Le notti azzurre
La Nazionale vince gli Europei di calcio. Festeggiamenti in tutta Italia. Oggi al Quirinale Mancini coi campioni. Conte e Grillo trovano l'accordo. Non sarà diarchia. Il Papa è ancora al Gemelli
La notte azzurra, le bandiere, le piazze italiane. E poi le pagelle dei calciatori, i commenti tecnici dei giornalisti sportivi, l’abbraccio fra Mancini e Vialli, dopo la sofferta vittoria ai rigori. E ancora l’esultanza di Mattarella nella tribuna di Wembley, uno stadio bolgia dove gli italiani sono stati scientificamente tenuti alla porta. Nonostante che a Londra siano in 200 mila a vivere sotto il giogo britannico della Brexit. Bello vincere, oggi continueranno i festeggiamenti con il ricevimento al Quirinale e il trofeo portato a Roma. Ricadute sociali e politiche? Ne parlano Cazzullo e Mauro.
Fra la sconfitta (molto onorevole) del tennista italiano Berrettini a Wimbledon e la partita della sera è arrivata ieri pomeriggio la notizia dell’accordo fra Grillo e Conte. I due si sono messi d’accordo: l’ex premier sarà Presidente, Grillo resta il Garante. Non sarà una diarchia. Ma insomma non ci sarà scissione. Primo terreno utile e banco di prova dei nuovi 5 Stelle? La giustizia, grande tema di bandiera. Appuntamento fra dieci giorni in Parlamento. Ma il Corriere butta lì, che Conte vorrebbe un “rimpasto”. La prima mossa del nuovo Capo sarà cambiare i ministri 5 Stelle nel governo Draghi?
Le ultime sulla pandemia. Dati di contagio che cominciano a essere preoccupanti, mentre restano ai minimi i decessi (ieri 7), i ricoveri e le occupazioni nelle terapie intensive. Resta buono il ritmo delle vaccinazioni, dalle 10 di ieri mattina (il dato di domenica talvolta arriva più tardi) alle 6 di questa mattina sono state fatte 406 mila 782 somministrazioni. Nonostante il fine settimana di luglio, è stato rispettato l’obiettivo delle 500mila dosi al giorno. Nei prossimi giorni si attendono decisioni su varianti, green pass e nuove regole su mascherine e distanziamenti.
Il Papa ha pronunciato l’Angelus domenicale da un balcone del decimo piano del Policlinico Gemelli. La convalescenza in ospedale si prolunga di qualche giorno. Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
La festa azzurra della notte, la celebrazione della vittoria che mancava alla Nazionale italiana dagli anni Sessanta, determina quasi tutti i titoli dei quotidiani. Il calcio, per una volta, non è solo tema da giornali sportivi. Il Corriere della Sera: I campioni siamo noi. La Repubblica: L’Europa è nostra. La Stampa: L’Europa siamo noi. Stesso titolo del Messaggero: L’Europa siamo noi. Il Giornale nota: L’Italia gode. Libero pensa ai ringraziamenti: L’Europa è nostra, grazie azzurri. La Verità: Siamo campioni. Il Mattino prende in giro gli inglesi: La regina d’Europa. Quotidiano nazionale resta invece sulla pandemia: Allarme variante, si rischia la stretta. Il Fatto celebra la vittoria dell’ex premier sul Garante e promette guerra alla riforma Cartabia: Conte capo 5 Stelle. «Giustizia, così è no». Il Domani si occupa del segretario del Pd pubblicando un dossier sui suoi interessi economici in Francia, con propaggini saudite e cinesi: Gli affari di Letta. Il Sole 24 Ore del lunedì offre una guida sugli aiuti del Governo per la pandemia: Fondo perduto, arriva il nuovo aiuto per la crisi Covid: per chi e quanto vale.
LA FESTA PER GLI AZZURRI
Vittoria sportiva, ma anche fatto nazionale di prima grandezza. Con riflessi sociali e politici. Per il Corriere della sera Aldo Cazzullo ne rileva la portata simbolica: la vittoria al Mondiale di Spagna 1982 ci servì per uscire dagli anni di piombo, Euro 2020 per uscire dalla pandemia.
