La Versione di Banfi

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La nuova guerra fredda

alessandrobanfi.substack.com

La nuova guerra fredda

Al G7 Biden ingaggia un confronto molto duro con la Cina. Poco coraggio sui vaccini nel mondo. Dopo il caso AZ, gli italiani apprezzano Figliuolo e non gli scienziati. Pd in testa nei sondaggi

Alessandro Banfi
Jun 13, 2021
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La nuova guerra fredda

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Prima buona notizia: la campagna vaccinale va avanti, nonostante la bufera su AstraZeneca degli ultimi giorni. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 502 mila 425 somministrazioni di vaccini. La media della settimana, che si conclude oggi, è di 519 mila 200 vaccini iniettati ogni 24 ore, il dato migliore dall’inizio della pandemia. Gli italiani apprezzano lo sforzo organizzativo e vogliono essere vaccinati. Lo dicono anche i sondaggi: il gradimento su questo punto è al 70 per cento. Pochissima popolarità, nello stesso sondaggio, invece sulla comunicazione scientifica. Lo scaricabarile fra istituzioni mette a disagio. Le indicazioni di Ema e Ministero della Salute a favore di AstraZeneca fin dalla fine di aprile, e ribadite il 12 maggio con una comunicazione ufficiale, sono agli atti. Ma certo non tutti si sono comportati allo stesso modo: Liguria, Lazio, Campania, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Puglia hanno spinto con gli open Astra day, dedicati ai giovani. Ha tuttavia ragione l’Assessore D’Amato del Lazio quando sostiene che è fondamentale il colloquio del medico vaccinatore sull’anamnesi del paziente. Chi si è già vaccinato nel Lazio ha potuto constatarlo di persona. Seconda buona notizia: da domani quasi tutta l’Italia è in bianco e quindi senza alcun coprifuoco. C’è la possibilità che il turismo riparta in modo serio. Anche per questo non possiamo permetterci che cali il ritmo delle vaccinazioni.

Si conclude oggi la riunione dei Sette Grandi in Cornovaglia. C’è stato poco “coraggio” proprio sulla distribuzione mondiale dei vaccini, sostiene Avvenire. La frenata europea sulla sospensione dei brevetti ha pesato molto. Ma il tema che Biden ha rilanciato è quello della “guerra fredda” con la Cina, come l’ha chiamata Repubblica. Tema che rischia di fare da spartiacque politico-diplomatico nei prossimi anni, anche in un Paese come l’Italia che nel primo e secondo governo Conte ha promosso una relazione speciale con Pechino. Sempre sul fronte internazionale, oggi è il giorno della fiducia al nuovo Governo israeliano, mentre preoccupa la linea tedesca sui migranti rispediti in Italia.

Tre novità nella politica italiana: il Pd torna il primo partito nei sondaggi. Nei 5 Stelle, Casaleggio attacca duramente Conte sul rispetto dei principi democratici e sul doppio mandato. Il centro destra decide per il candidato in Calabria, rinvia invece ancora per il candidato sindaco a Milano.

Interessanti gli articoli di Doninelli sul Giornale e sull’inserto di cultura del Sole 24 Ore su psicologia e politicamente corretto. Il Papa benedice il cammino della Macerata-Loreto. Vediamo i titoli.  

LE PRIME PAGINE

Su quasi tutte le prime pagine foto e notizie su Christian Eriksen, calciatore danese dell’Inter, che ha avuto un arresto cardiaco sul campo di gioco a Copenaghen nella partita Danimarca- Finlandia. L’hanno salvato e ora sta meglio. Ma i temi delle aperture sono: il vertice dei Sette Grandi e ancora i vaccini. La Repubblica dà molta enfasi a quella che chiama la seconda guerra fredda: Il G7 sfida la Cina. Mentre Avvenire critica la frenata europea sulla sospensione dei brevetti: G7 senza coraggio. Sulla campagna di Figliuolo il Corriere della Sera: «Vaccini, non si rallenta». Per Il Fatto: Cts: “Via pure J&J”. Babele sui richiami. Anche Il Giornale oggi è allarmista: Il vaccino spacca l’Italia. Il Quotidiano Nazionale si focalizza su chi aspetta la seconda dose: AstraZeneca, l’ira dei 900mila. Come il Mattino: Mix di vaccini, Regioni nel caos. La Stampa intervista un responsabile europeo che dice adesso: L’Ema: AstraZeneca non serve più. La Verità, con una scelta non proprio originale, chiede le dimissioni di Speranza: Abbiamo un milione di cavie. Il Messaggero pensa invece al turismo, che riparte e a chi deve garantire la sicurezza: Green pass, il controllo ai privati. Il Sole 24 Ore sottolinea l’aumento delle materie prime e le cifre di Usa e Cina: Allarme inflazione sulla ripresa. Libero sceglie ancora la politica, parlando di sondaggi dei partiti: La Meloni supera Salvini. Il Domani propone un focus: Il grande silenzio sul top manager all’opera intorno al processo Ilva. Il Manifesto sottolinea le proteste di questi giorni sulla risorsa idrica come bene comune: Fuori dall’acqua.

VACCINI ITALIA, LA CAMPAGNA NON SI FERMA

Del caso AstraZeneca e della campagna vaccinale Draghi vuole parlare stamattina in occasione della conferenza stampa alla fine del G7. Prese tutte le precauzioni, non ci si può fermare con la vaccinazione di massa. La cronaca del Corriere.

«Il premier sa che la fase è delicatissima, battute d'arresto non sono consentite se si vuole arrivare a settembre con l'immunità di gregge. Per questo sarà lui a ribadire che «la campagna vaccinale italiana procederà con la stessa intensità di prima, anche con le nuove prescrizioni sull'utilizzo dei vaccini, saremo in grado di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati». È stato proprio Figliuolo a confermare che le consegne sono in regola. «La struttura del commissario prevede che siano disponibili oltre 55 milioni di dosi Pfizer e Moderna tra ora e la fine del terzo trimestre», ripeterà Draghi. Nessun «rallentamento» dunque, ma soprattutto «niente incertezze rispetto alle richieste dei cittadini». L'intervento di Draghi si è reso necessario per il livello di scontro politico e istituzionale raggiunto in Italia nelle ultime ore. La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ha accusato il governo di «creare il panico». Il segretario della Lega, Matteo Salvini, che pure fa parte della maggioranza, ha criticato i passi sin qui compiuti dal ministero della Salute e la situazione di indecisione, dopo la morte di una ragazza di 18 anni, Camilla, parlando addirittura di «ragazzi usati come cavie». Un clima che spaventa Palazzo Chigi, soprattutto per le conseguenze che può avere sui cittadini inevitabilmente disorientati per i continui cambi di rotta sull'utilizzo di AstraZeneca. Gli scienziati sono stati espliciti anche durante l'ultima riunione del Cts: se non vaccineremo la maggioranza degli italiani rischiamo di avere una pericolosa circolazione del virus. Il presidente Draghi vuole che questo messaggio arrivi in maniera forte e chiara ai cittadini e anche per questo ieri mattina - quando la Lombardia ha sospeso le prenotazioni per le seconde dosi a chi aveva ricevuto AstraZeneca in prima dose e ha meno di 60 anni - il ministro della Salute Roberto Speranza si è affrettato a chiamare la vicepresidente della Regione e assessora al Welfare Letizia Moratti ottenendo l'immediata retromarcia. Lo scontro è stato superato, il premier sa bene che il percorso per arrivare all'immunità di gregge è ancora lungo e non privo di ostacoli, ma la linea è tracciata: non possiamo permetterci passi falsi». 

