IL PRIMO LUNEDÌ DI DRAGHI
IL VIRUS BLOCCA LO SCI. GRANDI POLEMICHE
IL VERO LUNEDÌ È QUELLO DEL VIRUS
Il virus con le sue varianti e soprattutto la curva che cambia aspetto di colpo andando verso l’alto, almeno nelle previsioni, riportano i giornali di questa mattina dal Palazzo alla realtà. Speranza ha dovuto cambiare all’ultimo le disposizioni sulle riaperture degli impianti sciistici, troppo preoccupanti i dati. Suscitando una mezza rivolta di Presidenti di Regioni e di operatori turistici della montagna. C’è ancora molto governo Draghi, ovviamente, ma è come se la natura riservata del nuovo Presidente del Consiglio si incontrasse con le circostanze reali e la combinazione traesse questo effetto di brusco risveglio. Dall’altra parte l’altro Presidente, Giuseppe Conte, continua ad essere celebrato nel suo commiato finale. Draghi non va sui social, Conte ottiene un numero record di like, circostanza su cui tornano Fatto e Corriere. Il vero uomo della Provvidenza era Giuseppi e ce lo siamo lasciato sfuggire?
LE PRIME PAGINE
I titoli dei quotidiani rispettano le diverse scelte dei direttori. Non c’è un tema chiaro per tutti, ma certo lo sci e i nodi del Governo stanno in evidenza. Per il Corriere della Sera «Il primo scontro è sullo sci». Mentre Il Messaggero prende le parti dei virologi: «Lockdown per un mese, questo governo ci ascolti». Il Fatto ricorda il maldipancia grillino mischiandolo all’emergenza virus: «Covid, i Migliori già litigano / Crescono i no 5 Stelle e LeU». Libero e La Verità si concentrano contro Arcuri, il commissario controverso nominato da Conte: «Moratti pronta a vaccinare / ma Arcuri è un freno a tutto», scrive Feltri mentre Belpietro usa la cortesia: «È il momento di cacciare Arcuri». «Per La Repubblica Virus, allarme varianti / Il governo non riapre lo sci», mentre per La Stampa sono «Virus e lavoro, primi nodi per Draghi». Per il Quotidiano Nazionale c’è una novità sul campo: «Vaccini, arriva la Protezione civile». Il Giornale: «Caos Covid. Falsa partenza».
COL VIRUS TORNANO I VIROLOGI
Molto spazio alle proteste, sia in montagna che ad esempio in Liguria, coi ristoranti che aprono nonostante i divieti. Le foto delle piazze e delle vie affollate. I dati però parlano chiaro e sono concordi: gli esperti più preoccupati invocano addirittura il “lockdown generalizzato”. Al Corriere della Sera parla Giorgio Palù presidente dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco:
«Le tre varianti che stanno circolando nel mondo, l'inglese, sudafricana e brasiliana, rendono il Sars-CoV-2 più contagioso e quindi aumentano il rischio di ricoveri in ospedale e di decessi. La preoccupazione non si può negare. Però ripeto, per tenere sotto controllo le varianti, a cominciare da quella inglese, più diffusa in Italia, servono le stesse precauzioni e le stesse misure utilizzate per il ceppo originario di Wuhan, la città cinese dove la pandemia è nata». Contrario alle riaperture? «Sì. Mi dispiace dirlo, anche gli impianti sciistici potrebbero costituire un rischio». E le scuole? «Sappiamo da 4-5 studi che l'infezione, a prescindere dalle mutazioni, ha una certa prevalenza tra 12-19 anni e poi tra 19 e 50 anni. Quindi andrei cauto con la ripresa di scuole superiori e università. Sarebbe ideale poter spostare il calendario in avanti, quando il quadro sarà migliore».
Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia a Padova interviene dalle colonne de La Stampa:
«Dove si trovano le varianti brasiliana e sudafricana servono lockdown stile Codogno, non le zone rosse che sono troppo morbide». E dove non si trovano rinuncerebbe ai colori graduali? «Molto dipenderà dalla dinamica del contagio, ma se va come all'estero ci sarà un'impennata importante a fine febbraio». Per questo gli altri Paesi sono prudenti? «La Germania continua il lockdown, la Francia pure, l'Inghilterra anche, solo noi pensiamo a sciare e a mangiar fuori. Tutti vogliamo una vita normale, ma non si realizza se non si controlla la pandemia».