«È la vittoria che mancava a una generazione di calciatori, quelli in campo e quelli in panchina, suggellata dall'abbraccio tra Mancini e Vialli in lacrime. Ed è il segno di rinascita che aspettavamo dopo il periodo peggiore delle nostre vite, come fu il Mondiale 1982 dopo gli anni di piombo. Difficile dire chi ne avesse più bisogno, se gli azzurri o noi. Chi tra gli azzurri non gioca nella Juventus non aveva vinto praticamente nulla negli ultimi dieci anni (a parte lo scudetto dell'Inter di Barella). Ma anche agli juventini - in particolare al duo Chiellini-Bonucci, autori ieri di una partita strepitosa, quasi come quella di Donnarumma - era sfuggita finora la consacrazione, che non era giunta con le due finali di Champions perdute ed è finalmente arrivata a Wembley . Ma tutti quanti noi sentivamo la nostalgia e la necessità di una festa non meno di loro. Molti italiani sono usciti di casa per la prima volta stanotte dopo mesi; e l'hanno fatto per celebrare una vittoria collettiva. Appena un mese fa non se l'aspettava nessuno. Non è forse una grandissima squadra, quella che ha conquistato il secondo campionato europeo della nostra storia e ha fatto suonare «Notti magiche» nel tempio del calcio inglese. Nulla a che vedere con la Nazionale che vinse nel 1968: Zoff, Facchetti, Mazzola, Anastasi, Rivera, Riva Ma è senz' altro un grandissimo gruppo; che manda per primo a ricevere la medaglia Spinazzola con le stampelle. Professionisti, amici, compatrioti (bello vedere Matteo Berrettini andare a salutare in tribuna il presidente Sergio Mattarella; e sarebbe bellissimo se il primo italiano finalista a Wimbledon riportasse la residenza fiscale da Montecarlo in patria). Non si diventa mai campioni per caso. Non senza una base tecnica e una forza morale. Il calcio non è metafora della vita e della politica; ma la Nazionale finisce sempre per assomigliare alla nazione che rappresenta. In questo mese, la Nazionale di Mancini ci ha ricordato che essere italiani non è poi così male. Anzi, qualche volta possiamo pure sentirci orgogliosi di esserlo. Per un popolo che non ha avuto un Balzac e un Flaubert, un Tolstoj e un Dostoevskij, un Dickens e un Tolkien, il calcio è il vero romanzo popolare. E come ogni romanzo individua, racconta, segna un momento storico. L'Europeo 1968 incrociò un'Italia uscita da una secolare povertà, alla vigilia di una stagione inquieta e violenta, che però almeno per una notte riscoprì il tricolore. Era un tempo in cui i calciatori non cantavano l'inno, che non veniva considerato una cosa importante; adesso lo è. Con il Mondiale 1982 l'Italia cambiò umore. Finivano gli anni della politica di strada e di piazza, cominciava l'epoca del riflusso, del campionato di calcio più bello del mondo e della febbre del sabato sera, quando persino ballare era una cosa che si faceva da soli. Fu un'epoca fatua, che alla lunga avremmo pagato cara; ma fu anche l'ultima volta in cui siamo stati felici, almeno tutti insieme. Il Mondiale 2006 fu un lampo nel buio di un Paese che già non credeva più in se stesso, ed era atteso da prove terribili: la grande crisi prima finanziaria poi economica, e ora la pandemia con il suo carico di dolore. Se anche questo Europeo resterà un bellissimo ricordo in un momento oscuro, o se invece diventerà davvero il simbolo di una rinascita, questo dipende soltanto da noi».
Ezio Mauro sulla prima pagina di Repubblica:
«Anche la lotteria finale ha premiato la squadra migliore, e il Paese festeggia insieme la Nazionale e se stesso, per una vittoria vissuta come un riscatto dopo la fatica e la paura di due anni terribili. L'Italia che si ferma, in un rito collettivo, il Presidente della Repubblica in tribuna a Wembley, i caroselli per strada e i tricolori che tornano alle finestre. Ancora una volta scopriamo che lo sport veicola ed esalta il sentimento nazionale, come se fosse diventato l'unica espressione umana capace di generare e legittimare democraticamente lo spirito patriottico».
