La Versione di Banfi

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La parola alle piazze

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La parola alle piazze

Violenza e tensioni nelle proteste di mezz'Italia. Ma Johnson tiene ancora chiusi i pub. Tormentone AstraZeneca, vaccini a rischio. Letta vede Renzi. Draghi va in Libia. Si torna in classe

Alessandro Banfi
Apr 7, 2021
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La parola alle piazze

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Ristoratori esasperati, titolari di B&B deserti da un anno, baristi che contano da mesi solo sull’asporto. Giornata di tensione ieri in tutta Italia. Alla ripartenza dopo Pasqua, scatta la protesta e comincia la violenza di piazza. E diciamolo: vogliamo essere un po’ tutti come gli americani. Non è mica solo Draghi l’atlantista. Ieri a Roma, in una piazza Montecitorio resa stretta dalla presenza delle forze dell’ordine, si è tenuta la versione alla vaccinara dell’assalto a Capitol Hill. Per fortuna molto meno grave e più contenuto di quello dello scorso gennaio a Washington, ma sempre scimmiottamento trumpiano è stato. Organizzato dagli emuli italiani di QA-non, con tanto di Casa Pound e altri gruppi estremistici fra i promotori. Comizio di Vittorio Sgarbi e bandiere di Gianluigi Paragone, prima dell’assalto ai poliziotti, stile tifosi da curva. Nel trionfo del narcisismo populista c’era anche quello che faceva il verso a Jake lo Sciamano, travestito allo stesso modo, anche lui senza mascherina. A Caserta si sono visti ambulanti organizzati. A Torino gli antagonisti, mentre gli anarchici inneggiano ai pacchi intimidatori mandati ai Presidenti di Regione.

Il Viminale chiede di distinguere fra le proteste dei lavoratori e la strumentalizzazione dei violenti. Ma sono tanti coloro che soffiano sul fuoco. Massimo Gramellini, preoccupato dalle dure contrapposizioni sui social, chiede stamattina sul Corriere di ascoltare le ragioni di tutti. Ha ragione. Lo stesso fa Alessandro Sallusti sul Giornale. Ascoltare è la parola d’ordine. Ma strumentalizzare le difficoltà di commercianti ed esercenti nella logica del “tanto peggio tanto meglio” è davvero pericoloso.

I dati scientifici e statistici hanno una loro oggettività. Ieri il premier Johnson ha annunciato che solo la prossima settimana riapriranno i pub. L’Inghilterra registra fra zero e dieci decessi al giorno, da almeno un mese. Noi con 300 morti al giorno possiamo permetterci di riaprire bar e ristoranti? Aumentiamo i ristori, concediamoli celermente ma non creiamo discussioni illusorie e illusionistiche. Si possono cambiare dei divieti e delle regole, non la sostanza della questione. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Sono giorni campali questi della ripresa dopo Pasqua e c’è anche un po’ d’indecisione sui titoli. Tre temi in ballo: la riapertura delle scuole, i vaccini col solito pasticcio AstraZeneca e i tafferugli nelle manifestazioni in piazza per le riaperture. Il Corriere della Sera avverte: Cresce la tensione nelle piazze. La Stampa gioca con le parole del virus: Lockdown, focolai di rivolta. Il Giornale, come si usa dire, va dritto: Chiusure, prime botte. La Verità tifa per i dimostranti: La disperazione scende in piazza. Mentre Avvenire mette insieme due circostanze: Riaprono le scuole e cresce la protesta. La Repubblica apre la serie dei quotidiani concentrati sulla campagna vaccinale: Vaccini, AstraZeneca frena il piano dell’Italia. Quotidiano nazionale annuncia: Bufera AstraZeneca, nuove regole. Il Mattino specifica: Trombosi e AstraZeneca, la prudenza di Aifa e Oms. Mentre Il Fatto nota: Così AstraZeneca ci frega altre due volte. Libero va a soggetto e scopre, dopo un anno, in concomitanza col ritorno della bella stagione: All’aperto non ci si contagia. Due quotidiani si occupano del viaggio in Libia del nostro premier, entrambi criticando il detto, e non detto, sui migranti. Il Manifesto cita il titolo di un famoso film: Parole ammare. Mentre il Domani precisa: I migranti riportati in Libia non sono stati salvati ma condannati alle torture. Due titoli di Economia, il solito Sole 24 Ore: Borse, l’Europa torna al pre-Covid. E un annuncio del Messaggero: «Assunzioni, piano in 5 anni», con un’intervista al Ministro Brunetta sui nuovi concorsi per i dipendenti pubblici.