Ieri era intervenuta la Moratti dalle colonne del Corriere, oggi Repubblica intervista l’Assessore alla Salute del Lazio D’Amato.

«Alessio D'Amato, assessore alla Salute del Lazio, è stato un errore fare gli open day con i vaccini a vettore virale per i giovani? «No, è servito comunque a coprire un certo numero di ragazzi con un vaccino approvato per tutti i maggiorenni. E inoltre quegli eventi erano avallati dal Cts con un parere di non molto tempo fa, cioè del 12 maggio. E comunque nel Lazio l'80% dei vaccini di AstraZeneca sono stati somministrati a over 60. I più giovani sono una quota residuale. Ai maturandi ad esempio abbiamo dato Pfizer». Cosa pensa dei rischi legati agli effetti collaterali? «Che bisogna valutare bene le persone prima di somministrare qualunque vaccino. La ragazza ligure, probabilmente, non doveva proprio ricevere la somministrazione. Si tratta di fare bene l'anamnesi, i nostri addetti sono sempre molto scrupolosi». Come ha accolto la circolare del ministero che cambia la vaccinazione con AstraZeneca? «Bisogna che dicano le cose chiaramente. Spesso non succede. Anche nel documento del Cts alla base di quell'atto c'è sempre una forte raccomandazione, non una indicazione precisa. Devono dire sì o no». Il ministero non è stato abbastanza chiaro? «Su AstraZeneca sì, è stato chiaro, anche se ora aspettiamo che si esprima di nuovo l'Aifa. Però nella circolare non si dice niente di Johnson&Johnson, che invece a leggere il parere del Cts sembrerebbe accomunato allo stesso destino dell'altro vaccino a vettore virale. Continuano a fare lo scaricabarile su di noi». Che impatto avranno sulla campagna i cambiamenti? «A giugno noi dobbiamo fare 126 mila somministrazioni di AstraZeneca, 93 mila delle quali riguardano over 60. A luglio i dati sono simili. Rischiamo di avere problemi più avanti. Tutto dipende dall'ultima fornitura di questo mese, se sarà un po' superiore o inferiore al previsto cambieranno le cose in bene o in male». Ci sono stati problemi nel primo giorno di sostituzione del vaccino? «Andiamo avanti regolarmente, abbiamo avuto giornate con molte somministrazioni. Paradossalmente abbiamo però molte richieste di chiarimenti da chi vorrebbe ricevere AstraZeneca anche come seconda dose».

Travaglio vorrebbe mettere sotto accusa Figliuolo, ma gli italiani la pensano all’opposto. Il 70 per cento apprezza infatti la campagna fatta.  Ma solo il 25 per cento ha un buon giudizio sulla comunicazione di scienziati e Cts sull’argomento. Lo spiega bene il sondaggista Antonio Noto per il Quotidiano Nazionale

«Il giudizio su come si sta procedendo da un punto di vista organizzativo per favorire la vaccinazione di massa è molto positivo per più del 70% dei cittadini. Però se si chiede un'opinione sul modo in cui si sta gestendo l'informazione nei confronti della popolazione, le percentuali diminuiscono in maniera netta e solo il 25% si dichiara soddisfatta. Dopo il caso di Camilla Canepa, la ragazza morta per trombosi dopo aver assunto AstraZeneca e per cui si sta verificando il nesso tra il vaccino e la causa di morte, il governo ha fatto un ennesimo passo indietro contraddicendo le indicazioni che aveva già dato precedentemente: AstraZeneca adesso può essere inoculato solo agli over 60. Insomma un cambio di rotta che ha disorientato gli italiani facendo rinascere il timore, che sembrava assopito nell'ultimo mese, che il mondo scientifico non conosca realmente rischi e benefici del vaccino per ogni profilo demografico della popolazione. Si è passati da un giorno all'altro dal messaggio che il vaccino è sicuro per tutti, anche per i più giovani, che in particolare AstraZeneca non presenti rischi maggiori rispetto alle altre fiale presenti nel mercato, all'indicazione da parte del governo alle Regioni di non somministrare AstraZeneca agli under 60. Bisogna anche tener presente che le preoccupazioni su AstraZeneca non sono scaturite solo dopo il caso della povera ragazza morta in Liguria ma addirittura ad inizio della campagna vaccinale quando molte nazioni, tra le quali anche l'Italia, sospesero per alcuni giorni le vaccinazioni in attesa di riscontri sui rischi. Un dato importante e che deve fare riflettere è che per il 61% si sarebbe dovuto, se non vietare, almeno limitare solo ai più anziani AstraZeneca sin da subito, in quanto i rischi sono stati già evidenti dall'inizio. Un ulteriore risultato che scaturisce dall'analisi effettuata da Noto Sondaggi è che tra coloro che si sono già vaccinati, almeno uno su quattro ha messo in atto strategie - anche senza riuscirci - per evitare di ricevere la fiala di AstraZeneca. Ritornando sul valore della comunicazione, il 68% non ha compreso la differenza che c'è tra i vari vaccini, la qual cosa rende la percezione generale ancora più negativa. Un'indicazione che arriva dai cittadini e che avrebbe influito positivamente nella percezione di sicurezza è che per il 58% sarebbe stato corretto effettuare analisi diagnostiche preventive prima di procedere con il vaccino, in modo tale da diminuire i rischi di intolleranza o effetti collaterali gravi. Tra l'altro più della metà della popolazione (56%) mette sotto accusa i medici di base che in questo periodo non hanno saputo informare bene i propri pazienti circa la vaccinazione, insomma è come se non ci fosse stata una preparazione adatta ad affrontare il vaccino. Infine un'ultima sollecitazione per il Governo: il 61% ritiene che così come c'è il commissario all'emergenza per gestire questa fase pandemica, ci dovrebbe essere anche il ruolo del commissario alla comunicazione in modo tale da potenziare il flusso di informazione con la popolazione».

Se non bastassero i sondaggi, ecco un’intervista de La Stampa al responsabile dell’Ema, Marco Cavaleri, a cura di Francesco Rigatelli. Che dice adesso di voler lasciare “la scelta ai singoli Stati”. Ma allora, a che serve  l’Ema?

