In fuga da Gaza
Esodo di migliaia di palestinesi verso sud: gli israeliani hanno concesso una finestra di tre ore. Tregua in cambio di ostaggi? La sofferenza dei cristiani. Riforme, scontro Schlein- Meloni
Edizione ridotta oggi della Versione, con il link finale ai pdf degli articoli. Ci scusiamo per il disagio con gli abbonati.
Un esodo a piedi, con le poche cose raccolte all’ultimo. L’esercito israeliano ha concesso ieri tre ore agli abitanti di Gaza City e del Nord della Striscia per abbandonare tutto e andare verso sud (Vedi Foto del Giorno). Sono circa una ventina i chilometri da percorrere. Per fare 6 km all’ora ci vuole un buon passo. Scrive oggi Domenico Quirico sulla Stampa: “È la guerra che si rivela in questo lungo serpente di uomini. La guerra non quella dei libri e dei film ma quella vera nel suo aspetto brutale, senza diritti, regole, proibizioni. Questa gente ha passato settimane rannicchiata tra le case distrutte, sotto il tiro di aerei e cannoni (…) Se avessero tempo ci griderebbero, a noi che li guardiamo passare: non c'è nulla che possiate fare per noi, perché venite a spiarci, a guardarci camminare, a contarci come se fossimo armenti? Statevene nel vostro mondo perfetto, non vogliamo né la vostra comprensione né la nostra pietà”.
La buona notizia è che mentre l’esodo dei disperati avveniva, è aumentato il pressing internazionale per una tregua in cambio del rilascio di ostaggi. È il Qatar, da anni sostenitore di Hamas (“ogni mese l’ambasciatore consegnava ad Hamas le valigie piene di dollari con il beneplacito di Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano”, scrive oggi Davide Frattini sul Corriere) che sta conducendo la mediazione. Gli ostaggi pronti al rilascio potrebbero essere una dozzina, di cui sei americani. La tregua sarebbe una boccata d’ossigeno.
In un’intervista all’Avvenire padre Francesco Patton, francescano Custode di Terra Santa, appena arrivato in Italia da Gerusalemme, rilancia l’idea di un negoziato per i “due popoli, due Stati”. E dice: “Per i cristiani che vivono a Gaza la preoccupazione maggiore è di rimanere vivi! Per la comunità in Cisgiordania sotto l’Anp di poter vivere in pace dentro una società a maggioranza musulmana e di poter vivere con dignità del proprio lavoro. A Betlemme, ad esempio, tutti vivono dell’indotto dei pellegrinaggi ma in questo momento la città è vuota. È una preoccupazione economica molto concreta: portare a casa il pane, pagare la retta scolastica, garantirsi una assistenza sanitaria. C’è poi la comunità cristiana in Israele: la preoccupazione è di sentirsi in qualche modo rifiutati dalla società israeliana”.
Per la seconda volta dal 7 ottobre, il quotidiano progressista israeliano Haaretz chiede le dimissioni del primo ministro Benjamin Netanyahu. Il giornale di Tel Aviv, noto per la sua linea anti insediamenti ebraici in Cisgiordania e a favore della soluzione “dei due Stati”, molto letto all’estero, nell’editoriale insiste: “Devi dimetterti, Netanyahu”.
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