GLI APPLAUSI A CONTE. FATTO ECCEZIONALE O NO?
«A riportarci alla politica ci pensano le riflessioni che ancora si affacciano sul sabato 13 febbraio che ha segnato il cambio da Conte a Draghi. Nel cortile di Palazzo Chigi. Il Fatto, giornale tornato d’opposizione, guidato da Marco Travaglio, propone un pezzo di Tommaso Rodano che celebra l’addio di Conte con applausi e soprattutto il suo successo social. Dunque articolo pieno di termini inglesi, che sembra scritto in qualche ufficio studi sul web, senza scomodare la Casaleggio associati. Alto Draghi? Macché il vero alto è Conte, altissimo nella popolarità, mai nessuno alto come lui.
«I "mi piace" non sono voti e la popolarità social non è sempre sinonimo di consenso politico. Ma dal punto di vista strettamente statistico quello pubblicato sabato dall'ex premier è il messaggio di maggior successo nella storia della politica italiana su Facebook, con notevole distacco sugli altri. Nessuno aveva nemmeno sfiorato cifre di questa entità. (…) Conte esce da Palazzo Chigi quindi non solo con buoni indici di popolarità nei sondaggi ma raggiungendo il livello di efficacia comunicativa più alta sulle piattaforme digitali. Paradossalmente a sostituirlo alla presidenza c'è un personaggio pubblico che non ha mai frequentato nemmeno una piattaforma social in vita sua, come Mario Draghi: d'altra parte lo stesso Conte ha aperto Facebook e gli altri account all'inizio del suo mandato, due anni e mezzo fa. Oggi il politico con il pubblico più ampio su Facebook è ancora Matteo Salvini (4,4 milioni di followers, quelli di Conte sono 3,7) ma il leader leghista e la sua tanto declamata "Bestia" non si sono mai neppure avvicinati a questo livello di traffico sui contenuti, nonostante uno stile molto più aggressivo e spregiudicato. Cosa farà Conte con questo bottino di consenso virtuale e con il suo corrispettivo reale non è ancora chiaro, di certo suona ancora come una beffa e una rara anomalia la destituzione di un presidente del Coniglio che godeva ancora di eccellente "salute" politica».
A questo punto il Corriere della Sera intervista Rocco Casalino, abile regista della cerimonia degli addii e anche personalmente in lacrime, emozionato in quel frangente:
«E ora come pensa di salvare il soldato Giuseppi? «Io saprei come farlo. Il grande dubbio è cosa vuole fare lui. Credo sia una risorsa importantissima per il M5S, ma questo è un mio desiderio personale. La scelta tocca a lui e al Movimento». È Di Maio l'ostacolo alla leadership di Conte? «Un dualismo molto alimentato da altri, perché sono sempre andati d'amore e d'accordo. Ora è importante capire cosa accadrà con una leadership a cinque che cambia tutto». Conte farà un partito? «Non so cosa farà Conte, ma mi auguro che la sua strada si intersechi con quella del Movimento». Continuerà a curare la comunicazione dell'ex premier o punta davvero a fare un giorno il ministro? «Io sono un attivista del M5S, sto valutando cosa fare e mi serve un po' di tempo per riprendermi. Con Conte continuiamo a sentirci, non ci siamo lasciati come se qualcosa fosse finito. Questa è la legislatura che ha sottovalutato Conte. Ha peculiarità straordinarie. Con lui in una campagna elettorale si possono fare cose incredibili». Quali peculiarità? «È una persona vera, ci mette la faccia. Ha avuto il coraggio di affrontare migliaia di operai arrabbiati all'Ilva di Taranto. È andato a trattare a Bruxelles ed è stato un numero uno, ottenendo il risultato migliore di tutti. Una macchina da guerra, uno stakanovista assoluto, capace di lavorare 18 ore». Ora cambierà tutto, Draghi ha imposto che a parlare siano i fatti. «Buoni propositi che aveva anche Conte. Non credo nei Cdm segreti, come sosteneva Gianroberto Casaleggio "se siamo in tre, due sono già di troppo". Noi ci raccomandavamo di non far uscire i Dpcm, ma come li mandavamo ai ministeri e ai vari uffici, venivano resi pubblici. L'ho vissuto sulla mia pelle, accusato di dare ai giornalisti veline e notizie. Vedrete, anche con Draghi uscirà tutto».