LA RIVOLTA DEGLI ESERCENTI

In tutta Italia ieri manifestazioni di protesta. In piazza commercianti, ristoratori, ambulanti. La cronaca sul Corriere è di Rinaldo Frignani.

«Tafferugli davanti a Montecitorio, con un funzionario Digos ferito e alcuni poliziotti contusi, blocco stradale con i furgoni sull'autostrada Roma-Napoli, vicino a Caserta Sud, tensione a Milano di fronte alla Prefettura. Un pomeriggio di rabbia da Nord a Sud con migliaia di ambulanti e ristoratori che hanno protestato contro le chiusure delle loro attività per l'emergenza Covid e per chiedere immediate riaperture. Ma il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese avverte: «È inammissibile qualsiasi comportamento violento nei confronti di chi è impegnato a difendere la legalità e la sicurezza». Due momenti di scontro fra manifestanti e forze dell'ordine in piazza Montecitorio. In 800 provenienti da tutta Italia si sono radunati - autorizzati dalla Questura - con i movimenti di contestazione alle misure anti Covid prese dal governo, come «IoApro», ma c'erano anche rappresentanti di Italexit (il Movimento di Gianluigi Paragone ndr) e di CasaPound. Fra i personaggi presenti Ermes Ferrari, ristoratore modenese di 51 anni travestito come Jake Angeli, lo «sciamano» di Capitol Hill, a Washington. Al grido «buffoni» e «libertà», dopo il comizio di Vittorio Sgarbi (ex azzurro ora al Gruppo Misto), alcune decine di manifestanti hanno tentato di scavalcare le transenne per raggiungere la Camera ma sono stati respinti dagli agenti, contro i quali sono stati lanciati fumogeni, bottiglie di vetro, monete, sgabelli e anche i megafoni usati per la protesta. Il funzionario - che ha ricevuto la solidarietà del capo della Polizia Lamberto Giannini -, colpito al volto, è stato ricoverato in ospedale. (…) Circolazione paralizzata invece fino alle 18 sull'A/1 dove centinaia di operatori dei mercati hanno parcheggiato in mezzo alle carreggiate, in entrambe le direzioni, camion e furgoni nei pressi dello svincolo per Caserta Sud. Anche in questo caso, come è successo a Roma, la situazione si è risolta dopo che una delegazione di manifestanti è stata ricevuta nella Capitale e ha avuto rassicurazioni su un incontro fissato per oggi con rappresentanti del governo. Notevoli i disagi in autostrada, con uscite obbligate e incolonnamenti verso Roma e Napoli. Molte le iniziative di protesta su tutto il territorio nazionale. Nel capoluogo lombardo manifestazione in piazza Tricolore e proteste con corteo anche davanti alla Stazione centrale fino alla Prefettura in corso Monforte. Attimi di tensione quando centinaia di banchisti dei mercati rionali hanno cercato di forzare il cordone di sicurezza. Minacce di bloccare le tangenziali nei prossimi giorni. Nel pomeriggio poi incontro con il prefetto Renato Saccone. Altre manifestazioni sono state organizzate anche a Torino, davanti al Tribunale, e a Bari, con un corteo di furgoni degli ambulanti da viale di Maratona e piazzale Lorusso».

Alessandro Sallusti sul Giornale, sotto il titolo Ascoltare i disperati, per battere i violenti.

«Roma, Napoli, Milano e anche altrove. La rabbia di commercianti ed esercenti per le chiusure forzate scende in piazza e per la prima volta finisce a botte con le Forze dell'Ordine. È un campanello di allarme da non sottovalutare, al netto del fatto che c'è chi soffia sul fuoco per cercare un po' di visibilità politica. Ma il fatto che non si tratti di proteste esattamente spontanee, bensì organizzate a tavolino, non vuole dire che il problema non esista. Sbaglia chi aizza e gioca sulla disperazione altrui, ma sbaglia anche chi immagina di tenere l'Italia chiusa fino a fine pandemia o giù di lì. Al più presto bisogna provare ad allentare la morsa delle restrizioni e preparare una cronotabella che vada in parallelo con il numero delle vaccinazioni. Quindi bisogna vaccinare, vaccinare e ancora vaccinare, giorno e notte, festivi e festività comprese (il crollo registrato nel weekend pasquale è incomprensibile e vergognoso)».

