La Versione di Banfi

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Impegnati per la pace

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Papa Leone XIV e Giorgia Meloni si impegnano per la pace e per Gaza. Trump fa slittare l'ultimatum sulla tregua. A Kiev niente missili dagli Usa. Sprint sul fine vita. Becciu, la Chaouqui si difende

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Alessandro Banfi
lug 03, 2025
∙ A pagamento
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Prima visita ufficiale di Giorgia Meloni a papa Leone XIV. La premier italiana, che aveva un ottimo rapporto personale con papa Francesco, ha avuto un colloquio con Prevost, prima di incontrare Paul Richard Gallagher e il cardinal Pietro Parolin nel bilaterale fra governo e Santa Sede. L’impegno comune per la pace è il primo risultato dei «cordiali colloqui», come sono stati definiti ieri nel comunicato della Sala Stampa vaticana, durante i quali «è stato rilevato il comune impegno per la pace in Ucraina e in Medio Oriente e l’assistenza umanitaria a Gaza». Nella versione di Palazzo Chigi il «presidente Meloni ha ribadito l’apprezzamento per l’impegno della Sede Apostolica per la pace in Ucraina, a Gaza e in tutte le aree di crisi», sottolineando la situazione dei cristiani. Meloni infatti «si è soffermata sull’importanza della libertà religiosa e sulla tutela delle comunità cristiane in Medio Oriente, che hanno sofferto le conseguenze delle crisi e dell’instabilità dell’area», dice ancora il comunicato del governo. E poi l’attenzione all’Africa con l’unico riferimento “politico” quando si parla del «piano Mattei», caro al presidente del Consiglio, per descrivere «l’ottima collaborazione con le organizzazioni cattoliche religiose per la cooperazione in Africa». La sintesi vaticana ha anche sottolineato «le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e l’Italia», evidenziando che «ci si è soffermati su alcune questioni afferenti ai rapporti bilaterali, come pure su tematiche d’interesse per la Chiesa e la società italiana».

A proposito di Gaza, Donald Trump ha fatto slittare di una settimana il termine per accettare la tregua proposta ad Israele e ad Hamas. La fazione armata palestinese, che ha ancora in mano degli ostaggi, vivi e morti, vuole delle garanzie sulla fine definitiva della guerra. Ieri il presidente Usa ha commentato: «Non potrà ottenere niente di meglio. Solo peggio». Il cardinal Pierbattista Pizzaballa dice ad Avvenire: «Le parole non riflettono la gravità della situazione sotto ogni punto di vista». E poi aggiunge: «La Cisgiordania ormai è un Far West dove i coloni fanno quel che vogliono. Si sentono così intoccabili da attaccare perfino l’esercito. Alla violenza, poi, si somma la povertà crescente. Anche nei Territori c’è la fame. Non perché manchi il cibo – a differenza della Striscia – ma perché non ci sono i soldi per comprarlo». A proposito di Cisgiordania, Benjamin Netanyahu, che sarà a Washington lunedì, è incalzato dai coloni anche su questo fronte. Lo stesso Likud, e il presidente della Knesset gli chiedono di portare a casa l’annessione della Giudea e Samaria (il nome biblico con cui gli israeliani chiamano la Cisgiordania) prima della fine della sessione politica estiva, il 27 luglio.

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