Israele “dal fiume al mare”
Netanyahu è speculare ad Hamas: niente palestinesi. Usa in affanno mentre gli arabi pensano ad un piano. Esercitazione Nato per l'Ucraina. Sì al saluto romano "commemorativo". Bauman postumo
Ancora per oggi edizione ridotta della Versione di Banfi. Alla fine di questa introduzione, della Foto del Giorno e dei titoli dei quotidiani, trovate direttamente il link degli articoli scelti in pdf. Come sempre, non tutti gli articoli riportati integralmente saranno citati, ma sono comunque quelli ritenuti i più importanti della giornata. Buona lettura e scusate per il disservizio.
C’è un piano arabo titola oggi in prima pagina il Financial Times: alcuni Stati stanno lavorando per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza e al rilascio di tutti gli ostaggi. A Israele verrebbe offerta una normalizzazione dei rapporti diplomatici in cambio di “passi irreversibili” verso la nascita di uno Stato palestinese. Parlando al World Economic Forum di Davos il presidente israeliano Isaac Herzog ha però detto che il Paese in questo momento non può pensare a un processo di pace con i palestinesi, sottolineando invece che la normalizzazione dei legami tra Israele e Arabia Saudita è un elemento chiave per porre fine alla guerra. La resistenza israeliana all’idea di uno stato palestinese, esplicitata dal presidente al Forum, è anche frutto della continua accelerazione del premier israeliano. Oggi diversi giornali tematizzano lo scontro Usa-Israele sul merito.
Se Hamas nega l’esistenza di Israele, ripetendo, come da suo statuto, che la Palestina è “dal mare al fiume”, ieri Benjamin Netanyahu ha sottolineato che ogni insediamento ebraico avrà il controllo di sicurezza dell’esercito israeliano dal Giordano al Mediterraneo. Ha detto “Bibi” in tv: «In futuro lo Stato di Israele deve avere il controllo dell’intera area, dal fiume al mare». Una posizione simmetricamente identica e opposta a quella degli islamisti: ancora una volta Hamas e il governo estremista israeliano hanno lo stesso orizzonte. È questa posizione radicale che mette in crisi la presidenza di Joe Biden. Il presidente Usa dà l’impressione di tentennare, di criticare a parole Tel Aviv ma non di non essere in grado, o di non volere, fare di più.
Intanto il contagio della guerra è inevitabile. La Cina si è offerta di fare da mediatrice tra Iran e Pakistan dopo lo scambio di raid missilistici degli scorsi giorni: l’ultima reazione pachistana nel sud-est del Paese confinante ha provocato almeno 11 vittime. Nel sud della Striscia di Gaza un attacco aereo israeliano contro un’abitazione avrebbe ucciso 16 persone, tra cui dei bambini, nella città di Rafah. Le forze israeliane avrebbero bombardato anche a Khan Younis, nelle aree vicine al più grande ospedale ancora funzionante nella Striscia. Il delegato della Custodia di Terra Santa Padre Francesco Ielpo, frate francescano dice al Sole 24 Ore: «A Gaza l’80% delle abitazioni è stata distrutta o non è agibile, manca tutto il necessario, le persone fanno anche 15 ore di coda per prendere un poco di pane, manca l’acqua, le razioni di acqua non bastano per tutti, la situazione sanitaria è ben nota. Manca veramente tutto, è una situazione molto drammatica».
Riccardo Redaelli firma un editoriale su Avvenire che mette insieme “le faglie di guerra che si avvicinano”. Scrive tra l’altro: «Il rischio è che le diverse tessere del puzzle dei conflitti di questa guerra mondiale a pezzi tendano a compattarsi: nonostante praticamente tutti gli attori regionali e internazionali non lo vogliano, lo scivolamento verso una lettura unitaria delle tensioni sembra sempre più forte».
Se volete continuare a leggere, potete iscrivervi subito e SE NON SIETE GIÀ ABBONATI, cliccate su questo pulsante verde: