La Versione di Banfi

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La strage della funivia

alessandrobanfi.substack.com

La strage della funivia

Muoiono 14 persone nel crollo di una cabina della funivia Stresa-Mottarone. Impianto degli anni Sessanta. Slitta la discussione sulle semplificazioni. Letta tira dritto. Grossman su Israele

Alessandro Banfi
May 24, 2021
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La strage della funivia

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La tragedia del Mottarone si abbatte su una domenica italiana di ritorno alla normalità. Con la voglia di aria aperta e di gita. Lo spaventoso volo di venti metri della funivia, i 14 morti, le domande sulle cause angosciano profondamente. Vedremo le inchieste nei prossimi giorni. Intanto c’è un dato terribile che accomuna quell’Italia che cede a pezzi strutturalmente. L’Italia che crolla, dai ponti, alle palazzine, ad impianti come quello piemontese, è stata spesso costruita negli anni del boom, negli anni Sessanta. Era già accaduto per il ponte Morandi. Materiali che in 60 anni si sono logorati, manutenzioni costose, meccanismi diventati obsoleti e privi di controlli. Il nostro è un Paese che avrebbe bisogno davvero di un Pnrr in grande stile: un riammodernamento e un aggiornamento strutturale.

Intanto slitta la discussione sul decreto semplificazioni, c’è troppo contrasto tra partiti e sindacati, mentre sono dure anche le polemiche sui licenziamenti con Confindustria. Arrivare ad un piano condiviso di rilancio dell’economia non sarà facile, al di là della cornice già approvata del Pnrr. Riforme necessarie e che forse questo Parlamento non riuscirà a fare. Come quella sulla giustizia. Mattarella ha mandato un chiaro messaggio anche ai magistrati: sono riforme da fare subito. Per recuperare credibilità.

Sul fronte vaccinazioni ieri sono state fatte 409 mila 761 somministrazioni. Solo nel Lazio 47 mila con l’open day aperto a tutti gli over 35. Ma la quota dei 500 mila non è stata ancora raggiunta in modo stabile e continuo, mentre c’è un 15 per cento degli over 60 che per ora non si è presentato alla vaccinazione. Bisognerà capire perché. L’aspetto positivo viene dai dati sull’epidemia, mai così buoni dallo scorso novembre.

Dal Medio Oriente si attende che la tregua fra Hamas ed Israele diventi pace stabile e duratura, le diplomazie sono al lavoro. Bell’intervento dello scrittore David Grossman pubblicato dal Corriere. Padre Cervellera su La Verità parla delle difficoltà della Chiesa in Cina. I Maneskin, il gruppo che aveva vinto a Sanremo, ha conquistato anche l’Eurovision Song Contest, prestigioso premio che mancava all’Italia da più di trent’anni. Vediamo i titoli.  

LE PRIME PAGINE

Era da tempo che un fatto di cronaca non scalzava la politica, l’economia e il Covid dalle prime pagine. Purtroppo tocca ad una tragedia imporsi nelle aperture dei giornali. Il Corriere della Sera: Volo di venti metri: morte nella funivia. Sulla Repubblica: La morte sulla funivia. La Stampa: Morire in funivia. Per Il Messaggero la disgrazia è il simbolo del mancato ritorno alla normalità: La strage delle riaperture. Il Giornale vede nell’episodio il crollo di tutto il Paese: Così precipita l’Italia. Per il Quotidiano nazionale: L’incredibile strage. Libero commenta: È la tragedia di chi voleva tornare a vivere. Le scelte di altri titoli sono soprattutto della stampa economica, Il Sole 24 Ore propone il consueto approfondimento del lunedì. Un anno di ristori: chi vince e chi perde con i nuovi aiuti. Mentre AF di Repubblica è sulla grande opera dello stretto di Messina: Il ponte della discordia. E Italia Oggi sui guai delle piccole e medie imprese: Pmi sommerse dai debiti. Il Fatto polemizza con il ministro Bianchi: Contrordine dei Migliori: la scuola deve finire prima. Mentre Il Domani si occupa della ricerca dei fondi esteri di Berlusconi: Caccia al tesoro. Mentre La Verità scrive di un uomo d’affari veneto, rapito in Sudan: Sequestrato un imprenditore. Per lui non si muove nessuno. Il Mattino tematizza la grande delusione dei tifosi partenopei, la loro squadra col pareggio di ieri sera è fuori dalla Champions League: Il Napoli rovina tutto.

LA TRAGEDIA DELLA FUNIVIA AL MOTTARONE

Una cabina della funivia Stresa-Mottarone è caduta nel vuoto per una ventina di metri. 14 vittime, un solo superstite, un bambino di 5 anni. Gian Antonio Stella sulla prima pagina del Corriere.

«Il destino? Mah... Troppo facile, in casi come questi, parlare di una tragica fatalità. Troppe volte queste parole sono state usate per spiegare sciagure che poi, con gli approfondimenti delle indagini e l'emergere di dettagli al momento ignoti, si sarebbero rivelate come causate da responsabilità umane. Certo è che il disastro della cabina della funivia del Mottarone inghiottita ieri mattina dall'abisso ha colpito gli italiani come una coltellata a tradimento. Erano otto mesi che le persone aspettavano finalmente di uscire dall'incubo della pandemia, dei centomila morti della seconda ondata del virus, della scuola a singhiozzo coi ragazzi inchiodati alla Didattica a distanza vissuta come forzati ai remi delle galee, delle saracinesche abbassate, del tormentone dei vaccini e pareva che potessimo infine, davvero, tirare un sospiro di sollievo. E quello doveva essere lo spirito con cui le famiglie annientate dalla tragedia avevano raggiunto ieri mattina Stresa, sul Lago Maggiore, per salire con la funivia in cima al Mottarone, da quasi un secolo e mezzo una delle mete più amate dai milanesi, e spaziare con lo sguardo intorno dal Monte Rosa ai sette laghi fino ad aguzzar la vista verso la piana dove, nelle giornate più limpide, dicono si intravveda il Po. Finalmente una gita. Finalmente un cielo senza nuvoloni, né atmosferici né metaforici. Finalmente, tra qualche incertezza, il sole. La partenza. Le risate dei bambini. La fretta di arrivare lassù. Poi possiamo solo immaginare. Un sussulto. Uno schiocco. Il respiro fermato. La scudisciata del cavo spezzato. Il precipizio. Il vuoto. Pochi istanti ed è tutto finito. Laggiù, fra gli alberi. Centinaia di metri più sotto. (…) L'accertamento di una qualche responsabilità nel caso di ieri sul Mottarone, per quanto l'impianto sopra Stresa fosse stato costruito cinquant' anni fa con un progetto oggi probabilmente improponibile per sostituire l'antico trenino a cremagliera, potrebbe avere effetti pesanti su una delle realtà fino a ieri considerata un gioiello dell'imprenditoria italiana. Mai come oggi, insomma, è indispensabile arrivare quanto prima a capire bene cosa è successo. E quali sono eventuali colpe e colpevoli. Non ci possiamo permettere in un momento così, in cui questa tragedia pugnala un Paese che tenta di ripartire e riacquistare fiducia, che un'altra inchiesta evapori in nuvolaglie di perizie, controperizie, ricorsi, controricorsi... Quelle famiglie tradite da una fune che non si doveva rompere hanno diritto ad avere giustizia. E troppe volte altre famiglie non l'hanno avuta».

Il destino ha colpito una famiglia che era appena venuta via da Israele. È la storia del nucleo familiare con l’unico bambino sopravvissuto. Su Repubblica il racconto di Alessia Gallione e Cristina Palazzo.

«Erano appena rientrati da Israele, dalla guerra, dai razzi e dai lutti senza fine. Anche se il cuore e la testa di Amit erano sempre là, su quel conflitto che ha anche riempito gli ultimi post del suo profilo Facebook. Hanno trovato la morte in una giornata di sole, durante «una gita in montagna che - racconta Milo Hasbani il presidente della comunità ebraica di Milano - avrebbe dovuto restituire a tutti un po' di spensieratezza». Un'intera famiglia annientata: Amit Biran, 30 anni, che si era trasferito a Pavia nel 2018 per studiare Medicina, la moglie, Tal Peleg, di 27, e Tom, il figlio più piccolo di appena due anni, che era nato proprio in Italia, nella città che la coppia aveva scelto per vivere. Con loro, anche due parenti venuti da Israele a trovarli. L'unico sopravvissuto, il bambino più grande di cinque anni. Che sta ancora lottando. Quando è arrivato, in condizioni molto gravi, all'ospedale infantile Regina Margherita di Torino, dicono i medici, piangeva disperato e continua a ripetere solo: «Lasciatemi stare, lasciatemi stare». Per lui non c'era nessuno. La casa di Pavia in cui erano arrivati nel 2018, Amit e Tal l'avevano appena lasciata: «Avevano traslocato un mese fa, in un appartamento più grande e più vicino al centro perché l'alloggio era diventato troppo piccolo da quando la famiglia si era allargata», racconta un vicino. A Pavia, Amit studiava medicina e stava facendo il tirocinio. Ma la sua vita era legata a doppio filo a Milano. Qui, sorride ancora dalla foto grande della copertina del suo profilo Facebook: lui, con il figlio sulle spalle e sullo sfondo, il Duomo. Qui, per arrotondare, collaborava con la comunità ebraica. «Anche se, negli ultimi tempi, lo vedevamo meno spesso perché doveva concentrarsi per terminare l'università - racconta ancora il presidente Hasbani - I suoi figli frequentavano la nostra scuola e, proprio per questo, si occupava della sicurezza della scuola e di un servizio che noi chiamiamo protezione civile. Un ragazzo stupendo, sempre sorridente. Siamo increduli. Ci mancava solo questa dopo la terribile situazione di Israele». Nel loro Paese, Amit e Tal, che era originaria di Tel Aviv, tornavano spesso per andare a trovare la famiglia. L'ultimo viaggio, qualche settimana fa. Anche se questa volta, erano stati i loro parenti a raggiungerli. Un'occasione speciale da festeggiare con una gita su quel lago e su quel monte che per i milanesi sono una seconda casa. Un modo per spezzare l'angoscia che si respira in Medio Oriente. Ma anche Barbara Cohen Koninsky, 71 anni e Itshak Cohen, di 82, sono morti su quella stessa funivia. Fino a tarda sera, era ancora da chiarire esattamente il loro legame con la giovane coppia. Un'intera famiglia, comunque, distrutta. A Torino, adesso è attesa la sorella di Amit. È lì, dove si trova il nipote di sei anni che, dicono, sta andando. Il bambino sta ancora combattendo e, ormai, è l'unico sopravvissuto non solo della sua famiglia, ma dello stesso incidente della funivia. Al Regina Margherita, infatti, sono stati subito trasportati gli unici due estratti ancora vivi dal groviglio di lamiere e metallo. Anche se per Mattia Zorloni, sei anni, nonostante i tentativi di salvarlo non c'è stato niente da fare. Quando il figlio maggiore di Amit e Tal è arrivato in ospedale era terrorizzato».

Perché è accaduto? Sulle cause della tragedia e le inchieste della magistratura scrive Giuseppe Guastella del Corriere della Sera:

«La fune d'acciaio «traente» che si spezza quando manca pochissimo all'arrivo e tutti stanno già preparandosi ad uscire a circa 1.400 metri di altitudine, proprio sotto la cima del monte Mottarone. La cabina che corre impazzita all'indietro fuori controllo, fa cento, duecento, trecento metri accelerando sempre più, si divincola dalla fune «portante» che deve sorreggerla e precipita a terra. Solo una delle 15 persone che si trovano a bordo sopravvivrà. Come sia potuto succedere in un impianto appena revisionato è la domanda alla quale dovrà rispondere l'inchiesta della Procura di Verbania. È passato da poco mezzogiorno. (…) Le due cabine, quella che sale e l'altra che scende, possono trasportare fino a 40 persone ma a causa del Covid la capienza è stata ridotta per consentire il distanziamento dei passeggeri. Dal 26 aprile, quando le corse sono riprese, ci si può salire al massimo in 15. Non c'è manovratore, tutto è automatico e governato dalle stazioni di valle e di monte. La cabina sta arrivando alla stazione di monte, mancano pochissimi metri. È facile immaginare che i turisti, tra cui alcuni stranieri venuti con gli amici, mettano gli zaini in spalla, per chi ce l'ha. Quando le manovre di avvicinamento stanno per cominciare si sente un colpo, «come uno schiocco», riferisce un testimone al Corriere della Sera. È la fune traente, quella che tira la cabina e la fa muovere in salita, che si è rotta. La cabina comincia a correre all'indietro. Il pesante carrello che la sovrasta e poggia con le sue ruote sulla fune portante, in questo caso unica, anche se ormai quasi tutte le nuove funivie sono a doppia fune portante, la spinge in senso inverso. Forse entrano in funzione i freni di emergenza. Un altro testimone dice di aver sentito un «rumore forte, come lo stridore di una frenata su un cavo metallico». È un giovane che con la fidanzata sta facendo trekking sotto il percorso della funivia. Sono passate ore, hanno ancora l'orrore negli occhi e non riescono a dire altro. Traballa per la velocità la cabina mentre all'interno non possono che esserci panico e terrore assoluti. Dopo circa 300 metri raggiunge a folle velocità il pilone che aveva superato da qualche minuto in salita che ora si trasforma trampolino proiettandola in aria, facendola uscire dalla fune traente e cadere nel vuoto per una trentina di metri. Una tragedia immane, al momento senza una spiegazione. Dovranno darla i periti che oggi saranno nominati dal procuratore della Repubblica di Verbania Olimpia Bossi che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose che, al momento, è contro ignoti, ma c'è da giurare che presto sul registro degli indagati saranno iscritti i primi nomi. Il punto centrale dell'inchiesta sarà capire perché la fune traente si sia spezzata e perché i freni di emergenza non abbiano funzionato. Dopo i primi sopralluoghi dei Vigili del fuoco il magistrato ha posto sotto sequestro l'intero impianto. Per tutta la giornata di ieri, il procuratore è stato sul luogo dell'incidente con i Carabinieri, i Vigili del fuoco e gli uomini del Soccorso alpino, mentre i carabinieri della compagnia di Verbania sentivano i primi testimoni. (…) L'azienda che ha installato l'impianto e che si occupa della manutenzione, la Leitner di Vipiteno, una della più importanti nel settore al mondo, dichiara in una nota che «l'ultimo controllo magnetoscopico della fune è stato effettuato a novembre del 2020 e gli esiti dello stesso non hanno fatto emergere alcuna criticità» e che «la revisione generale, che consiste in una severa revisione dell'intero impianto, dalle cabine ai carrelli, agli argani e alle apparecchiature elettriche, era stata realizzata nell'agosto del 2016. Da allora, ogni anno a novembre, si sono succeduti con regolarità i controlli alle funi. Sempre con esito positivo».

TUTTI LE REGIONI IN GIALLO

“La strage delle riaperture” l’hanno chiamata i giornali. Se non ci fosse stata la tragedia del Mottarone, parleremo dei record positivi di oggi. Di un ‘Italia che dai primi di novembre non godeva di questa situazione positiva, di uscita dal virus.

«Mai era successo, l'Italia tutta in giallo, da quando il 4 novembre scorso la zona gialla fu istituita da un Dpcm del governo Conte per indicare le Regioni a rischio Covid moderato. A rischio medio-alto, poi, le zone arancioni e a rischio alto le rosse. Ma ormai per fortuna è solo un ricordo. Da oggi, 24 maggio, tutte le Regioni sono in zona gialla, compresa la Valle d'Aosta che fino a ieri era arancione ed ora addirittura rilancia: qui dal 28 maggio riapriranno pure i ristoranti al chiuso (in anticipo, quindi, rispetto alla data del primo giugno prevista dal cronoprogramma del governo). Segno, comunque, che la situazione epidemiologica è in netto miglioramento dappertutto e lo dimostra il bollettino di ieri: appena 3.995 nuovi contagi rispetto ai 4.717 del giorno prima. E anche se il tasso di positività (dato il minor numero di tamponi effettuati) risale dall'1,6 al 2,2% continuano a svuotarsi le terapie intensive (i posti occupati ieri erano 1.410 in tutt' Italia, 20 in meno di sabato) e soprattutto si contano 72 nuove vittime di Covid nelle ultime 24 ore, che sono sempre tante, tantissime, ma rappresentano il numero più basso dall'inizio del 2021».

“Vaccinare il mondo”, ha detto il nostro Presidente del Consiglio. Ezio Mauro su Repubblica torna sul tema con un bel commento, in cui mette a fuoco la diseguaglianza fra i due mondi, quello ricco e quello povero.

«Come si supera il gap economico, tecnologico, di conoscenza tra i due mondi? Trasferendo il know how, aumentando la produzione dei vaccini, rendendo le licenze obbligatorie, minacciando Big Pharma di una sospensione dei brevetti per arrivare a una distribuzione massiccia dei rimedi a prezzo di costo, incentivando donazioni e aiuti da parte dei Paesi ricchi, eliminando il blocco all’export dei componenti vaccinali negli Usa e nel Regno Unito. Ma soprattutto con un’inversione culturale, rispetto alla stagione dei nazionalismi, degli egoismi, dei particolarismi. Combattere un assedio pandemico nel chiuso del recinto di casa è illusorio, o meglio è solo l’inizio, un’operazione di difesa: per attaccare il virus bisogna uscire, «vaccinare il mondo — come ha detto Draghi — , e al più presto». La sfida va giocata a livello planetario, con manovre continentali, intese internazionali, organizzazioni sovranazionali. All’universale si risponde solo con l’universale. Finisce l’epoca che voleva privatizzare il benessere dietro i muri, riemerge la cooperazione, il tentativo di governare la globalizzazione. E mentre il sovranismo si dimostra un’ideologia fallace anche in termini di sicurezza, rispunta addirittura il concetto di solidarietà che sembrava in esilio dal nuovo secolo: e invece torna a indicare come soluzione il vincolo tra gli individui, quel legame volontario, non contrattuale ma naturale, che sta a metà strada tra la libertà e l’uguaglianza».

SUGLI APPALTI SLITTA LA DISCUSSIONE

Decreto semplificazioni, c’è un’animata discussione fra i partiti, che coinvolger anche i sindacati e allora per ora l’esame slitta. La cronaca di Annalisa Cuzzocrea su Repubblica.

 «Sul decreto semplificazioni il Pd si unisce a sindacati, associazioni antimafia e alle critiche arrivate da Leu-Articolo 1: dal testo va tolto l'uso sistematico del massimo ribasso e la parte sui subappalti - che metà governo vorrebbe liberalizzare completamente - va rinviata a un disegno di legge ad hoc. La linea sarà definita stamattina in una riunione al Nazareno con il segretario dem Enrico Letta, la presidente dei deputati pd Debora Serracchiani, quella dei senatori Simona Malpezzi, i responsabili di Ambiente ed Economia Chiara Braga e Antonio Misiani. Poi, naturalmente, Andrea Orlando, perché sarà il ministro del Lavoro a partecipare - alle undici e mezzo - alla riunione convocata a Palazzo Chigi. Un vertice che inizialmente doveva affrontare i due decreti il cui varo è previsto questa settimana, quello sulla governance del Recovery e quello sulle semplificazioni, ma che ieri - ufficialmente - ha cambiato motivazione. Servirà a illustrare il decreto sulle strutture che attueranno il Piano nazionale di ripresa e resilienza. La discussione sulle semplificazioni è invece rinviata perché Palazzo Chigi non considera il testo «maturo». È il frutto delle tensioni delle ultime ore e della gara al rialzo di Matteo Salvini, che in un'intervista alla Stampa ha chiesto la totale cancellazione del codice degli appalti. Secondo i dem, quella del segretario della Lega è una provocazione. Che non deve essere piaciuta a Mario Draghi, visto che ha di fatto congelato la discussione rinviandola a domani o mercoledì. «Il diritto in economia è come un semaforo - dice Enrico Letta - la luce verde serve a velocizzare, quella rossa per prevenire gli abusi, la corruzione, le infiltrazioni mafiose». E quindi, servono entrambe. Nessuno tra i dem nega che una revisione del codice degli appalti sia necessaria, soprattutto in vista dell'enorme mole di investimenti da fare nei prossimi sei anni. Ma c'è modo e modo e quello che il centrodestra vorrebbe imporre - «senza se e senza ma» come ha detto ieri la presidente dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini - incontra parecchie resistenze».

Intervista a Giuseppe Busia, il giurista che guida l’Anc, l’anticorruzione dall’agosto del 2020, sul tema del decreto semplificazioni. Il codice degli appalti, dice a Repubblica, non va cancellato, bisogna usare il “bisturi”.

«Nelle attuali regole sugli appalti, dice il presidente in questi giorni di polemica, ci sono cose da cambiare, «ma usando il bisturi e non l'accetta. E senza sospendere il Codice degli appalti». Partiamo da qui. La bozza del Decreto Semplificazioni ha punti assai controversi. Il primo punto è l'eliminazione della soglia massima del 40% di lavori che si possono dare in subappalto. Così si apre la strada alla criminalità, sostengono i critici. «Sui subappalti la Corte di Giustizia europea ha chiarito che le soglie fisse e generalizzate contrastano con la normativa Ue. Ma al di là di questo, se la paura legata all'abolizione di un limite fisso si giustifica con il timore dell'infiltrazione criminale o mafiosa - che costituisce effettivamente un rischio legato ai subappalti incontrollati - dobbiamo anche riconoscere che anche il precedente limite del 30%, come pure quello del 40% non vanno bene. Non possiamo essere così ipocriti da dire: accetto la presenza delle mafie negli appalti, purché rimanga nel limite del 40% o del 30%». E come se ne esce, allora? «Grazie alla digitalizzazione diventa possibile controllare anche i subappaltatori, fare verifiche su di loro e non tollerare la presenza di mafiosi, nemmeno per il 30%. Inoltre, la Corte di Giustizia lascia spazio alla presenza di soglie in casi specifici, come le opere super specialistiche: forse questo limite si può estendere ad alcune lavorazioni con maggiori rischi di infiltrazioni mafiose. In generale, se ne esce prevedendo che anche i subappaltatori siano direttamente responsabili nei confronti della stazione appaltante e non solamente nei confronti dell'appaltatore, come accade oggi». Si introduce il criterio del massimo ribasso per aggiudicare una gara. Chi offre meno vince. È giusto? «No, anche le direttive europee scoraggiano il massimo ribasso. Chiedono anzi di badare alla qualità di beni e servizi messi in appalto, che viene meno se si usa esclusivamente il criterio del prezzo più basso. Perché questo sia possibile, servono però stazioni appaltanti che sappiano progettare e poi misurare la qualità, individuando i parametri adeguati, che debbono valere sia per l'appaltatore principale che per i subappaltatori». Un altro punto: ci sono polemiche sull'"appalto integrato", con progettazione ed esecuzione affidate allo stesso soggetto. «Noi avevamo proposto l'appalto integrato per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Farlo in altri casi è più rischioso. Ma, spesso, è una scelta obbligata perché abbiamo pochi progettisti nella pubblica amministrazione e pochi in grado di verificare i progetti. Non bisogna demonizzare a priori l'appalto integrato, ma nel contempo dobbiamo investire per rendere la Pubblica amministrazione abbastanza forte da non essere "catturata" dal privato. Per questo, sarebbe opportuno che per ogni 100 milioni da destinare alle opere pubbliche, 500 mila euro fossero riservati per assumere nel pubblico tecnici capaci di progettarle e gestirle».

MATTARELLA: “GIUDICI, LE RIFORME VANNO FATTE”

Dopo una lunga riflessione Sergio Mattarella interviene direttamente sui veleni del Csm e la loggia Ungheria. Il messaggio ai magistrati è molto chiaro: accettate le riforme dal Parlamento, che vanno fatte subito. Marzio Breda sul Corriere della Sera.