CONTE PRESIDENTE, GRILLO GARANTE MA NON È UNA DIARCHIA
Fra le altre notizie, in quel che resta dei giornali dopo pagine e pagine sugli azzurri di ieri sera, spicca l’accordo raggiunto fra Conte e Grillo. I due conviveranno ma non è una diarchia. Giuseppe Alberto Falci sul Corriere della Sera.
«Dopo nove giorni di scontri i 5 Stelle ritrovano la pace. A metà pomeriggio Vito Crimi annuncia l'accordo fra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. E lo fa davanti all'assemblea straordinaria dei parlamentari riunita sulla piattaforma Zoom. Il reggente del Movimento legge un messaggio: «Grillo e Conte hanno definito concordamente la nuova struttura di regole del M5S. Il Movimento si dota così di nuovi ed efficaci strumenti proiettando al 2050 i suoi valori identitari e la sua vocazione innovativa. Determinante è stato il contributo scaturito dal lavoro svolto dal comitato dei sette che Grillo e Conte ringraziano». E ancora, sempre Crimi: «Una chiara e legittimata leadership del Movimento costituisce elemento essenziale di stabilità e di tenuta democratica del Paese. Grillo e Conte si sentiranno ancora nei prossimi giorni per definire insieme gli ultimi dettagli e dare avvio alle procedure di indizione delle votazioni». Si prova così a voltare a pagina, nonostante restino le ferite dopo lo scontro sulla giustizia. Viene sciolto il nodo sulla guida politica che aveva acuito le distanze tra il garante e l'ex premier. Da ora in avanti il presidente M5S sarà «l'unico titolare e responsabile della determinazione e dell'attuazione dell'indirizzo politico». Tradotto, Conte avrà tutti i gradi di libertà per esercitare la leadership, come aveva richiesto, nel caso in cui sarà eletto presidente. Mentre Grillo resterà il garante ma dovrebbe avere meno influenza sui gruppi parlamentari. Insomma, non ci sarà alcuna diarchia. A questo punto il primo step sarà il voto degli iscritti, prima sullo Statuto e poi sulla leadership. Non caso l'ex premier è contento del risultato: «Sono pienamente soddisfatto dell'accordo raggiunto con Grillo, con il quale in questi giorni ho avuto modo di confrontarmi direttamente più volte. Ora ci sono tutte le condizioni per partire e rilanciare il Movimento: piena agibilità politica del presidente, netta distinzione tra ruoli di garanzia e ruoli di azione politica, grande entusiasmo e chiaro sostegno al progetto politico». Esulta Luigi Di Maio, uno degli artefici della mediazione: «Questa intesa è frutto della vostra volontà di tenere unito il Movimento. Finalmente possiamo ripartire con una leadership forte. Adesso lavoreremo in Parlamento». Dello stesso tenore le parole del presidente della Camera Roberto Fico: «Ognuno di noi ha fatto la propria parte per il bene del Movimento, l'accordo per il nuovo Statuto segna un punto decisivo per il rilancio di cui tutti conosciamo bene l'urgenza». Federico D'Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, sottolinea che «mediazione, dialogo e confronto sono la chiave per affrontare ogni scelta». Mentre Stefano Patuanelli assicura che «Grillo e Conte si sentiranno nei prossimi giorni per definire insieme gli ultimi dettagli». Il clima è tuttavia guastato dai mal di pancia sulla prescrizione che emergono in assemblea. Sbotta Giulia Sarti: «Dai ministri mi aspetto le scuse». Insiste il senatore Alberto Airola: «La forza in Parlamento l'abbiamo se noi abbiamo forza con Draghi...». Il più duro però è Alfonso Bonafede, l'ex ministro della Giustizia che ha visto tagliare con un tratto di penna la sua riforma: «La prescrizione non è una bandierina ma un valore. La riforma è sbagliata. Bisogna proseguire la battaglia con determinazione». Il clima si surriscalda perché si susseguono una serie di interventi assai critici. Che Patuanelli prova a placare: «Fare le barricate in Consiglio dei ministri significa ottenere un testo peggiore e nessuna possibilità di incidere in Parlamento».
IL NODO GIUSTIZIA IN AULA, CONTE VUOLE UN RIMPASTO?
Ma sarà proprio sul nodo giustizia il primo banco di prova della nuova coppia alla guida dei 5 Stelle. Apparentemente è un vantaggio per Conte, asserragliato nella ridotta giustizialista alla Travaglio. Ma al di là di quello che accadrà in Parlamento, quale sarà il dialogo con Draghi? Monica Guerzoni per il Corriere.
«La prima prova per risollevare un Movimento sbandato e al collasso sarà la giustizia, tema fondativo e identitario che ha scatenato la rivolta della base e acceso lo sfogatoio dei parlamentari in assemblea. «In aula daremo battaglia» è l'idea del (quasi) presidente dei 5 Stelle, convinto che la riforma Cartabia della prescrizione sia «inaccettabile in linea di principio e impraticabile rispetto alla situazione in cui versano gli uffici giudiziari italiani». Ai sensi dello statuto limato dai sette saggi e approvato da Grillo, il nuovo «capo» avrà la forza e la legittimità piena per decidere la linea politica. Il 23 luglio, quando la prescrizione arriverà in aula, probabilmente Conte non sarà stato ancora eletto ma a giudicare dall'umore rabbioso dei gruppi non gli sarà difficile orientare il voto di tanti parlamentari nella direzione indicata da Alfonso Bonafede. «La riforma Cartabia è sbagliata, c'è il rischio di isole di impunità - ha detto in assemblea l'ex Guardasigilli, padre della riforma azzoppata - È una battaglia che dobbiamo portare avanti con determinazione». Anche se Draghi pretende lealtà e vuole che il testo non venga modificato. L'esordio di Conte come leader della forza parlamentare più grande della maggioranza sarà dunque tra lotta e governo, posizione ben diversa da quella sostenuta da Grillo. Era stato il garante, al telefono con Draghi, a ottenere il via libera dei quattro ministri stellati, per salvare la riforma e l'esecutivo. Per Conte incursioni simili non si dovranno più ripetere e raccontano che il giurista pugliese se lo sia fatto promettere dalla viva voce del fondatore. Si sono sentiti la prima volta martedì e l'ultima ieri. Nel mezzo, diverse telefonate per chiarirsi e separare il piano del garante da quello del leader. Sarà una convivenza difficile e rischiosa. Ma i duellanti, in sintonia con i mediatori Di Maio e Fico, che hanno fatto asse frenando le spinte scissionistiche, hanno convenuto che affidare il Movimento a Conte è ora l'unica strada per scongiurare l'implosione. Il ministro degli Esteri e il presidente della Camera non usciranno di scena, anzi: resteranno come argini anche nella nuova fase, garanti del patto tra l'ex premier e Grillo. Per Conte è una vittoria e non lo nasconde, è soddisfatto perché il suo progetto di rifondazione è stato recepito nella struttura complessiva. Avrà la prima e ultima parola sulla linea politica e sulla comunicazione, non ha dovuto fare passi indietro e ha ottenuto che Grillo ne faccia uno di lato. Ora il dilemma è il rapporto con il governo. Non è un mistero che Conte e Draghi non si stanno simpatici, la storia recente ha innescato una diffidenza reciproca. Ma l'avvocato non serba rancore nei confronti dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi, perché a rottamarlo è stato Matteo Renzi e non l'ex presidente della Bce. Resta però il fatto che Draghi nelle ore più calde della trattativa sulla giustizia ha telefonato a Grillo e non a Conte e i fedelissimi del giurista raccontano che quella chiamata unilaterale è stata vissuta come «un grave sgarbo». Tra Draghi e Conte non risultano contatti, ma appena il M5S lo incoronerà leader dovranno giocoforza vedersi e chiarirsi. Tra i parlamentari umiliati e offesi per la lunga serie di sconfitte incassate dal M5S nel governo di unità nazionale serpeggia la voglia di uscire dalla maggioranza all'inizio di agosto, con lo scattare del semestre bianco. Ma Conte, nelle riunioni riservate, rassicura: «Uscire dal governo? Io non ci ho mai pensato». Di certo il presidente in pectore ha in mente di interpretare la spinta di tanti parlamentari perché il M5S conti di più nel governo, magari attraverso un rimpasto della squadra. «Dobbiamo incidere di più», sprona Di Maio. E Lucia Azzolina invoca una verifica: «Al governo con Salvini, Renzi e Berlusconi non possiamo ottenere 100, ma il problema nasce se otteniamo solo 10».
Giacomo Salvini sul Fatto non parla di rimpasto, ma neanche di uscita dalla maggioranza, almeno per ora. La linea è quella delle modifiche in Parlamento, senza di esse i 5 Stelle non voteranno gli emendamenti del Governo.
«E così adesso l'intenzione dell'ex premier è quella di far modificare il testo alla Camera, a partire dal 23 luglio: Conte considera la riforma così com' è stata approvata in Consiglio dei ministri "inaccettabile" e, seil testo dovesse rimanere lo stesso, "non passerà con i voti del M5S". Per l'ex premier, che ne ha parlato con i suoi nelle ultime ore e tiene un filo diretto con l'ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, la riforma non solo non va bene "come princìpio" ma ancora di più "alla luce della situazione dei tribunali italiani" che non garantirà di chiuderei processi nei tre anni stabiliti dopo la sentenza di primo grado. L'obiettivo quindi del nuovo leader M5S è di modificare notevolmente la riforma in aula. E se non sarà possibile? Per il momento, nessuno arriva ad ipotizzare l'uscita dal governo Draghi ma, in caso di muro contro muro con i partiti più garantisti, la maggioranza ballerà. Anche Bonafede è sulla stessa linea di Conte. Ieri, durante l'assemblea con i parlamentari, ha parlato di "riforma sbagliata" che rischia di creare "isole di impunità". I due si sono già messi a studiare alcune modifiche alla riforma che non la stravolgano completamente ma che permettano di recuperare parte del terreno perso. Il sogno è quello di eliminare la nuova "improcedibilità" à la Cartabia e tornare all'impianto della "Bonafede" con sconti di pena se il processo dura troppo. Più realisticamente, l'obiettivo è agire sul processo di Appello per evitare che scatti la prescrizione. Come? Inserendo modifiche processuali per far rispettare il limite dei due anni e abolendo il divieto di reformatio in peius - in secondo grado le pene non possono essere più alte del primo - così da fare da deterrente per i ricorsi. Inoltre, e questa è labattaglia su cui i 5S si batteranno di più, l'ex premier vorrebbe abolire la norma secondo cui il Parlamento (con una relazione annuale) può dettare alle procure la priorità sui reati da perseguire. Una riforma sognata per anni da Silvio Berlusconi - che voleva i pm alle dipendenze dell'esecutivo - e che ora il M5S vede come fumo negli occhi. Tra due settimane, quando a Montecitorio, arriveranno gli emendamenti di Cartabia, si porrà un problema politico interno al M5S e al governo. Il Movimento infatti sulla giustizia è spaccato in due: da una parte ci sono i ministri - Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Federico D'Incà e Fabiana Dadone-e i loro fedelissimi, dall 'altra il corpaccione del gruppo parlamentare che annuncia le "barricate" in aula. Minacciare l'uscita dal governo significherebbe anche sconfessare i propri ministri. Durante l'assemblea di ieri i grillini più ortodossi, da Giulia Sarti ad Alberto Airola passando per il senatore Marco Pellegrini e la vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni, hanno parlato di "schifezza" e chiesto "mani libere" in aula, mentre l'ala più governista dei gruppi - il capogruppo alla Camera Davide Crippa, Daniela Torto e Luca Migliorino - difende la scelta dei ministri. Il nuovo M5S di Conte proverà a modificare la riforma in Parlamento ma dovrà scontrarsi con i partiti - in particolare Lega, FI e IV - che la considerano addirittura troppo"giustizialista". A quel punto si aprirà un problema politico nel governo».
LETTA SARÀ CANDIDATO A SIENA
Il Quotidiano nazionale dà la notizia che Enrico Letta si presenterà a Siena nelle elezioni suppletive per la Camera, nel collegio lasciato libero da Padoan.
«Enrico Letta, segretario nazionale del Pd, già presidente del Consiglio, sarà il candidato dei dem, di una fetta del centrosinistra e, presumibilmente anche dei 5 Stelle, al collegio uninominale 12 della Camera in Toscana. Dopo un mese di riflessioni, di silenzi e mezze frasi pronunciate nelle rare interviste, di timide aperture e di docce fredde, ieri Letta avrebbe chiamato i vertici senesi e toscani del Pd, comunicando loro di accettare la proposta di candidatura al Parlamento. Ieri i telefoni dei dirigenti senesi erano rigorosamente muti, da quello del segretario provinciale Andrea Valenti a Susanna Cenni, l'altra deputata senese che è anche membro della segreteria nazionale del Pd. Perché Enrico Letta ha chiesto a tutti qualche giorno di tempo per preparare l'annuncio ufficiale. Ma ormai il dado è tratto. Nel collegio lasciato libero dall'ex ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a novembre, dopo la sua ascesa alla presidenza di UniCredit, si sfideranno il segretario dem e Tommaso Marrocchesi Marzi, imprenditore vinicolo del Chianti, sostenuto da tutto il centrodestra, dalla Lega a Forza Italia, da Fratelli d'Italia a Coraggio Italia di Brugnaro e Toti. Potrebbero esserci altri candidati, ma da Italia Viva per ora arrivano segnali incerti e di attesa, nonostante i rapporti tutt' altro che idilliaci tra il leader Pd e renziani. Il fatto che Letta abbia rotto gli indugi, ufficializzando la sua voglia di ritornare in Parlamento dopo la fine del suo governo e gli anni in cattedra a Science Po a Parigi, toglie il Pd toscano dalle ambasce».
VIRUS E VACCINI, IERI SOLO 7 DECESSI
Dati ancora ottimi sulla diffusione del virus come conseguenze su ricoveri, terapie intensive e morti. Ma preoccupanti sulla diffusione del virus, con l’RT che sfiora di nuovo l’uno per cento. La cronaca sul Corriere di Guerzoni e Sarzanini.
«Green pass soltanto dopo la seconda dose di vaccino, quarantena di 5 giorni per chi arriva in Italia dai Paesi con alto tasso di contagi, obbligo per le Regioni di effettuare un numero prestabilito di tamponi per rimanere in fascia bianca. Con l'avanzare della variante Delta il governo discute nuove misure di contenimento del virus. La risalita del tasso di positività che ieri ha sfiorato l'1% - è a 0,97 - e i numeri del bollettino quotidiano con 1.391 nuovi positivi e 7 decessi, convincono palazzo Chigi della necessità di intervenire per cercare di invertire la rotta. Ed evitare che anche quest' estate, come un anno fa, gli «allentamenti» delle misure possano compromettere la campagna vaccinale e riportare l'Italia in situazione critica. Anche per questo si chiederà di potenziare i controlli sull'uso delle mascherine, che all'aperto continuano a essere obbligatorie se ci sono assembramenti. È l'ultima relazione dell'Istituto superiore di sanità a fotografare la situazione e mettere in guardia dai rischi. Soprattutto sui focolai di Covid-19 che, senza un controllo adeguato, rischiano di far aumentare i nuovi casi. Scrivono gli scienziati: «La circolazione della variante Delta è in aumento anche in Italia. Questa variante sta portando a un aumento dei casi in altri Paesi con alta copertura vaccinale, pertanto è opportuno realizzare un capillare tracciamento e sequenziamento dei casi. È prioritario raggiungere una elevata copertura vaccinale e il completamento dei cicli di vaccinazione in tutti gli eleggibili, con particolare riguardo alle persone a rischio di malattia grave, nonché per ridurre la circolazione virale e l'eventuale recrudescenza di casi sintomatici sostenuta da varianti emergenti con maggiore trasmissibilità. Sulla base dei dati e della presenza di focolai causati dalla variante virale Delta in Italia e delle attuali coperture vaccinali, è opportuno mantenere elevata l'attenzione, così come applicare e rispettare le misure necessarie per evitare un aumento della circolazione virale». I dati aggiornati al 4 luglio dimostrano che sono ancora 24 milioni le persone da vaccinare, mentre il tasso di mortalità tra chi ha ricevuto il ciclo completo è praticamente pari a zero e la copertura contro l'infezione sfiora l'80%. Per questo si sta valutando la possibilità di allungare la lista dei luoghi dovrà si potrà entrare soltanto con il green pass, già previsto per stadi, eventi, concerti, banchetti. Ma soprattutto di rilasciare il green pass soltanto dopo la seconda dose e non, come avviene adesso, quindici giorni dopo la prima. Un modo per tenere sotto controllo gli assembramenti e per incentivare i cittadini - i giovani in particolare - a immunizzarsi».
Alessandro Farruggia intervista per il Quotidiano Nazionale Bernabò Bocca presidente di Federalberghi.
«Salviamo l'estate. L'eventualità del passaggio in zona gialla di alcune regioni non la prendiamo neanche in considerazione. E diciamo chiaramente che anche solo il possibile effetto annuncio, il semplice dire «se continua così tra due settimane chiudiamo» rischia di creare una pioggia di disdette. È quello che vogliamo? È quello che serve? Le parole sono pietre. Noi italiani siamo stati prudenti, abbiamo chiuso lungamente, stiamo vaccinando bene e oggi abbiamo l'immagine di un Paese sicuro. Non roviniamocelo da soli». Così il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca. I dati indicano che in alcuni territori l'incidenza è in aumento. Temete che questo possa portare tra due settimane al ritorno in giallo di alcuni regioni? «Non esiste, anche perché i dati di occupazione dei letti nei reparti Covid resta bassissimo, per fortuna, e altrettanto per fortuna il generale Figliuolo sta facendo bene il suo lavoro e le vaccinazioni procedono a un passo buono. Se cominciamo a mettere paura alle persone la gente non prenoterà più. Con i condizionali, i "questa regione potrebbe diventare gialla", si rischia di rompere un giocattolo che faticosamente è stato rimesso in piedi, seppure tra mille difficoltà». Magari a causa della variante Delta una stretta sarà inevitabile... «Se la situazione precipitasse davvero, cosa che nessuno si augura, allora si prenderanno dei provvedimenti. Ma dire ora che forse ad agosto qualche regione sarà gialla o arancione è masochismo. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta». Temete soprattutto per il turismo internazionale? «Il turismo "pesante" di lungo raggio, americani, giapponesi, cinesi russi, sappiamo non ci sarà e già questo pesa moltissimo, soprattutto per le città d'arte. Senza, si va a tre cilindri su quattro. Se ora diciamo che alcune regioni potrebbero presto finire in giallo o arancione colpiremo il turismo comunitario, quello che usa il green pass, e che stava iniziando a tornare. La logica degli annunci, che già ci ha fatto abbastanza male nel passato, rischia di pesare ancora di più sul turismo nazionale, che spesso ha prenotato, specie nelle località di mare e di montagna, ma è veloce a cancellare: se cominciamo con i lockdown alle 22 o alle 23, il ritorno delle mascherine all'aperto e la chiusura delle sale interne dei ristoranti tanta gente se ne starà a casa». Coma valutate la possibile una stretta dei criteri di valutazione? «Sarebbe un problema. I criteri veri dovrebbere essere l'occupazione degli ospedali e la percentuale di vaccinati. Credo che abbia fatto bene Johnson a riaprire tutto in Gran Bretagna dal 19 luglio. Ha capito che con la campagna vaccinale così avanti, chi anche si contagiasse ne avrebbe un danno limitato. Che la variante Delta sia molto contagiosa è ovvio, ma non interagisce più con una popolazione indifesa, ma con una popolazione in buona parate protetta da vaccini che hanno mostrato di funzionare. Quello di Johnson è certo un rischio, ma calcolato». Come sta andando la stagione? «Aprile e maggio praticamente non ci sono stati. Giugno è stato debole, luglio e agosto si annunciano discreti, anche se molto meno nelle città d'arte, che vivono quasi esclusivamente di turismo di lungo raggio. Viaggiamo a marce ridotte. Soffriamo la mancanza di eventi, che sono quelli che portano i blocchi di camere: mancano fiere, congressi, festival, gruppi. Non si possono riempire gli alberghi italiani una camera alla volta. Ad esempio a Parma a fine agosto c'è Cibus e in quella città a fine agosto il tasso di occupazione negli alberghi è ottimo. Continuiamo così».
UN CANTIERE OGNI 18 KM: LA CODA INFINITA
Libero dedica un articolo ad un altro punto infernale della nostra estate italiana: l’ingorgo continuo sulle austostrade. Un’associazione di consumatori ha calcolato che c’è un cantiere ogni 18 chilometri. Giuliano Zulin.
