incontriamo nel villaggio di Cana in Galilea, dove il Movimento Islamico di cui è vicepresidente ha oggi una forte rappresentanza. Cosa vi spinge? «Influenzare le decisioni governative sugli argomenti critici per cui i cittadini arabi ci hanno dato mandato di agire: criminalità, penuria abitativa, educazione, disoccupazione». Quali sono i timori? «Ci saranno decisioni difficili da prendere, anche di sicurezza. Dobbiamo giostrarci tra la nostra identità di arabi palestinesi e cittadini dello Stato d'Israele, tra aspetto civile e nazionalistico». Cosa succederà nel caso di una nuova crisi con Gaza? «Prima o poi ci troveremo di fronte a questi dilemmi. Ora, il nostro obiettivo primario è costruire un modello di cooperazione civile e politica arabo-ebraica all'interno dello Stato d'Israele. Se riusciremo, si rifletterà anche sulle relazioni con i palestinesi. Il cambiamento di governo qui e negli Usa può aprire una nuova pagina, anche i palestinesi devono fare le elezioni e arrivare a una soluzione della rottura interna tra Gaza e Cisgiordania. Vorremmo essere un ponte: se riusciamo all'interno d'Israele a creare un modello basato su collaborazione, tolleranza, rispetto, una visione di pace e sicurezza reciproca, questo si proietterà anche su altri fronti (…) C'è chi vi attacca da destra sostenendo che è una strategia dell'islam politico: inserirsi nelle istituzioni per cancellare il carattere ebraico e democratico dello Stato. «La maggioranza qui ha stabilito che è uno Stato ebraico e democratico. Con il nostro sostegno alla coalizione veniamo a verificare proprio questo: che con il carattere ebraico si intenda l'applicazione dei valori umanistici dell'ebraismo, per cui lo Stato si prende cura di tutti i cittadini, della loro sicurezza, dell'educazione. Il nostro obiettivo è creare un modello di convivenza tra arabi ed ebrei che possa trovare compromessi tra gli interessi civili, nazionalisti e religiosi. Non metto in questione l'identità dello Stato, il banco di prova è promuovere i miei diritti civili in maniera pragmatica». Intende che la fondazione dello Stato d'Israele è una ingiustizia con la quale siete disposti a scendere a compromessi? «Voglio dire che possiamo scegliere: rimanere arroccati nelle ostilità o guardare al futuro. So che molti ebrei si chiedono se Mansour parla sinceramente. Mi sono detto: l'obiettivo è quello della convivenza, non buttare gli ebrei a mare o gli arabi aldilà del Giordano. Come arrivarci: basandoci sui valori comuni condivisi dalle tre religioni monoteistiche».
IL PAPA RESPINGE LE DIMISSIONI DI MARX
Il Papa ha respinto le dimissioni che gli aveva presentato il cardinale tedesco Marx, scrivendo a sua volta una lettera “accorata”, chiedendo obbedienza. Gianni Cardinale per Avvenire.
«Papa Francesco ha respinto le dimissioni presentate dal cardinale Reinhard Marx e gli ha chiesto di rimanere alla guida dell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga. Lo ha fatto al termine di una accorata lettera autografa scritta ieri in spagnolo e subito diffusa, anche in una traduzione in lingua tedesca e italiana, dalla Sala Stampa vaticana. Il cardinale Marx lo scorso 21 maggio aveva scritto una lettera - resa pubblica, anche in italiano ed inglese, il 4 giugno - spiegando le ragioni del suo gesto come risposta alla crisi degli abusi che a suo dire chiederebbe una profonda riforma nella Chiesa anche per la risposta insufficiente dell'episcopato. (…) Papa Francesco in conclusione della sua lettera ha scritto: «Questa è la mia risposta, caro fratello. Continua quanto ti proponi, ma come arcivescovo di Monaco e Frisinga. «E - ha aggiunto - se ti viene la tentazione di pensare che, nel confermare la tua missione e nel non accettare la tua rinuncia, questo Vescovo di Roma (fratello tuo che ti vuole bene) non ti capisce, pensa a quello che sentì Pietro davanti al Signore quando, a modo suo, gli presentò la rinuncia: "allontanati da me che sono un peccatore", e ascolta la risposta: "pasci le mie pecorelle"». Nella sua lettera Francesco afferma di condividere la descrizione della crisi proposta dalla lettera di Marx: «Sono d'accordo con te nel definire catastrofe la triste storia degli abusi sessuali e il modo di affrontarla che ha adottato la Chiesa fino a poco tempo fa». Infatti «rendersi conto di questa ipocrisia nel modo di vivere la fede è una grazia, è un primo passo che dobbiamo compiere». E «dobbiamo farci carico della storia, sia personalmente sia comunitariamente». Perché «non si può rimanere indifferenti dinanzi a questo crimine». Il Papa non tocca la questione del cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa tedesca. Comunque sottolinea che oggi «ci viene chiesta una riforma, che - in questo caso - non consiste in parole, ma in atteggiamenti che abbiano il coraggio di entrare in crisi, di accettare la realtà qualunque sia la conseguenza». Perché «ogni riforma comincia da sé stessi». E la riforma nella Chiesa «l'hanno fatta uomini e donne che non hanno avuto paura di entrare in crisi e lasciarsi riformare dal Signore». Questo, afferma Francesco, «è l'unico cammino, altrimenti non saremo altro che "ideologi di riforme" che non mettono in gioco la propria carne». Il Signore, sottolinea Francesco, «non ha mai accettato di fare la "riforma" (mi si permetta l'espressione) né con il progetto fariseo, né con quello sadduceo o zelota o esseno», ma «l'ha fatta con la sua vita, con la sua storia, con la sua carne sulla croce». E questo, riconosce il Papa rivolgendosi a Marx «è il cammino, quello che tu, caro fratello, accetti nel presentare la rinuncia», perché come «dici bene nella tua lettera», seppellire il passato «non ci porta a nulla». Anzi, «i silenzi, le omissioni, il dare troppo peso al prestigio delle istituzioni conducono solo al fallimento personale e storico».
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