A fare da controcanto alla celebrazione della grande popolarità di Conte ci pensa Sebastiano Messina su Repubblica. Che fa una rassegna stampa perfida “diacronica”. Va infatti indietro nel tempo a cercare gli articoli sugli altri addii dei Presidenti del Consiglio uscenti. Quello di Prodi, di Berlusconi, di Letta, persino di Renzi. Tutte le volte applausi e commozioni e conclude maligno:
«Con la stessa puntualità del miracolo di San Gennaro, il sorprendente prodigio del battimani nel cortile si ripete nel preciso momento in cui un presidente del Consiglio scende le scale per l'ultima volta. Ma il fatto davvero più straordinario è che ogni volta, puntualmente, c'è qualcuno che commenta: «Mai vista una cosa del genere».
PARLANO I MINISTRI
A confermare le previsioni di Rocco Casalino sulla difficoltà di mantenere riservatezza, ecco due interviste di due Ministri su Repubblica. Parla Elena Bonetti, parità e famiglia, che interviene sulla grande delusione a sinistra perché non ci sono donne del Pd nel Governo.
«Ministra Bonetti, se l'aspettava che la prima grana del governo Draghi fossero le donne: troppo poche in squadra? «Ho conosciuto la sensibilità del premier Draghi e sono certa promuoverà il protagonismo femminile, come del resto il presidente Mattarella ha sempre raccomandato. In questo governo ci sono donne di altissimo profilo. Cito ad esempio, le figure istituzionali e tecniche, come Marta Cartabia, Maria Cristina Messa, Luciana Lamorgese. Aggiungo però: non è la composizione di questo governo a dire che c'è un problema di rappresentanza femminile nella nostra società. Questa disparità è una evidenza che riguarda tutti i settori. Le donne devono esserci di più in tutti gli ambiti lavorativi, istituzionali e politici»
E Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione, cui si chiede subito della Maturità.
«La prima impressione? «Il lavoro è tanto e bisogna farlo in fretta. Bisogna dare certezze agli studenti, ai docenti. La mole un po' mi spaventa. Non sono abituato, arrivato a quasi 69 anni, a vivere lontano da casa tutta la settimana. Sarà un'esperienza stancante. Una cosa è certa, però: comunicheremo le cose quando avremo raggiunto un risultato e il risultato lo raggiungeremo studiando». Ci sono questioni da decidere subito. Siamo a metà febbraio e i maturandi attendono di sapere come sarà il loro Esame di Stato. «In settimana decidiamo, ho ben presente il bisogno di informazione sulla Maturità».
I GRILLINI E IL NO AL GOVERNO
Marco Imarisio sul Corriere propone un interessante viaggio nel maldipancia pentastellato:
«Il viaggio negli umori della base pentastellata è un compito facile e improbo al tempo stesso. Il sottogenere giornalistico risale ai tempi del Pci-Pds, o della Democrazia cristiana, quando ancora esistevano le sezioni e i circoli. Peccato che non sia mai esistito un luogo fisico della discussione per il M5S, a ben vedere neppure virtuale, ma questa è un'altra storia. Non che ne abbondino gli altri partiti, anzi. Ma per i Cinque Stelle l'immaterialità è sempre stata un segno distintivo, rivendicato con un certo orgoglio. In questo frangente si rivela un limite per i molti, diciamo otto su dieci a essere generosi, che contestano, e uno scudo per chi ha imposto decisioni alquanto indigeste a chi sta sul territorio e ancora ha una visione idealizzata del M5S. Al reggente di lunga scadenza Crimi tocca al solito la parte del punching ball , forse in virtù del suo scarso carisma. Andando alla fonte principale, ovvero il Blog delle Stelle, come è noto il blog di Beppe Grillo è chiuso ai commenti, la sostanza del malessere si attenua ma non cambia. Chiamiamola pure spaccatura, perché ci sono anche commenti di incoraggiamento, di comprensione della difficoltà attuale. (…) Neppure Luigi Di Maio si salva dalla fustigazione collettiva. La sua pagina Facebook, da tempo rimpolpata da commenti di account ricorrenti e osannanti a ogni post del vecchio e nuovo ministro degli Esteri, questa volta non scampa al sarcasmo dei militanti. L'ultimo messaggio, che presenta la squadra di governo pentastellata, è un florilegio di improperi. «Una squadra che ha lottato per i propri interessi e tu per primo. Venduti». Al punto che qualcuno interviene per mitigare la pioggia di «Vaffa», chiedendo ai partecipanti di non essere troppo severi. Quando si dice la nemesi».
LA VERA PARTITA DI DRAGHI
Fra le varie analisi, in attesa del programma che il nuovo Presidente del Consiglio deve presentare mercoledì in Parlamento, spiccano un commento e un retroscena sulla “moratoria fra i partiti”. Lucio Caracciolo, molto autorevole direttore di Limes, su La Stampa, disegna finalmente il quadro geo politico nel quale si inscrive questo esecutivo:
«Se Draghi fallirà, fallirà l'Italia. Se riuscirà, avremo un'altra repubblica. Presidenziale di fatto se non di diritto, perché la selezione dei ministri di questo esecutivo è funzionale al trasferimento di Draghi al Quirinale. Scopo di questo governo è impedire la morte dell'Italia. In senso stretto. Abbiamo qualche mese di tempo per rimettere in moto l'economia e limitare le ricadute sociali e soprattutto culturali della crisi sanitaria sfruttando al meglio i fondi straordinari europei. (…)Draghi è il solo leader italiano riconosciuto per tale nel mondo. Perché si è dimostrato, da supertecnico gestore della Banca centrale europea, politico finissimo. "Marchio" internazionale. La sua non spontanea discesa alla guida del governo ci garantirà qualche mese di respiro. Se non sapremo usarli verremo accomodati dietro la lavagna. Ridotti a mero oggetto geopolitico. Terra di nessuno. Cioè di tutti. Landa inerte, sfrangiata. Con il Nord officina (franco) tedesca e il Sud avanguardia del caos africano. La fine della Prima Repubblica si svelerebbe inizio del dissolvimento dello Stato unitario. Ciò che nessuno, nel sistema euroatlantico, vuole.»
Francesco Verderami sul Corriere vede già nelle fibrillazioni di ieri su sci e virus il terreno su cui dovrà giocare sempre questo nuovo Governo:
«Serve una moratoria tra partiti. Non basta votare la fiducia al governo e sedere in Consiglio dei ministri, se poi forze politiche fino a ieri avversarie e oggi alleate non sottoscrivono una tregua che garantisca una rotta senza scogli all'esecutivo. Dentro e fuori il Parlamento. Perciò non era un'ovvietà la richiesta che faceva Mario Draghi durante le consultazioni, quando da premier incaricato includeva questa condizione ai leader che gli comunicavano il loro appoggio. Riscrivere il Recovery plan sarebbe stato facile. È sul resto che prevedeva una navigazione più complicata. (…) Così ritorna il tema della moratoria, chiesta dal premier quando era solo incaricato: l'unica soluzione possibile sarà trovare un compromesso tra le forze della grande coalizione sull'adozione di un metodo di lavoro condiviso. Su questo, si potrà saggiare la volontà dei partiti di sostenere davvero il lavoro di Draghi. Si potrà cioè capire fino a che punto reggerà un'intesa, accettata da tutti più per costrizione che per convinzione. La breve discussione che si è aperta l'altro ieri sull'argomento, durante la prima riunione del governo, ha portato subito a scartare l'ipotesi che si possa applicare una soluzione verticistica, facendo precipitare in Parlamento i provvedimenti dopo l'accordo raggiunto in Consiglio dei ministri. Piuttosto si sta studiando una strada diversa, più faticosa ma più utile. L'opera preparatoria per trovare un compromesso sarà affidata ai ministri che rappresentano i partiti nel governo. E insieme a loro sarà fondamentale il lavoro dei capigruppo della larga maggioranza, che già sanno (e dicono) di doversi trasformare in «pompieri e pontieri». È necessario che la camera di compensazione abbia formalmente un profilo parlamentare, perché sarebbe impensabile la convocazione ufficiale a Palazzo Chigi di vertici tra capi di partito. Ma i contatti riservati dei leader con il presidente del Consiglio - come racconta una fonte autorevole - sono iniziati e sono destinati a intensificarsi: sui temi più complicati sarà inevitabile. D'altronde senza una moratoria tra partiti e senza «pompieri e pontieri», in Parlamento si correrebbe il rischio di assistere a votazioni con maggioranze a geometrie variabili, su cui il governo non potrebbe reggersi. La vicenda di ieri dimostra che va superata rapidamente la fase di rodaggio. E l'accordo sul metodo di lavoro nella coalizione non è questione procedurale: è il cuore dell'accordo politico».