«Si è preso il suo tempo, Sergio Mattarella, per rispondere a chi lo ha incalzato per settimane sull'ultimo scandalo delle toghe, nato dal caso Amara e dal conflitto fra Procure, con l'ombra di una loggia massonica segreta dietro le quinte. L'ha fatto ieri, quando lo scontro (politico e mediatico) ha smesso di fermentare e quando ha potuto associare un ragionamento severo a due figure di magistrati esemplari per «responsabilità del ruolo e dignità della funzione»: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Uomini-simbolo da onorare, certo. Ma soprattutto da imitare in quanto sapevano non soltanto essere, ma anche apparire, imparziali, secondo la vecchia esortazione di Sandro Pertini. (…) Mattarella avverte che «se la magistratura perdesse credibilità agli occhi della pubblica opinione, s' indebolirebbe anche la lotta al crimine e alle mafie». Ecco dove si apre il punto più politico della sua riflessione. Bisogna cambiare molte cose. Lo chiedono tutti, lui per primo, oltre alle stesse toghe che hanno smascherato i recenti scandali. Per farlo, ricorda ora sulla scia di quel che raccomandò un anno fa, «gli strumenti a disposizione non mancano. Si prosegua, rapidamente e rigorosamente, a far luce su dubbi, ombre, sospetti, responsabilità» di ciò che è affiorato in questa torrida primavera. Questa la precondizione per fare pulizia nel presente. Siccome però non basterà, incalza Mattarella, «si affrontino sollecitamente e in maniera incisiva i progetti di riforma nelle sedi cui questo compito è affidato dalla Costituzione», ossia in Parlamento. E qui occorre far attenzione alle parole, che il presidente del resto pesa con cura. Quando dice che la riforma della giustizia va messa in cantiere «sollecitamente», non allude a un indistinto futuro prossimo (cioè entro un anno o due), come per forza toccherà alle altre riforme richieste dall'Europa al governo Draghi per concedere il Recovery fund. Intende subito. Con il sottinteso che gli stessi magistrati, su questo fronte, devono mostrare responsabilità. Ad esempio per quanto loro compete nella gestione del Csm, che da diverse parti si pretenderebbe fosse sciolto da Mattarella. Non lo può fare. E non lo farà perché non ne ricorrono le condizioni (un blocco di funzionalità) imposte dalla legge istitutiva del Consiglio stesso».

Sempre dalle colonne del Corriere dice la sua il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. Dopo il caso Palamara e i veleni del Csm sulla loggia Ungheria, i magistrati devono ritrovare credibilità.

«Contrapposizioni, contese e polemiche minano il prestigio della magistratura». Giuseppe Santalucia, da presidente dell'Associazione nazionale magistrati, come accoglie la strigliata del capo dello Stato? «Credo che faccia sempre bene. Coglie una preoccupazione che è anche la nostra». E quindi che farete? «Abbiamo già cercato di adeguarci a questo monito che ci era stato fatto già a febbraio, quando siamo stati ricevuti dal presidente. E anche prima». Quindi non vi sentite chiamati in causa? «È un periodo non facile per la magistratura. Ci sono più punti di vista su come superare la crisi. All'interno dell'Anm si discute ma non ci sono conflitti. Tranne con un piccolo gruppo. Ma anche in questo Comitato direttivo centrale ci siamo ritrovati su posizioni comuni, come il ricordo di Giovanni Falcone». Su quello era facile. «Sui principi generali, autonomia e indipendenza c'è unità. Ma tante cose non dipendono da noi». E da chi? «Dalla crisi si esce con buone riforme. Abbiamo bisogno dell'attenzione del Parlamento». (…) Cosa intende? «Siamo tutti in trepidante attesa che ci dicano qualcosa di certo su quelle rivelazioni che tirano in ballo magistrati come presunti affiliati: se sono calunnie o reati gravissimi. Ma il salotto tv non sostituisce l'accertamento della verità». Sta dicendo: basta magistrati nei talk show? «Ognuno si determina come ritiene. Ma fare ipotesi in tv, litigando con colleghi, non credo sia la strada. Il tavolo di confronto deve essere serio. O c'è chi deduce che tutto è malato. Non è così». Le chat di Palamara non mostrano una giustizia sana. A parte espellere lui, l'Anm non ha fatto nulla? «Da mesi ci sono procedimenti aperti per violazioni del codice etico, come le autosponsorizzazioni. A breve valuteremo». Vuole dire che sono in arrivo sanzioni? Per quanti? «Sono una cinquantina le posizioni aperte. E alcuni si stanno dimettendo dall'associazione. A quel punto il nostro procedimento si interrompe. Ferma restando l'azione disciplinare del Csm». Non è a maglie larghe? «No. Dai numeri si vede che non siamo una casta chiusa in atteggiamento corporativo». Ma auspicate riforme. «Quelle buone. Si è scatenata una reazione che potrebbe portare a soluzioni improvvide». Quali ritiene tali? «Se ne sono sentite di tutti i colori. Dare la prevalenza numerica alla componente laica del Csm. O la commissione d'inchiesta sulla magistratura. E anche la separazione delle carriere non mi sembra una buona idea. Ma ce ne sono di interessanti». Ad esempio? «La riforma del processo civile ci trova in gran parte favorevoli. Come le misure allo studio per il recupero di efficienza della giustizia penale». Ha fatto retromarcia sull'idea di scegliere per sorteggio i consiglieri Csm? «Era l'idea di alcuni nell'Anm, non la mia. È fuori luogo e non è costituzionale. Ci sono altre soluzioni. L'importante è che non ci sia il doppio turno che favorisce gli apparentamenti». Le cordate decidevano le promozioni. È meglio tornare al criterio di anzianità? «Sì, ma non brutale che lega le mani al Csm». La magistratura uscirà dalla crisi? «Sì, c'è tanta indignazione. Il caso Palamara ha fatto tanto male, ma anche tanto bene».

ELEZIONI DEI SINDACI. NUOVO TENTATIVO DEL CENTRO DESTRA

Amministrative, oggi nuovo vertice del centro destra per trovare un accordo sui candidati a Roma e a Milano. Paola Di Caro e Cesare Zapperi sul Corriere.

«Si rivedono oggi dopo tre mesi e mezzo, senza Silvio Berlusconi ancora a riposo forzato, negli uffici della Lega alla Camera. E in agenda hanno un compito che al momento appare improbo: mettersi d'accordo sulle candidature per le Comunali d'autunno, a partire da Roma e Milano, in un clima ancora molto teso sia perché la competizione tra Meloni e Salvini è apertissima, sia perché mancano grandi nomi pronti a «sacrificarsi». E quindi, a sentire tutte le fonti, il summit dei leader del centrodestra di oggi potrebbe rivelarsi non decisivo ma interlocutorio. E non solo perché a pesare sul clima generale c'è il caso Copasir, del tutto aperto e di difficile soluzione. Ma perché sembra di assistere ad una partita a scacchi in cui ciascuno aspetta la mossa dell'altro pronto a rispondere. Matteo Salvini, alla Stampa , ha detto di avere pronti «dieci nomi» autorevoli e ottimi da proporre agli alleati - ci saranno oltre a Meloni, Tajani, La Russa, Ronzulli, Toti, Lupi ed esponenti Udc -, ma potrebbe essere un bluff perché il leader leghista sembra piuttosto stare alla finestra: Meloni (questa è l'accusa sottintesa, da lei respinta) ha ostacolato le candidature di Albertini e Bertolaso? Faccia lei allora la prima mossa. Se saranno nomi accettabili, il Carroccio li approverà. La sensazione - lamenta un alleato - è che non ci sia la vera «volontà di competere per vincere, altrimenti si sarebbero dovuti candidare i big per città importanti come Milano e Roma, ovvero Salvini e Meloni: solo così il centrodestra mostrerebbe di avere la statura per governare il Paese».