«A fine marzo l'Ema ha sentenziato: «Non ci sono prove che sostengano la restrizione del vaccino AstraZeneca».Ora ha cambiato idea? Lo domandiamo a Marco Cavaleri, presidente della task force sui vaccini dell'autorità europea basata ad Amsterdam. «All'epoca avevamo visto una probabile rarissima associazione tra AstraZeneca e le trombosi, ma la nostra posizione era ed è che in un contesto pandemico il rapporto rischi-benefici resta favorevole per tutte le età». Ora che ci sono meno contagi e più vaccini non è meglio usare altro? «Nei giovani i rischi della malattia calano e il messaggio per loro potrebbe essere di usare preferenzialmente i vaccini a mRna, ma la scelta la lasciamo ai singoli Stati».

DA DOMANI ITALIA IN BIANCO, RIPARTE IL TURISMO

Per tre quarti dell’Italia domani sarà in bianco, niente coprifuoco. Una riapertura importante per molti settori. Il turismo ha ora buone prospettive. Mariastella Gelmini sul Messaggero:

«Si è chiusa la fase critica, ora dovremo imparare a convivere con il virus, monitorando le varianti e mantenendo comportamenti responsabili. Ma mi faccia dire che tornare a vedere il pubblico sugli spalti di uno stadio come è accaduto l'altro ieri all'Olimpico, è stato emozionante. Le italiane e gli italiani si sono guadagnati con enormi sacrifici il ritorno alla vita. Non dobbiamo disperdere tutto questo: possiamo goderci l'estate tenendo salda la giusta prudenza. Se lo faremo avremo un autunno relativamente tranquillo con un ceppo influenzale in più». Le regole resteranno le stesse o potremmo dire addio, per esempio, alla mascherina? «Stiamo tornando a una progressiva normalità. La fretta potrebbe essere una cattiva consigliera. Si tratta di monitorare questa fase nella quale cadranno quasi tutte le misure di contenimento, verificare l'impatto sull'incidenza dei contagi. Se, come credo, i numeri resteranno contenuti, entro luglio potremmo dirle addio all'aperto». Lo stato d'emergenza scade a luglio, verrà prolungato? «Non ne abbiamo ancora parlato in Consiglio dei ministri, ma credo che i tempi siano maturi per chiudere la fase emergenziale e attrezzarci con gli strumenti ordinari. Naturalmente senza rinunciare al prezioso contributo del generale Figliuolo. La fine dello stato di emergenza sarebbe un bel segnale anche per il turismo». Non si rischia in estate di perdere il tracciamento? «Dipenderà anche dal comportamento di tutti noi. Se i numeri restano a questi livelli - siamo ben sotto i 50 casi ogni 100mila abitanti - il tracciamento è possibile. La guardia andrà tenuta alta soprattutto per monitorare le varianti». Le Regioni potranno applicare misure restrittive anche nel periodo estivo? «Lo possono sempre fare ma penso che non ce ne sarà bisogno. Nessuno vuole chiudere, ma è evidente che se emergessero problemi o focolai localizzati la tempestività degli interventi sarebbe essenziale». Quando entrerà in funzione il Green Pass e su quale sito o app verrà attivato? «Dal 1° luglio. Per quanto riguarda le app Immuni ha già avuto il via libero del Garante della Privacy. Ci sono ancora alcuni aspetti da mettere a punto su Io, la app di PagoPA. Si tratta di due strumenti già presenti su milioni di smartphone». Il via libera al Green Pass riuscirà ad attirare turisti stranieri? «L'Italia è già tornata attrattiva e registriamo con soddisfazione che i turisti stranieri, europei ed anche americani, stanno già tornando. Ci sono ottimi segnali sulle prenotazioni e con la fine delle restrizioni e il Paese in zona bianca, daremo un messaggio di fiducia e sicurezza. Il green pass farà il resto. Sarà una buona stagione». 

VACCINI MONDO, L’APARTHEID DELLE DOSI

Il G7, dice Avvenire, non ha avuto coraggio sulle dosi da distribuire a tutto il mondo, per non parlare della vergognosa frenata europea sulla sospensione dei brevetti. Il rischio è che l’Occidente si vaccini e lasci il resto del globo alla mercé del virus. Lucia Capuzzi:

«Di fronte all'apartheid vaccinale di cui è prigioniero il Sud geopolitico del Pianeta, i leader del G7 a Corbis Bay hanno optato per la via più facile: mettere la mano in tasca a tirar fuori le monete con cui donare un miliardo di dosi entro l'anno prossimo, non subito ma tra diciotto mesi. Una cifra che luccica, che attrae forse in valore assoluto. Ma del tutto insufficiente per risolvere il dramma: occorrono altri 10 miliardi di vaccini per immunizzare il 70 per cento degli abitanti della Terra e raggiungere così quell'immunità di popolazione indispensabile per mettere fine alla pandemia. In caso contrario - non si stancano di ripetere gli esperti -, il virus resterà in agguato, pronto a una nuova, tragica mutazione-irruzione. È interesse comune, dunque, "vaccinare il mondo". Papa Francesco lo ripete fin dal Regina Coeli del 3 maggio 2020. Per altro, formalmente, nessuno obietta. Anzi. Il divario tra la teoria e la realtà è però fatto di cautele, distinguo, timidi passi avanti e bruschi dietrofront. Un'ipotesi - forse la più semplice - è la somministrazione alle nazioni a basso reddito delle fiale in eccesso che Europa e Usa si sono accaparrati fin dal primo momento. Con tutta la buona volontà, tuttavia, le scorte accumulate e non utilizzate non superano i due miliardi. Ne mancano sempre otto all'appello. L'Unione Europea, da parte sua, è spaccata tra la necessità di accelerare la distribuzione dei vaccini e la volontà di non scontentare Big Pharma. Il difficile equilibrio verrebbe garantito dal ricorso alle cosiddette «licenze facoltative»: senza alcuna deroga sulle proprietà intellettuale, le case farmaceutiche stipulano, in piena autonomia, accordi con Paesi terzi a cui appaltare la produzione. Alcune, in realtà, lo stanno già facendo. L'equità vaccinale, tuttavia, non è migliorata. C'è un'altra possibilità, sostenuta con forza da scienziati, premi Nobel e attivisti, dall'Onu e dall'Oms. Oltre che dal Papa. La sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini anti-Covid fino al termine della pandemia». 

G7, LA GUERRA FREDDA CONTRO LA CINA

Si chiude oggi un vertice storico dei sette grandi. Non solo perché il primo dopo la pandemia e dopo Trump, ma perché il primo in cui Biden ha lanciato una nuova relazione con gli “autocrati” del mondo. Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, la chiama “la seconda guerra fredda”. È soprattutto quella contro la Cina: 

«Richiamandosi alle radici della comunità delle democrazie, all'urgenza della ricostruzione globale dopo la pandemia ed alla necessità di affrontare le sfide del nuovo secolo, il presidente americano Joe Biden ha indicato al summit del G7 la Cina di Xi Jinping come il più temibile rivale strategico collettivo. (…) Se dunque Donald Trump è stato il primo presidente Usa ad indicare nella Cina il rivale strategico di questo secolo, Biden è andato oltre e durante il summit di Carbis Bay, in Cornovaglia, ha proposto all'Occidente un piano strategico per contenere e prevalere su Pechino lì dove si sente più forte: negli aiuti economici che offre alle nazioni povere per renderle politicamente vassalle. Le mosse di Biden non celano solo il rispetto per le alleanze create nel XX secolo contro nazifascismo e comunismo sovietico, ma anche la convinzione che l'eredità della Guerra fredda possa essere d'aiuto nella sfida agli autocrati del XXI secolo - di Pechino come di Mosca - perché a ben vedere l'intento di Washington non è la resa o l'umiliazione degli avversari bensì spingerli a rispettare, condividere, diritti e regole della convivenza internazionale. Per comprendere di cosa si tratta basta rileggere la schietta conversazione telefonica fra il Segretario di Stato Antony Blinken e il parigrado cinese Yang Jiechi avvenuta proprio in coincidenza con l'inizio dei lavori del G7. Blinken ha recapitato una raffica di richieste che parlano da sole: trasparenza sull'origine del virus che ha già causato 3,7 milioni di vittime in tutto il mondo, collaborazione totale con la relativa inchiesta in corso da parte dell'Organizzazione mondiale della Sanità, fine della persecuzione dei musulmani uiguri nella regione dello Xinjiang e fine delle provocazioni militari nei confronti dell'isola di Taiwan. Ovvero Washington si aspetta da Pechino che ponga termine alle reticenze sulla pandemia che viene da Wuhan, che rispetti i diritti umani in patria - pensando anche a Hong Kong, Tibet e minoranza cristiana - e che cessi gli sconfinamenti marittimi ed aerei compiuti dai propri militari ai danni dei Paesi vicini in Estremo Oriente. È la descrizione di un'offensiva globale nella quale rientrano la denuncia, da parte di Biden, dei "lavori forzati in Xinjiang" e la decisione della Casa Bianca di acquistare almeno 500 milioni di vaccini da destinare ai Paesi più in difficoltà nella lotta al Covid 19. In questa scelta di guardare al G7 nell'affrontare il rivale cinese, Biden si è trovato accanto - pur con accenti differenti - i partner mentre Pechino lancia la sua controffensiva accusando la Casa Bianca di "rappresentare un piccolo circolo di nazioni e non il vero multilateralismo". Insomma, la seconda Guerra fredda è in pieno svolgimento e, come avvenuto per la prima, ha un cruciale palcoscenico europeo che sarà rafforzato dalle prossime tappe di Biden a Bruxelles, per i vertici Ue e Nato, e Ginevra, dove vedrà il leader russo Putin. Un palcoscenico sul quale anche l'Italia di Mario Draghi sarà presto chiamata a compiere scelte non indifferenti».

Le “scelte” cui allude Molinari riguardano anche una maggioranza di Governo italiana, il cui gruppo parlamentare più consistente ha spiccate simpatie per la Cina. Sul sito di Beppe Grillo la terribile persecuzione dei musulmani uiguri è stata bollata come una fake news occidentale. Per chi volesse capire meglio i rapporti internazionali della Cina del Presidente Xi, illuminante la rubrica odierna di Sergio Romano sul Corriere: i cinesi hanno tessuto negli ultimi anni un’alleanza strategica con i governi populisti.

«Dietro le manifestazioni di Budapest contro l'apertura nella capitale ungherese della filiale di una università cinese vi è un'altra vicenda universitaria di cui è protagonista, insieme a Viktor Orbán, premier dell'Ungheria, un grande finanziere liberale. Si chiama George Soros, ha origini ungheresi, ha lasciato il suo Paese quando era una repubblica comunista, ha fatto brillanti studi alla London School of Economics, è divenuto uno degli uomini più ricchi del mondo e ha fatto spesso uso del suo denaro per creare nuove, generose istituzioni fra cui la rete di Open Society, promotrice di una società aperta su scala mondiale. Non ha mai nascosto la sua opposizione alla politica di Orbán e fra altre iniziative liberali aveva dato a Budapest una grande università. Ho usato l'imperfetto perché Orbán era riuscito a renderle la vita impossibile con alcune inaccettabili pretese legislative e l'aveva costretta a cercare rifugio a Vienna. Ma Budapest non poteva perdere una istituzione universitaria e il vuoto sarà ora colmato da una filiale della Università Fudan di Shanghai, molto nota per la serietà dei suoi studi, ma anche per la sua fedeltà al regime. Come ha ricordato Federico Fubini sul Corriere della Sera del 7 giugno, Orbán ha ormai a Budapest un brillante avversario, Gergely Karácsony, sindaco della città. Ai concittadini, in questi giorni, ha ricordato che il legame dell'Università Fudan al partito comunista cinese è iscritto nel suo statuto. L'università cinese di Budapest è quindi il più recente atto della guerra accademica e politica fra Orbán e Soros. Ma è anche il più recente episodio di un'altra guerra in cui la Cina, esclusa dalla Lega delle democrazie, diventa l'alleato preferito di forze politiche che appartengono alla destra populista e sovranista. È accaduto in molti Paesi europei quando la Cina lanciò un ambizioso progetto che fu definito la «Nuova via della seta» o «Belt and Road Initiative», e trovò consensi in forze politiche spesso attratte dal fascino e dalla retorica di una personalità o di un programma autoritari. Accadde anche in Italia nel 2019 quando il governo composto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle firmò con la Repubblica Popolare un memorandum d'intesa che, nello spirito della Via della seta, serviva a raggruppare le iniziative industriali, commerciali e finanziarie concordate fra i due Paesi. Il desiderio di avere utili rapporti con la Cina è comprensibile: nessuno può voltare le spalle a un enorme mercato straordinariamente operoso. Ma vi sono organizzazioni della destra autoritaria come Alternative für Deutschland in Germania o France Insoumise in Francia che sperano di trovare nel rapporto con la Cina una specie di promozione internazionale; mentre la Cina crede che ogni rapporto con forze politiche europee giovi al suo status globale. Esiste ormai una «Internazionale populista» in cui la Cina può contare su amicizie e alleanze dove gli interessi politici sono più importanti degli interessi economici». 

LETTA: “RICONQUISTIAMO IL CONSENSO CON BIDEN E DRAGHI”

Se c’è un momento in cui la dimensione internazionale si interseca con la politica italiana è questo. Prendete Enrico Letta, neo segretario del Pd, che comunque ha riportato in alto i consensi per il suo partito, prima forza politica in Italia. Dovendo interpretare questa fase, fa riferimento proprio alla nuova linea Usa con Biden. Monica Guerzoni sul Corriere.