Per una volta Massimo Gramellini sul Corriere della Sera allunga il suo Caffè fino a pagina tre per criticare quella che a lui appare, come scrive nel titolo, La fine della solidarietà. Anche qui la parola chiave è: ascoltare.

«Ascoltare le ragioni della disperazione è un esercizio minimo di umanità. Tra chi ieri ha fatto esplodere la sua rabbia per le strade c'erano agitatori politici di basso conio, ma anche commercianti che non vedono un euro da oltre un anno e piccoli imprenditori che per pagare gli stipendi sono ormai costretti a rivolgersi agli strozzini. Eppure, bastava scorrere le piazze virtuali dei social per accorgersi di una spaccatura drammatica che riecheggia nelle conversazioni private. La fine di ogni forma di empatia. I commentatori più feroci affermavano di non provare alcuna pietà per chi pratica «il nero». E i più miti, si fa per dire, sostenevano che chi si dedica all'iniziativa privata dovrebbe sapere che il rischio del fallimento fa parte del mestiere: insomma, un inno impietoso al darwinismo sociale, fatto da gente che spesso sui diritti civili si proclama orgogliosamente di sinistra. La pandemia ha esasperato la spaccatura, trasformando i garantiti in tifosi acritici del lockdown - conta solo la salute, il resto seguirà - e gli autonomi in negazionisti o quantomeno in minimizzatori. Una guerra tra poveri - anzi, tra ex benestanti - combattuta a colpi di stereotipi: «fannulloni» contro «evasori», stipendiati contro autonomi, garantiti contro abbandonati a sé stessi. (…) Chi è in ansia per il futuro dei suoi figli dovrebbe solidarizzare istintivamente con chi quell'ansia la sta già vivendo nel presente. Non sbertucciarlo, insultarlo o addirittura mettere in dubbio la verità dei suoi sentimenti. Nulla può mandare ai pazzi chi soffre come il non essere creduto».

Le pesanti preoccupazioni del Viminale sono raccontate in un altro articolo del Corriere, quello di Fiorenza Sarzanini.

«I segnali non sono rassicuranti. Episodi apparentemente slegati rischiano di diventare tasselli di un'unica strategia che mira allo sfascio. O forse a qualcosa di ancor più inquietante. Ci sono le minacce e i proiettili al ministro della Salute Roberto Speranza e al governatore dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini arrivati negli ultimi giorni. Ma c'è anche l'incendio del portone dell'Istituto superiore di sanità di Roma il 17 marzo scorso, l'ordigno lanciato quattro giorni fa contro il centro vaccinale di Brescia. Atti di violenza che rischiano di degenerare. Ecco perché la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese, dopo aver «espresso solidarietà al poliziotto ferito a Roma», ha voluto sottolineare «l'evidente disagio delle categorie economiche più colpite dalla grave crisi innescata dalla pandemia che merita la doverosa attenzione del governo». Ristoratori, ambulanti, negozianti, baristi, titolari di centri sportivi, commercianti: è lungo l'elenco dei lavoratori che da mesi fanno i conti con la chiusura delle attività. Ma ancora più lungo è quello di chi non riuscirà a riaprire. Su questo tasto battono le formazioni che mirano a tenere alto il livello dello scontro. Basta scorrere le immagini delle manifestazioni per scorgere i militanti di Casa Pound a Roma e gli antagonisti a Torino, ma anche per ricordare come già ad ottobre a Napoli e a Palermo furono i clan a fomentare i cortei e i sit-in. Oppure a sottolineare come alcuni siti internet riconducibili a formazioni anarchiche abbiano inneggiato all'attacco contro la sede dell'Istituto superiore di sanità. Non è una firma, ma una condivisione forte, un messaggio che incita ad andare avanti su questa strada della ribellione anche violenta. (…) Obiettivo primario rimane quello di dividere la parte dei lavoratori che protestano per un danno evidente da chi invece cerca di trasformare il malcontento in rivolta. «Non si può accettare che, in una fase così difficile per il Paese in cui è richiesto il massimo sforzo di coesione e di reciproca solidarietà, le ragioni della protesta sfocino in comportamenti che provocano ulteriori tensioni e disagi, come nel caso del blocco stradale a Caserta, andando a colpire indiscriminatamente cittadini altrettanto provati dalla crisi causata dal Covid-19», avverte Lamorgese. Un appello forte potrebbe arrivare dal governo anche a tutti coloro - politici e personaggi pubblici - che cercano consenso mescolandosi o addirittura guidando chi scende in piazza, fomentando le paure e il disagio, ma anche cavalcando le ardite tesi di chi sostiene che il Covid è un'invenzione e le restrizioni un'ingiustizia e un sopruso. E così mettendo in secondo piano le rivendicazioni di chi invece difende il diritto al lavoro».