LETTA TIRA DRITTO, CARFAGNA E MELONI LO CRITICANO

Enrico Letta tira dritto, sulla tassa di successione e non solo. Giovanna Vitale su Repubblica:

«Non demorde, Enrico Letta. Se Matteo Salvini rinuncia, almeno per adesso, alla flat tax, riservandosi però di sventolare la sua bandiera in campagna elettorale - «Ci arriveremo», garantisce il leader della Lega, «magari non ora, con Conte, Grillo e Letta al governo, ma prepariamo il terreno» - il segretario del Pd non arretra di un passo. Anzi, sulla dote per i 18enni, da finanziare con l'aumento della tassa di successione sui grandi patrimoni, va in tv e rilancia. «L'Italia non è un Paese per giovani e noi vogliamo fare in modo che lo diventi», esordisce presentando da Fabio Fazio il suo nuovo libro, Anima e cacciavite, di imminente uscita per Solferino. Una misura che interesserebbe solo «l'1% della popolazione», tant' è che «abbiamo indicato un'aliquota del 20% sulla parte eccedente i 5 milioni di euro», insiste l'inquilino del Nazareno. «Un numero molto piccolo di italiani» chiamati a offrire «il loro contributo per aiutare quei ragazzi che stanno sotto un certo reddito», appartengono cioè «al ceto medio». I quali, al compimento della maggiore età, riceverebbero «10mila mila euro, che però non sono un regalo da spendere a piacimento», bensì «vincolati per continuare gli studi - e gli italiani sono i meno laureati d'Europa -, per pagare l'affitto di una casa e immaginare di andare a vivere da soli, oppure per mettere in piedi un'attività professionale propria». Concetti che, fra qualche giorno, il segretario dem approfondirà direttamente con Draghi, nell'incontro a quattrocchi concordato venerdì scorso, durante la telefonata con cui hanno provato a chiudere la polemica innescata dalla brusca risposta data dal premier in conferenza stampa («Non è il momento di prendere soldi dai cittadini, ma di darli»). Un faccia a faccia che servirà a Letta per articolare meglio la sua proposta, «che andrà ovviamente inserita in una riforma complessiva del fisco, sulla quale il Pd sta già lavorando», non avendo lui mai pensato di procedere a pezzetti «come ho già detto a Draghi». Con buona pace, anche, del Movimento 5 Stelle, che ieri ha manifestato scetticismo nei confronti sia della ricetta dem, sia di quella leghista: «Per noi è prioritario rivedere il sistema di prelievo sulle speculazioni finanziarie, che danneggia l'economia reale e chi lavora e produce reddito», la posizione illustrata dal senatore grillino Mario Turco. Ma Letta tira dritto: «Finora è stato un florilegio di "ci vuole ben altro", allora io dico "ok, proponete altre soluzioni", ma io non mollo».

Su La Stampa Andrea Malaguti intervista Mara Carfagna.

«Che cos' ha di sbagliato l'idea di Enrico Letta di creare un fondo per i giovani con una tassa di successione sui grandi patrimoni? «Letta ha il diritto di costruire la piattaforma politica del Pd come crede. Nel merito, la penso come Mario Draghi: è il momento di dare, non di prendere». È una tassa per ultraricchi. A sinistra sostengono che la vostra è la tipica reazione delle élite. «Direi piuttosto una reazione pratica. Qualcuno ha fatto i conti: per sostenere quella proposta dovrebbero morire ogni anno 120mila super-ricchi lasciando eredità sopra i 5 milioni di euro. Vi sembra possibile?». Dunque come si tutelano i giovani, soprattutto al Sud? «Col lavoro, il riconoscimento del merito e degli stessi diritti di cittadinanza. Istruzione e formazione di qualità, servizi, accesso alla casa. La diseguaglianza tra Nord e Sud è intollerabile: per questo mi sto impegnando nella riforma dei Livelli minimi di prestazione (Lep), mai introdotti nonostante la Costituzione obblighi a farlo». Le norme previste dal Pnrr sugli appalti premiano più la velocità che la sicurezza. «Penso che sarebbe meglio aspettare il testo definitivo del Decreto Semplificazioni prima di gridare al lupo». Cito il segretario della Cgil, Maurizio Landini: non è tempo di pace sociale. «Tre giorni fa ho partecipato a un tavolo sul Pnrr proprio con Landini. Il sindacato chiede un ruolo nei processi del Pnrr, e sarà ascoltato. Quanto alla pace sociale, credo sia il desiderio profondo di tutti gli italiani, che vogliono tornare a lavorare e dare più benessere e sicurezza alle loro famiglie: partiti, sindacati e corpi intermedi ne dovranno tener conto». 

Federico Novella su La Verità intervista Giorgia Meloni. Anche lei critica Letta.

 «Letta è oggettivamente un marziano: dopo cinque anni alla Sorbona temo abbia perso il contatto con la realtà. E lo dico pur avendo un buon rapporto con lui». In che senso un marziano? «Uno che sbarca in Italia con la povertà che dilaga e si mette a parlare di nuove tasse, vuol dire che non ha i piedi per terra. E lo dico mettendomi nei panni di un elettore di sinistra che magari sta chiudendo un'attività, e si ritrova il suo partito di riferimento che vuole alzare le tasse e dare la cittadinanza automatica agli immigrati. Ecco, diciamo che con le proposte di Letta stavolta sono gli italiani a non stare sereni». Perché il Pd insiste così tanto sui diritti civili e sulla redistribuzione economica? «Perché i partiti di sinistra oggi non rappresentano il popolo e le sue esigenze. Sono diventati i portavoce dei grandi poteri economici e finanziari. In Italia è ancora peggio che altrove, perché il Pd è diventato anche il partito che asseconda le ingerenze straniere nella nostra nazione, e con Letta questo elemento si è addirittura rafforzato. Tanto che, a sentirlo, sembra di avere a che fare più con un diplomatico francese che con il segretario di un partito italiano». 

GROSSMAN: “NON SIATE COLLABORAZIONISTI DELLA DISPERAZIONE”

Tiene la tregua fra Hamas ed Israele. Si attende che la diplomazia faccia il suo corso e si arrivi ad un accordo stabile per Gaza e per Gerusalemme. Ieri nella Versione vi avevamo riferito, da La Stampa, di una manifestazione a Tel Aviv per la pace che ha visto la partecipazione di migliaia di israeliani, arabi e ebrei insieme, cui aveva partecipato lo scrittore David Grossman. Oggi il Corriere della Sera pubblica il suo discorso. Ecco alcuni passaggi.

«Un'intera generazione di bambini, a Gaza e a Ashkelon, presumibilmente crescerà e vivrà con il trauma dei missili, dei bombardamenti e delle sirene. A voi bambini, sulle cui coscienze questo conflitto ha inciso davvero, io sento il bisogno di chiedere scusa, perché non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana a cui ogni bambino di questo mondo ha diritto. L'ultima guerra ha dimostrato una volta di più fino a che punto le due parti, Israele e Hamas, sono bloccate, prigioniere del letale circolo vizioso da loro stesse creato. Fino a che punto agiscono ormai da decenni come un meccanismo automatico capace solo di ripetere le stesse azioni, ancora e ancora, con forza sempre crescente. Un'altra pioggia di razzi e un altro bombardamento, e poi pioggia di razzi. E di nuovo lo stesso noto ritmo martellante, sempre più incalzante, che si autoalimenta e offusca la capacità di giudizio. Poi arriva il momento in cui è evidente che la guerra si è esaurita, e tutti lo sanno, in Israele e a Gaza, ma non sono in grado di smettere, non è possibile smettere, come se la forza fosse diventata il fine stesso invece che il mezzo. Questo gigantesco stantuffo continua a colpire senza sosta, a Be' er Sheva e a Gaza. E può continuare per l'eternità - il meccanismo non è dotato di dispositivo di autospegnimento - a meno che Joe Biden non agiti un dito, e di colpo ci svegliamo dall'incantesimo ipnotico della distruzione, ci guardiamo intorno e chiediamo: cos' è successo qui? Cos' è successo di nuovo? E perché sentiamo che gli elementi più estremisti nel conflitto ci hanno manipolati un'altra volta? Com' è possibile che dopo l'inferno che hanno vissuto milioni di persone, a Gaza e in Israele, ci ritroviamo di fatto vicinissimi al punto di partenza? E più di tutto chiedo, com' è possibile che Israele, il mio Paese, uno Stato che dimostra forze immense quando si tratta di creatività, di inventiva e di audacia, trascini da ormai più di un secolo le macine di pietra di questo conflitto e non sia in grado di trasformare la sua enorme forza militare in una leva che modifichi la realtà, che ci liberi dalla maledizione delle guerre periodiche? Che ci apra un'altra strada? È vero, fare la guerra è più facile che fare la pace. Nella realtà in cui viviamo, la guerra si tratta solo di continuarla, mentre la pace costringe a processi psichici difficili ed elaborati, processi che popoli abituati quasi solo a combattere vivono come una minaccia. Noi israeliani ci rifiutiamo ancora di capire che è finito il tempo in cui la nostra forza può determinare una realtà comoda solo per noi, per le nostre necessità e per i nostri interessi. L'ultima guerra ci farà entrare finalmente in testa che da un certo punto in poi la nostra potenza militare non è quasi più rilevante? Che per quanto grande e pesante sia la spada che brandiamo, in fin dei conti qualunque spada è un'arma a doppio taglio? Questa guerra è finita, ora la domanda bruciante è cosa succederà all'interno di Israele, ai rapporti tra arabi ed ebrei. Quanto è accaduto per le strade delle città israeliane è terribile. Non ha giustificazione. Il linciaggio di persone solo perché sono ebree o arabe rappresenta il livello più infimo di odio e crudeltà. Le vittime sono state uccise, la loro umanità negata. Gli assassini si sono trasformati, in quei momenti, in bestie. Ma adesso - quando gli spiriti si sono raffreddati e lo Stato di diritto comincia finalmente ad assicurare i criminali alla giustizia - si può parlare di quanto è accaduto, cercare di capire cosa è venuto a galla dalle due parti, e delle radici di quanto è accaduto. Perché è dalla possibilità di comprendere che dipende il futuro di noi tutti, ebrei e arabi. Israele potrebbe trovarsi a breve ad affrontare le quinte elezioni. Gli eventi del mese di maggio e la virulenza dell'odio esploso fra arabi ed ebrei occuperanno un posto centrale nella campagna elettorale. È facile indovinare che i politici sfrutteranno le angosce e la diffidenza, il razzismo e la brama di vendetta. Gli istinti più bassi che hanno fatto capolino nella realtà israeliana diventeranno il combustibile della prossima campagna elettorale e i sobillatori avranno vita più facile che mai. Tutti, ritengo, sappiamo chi ci guadagnerà. Tutti sappiamo anche che aspetto avrà la realtà in questo Paese se saranno gli estremisti nazionalisti e i razzisti a stabilire le leggi. Perciò la vera lotta oggi non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti - dalle due parti - anelano a vivere in pace, in una convivenza equa e quanti - dalle due parti - si nutrono, psicologicamente e ideologicamente, di odio e violenza. Magari riuscissimo a ristabilire e irrobustire le forze sane nelle due società, coloro che fra noi si rifiutano di diventare collaborazionisti della disperazione. Così se anche dovesse scoppiare un'altra ondata micidiale come questa - e io temo che scoppierà ogni qualche anno - potremo resisterle in modo lucido e maturo, come sembra stia accadendo già in questi giorni, con un'infinità di incontri e dibattiti e iniziative straordinari. Come dimostriamo noi, che ci ritroviamo qui alla manifestazione, con la nostra risolutezza, con il nostro attaccamento all'idea di pace e uguaglianza, con la cooperazione equa fra i due popoli, e con il nostro «nonostante tutto», la fonte di speranza più grande in questi giorni bui, speranza grazie alla quale rimane possibile ritrovare la strada quasi perduta, la strada tortuosa e ardua per vivere qui insieme, in completa uguaglianza e in pace, arabi, ebrei, esseri umani».