«Credo fortemente in questo asse, nell'intesa tra Biden e Draghi e nel fatto che oggi il presidente americano dica le cose più interessanti a livello globale. Trovo una forte sintonia soprattutto sull'accoppiata equità e sostenibilità, che è anche il mio mantra». Il suo faro è più Biden, che Draghi? «No, sono due cose diverse - risponde l'ex premier in una pausa del tour pugliese, prima tappa di un giro d'Italia - Draghi è il mio presidente del Consiglio, che sostengo con forte convinzione e col quale ho un asse molto positivo. Biden sta riorientando il dibattito politico internazionale sulla lotta alle diseguaglianze». Nel giorno in cui il presidente degli Stati Uniti incontra Draghi in Cornovaglia, Letta è in Puglia per la sua prima uscita pubblica da segretario: «Sarei potuto andare dove ci sono solo applausi...». Invece ha rischiato i fischi per mostrare che il «Pd non è il partito dei poteri forti e delle Ztl», ma la forza che si batte per il Sud, il lavoro, i giovani, le donne, gli ultimi. Al mattino a Taranto il leader sfida i (cattivissimi) umori con cui gli abitanti guardano ai politici. E a sera, alle Vecchie Segherie Mastrototaro di Bisceglie, presenta il suo libro Anima e cacciavite (Solferino). I giornali della destra lo descrivono isolato, pronto ad accettare la candidatura alle suppletive di Siena come «paracadute», ma lui smentisce e si mostra più fiducioso che mai: «Non mi sento isolato, vedo che i risultati arrivano e che stare al governo con Draghi ci fa bene». Il Pd scavalca la Lega nel sondaggio Ipsos e il segretario, che pure si vanta di non curarsi troppo delle previsioni di voto, rivendica il sorpasso: «Erano quattro anni che non ci davano prima forza del Paese. Noi lo lasciamo da parte, ma santo cielo questi numeri dicono che noi ci siamo. Trasformeremo i sondaggi in voti e vinceremo le elezioni». Dopo tre mesi al Nazareno la minoranza ex renziana ha già ripreso a fargli la guerra e Letta, per zittire sia la destra che le correnti, brandisce metaforicamente il cacciavite: «Non è vero che siamo ai margini come ci raccontano. Noi ci siamo e ce la giochiamo se stiamo uniti, se siamo classe dirigente». Non ha paura che Giorgia Meloni faccia il pieno, mentre i partiti di governo siano destinati a perdere peso? «No. Il Pd è in salute, nel governo Draghi noi siamo a casa nostra e Salvini no. In sei mesi la Lega ha perso il 6% e noi abbiamo guadagnato il 3%». Perché lei e Salvini non vi state più attaccando, ve lo ha chiesto Draghi o ve lo hanno suggerito i sondaggi? «Lui ha cambiato atteggiamento, ha fatto esplodere meno mine sulla strada del governo, sta facendo meno incursioni corsare. Ma sono pronto a essere di nuovo muscolare appena lui ricomincia». E se fosse Conte a portare il Movimento fuori dalla maggioranza? «Ogni giorno c'è un gossip, ma io non li inseguo. I fatti sono che i 5 Stelle stanno nel governo». E non la imbarazza che Conte avesse in programma un incontro con l'ambasciatore cinese, proprio mentre Biden cerca alleati in Europa per arginare Pechino? Quella del leader del Movimento è strategia, o una buccia di banana? «Non lo so, io cerco ragioni per andare d'accordo con Conte, non cerco distinzioni. Con loro sono a mio agio. Confermo che coi 5 Stelle voglio aprire un cantiere e discutere dell'alleanza per le politiche, ognuno a partire dalla sua identità. Quella del centrosinistra è il mio obiettivo».

CASALEGGIO: CONTE NON È CHIARO

A proposito dell’alleanza Pd-5Stelle, c’è un ‘importante presa di posizione di Davide Casaleggio. Imputa a Conte di non essere per nulla chiaro e di ignorare i principi della democrazia dal basso, lanciati da Grillo al V Day. Emanuele Buzzi sul Corriere.   

«Il divorzio si è ormai consumato ma Davide Casaleggio non depone le armi contro la «sua» ex creatura, il Movimento 5 Stelle. «Negli ultimi 16 mesi abbiamo assistito a una serie di violazioni di regole di partecipazione democratica interna, di principi del M5S, di regole che erano già state prese che sono state violate. Era molto difficile restare in un contesto che ho conosciuto molto diverso e che ho contribuito a costruire con mio padre». Il presidente di Rousseau parla a ruota libera a SkyTg24. Ripercorre le tappe della rottura e non risparmia i toni polemici anche nei confronti di chi si appresta a guidare il Movimento, Giuseppe Conte, per non aver chiarito come intende comportarsi su uno dei capisaldi del Casaleggio-pensiero padre e figlio, il tetto del doppio mandato: «Mi è spiaciuto che non sia stata presa una posizione netta e chiara su uno dei principi fondativi del M5S, ma anche della generazione politica necessaria ad un movimento. Avrei voluto vedere una linea chiara ma in tre o quattro mesi di leadership in pectore non l'ho ancora vista. Grillo è stato chiaro, Conte no». Casaleggio ha un sospetto: «Mi dispiacerebbe se questo tema fosse oggetto di una trattativa economica mettendo all'asta i principi fondativi. Quando ciò avviene si parla di liquidazione». La memoria corre in soccorso: «Il limite dei due mandati era una proposta di legge ai tempi del V-day e secondo me dovrebbe essere una legge. Solo attraverso una legge si può garantire un ricambio della politica e anche una partecipazione dei cittadini alla vita pubblica in modo continuo». Casaleggio usa parole al miele, invece, per Mario Draghi: «Penso che dal punto di vista della gestione della pandemia abbia lavorato in modo egregio. Sono molto soddisfatto dal lavoro del generale Figliuolo, ha gestito tutto in modo egregio. Ora il momento decisivo sarà sulla parte economica, sulla post-pandemia».