RIPRENDE IL TORMENTONE ASTRAZENECA

In Italia, secondo gli ultimi dati, sono stati già somministrati 4 milioni di dosi di AstraZeneca. E due milioni sono adesso nei frigoriferi delle Regioni. Oggi ci sarà un nuovo pronunciamento dell’Ema. Che cosa farà l’Italia? Che cosa decideranno il nostro Ministero della Salute e l’Aifa? Tommaso Ciriaco su Repubblica:

«Vaccinare con AstraZeneca gli over 65 sarebbe l'esatto opposto dello schema di partenza di alcuni mesi fa, quando AstraZeneca era riservato ai meno anziani. In teoria il problema non si porrà nell'immediato, perché per il momento le Regioni non sono ancora arrivate ai sessantacinquenni. Ma esiste un'eccezione importante da affrontare già nelle prossime ore. Riguarda i richiami AstraZeneca per il personale scolastico e le forze armate. In tutto, circa 1 milione e trecentomila persone. Le seconde dosi per queste categorie inizieranno a essere somministrate a maggio. Servirà un pronunciamento dell'Aifa, ma è possibile che chi ha ricevuto la prima puntura senza reazioni avverse potrà sottoporsi anche al richiamo. Ciò che più conta, però, è la decisione che riguarda l'intera popolazione nazionale. Tutto è ancora appeso a un filo. Ieri, durante il vertice, il ministro della Salute ha vagliato con gli esperti tutti i possibili scenari. Non sono mancate posizioni diverse, segno di un dibattito delicato. Speranza ha riaggiornato l'incontro a oggi, appena la lettera delle raccomandazioni dell'Ema sarà chiara. L'esecutivo vorrebbe ridurre al massimo il margine politico nella scelta, affidandosi ai consigli della scienza. Ma è evidente che altri fattori rischiano di orientare le decisioni. Pesa il fatto che diversi Paesi europei hanno già imposto per AstraZeneca alcune limitazioni agli "under". Anche Boris Johnson valuta di vietarlo per i più giovani. Difficile che l'Italia possa fare addirittura meno del Regno Unito, che fin dall'inizio ha difeso il "suo" vaccino. Reduce dalla missione in Libia, Mario Draghi si prepara a prendere in mano il dossier. Con un dato consolidato da cui partire: esistono due milioni di dosi di AstraZeneca in frigo - frutto delle consegne contabilizzate nel primo trimestre - e vanno utilizzate al più presto. Il progetto del commissario straordinario Francesco Figliuolo è quello di chiedere alle Regioni di consumarle entro dieci giorni, per avvicinare e poi consolidare la soglia delle trecentomila somministrazioni quotidiane dopo il flop di Pasqua. L'idea, come detto, è concentrare sui settantenni (e poi sulla 65-69enni) il vaccino di Oxford. Una strada obbligata, visto che Pfizer (che ieri, come anticipato da Repubblica, ha consegnato un altro milione e mezzo di dosi) sarà destinata nelle prossime settimane soprattutto ai richiami e rischia di non bastare a coprire un numero adeguato di ottantenni e fragili.». 

Antonio Padellaro su Il Fatto ricolloca bene la vicenda, un po’ folle e molto contraddittoria di AstraZeneca, nel quadro di una lotta geopolitica internazionale.