ANCORA SULLA CINA: PARLA CERVELLERA

Non ci sono aggiornamenti sulla retata della polizia cinese nei confronti di preti e seminaristi, di cui si è avuto notizia ieri, ma oggi sul tema La Verità intervista Padre Bernardo Cervellera di Asia News :

«Per quale motivo, a quasi tre anni dalla sua stipula, sono ancora segreti i dettagli sull'accordo sinovaticano? «Conosciamo soltanto la spiegazione fornita dal cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin: gli accordi sono riservati perché così ha chiesto la Cina e perché sono ancora provvisori». Dalla segretezza ci guadagna la Cina, allora. «Anche tutti i contratti siglati da Pechino per la Belt and road initiative, cioè la nuova Via della seta, sono segreti». Perché? «Probabilmente, perché questo permette alla Cina di non essere "ricattabile"».  Lei ha più volte denunciato violazioni dell'accordo da parte delle autorità del Dragone. Quali sono i casi più eclatanti? «Gli episodi più dolorosi riguardano i vescovi riconosciuti dal Vaticano, che la Cina cerca di imprigionare. Ci sono vescovi agli arresti domiciliari, vescovi cui è impedito di svolgere il proprio lavoro pastorale, che vengono portati via dalle loro diocesi per le cosiddette "vacanze", ma, in realtà, per togliere ai fedeli un punto di riferimento spirituale». Se però l'accordo è segreto, come si fa a stabilire se c'è stata una violazione? «Be', l'intesa riguarda le nuove nomine dei vescovi, però dovrebbe lasciare impregiudicate tutte le nomine precedenti, quelle dei vescovi riconosciuti dalla Santa Sede ma non dalla Cina». Ed è questo secondo punto del trattato che il regime non sta rispettando? «Pechino sta ripulendo la sua aia, sbarazzandosi di tutte le comunità "non ufficiali"». Dalla stipula dell'accordo, in definitiva, la condizione dei cattolici è migliorata o è peggiorata? «Temo sia peggiorata. Soprattutto per quanto riguarda la comunità sotterranea, non riconosciuta dal governo, che sta incontrando molte più difficoltà». Di che tipo? «Ad esempio, chi partecipa a incontri in luoghi non registrati rischia di essere multato. Ma anche per la Chiesa ufficiale la situazione è tremenda: vengono molto limitate le sue possibilità di evangelizzazione». In che modo? «Ad esempio, si può evangelizzare solo all'interno del perimetro della parrocchia. Più in generale, i fedeli e i preti subiscono un'enorme pressione affinché seguano i dettami del partito e della sinicizzazione. Una pressione che li sfinisce». Cosa si può fare per salvare i cattolici cinesi? «Quello che ha suggerito Benedetto XVI». Cioè? «Nel 2008, propose la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. Dunque, dobbiamo pregare perché i cristiani cinesi siano capaci di sopportare la persecuzione e siano messi nelle condizioni di offrire comunque un contributo alla società. E poi, in ogni occasione, dobbiamo esprimere la nostra solidarietà nei confronti di questa comunità». Non ci sono strumenti diplomatici e politici per agire? «Ci sono criteri Onu sulla libertà religiosa che bisogna continuamente chiedere di attuare. L'Onu è da decenni che intima alla Cina di eliminare la separazione tra comunità non ufficiali e comunità ufficiale. Ma la Cina ha sempre fatto finta di niente».

VITTORIA DEI MANESKIN CON POLEMICHE FRANCESI

Il gruppo italiano che aveva vinto il Festival di Sanremo ha ottenuto anche il prestigioso Eurovision Song Contest, la gara a livello europeo. Non accadeva che l’Italia vincesse questo titolo da più di 30 anni. Polemiche da parte dei francesi (“che s’incazzano”, direbbe Paolo Conte) e accusano Damiano, il leader del gruppo, di avere assunto cocaina, in diretta tv, nell’attesa del verdetto. Luca Dondoni su La Stampa.

«Non abbiamo dormito neppure un minuto. Dopo una vittoria così chi dorme? E perché poi? Ci siamo dati dei pizzichi per capire se fosse tutto vero, ci siamo raccontati i sacrifici che abbiamo per arrivare fino a qui, abbiamo letto i commenti sui social, bellissimi, da lacrime di gioia. Si sta benissimo quassù, tira un bel vento di cambiamento». I Maneskin Damiano, Victoria, Ethan e Thomas sono distrutti ma raggianti. L'alba non è mai stata così bella e leggere il New York Times («I Maneskin hanno riportato il rock in primo piano, andate in Italia per trovarlo») o il Washington Post che li elogiano dopo che dal palco hanno urlato «Il rock' n'roll non morirà mai e questa notte abbiamo fatto la storia», non ha prezzo. BBC News of the World ha fatto un servizio di mezz' ora, il New Musical Express ha paragonato il gruppo ai Franz Ferdinand, elogi anche da Cnn, Der Spiegel, El Pais, Le Figaro, anche se solo la Francia ha toccato il tasto della polemica. Tutto è nato dopo che un post sul web metteva in dubbio il comportamento di Damiano, che in un'inquadratura si era avvicinato al tavolino dov' erano appoggiate le bevande «in maniera sospetta». «La battuta del giornalista francese - dice il frontman della band - che dopo la vittoria ha immaginando una mia trasgressione tossica, non mi ha fatto piacere. Sembrava volesse rovinare i festeggiamenti di quattro ragazzi giovani con delle accuse stupide, estremamente fuori luogo. Chiunque mi conosca anche solo un po' e vede la vita che faccio sa che non uso droghe e non l'ho mai fatto. Non solo, non avrei mai iniziato a drogarmi con una steadycam puntata in faccia a un metro da me. Sarò scemo ma non fino questo punto». Damiano ha anche spiegato che le immagini in questione lo ritraggono mentre sposta i pezzi di vetro di un bicchiere rotto e li getta sotto il tavolo. A conferma di quanto detto è arrivata una dichiarazione dell'organizzazione dell'European Broadcasting Union che supervede l'ESC: «Siamo preoccupati per la speculazione fatta da alcuni sul videoclip. Il cantante ci ha avvertito che per evitare polemiche si sarebbe sottoposto a un drug test immediatamente, ma non siamo stati in grado di organizzarlo. Per questo Damiano ne farà uno appena arrivato in Italia e ce lo comunicherà. In ogni caso i nostri responsabili si sono subito recati al tavolo dei Maneskin e hanno effettivamente trovato sul pavimento i pezzi di vetro di un bicchiere rotto».

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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La strage della funivia

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