CENTRODESTRA, IL MICHETTI DI MILANO È UN LEGHISTA

Idee ancora confuse nel centro destra sul candidato sindaco di Milano. Dovrebbe essere indicato da Matteo Salvini, ma il nome non c’è ancora. Paola Di Caro sul Corriere: 

«Era il penultimo pezzo del puzzle ed è stato aggiunto al complicato incastro delle candidature del centrodestra per il voto d'autunno: Roberto Occhiuto, attuale capogruppo alla Camera di Forza Italia, correrà per la presidenza della Regione Calabria. Ora resta l'ultimo pezzo, il candidato sindaco di Milano, che Salvini dovrà indicare a nome della Lega nei prossimi giorni dopo che la Meloni ha chiesto e ottenuto che a Roma corresse Michetti. Continua la ricerca dei candidati civici (da Oscar di Montigny a Maurizio Dallocchio, da Riccardo Ruggiero a Fabio Minoli), anche se sullo sfondo resta Maurizio Lupi che, in caso non si trovasse un nome forte, potrebbe tornare in corsa. Non è facilissimo, perché l'accordo preso informalmente al vertice di mercoledì scorso è stato ufficializzato come previsto e gli azzurri ottengono quello che avevano chiesto: che fosse uno di loro a competere nella regione che era governata da Jole Santelli, deceduta un anno fa. E proprio alla continuità si ispira Occhiuto, anche se le sorelle della Santelli, Paola e Roberta, sicure «di interpretare la sua volontà», chiedono che non si strumentalizzi: «Sarebbe offensivo della memoria di Jole intestarsi arbitrariamente parole come continuità o fare solo annunci e proclami da campagna elettorale». Occhiuto quindi dovrà muoversi con molta attenzione in una campagna elettorale in cui però non ha ancora un avversario definito. Nel centrosinistra infatti si attende a breve un confronto tra Enrico Letta e Giuseppe Conte per cercare un candidato unitario da opporre al centrodestra».

ISRAELE, NUOVO GOVERNO. MIGRANTI, LA GERMANIA CE LI RISPEDISCE

Oggi il parlamento israeliano, la Knesset, deve esprimere il voto di fiducia per il nuovo governo di Gerusalemme. La cronaca del Fatto:

«Il blocco anti Netanyahu che oggi il leader dell'opposizione, Yair Lapid, deve sottoporre al voto di fiducia della Knesset è formato da otto partiti. Va da sé che una coalizione così ampia presenti al proprio interno elementi discordanti, ma in questo caso il leader del partito centrista laico Yesh Atid (C'è futuro), è riuscito a mettere assieme per la prima volta "il diavolo con l'acqua santa" per descrivere la portata cruciale di quanto sta avvenendo in Israele. Il diavolo finora sono stati i partiti islamici, come Ra' am, il meno moderato tra quelli che rappresentano gli arabi palestinesi che godono della nazionalità israeliana. Le promesse di Lapid hanno spinto però il suo leader Mansur Abbas ad accettare di lavorare assieme a partiti nazionalisti di destra ed estrema destra come Ysrael Beytenu di Avigdor Liberman e Yamina di Naftali Bennett. Yamina, il cui leader guiderà il governo per due anni, è formato anche da una componente religiosa che potrebbe riservare sorprese negative oggi. L'ala ultranazionalista e religiosa è infatti la protettrice dei coloni ebrei in Cisgiordania che aspirano a vederla annessa da Israele. Mansour non ha badato alle accuse di tradimento - specialmente dei palestinesi che vivono nei Territori occupati ma che non contano in termini di voti in quanto non cittadini israeliani - allo scopo di ottenere il via libera allo sblocco delle concessioni edilizie nelle città israeliane a maggioranza araba e al riconoscimento degli insediamenti beduini e drusi. Le contraddizioni di questa grosse koalition si trovano anche tra "Nuova speranza” il partito conservatore di centrodestra recentemente costituito dall'ex ministro del Likud, Gideon Sa' ar; Blu e Bianco del ministro della Difesa, Benny Gantz, anche questo di centrodestra e i vecchi e classici partiti di centrosinistra e sinistra: Labur e Meretz. Soprattutto Meretz si batte da sempre per rendere Israele un paese laico, egualitario e per "due popoli e due stati". Sia Meretz sia Labur sono contro l'espansione delle colonie ebraiche in Cisgiordania, Meretz vorrebbe che queste venissero chiuse anche se è irrealistico credere che ciò possa avvenire, pur essendo considerate illegali dall'Onu. In questo frangente storico, ogni partito ha tentato di trovare punti in comune con gli altri per cercare di realizzare almeno una parte del proprio programma e pur di uscire dalla crisi politica generatasi due anni fa a causa del premier uscente Netanyahu. Per questa ragione Yair Lapid, che nel 2015 aveva debuttato in politica mettendo tra gli obiettivi principali l'abolizione dei privilegi di cui si avvantaggiano i cittadini israeliani ultraortodossi, per esempio l'esenzione dal servizio militare e i sussidi per concedergli di trascorrere il tempo studiando la Torah senza dover lavorare, ha accettato di dare a Bennett addirittura la premiership nonostante il leader di Yamina continui a sostenere questa diseguaglianza tra cittadini laici e religiosi». 

Articolo choc di Tonia Mastrobuoni per Repubblica: la Germania ci rispedisce i migranti, rispolverando le regole di Dublino sul primo approdo.