«Ma non è che il governo di Boris Johnson è riuscito a vaccinare più del 50% della popolazione adulta (con i decessi in forte decrescita: 26 a Pasqua) perché il Regno Unito non fa più parte dell'Unione europea? Un dubbio che comincia a serpeggiare anche tra gli europeisti più convinti messi di fronte alla doppia velocità con cui l'isola e il continente procedono nella guerra alla pandemia. Uno squilibrio che Mario Draghi aveva denunciato lo scorso 24 marzo in Parlamento, alla vigilia del Consiglio europeo, dicendo che il coordinamento europeo va sempre cercato, ma se non funziona in questi momenti dove il tempo è prezioso, "occorre anche trovare le risposte da soli". Un penultimatum che non ha funzionato, visto che il premier è tornato alla carica in queste ore quando, come riferisce il Corriere, ha telefonato direttamente agli amministratori delegati di Big Pharma chiedendo di darsi una mossa. Primo, perché i ritardi nella consegna delle fiale mettono in seria crisi l'intera campagna vaccinale, da Bolzano a Trapani. Secondo, perché è tutta l'Unione a perderci la faccia. E dunque si fa sapere da Palazzo Chigi che la pressione è "concordata e condivisa" con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e che il presidente parla "a nome dei suoi partner europei". (…) Frattanto il suo collega Boris, libero dai lacci e lacciuoli della burocrazia comunitaria, può addirittura fissare al prossimo 21 giugno il ritorno alla normalità post-Covid. Senza con ciò dimenticare l'ecatombe provocata nella prima sciagurata fase di sottovalutazione del disinvolto premier britannico, a un passo dal lasciarci le penne. Insomma, in assenza di rapide contromisure, le conseguenze dei pessimi contratti a suo tempo sottoscritti da Bruxelles con Pfizer, AstraZeneca, Moderna e gli altri colossi del farmaco si ripercuoteranno a cascata sui cittadini europei. Con una secca perdita di credibilità dell'Unione oggi minacciata dai successi fai da te del biondo sovranista londinese. Mentre i sovranisti da operetta, Salvini e Orbán, ballano il valzer a Budapest».

LA SCUOLA RIPARTE OGGI, FINO ALLA PRIMA MEDIA

I Nas hanno verificato, a campione, a Roma e nel Lazio la presenza del virus sui mezzi di trasporto: treni e autobus. Oggi tornano in classe, in presenza, più di 5 milioni e mezzo di studenti. Eraldo Affinati, insegnante e scrittore, animatore della scuola Penny Wirton a Roma, dà loro il suo bentornati su La Stampa.

«Coloro che torneranno in aula andranno seguiti con attenzione diversa rispetto al passato. Continuare a ragionare coi vecchi schemi valutativi sarebbe un errore. Dovremo fare quello che tutti i veri maestri hanno sempre consigliato: individualizzare l'apprendimento. Il che non significa, ripetiamolo, rinunciare agli obiettivi minimi comuni, ma sapere che d'ora innanzi, dopo la ferita interiore provocata in molti giovani dalla rottura delle relazioni sociali, ogni esperienza conoscitiva andrà guidata, sorvegliata, condivisa. La spiegazione non dovrà più cadere dall'alto come un meteorite sulla testa dello studente. In questa azione risanatrice, paradossalmente, potrebbero aiutarci i minorenni non accompagnati, i quali hanno vissuto il lockdown sopportando pesi superiori ai nostri, chiusi nei centri di pronta accoglienza. Eppure eccoli già in corsa, Mohamed e Omar, Rasdhur e Abdi, come se niente fosse, pronti a scattare verso il futuro. Noi delle scuole Penny Wirton per l'insegnamento della nostra lingua agli immigrati stiamo provando a metterli insieme ai liceali italiani: possiamo farlo, in Dad e in presenza, grazie ai Percorsi per le Competenze Trasversali. I risultati sono incoraggianti. Valeria corregge i tempi verbali di Mamudu. Lucrezia guida Nusrat alla lettura. Luca cura la pronuncia di Aminatha. Da oggi potranno raccontarlo ad amici e professori. E se fosse anche questa la scuola nuova?».

COPASIR E LEGGE ZAN DIVIDONO IL PARLAMENTO

La politica. Giorgia Meloni rischia di non ottenere per FdI la tanto desiderata presidenza del Copasir, che spetterebbe all’opposizione. Sta perdendo il braccio di ferro con la Lega, che quella poltrona vuole conservare. A dargli torto, per ora, i due presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati. Carmelo Lopapa su Repubblica.