«Tre anni fa lo hanno costretto per la prima volta a lasciare la Germania. E Hussein Hulouajjouri si è ritrovato solo. Quando è atterrato a Milano, la polizia ha registrato le sue impronte digitali e lo ha mandato via. La prima notte ha dormito sotto a un albero, a "milanocentrale". In uno scambio whatsapp lo scrive così, tutto attaccato. Quando si è svegliato, i suoi vestiti e la sua borsa erano spariti. E da lì è cominciata la sua odissea: ogni tanto il ventiduenne dormiva alla Caritas, ogni tanto lo ospitavano altri siriani, ma "nessuno mi ha aiutato", ci racconta. Hussein è ripartito per il nord. Prima ha tentato la sua fortuna in Norvegia, poi è tornato in Germania. Il suo destino, però, era segnato. Il siriano è un "dublinante", il suo primo approdo in Europa è stato in Italia. Ed è lì, secondo le regole europee fissate a Dublino, che deve tornare. Può chiedere asilo soltanto dopo anni. Ma il governo tedesco cerca di rispedirlo in Italia prima della scadenza. Prima della pandemia, nel 2019, i dublinanti respinti in Italia erano ancora 2.692, secondo i dati del governo. Nel 2020 sono crollati a 509, perché tutti concentrati nei primi mesi dell'anno, prima che il governo Conte bloccasse i trasferimenti a causa della pandemia. Ma qualcosa comincia a muoversi. Hussein è terrorizzato, ammette. È già stato due volte in Italia, la prima volta dalla Libia, dopo essere stato vessato dai ribelli. Ha vissuto di stenti e non vuole tornare nel nostro Paese. Quando di recente gli è arrivato l'ennesimo avviso che sarà respinto a Milano, per la prima volta la sua fidanzata lo ha visto piangere. «Non smetteva più», ci racconta Sandra al telefono. I due vivono insieme da un anno a Erfurt, in Turingia. «Siamo felici, Hussein sta imparando il tedesco. Ci vogliamo sposare, perché ci devono separare?». È chiaro che se anche dovesse essere respinto, Hussein tenterebbe subito di fuggire in Germania. «Anche perché - sostiene Sandra - sul documento del governo c'è scritto che in Italia gli daranno soldi e un posto dove stare. Ma chi ci crede più?». Il suo non è un caso isolato. Sull'avviso del tribunale bavarese che è arrivato a Lamin C. c'era scritta persino una data per il ritorno in Italia: 22 aprile 2021. Anche lui si è disperato. Lamin viene dalla Sierra Leone, è passato per la Libia, ma non riesce a parlarne, troppi traumi. È in Baviera da un anno, sta imparando il tedesco e la sua insegnante all'istituto tecnico che frequenta, Eva Gahl sostiene che "è un ottimo allievo e ha ottime possibilità di trovare un lavoro». Lo abbiamo raggiunto al telefono: quando è arrivato dalla Libia, perché il suo gommone si è rovesciato al largo delle coste siciliane, lui si è salvato per miracolo. «Tanti intorno a me sono morti affogati». Per anni ha tentato la fortuna in Lombardia, ma «dopo essere uscito dal centro di accoglienza sono finito a lavorare un po' in nero e un po' con contratti precari e mi pagavano troppo poco per una casa». Per sei mesi, Lamin ha dormito sotto a un ponte. Lavorava in un magazzino frigorifero, «tornavo sul fiume con i l freddo nelle ossa e dormendo sotto al ponte non mi passava mai». Un paio di volte è salito sul ponte e ha guardato giù, ha fissato per un po' il fiume. «Mi ha salvato la mia religione, che vieta il suicidio. Ma avevo cominciato a prendere delle droghe, andavo nei supermercati e mi venivano idee sbagliate. Io non voglio rubare, non voglio drogarmi. Io voglio un futuro». Quando ha letto sui giornali dei primi casi di coronavirus nella sua città, Lamin è andato nel panico. Da senzatetto, temeva di essere particolarmente a rischio. È allora che ha deciso di scappare in Germania, con la speranza di trovare quello che non ha trovato in Italia: un lavoro e una casa. In Baviera gli hanno dato un tetto e la possibilità di frequentare una scuola e un corso di tedesco. Ma come Hussein, essendo stato registrato in Italia, dovrà tornare lì. Con noi al telefono, Lamin parla in italiano. Ed è grato al suo angelo custode, Stephan Reichel, l'instancabile direttore di Matteo, l'organizzazione che si occupa dei migranti e li aiuta a ottenere l'asilo della chiesa. Lamin ora è sotto l'ala protettrice della Chiesa evangelica: l'asilo è una zona grigia, dal punto di vista legale. Ma la differenza è enorme, se lo ottieni, come ci spiega Reichel. «Il tribunale ha avvisato Lamin che la polizia lo avrebbe prelevato il 22 aprile. Se lui fosse scappato, lo avrebbero dichiarato fuggitivo e avrebbero potuto spostare la sua data della fine del periodo da 'dublinante' di diciotto mesi». C'è infatti una scadenza per tutti i dublinanti: se non vengono riportati in Italia entro una certa scadenza, possono chiedere asilo in Germania. Così, per evitare di essere considerato latitante, Lamin ha chiesto aiuto alla Chiesa. E in questo caso, la scadenza non slitta, non è considerato fuggitivo. Il sierraleonese potrà chiedere presto asilo in Germania».

L’ANSIA DELL’ETICHETTA E I PREGIUDIZI SCOPERTI DAI TEST

“In margine al Ddl Zan”, Luca Doninelli per il Giornale ragiona sulla manifestazione delle proprie tendenze: la “definizione” a tutti i costi può essere una violenza.

«Parlavo tempo fa con un eccellente psicologo che si occupa soprattutto di giovani nell'età evolutiva, adolescenti e preadolescenti: i quali (come sanno tutti gli insegnanti di scuola e i genitori più attenti alla vita dei loro figli) presentano spesso problematiche di comportamento che richiedono il supporto psicologico. Questo psicologo mi diceva che molti ragazzini, sui dodici-tredici anni, andavano da lui a dirgli di avere scoperto di essere gay. Alla richiesta di chiarimento davano risposte-tipo, ad esempio che in piscina, sotto la doccia con i compagni, si sentivano attratti dai loro corpi nudi ed eccitati alla vista dai loro genitali. Ora, si sa che quasi ogni essere umano attraversa questa fase, e non per questo - credo che tutti possano concordare - si debba concludere con una definizione di omosessualità. Se succede è perché queste parole, nelle conversazioni tra ragazzi, circolano oggi più di un tempo: il che è un bene ma solo se aiuta a far chiarezza, mentre non è affatto un bene se genera confusione. All'ingenuo coming out del ragazzo questo psicologo risponde: «Aspetta a dire gay. Per il momento dì che ti piacciono i ragazzi del tuo sesso». Gli suggeriva di aspettare a nominare la propria emozione, a liberarsi, appunto, dall'ansia di denominazione. Nominare qui significa infatti bloccare, imprigionare qualcosa in una definizione che le impedisce di crescere, di scoprirsi altro da quel nome, da quell'etichetta. In un tempo in cui di identità (culturali, religiose, politiche) ne abbiamo fin sopra i capelli, ecco dunque l'«identità sessuale» o «di genere», un'espressione che già da sé suggerisce l'idea di uno stato definitivo, senza altre sorprese. (…) La storia ci è testimone di ogni sorta di orrori perpetrati nei confronti di chi si professava diverso rispetto al modello tradizionale e politicamente imposto, ed è giusto che venga garantito a tutti il rispetto e il diritto di vivere come gli pare, se la sua scelta - ma questo va da sé - non produce danno ad altri. Ma il problema che interessa, qui, è diverso. Qui ci si riferisce a un esercizio del potere e di un modello culturale (che lo supporta) in cui da un lato si proclamano i diritti di tutti, dall'altro la tutela passa attraverso l'istituzionalizzazione di categorie chiuse. Si proclama l'apertura in che modo? Chiudendo. Ecco perché, saggiamente, quello psicologo suggerisce «aspetta» a chi è preso dall'ansia di definirsi. «La meccanica del potere - scriveva Michel Foucault nella sua Storia della sessualità - che dà la caccia a tutto questo universo disparato non pretende di sopprimerlo (...): essa lo fa entrare nei corpi, insinuarsi dietro i comportamenti, ne fa un principio di classificazione e di intelligibilità, lo costituisce come ragion d'essere ed ordine naturale del disordine (c.s.)».(…) Resta il fatto che ogni tentativo di definire lo «stato di natura» e l'«uomo naturale» ricade nell'ambiguità e rende ambiguo tutto ciò che viene costruito su questo fondamento. Ora, l'ambiguità esiste, è un dato, e io credo che sia giusto accettarla. Trovo più sospetto il tentativo di contrabbandarla come chiarezza appiccicando nomi là dove sarebbe opportuno usare molta prudenza, là dove si dovrebbe lasciar crescere quello che deve crescere, senza decidere arbitrariamente quando è tempo di chiudere».

Sull’inserto domenicale del Sole 24 Ore interessante recensione a cura di Gilberto Corbellini di un libro americano, La soluzione rapida: perché la psicologia alla moda non può curare i nostri mali sociali, del giornalista investigativo Jesse Singal.

«Oggetto da alcuni anni della cancel culture statunitense di sinistra - la cancel culture è solo di sinistra - per aver scritto in difesa delle persone che ripensano iniziali scelte di cambiare genere, in questo libro Singal racconta l'ascesa e la caduta di un certo numero di miraggi ispirati dagli psicologi sociali, ovvero di teorie e pratiche su come le persone possono migliorare o cambiare, che hanno riscosso successo e/o sono state usate politicamente, prima scoprire che sono prive di fondamento. Tra queste mode spicca l'Implicit Association Test (IAT), che ambisce a catturare le nostre inclinazioni più autentiche, che operano al di sotto del livello di coscienza, rilevando associazioni implicite che si stabiliscono nella mente tra stimoli socialmente controversi e giudizi valoriali. Per esempio, si mostrano immagini di persone di colore o genere diverso e se si impiega più tempo ad associarli a un giudizio neutrale, rispetto a persone del nostro colore/genere, si diagnostica un bias razzista o di genere. Milioni di dipendenti di società, agenzie governative, etc. hanno fatto lo IAT e si son sentiti dire di avere dei pregiudizi che loro non sapevano. Gli psicologi che hanno creato il test ammettono seri problemi di misurazione e una bassa affidabilità: la stessa persona risulta razzista o sessista un giorno, ma non il successivo. Anche la credenza che ha largo successo tra gli psicologi, che se si somministrano specifici stimoli (priming) si possono ottenere miglioramenti a livello di specifiche prestazioni lavorative o interazioni sociali è stata riconsiderata, visto che gli esperimenti classici non si è riusciti a replicarli. En passant, si stima che 50-60% degli esperimenti psicologici non siano replicabili. Tra i casi analizzati da Singel, i celeberrimi programmi di autostima che illusero gli educatori scolastici negli anni '80 e '90. L'idea era che, elargendo premi e incoraggiando una retorica autoaffermativa, i giovani avrebbero fatto meglio negli studi e nella vita. L'autostima non ha contribuito a ridurre, come prometteva, criminalità, gravidanze adolescenziali e altri mali sociali. Il capitolo sulla posa di potere che le donne dovrebbero assumere sul posto di lavoro è divertente. La tesi era che adottare posizioni assertive (gambe a cavalcioni, mani sui fianchi, etc.) per due minuti prima di un colloquio di lavoro aumenta le chance di assunzione. In realtà, la postura da Wonder Woman non dava la spinta promessa o la fiducia cercata. Che dire della teoria della grinta? Uno psicologo sociale sosteneva l'esistenza di un tratto mentale chiamato «grinta» (ovvero attaccamento all'attività). L'insegnamento della «grinta» diventava popolare negli Stati Uniti per costruire carattere o migliorare i risultati scolastici dei bambini. Non ha funzionato. Concetti consolidati come coscienziosità e QI erano di gran lunga meglio per prevedere le prestazioni. Che la psicologia non sia messa bene epistemologicamente è noto. Sia per la natura di ciò che studia sia per l'inclinazione umana ad allestire pseudo fatti per difendere teorie di cui ci si innamora e che possono dare successo se presentate come strumenti per spiegare e guarire presunte malattie sociali, che può prendere il sopravvento anche negli spazi accademici più accreditati. Singel dimostra che gli stessi psicologi che pontificano sui bias ne sono vittime in modo sistematico. Per ragioni evolutive le soluzioni precoci e che rispondono ad aspettative sociali e personali esercitano un forte fascino. E come specie siamo refrattari a formulazioni complicate, che cercano di catturare l'ampia varietà di influenze e tendenze comportamentali umane. Anche per questo le spiegazioni scientifiche e le decisioni controllate non sono state e non sono la norma nella storia delle culture».

PELLEGRINAGGIO A LORETO, IL SALUTO DEL PAPA

Macerata-Loreto: il tradizionale pellegrinaggio di fine anno scolastico, ancora segnato dalla pandemia, si è aperto col saluto di papa Francesco. Giorgio Paolucci su Avvenire.

«La voce allegra, il tono colloquiale, la simpatia immediata. Anche quest' anno nel rispetto di una consuetudine diventata tradizione il Papa ha mandato il suo affettuoso saluto alla Macerata-Loreto. E l'ha fatto, come si ripete dal 2013, con una breve telefonata. Dall'altra parte, sul sagrato del santuario della Santa Casa di Loreto "teatro" dell'evento che le misure anti-Covid modificano, il vescovo emerito di Fabriano-Matelica e "ideatore" del pellegrinaggio, Giancarlo Vecerrica, che guardando al tempo che stiamo vivendo, tragicamente segnato dalla pandemia, ha chiesto al Pontefice come fare per non perdere la speranza. Profonda e spontanea la risposta di Francesco, che si è soffermato su un concetto che gli è particolarmente caro: quello del cammino. «Camminare - ha detto il Papa facendo riferimento alla Macerata-Loreto - è riflesso della vita». Occorre però capire se lo si fa "con speranza" o se invece «senza sapere dove si va». Da qui un'ulteriore domanda: cammino verso l'orizzonte o sono imprigionato in un labirinto? A fare la differenza è la meta, se cioè si ha un orizzonte, e lo stile del viaggio. Concetti che Francesco esplicita in tre espressioni: la «speranza non delude mai»; bisogna «guardare all'orizzonte»; essenziale è «non camminare da soli ma aiutandosi l'uno con l'altro, e soprattutto nei momenti difficili dando speranza a chi l'ha persa». Quindi, a suggellare la sua riflessione, un richiamo a sant' Agostino, alla suggestiva immagine del "canta e cammina". Si canta infatti «perché si ha gioia nel cuore» e questo rende più vicina e concreta la speranza nel "cammino" della vita. «La Madonna vi custodisca - conclude il Papa - e il Signore e vi accompagni. Avanti e coraggio». Tra le testimonianze che sono state protagoniste al pellegrinaggio Macerata-Loreto spicca quella di Alessandro, detenuto da molti anni nella Casa di reclusione di Opera, alle porte di Milano, che racconta quanto sia difficile vivere la dimensione della speranza per chi vive da tanto tempo in cella. «Difficile, ma non impossibile: mi rendo conto che Dio mi ha raggiunto anche in questa condizione. Me ne sono accorto nel tempo, grazie anche ai colloqui con il cappellano, con i volontari che mi offrono la loro compagnia, alla corrispondenza con decine di persone che da tempo mi accompagnano. Sono il volto di Dio che si rende visibile, sono lo strumento per vivere la Speranza con la S maiuscola, quella che non delude. Non smetto di vedere la realtà che per me è faticosa qua dentro, e sperimento la verità delle parole che mi disse un amico tempo fa: ogni gioia ha le radici a forma di croce».

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La nuova guerra fredda

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