«Se i partiti trovano un'intesa tra loro, bene, è la conclusione salomonica dei vertici dei due rami del Parlamento. Diversamente, non si possono fare forzature. Stando a quanto trapela da Montecitorio e Palazzo Madama, la presidente del Senato Casellati (amica di vecchia data del senatore di Fdi Ignazio La Russa, autore di una lettera di sollecito sul caso) avrebbe volentieri favorito l'avvicendamento. Non così Fico, esponente dei 5Stelle, convinto che faccia scuola il precedente della presidenza del Copasir targata D'Alema: nel 2011 l'ex premier rimase al suo posto benché, con l'avvento del governo Monti, il Pd fosse passato dall'opposizione alla maggioranza. Come oggi la Lega, dopo l'ingresso nel governo Draghi, è la tesi sostenuta. Alla fine i presidenti di Camera e Senato hanno trovato un compromesso con la lettera (pubblicata ieri) di risposta alla richiesta di chiarimento del presidente Copasir Volpi. L'obiettivo che si propone Fratelli d'Italia, scrivono, «potrà essere realizzato esclusivamente attraverso accordi generali tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione». In assenza di quell'intesa, continuano, loro non possono intervenire d'imperio. Tanto meno per ottenere una ricomposizione dell'organismo parlamentare». 

Il ddl Zan sull’omotransfobia approda al Senato. Il Corriere intervista Paola Binetti dell’Udc, che chiede modifiche sul tema della libertà d’espressione:

«Senatrice Paola Binetti, Udc, ci siamo con il ddl Zan? Cosa ne pensa? «Che alla fine sarà calendarizzato ed è per questo dobbiamo darci da fare per migliorare il testo che ci è arrivato dalla Camera». Cosa cambierebbe? «Beh, comincerei dall'articolo 1». Praticamente dal cuore del provvedimento? «Dobbiamo stare attenti e precisare bene il significato dei termini come "orientamento sessuale" e "identità di genere". Possono avere interpretazioni diverse, sono concetti molto aleatori». Veramente sarebbero concetti semplici, con significati univoci. «Non in una società dove stiamo attenti alla differenza tra ministro e ministra, rettore o rettrice, avvocato o avvocatessa». Non è la stessa cosa. «Va bene, però mi chiedo: se ci troviamo di fronte un transessuale come lo definiamo, un uomo o una donna?». Si chiamano transessuali per questo. «Ripeto è un problema di linguaggio. Dobbiamo stare attenti a tutelare la libertà di espressione».

LETTA VEDE RENZI IN UN INCONTRO “FRANCO E CORDIALE”

Hanno usato la terminologia della diplomazia per dire com’è andato il primo faccia a faccia fra il segretario del Pd Enrico Letta e il leader di Italia Viva Matteo Renzi. Colloquio “franco e cordiale” è la formula usata quando emergono punti di vista diversi fra i due interlocutori. Letta e Renzi si sono trovati infatti concordi nel sostegno comune a Draghi e allo sforzo nei due principali campi di azione del governo: la campagna vaccinale e il piano di Ricostruzione economica. Ma sono stati in disaccordo su un altro punto chiave: il rapporto col Movimento 5 Stelle. Giovanna Vitale su Repubblica.

«Uno è spiritoso e gioviale, come se averlo sfrattato da palazzo Chigi fosse solo un dettaglio da lasciarsi alle spalle. L'altro prudente, distaccato: deciso a capire se ci si possa davvero fidare di un interlocutore abituato a giocare d'azzardo. Parlano per non più di 40 minuti, il minimo sindacale, ma restano distanti su (quasi) tutto: e difatti «profonde divergenze» verranno poi registrate nei due comunicati diffusi dai rispettivi staff. Pomo della discordia, l'alleanza con Conte e il M5S. Che per Enrico Letta è fondamentale per costruire il "nuovo Ulivo", quella coalizione larga di centrosinistra in grado di battere il centrodestra sia alle amministrative d'ottobre sia alle politiche, mentre Matteo Renzi è di tutt'altro avviso: «Tu li sopravvaluti, i grillini sono destinati a scomparire». Amici mai e però obbligati a stare insieme per evitare di perdere, intanto le grandi città. Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, dove si rischia di brutto andando divisi. Senza trascurare l'altro snodo cruciale della legislatura: l'elezione del capo dello Stato. Su cui - concordano entrambi - occorre trovare un'intesa forte per scongiurare la conquista del Colle da parte di Lega e Fratelli d'Italia.».

Michele Serra nella sua rubrica su Repubblica L’Amaca non si lascia sfuggire l’occasione per espellere Italia Viva, e l’ex segretario del Pd Matteo Renzi, dalla sinistra. 

«Pare che la principale ragione di disaccordo, tra Renzi e Letta, sia il rapporto con i Cinquestelle. Il primo ne parla con spregio, il secondo li considera interlocutori necessari. È una differenza che si spiega da sola: Renzi non ha alcun interesse per ciò che comunemente chiamiamo "sinistra". È un centrista con ambizioni post-craxiane (da "ago della bilancia") fondate sulla sua persona. Per un clamoroso abbaglio (fui tra gli abbagliati) divenne segretario del maggiore partito della sinistra italiana. Per Letta, invece, sinistra significa ancora qualcosa. Dunque prende atto della necessità, e al tempo stesso del dovere (il suo lavoro è: segretario del Pd) di tenere vivo il rapporto con un pezzo notevole dell'elettorato di sinistra. Milioni di persone che votarono per Grillo in buona parte per ripicca nei confronti del Pd. L'altro consistente pezzo del grillismo, quello di destra, è già tornato a casa da un pezzo, con l'imbarazzo della scelta tra Meloni e Salvini».

Maria Teresa Meli va alla fonte e intervista sul Corriere Matteo Renzi:

«Non entrerà nell'alleanza con i 5 Stelle? «Se il Pd si allea con i grillini, no, non entreremo in questa alleanza. Siamo distanti dalla destra antieuropeista di Salvini e Meloni ma anche dal becero populismo di Di Battista e Beppe Grillo. Non con i sovranisti, non con i populisti. Ma tutto mi sembra in divenire: guardi che succede a Roma. Letta non può appoggiare la Raggi, Conte non può scaricarla: mi sembra che questa alleanza sia lontana dal nascere. Se a questo aggiunge che i grillini sono preoccupati soprattutto dal "No" al terzo mandato il quadro è ulteriormente confuso. Pensiamo ai vaccini, alle graduali riaperture di scuole, teatri, ristoranti, bar. Sono temi più seri del futuro di Conte o di Di Maio». Che cosa ha proposto per le Amministrative a Letta? «Di ascoltare ciò che ha detto lui stesso. La cosa più incisiva che il segretario ha fatto, ad oggi, è stata cambiare capigruppo imponendo la questione femminile. Ma allora bisogna continuare. Si vota a Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli e per il seggio parlamentare di Siena penso sia doveroso scegliere anche candidature femminili. Noi a Bologna abbiamo la candidatura più forte, quella dell'avvocato Isabella Conti. Donna, di sinistra, riformista, sindaco capace, in prima linea contro gli scempi urbanistici e prima in Italia a dare asili nido gratis. Decideranno i bolognesi, non io. Ma se siamo coerenti con ciò che diciamo, Pd e Italia viva, dobbiamo andare a bussare alla porta di Isabella pregandola di candidarsi». Sta per dire addio alla politica? «È il sogno dei miei avversari. Molti di loro ci sperano, li capisco. Mi spiace deluderli: io non smetterò di fare politica. Nel frattempo invece loro potrebbero iniziare a farla, magari senza pensare a me in modo ossessivo e preoccupandosi dei problemi del Paese. (…) Italia viva non decolla e perde qualche pezzo. «Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia, cantava De Gregori che proprio in questi giorni festeggia i 70 anni. Non dai calci di rigore. Allo stesso modo un partito lo misuri dalle proposte che fa, da quanto incide nella vita politica, dal contributo che porta al Paese. Non dai sondaggi più o meno ammaestrati. Non so se come dicono Italia viva abbia davvero il 2%. Se così fosse dovrebbero darci un premio doppio. Perché col 2% abbiamo cambiato la storia dei prossimi anni imponendo Draghi al posto di Conte. Se col 2% siamo stati capaci di questo, si figuri che cosa potremmo fare se solo avessimo l'8-10%».

L’ “AMICIZIA” ITALIA-LIBIA NEL VIAGGIO DI DRAGHI

Primo viaggio estero del nostro capo di governo: in Libia. Ieri Draghi è stato a Tripoli. Nel retroscena di Marco Galluzzo sul Corriere della Sera, si spiega bene che l’ambizione di Draghi è ridimensionare il ruolo di Russia e Turchia e promuovere una Conferenza di pace a Roma.

«La pacificazione e la ricostruzione della Libia, come ha detto anche Draghi in Parlamento, passa dal ritiro non solo delle milizie, dalla costruzione di un vero esercito nazionale, ma soprattutto dal disimpegno militare della Turchia e della Russia. E per ritornare ad avere un ruolo centrale in un Paese martoriato, che dipende al 95% dai suoi giacimenti di gas e petrolio, ma che è quasi interamente da ricostruire, significa innanzitutto ritrovare un assetto unitario e costante fra i principali attori dell'Unione Europea, in primo luogo con Francia e Germania. Con un possibile obiettivo di fondo che fa capolino in tutte le conversazioni internazionali sulla Libia, compresa quella del mese scorso di Draghi con Erdogan: si può lavorare ad una nuova Conferenza di pace, dopo quella di Berlino dello scorso anno, dopo gli sforzi delle Nazioni Unite. Una conferenza che non solo accompagni la Libia nel suo processo di riconciliazione nazionale, ma che soprattutto faccia chiarezza e risolva il problema delle influenze militari straniere che ancora gravano sul territorio libico. Il nuovo governo di unità nazionale sembra consapevole, ed è emerso anche nei colloqui sia con Luigi Di Maio che con Mario Draghi, che né la Turchia né la Russia hanno il know-how e la capacità tecnologica per una duratura ed efficace ricostruzione economica del Paese, per gli investimenti necessari, capacità che invece hanno le aziende italiane ed europee. Ma «anche se tutto è in movimento, se persino l'Egitto oggi appoggia il processo di pace - dicono nel governo italiano - non è scontato che Putin ed Erdogan facciano gratis dei passi indietro dopo aver guadagnato sul campo una sfera di influenza». Un ruolo più attivo di Washington, grazie alla nuova amministrazione, è auspicato sia dall'Italia che dalla Ue anche per questo motivo. Ne ha discusso Di Maio con il nuovo segretario di Stato Antony Blinken nei giorni scorsi e l'auspicio della nostra diplomazia è proprio quello di lavorare insieme a Parigi e Berlino ad una nuova conferenza di pace, magari da tenersi a Roma, che veda gli americani presenti insieme a tutti gli altri player del mosaico libico, e dunque Egitto, Emirati, Turchia, Russia. La visita di ieri del nostro premier è solo un primo tassello di un percorso geopolitico molto più lungo e ancora tutto da scrivere».

L’Avvenire, il Manifesto, La Stampa criticano un aspetto del viaggio di Draghi: la posizione assunta dal nostro Presidente del Consiglio sul tema migranti. Chiarissimo l’articolo sul Manifesto di Carlo Lania.

«Certo, vanno ricostruiti i rapporti con la Libia e il suo nuovo governo, provare a riprendersi qualche spazio occupato nel frattempo dalla Turchia e poi si sa, gli affari sono affari e la diplomazia ha le sue regole, quindi se sei ospite a casa di qualcuno non ti metti a criticare tutto. Ma quelle poche parole sui migranti dette ieri dal premier Mario Draghi a Tripoli sono di quelle che lasciano il segno: «Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi, e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia». Apprezzamento per un Paese che imprigiona uomini, donne e bambini in condizioni disumane, ma anche per il lavoro di una Guardia costiera, quella libica appunto, da tempo sotto accusa per le violenze ai migranti al punto che in molti ormai, prima di citarla, fanno precedere l'aggettivo «cosiddetta». Certo, Draghi ha subito aggiunto che, per quanto riguarda i disperati che fuggono in mare «il problema non è solo geopolitico ma è anche umanitario», ma è sembrato davvero molto poco».

PAPA FRANCESCO SCRIVE AD UN GIOVANE

Singolare prefazione di papa Francesco ad un libro del padre cappuccino Raniero Cantalamessa, oggi cardinale, “Francesco, giullare di Dio”, edizioni Francescane italiane, che parla di Frate Pacifico, cantastorie che divenne collaboratore di San Francesco d’Assisi. Il Papa in essa scrive una lettera aperta ad un “giovane in ricerca”. La pubblica oggi in anteprima l’Avvenire.

«Dio non ha smesso di chiamare, anzi, forse oggi più di ieri fa sentire la sua voce. Se solo abbassi altri volumi e alzi quello dei tuoi più grandi desideri, la sentirai chiara e nitida dentro di te e intorno a te. Il Signore non si stanca di venirci incontro, di cercarci come il pastore cerca la pecora perduta, come la donna di casa cerca la moneta dispersa, come il Padre cerca i suoi figli. Egli continua a chiamare e attende con pazienza da noi la stessa risposta di Maria: «Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Se avrai il coraggio di lasciare le tue sicurezze e aprirti a Lui si schiuderà per te un mondo nuovo e tu, a tua volta, diverrai luce per gli altri uomini». 

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera. Oggi proporrò di nuovo i temi del Trend Topic che vanno forte sui social.

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