«L'associazione di consumatori "Altroconsumo" ha calcolato che, da Nord a Sud, c'è un cantiere ogni 18 km, fra autostrade e vie di grande scorrimento. Corsie ristrette, interruzioni, caselli momentaneamente inagibili. Code, ore in macchina sotto il sole per andare in vacanza. Ma anche ore fermi sull'asfalto per camion e furgoni che devono trasportare le merci lungo la Penisola. I tratti più bollenti sono quelli liguri, l'area di Firenze, Milano-Bologna e la fascia adriatica. Rallentamenti continui però si registrano ovunque. Dalla Sicilia al Brennero. La domanda che sorge spontanea, quando si è lì, bloccatie inermi, è: "Ma non potevano fare questi lavori quando eravamo in zona rossa?". Altro quesito che sgorga naturale dalla bocca degli automobilisti: "Certi cantieri non si potrebbero evitare di giorno? Meglio la notte...". E allora giù imprecazioni contro chiunque. Ognuno se la prende con un politico "preferito". La caccia ai colpevoli tuttavia è complicata. Perché in realtà non ce n'è uno in particolare. Intanto bisogna dire che, dopo la tragedia del ponte Morandi, gli investimenti sulla manutenzione sono raddoppiati da parte dei principali gestori autostradali. Solo Autostrade per l'Italia è passata da 350 a 600-700 milioni annui. Più investimenti significa più cantieri e più eventuali disagi. Anche se la madre dei rallentamenti è una circolare emanata dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (all'epoca la ministra era Paola De Micheli) nell'aprile del 2020 su classificazione e gestione del rischio, valutazione della sicurezza e monitoraggio dei ponti esistenti. Una norma in teoria sperimentale, confermata da un decreto dello scorso dicembre. In base al provvedimento gli ispettori del Ministero, quasi ogni settimana, passano al setaccio ponti e viadotti (solo Autostrade per l'Italia ne conta 1943) e intimano ai gestori l'inizio dei lavori di manutenzione. Di fatto i cantieri non sono programmabili. Quando il tecnico ministeriale chiama, il concessionario deve rispondere e iniziare a lavorare che sia febbraio, maggio, luglio, agosto... per non rischiare addirittura un avviso di garanzia. Attenzione: non parliamo di lavori urgenti. Non si tratta di viadotti in pericolo. In teoria certe opere potrebbero essere eseguite anche fra un anno o due. Il tema è che la normativa non stabilisce un periodo transitorio, cioè quando l'ispettore interviene è quasi obbligatorio chiamare i lavoratori e procedere con la manutenzione».
UNA TANGENTOPOLI ALL’OMBRA DEL VIRUS?
Già ieri nella Versione della Sera avevamo notato che delle tante anticipazioni apparse sui giornali del libro di Renzi, Controcorrente, le più inquietanti riguardano le accuse sulla corruzione che sarebbe fiorita in occasione della pandemia. Oggi ne scrive Maurizio Belpietro su La Verità.
«A prescindere dalla simpatia (scarsa) che ho per il personaggio, non posso ignorare ciò che l'ex presidente del Consiglio scrive nel suo nuovo libro, di cui ieri La Verità ha anticipato un capitolo. In Controcorrente (Piemme edizioni), il fondatore di Italia viva sostiene che la gestione della pandemia è stata peggio di Tangentopoli. Con lo stile che lo contraddistingue, Renzi non usa mezze parole e lancia accuse devastanti: «Mentre molti, troppi, morivano, qualcuno faceva molti, troppi, soldi». Aggiungendo: «Chi ha interesse a non scoperchiare la pentola della verità? Davvero chi ha gridato per anni "onestà, onestà, onestà" oggi non vuole capire dove sono finiti i soldi degli italiani?». Renzi è stato per quasi tre anni a capo del governo e non è un principiante della politica, dunque se parla di corruzione, di uno scandalo peggiore di Tangentopoli, non può non sapere che le sue non sono parole destinate a cadere nel vuoto. Per di più, le frasi non sono pronunciate in campagna elettorale, durante un comizio o un talk show, cioè sfuggite di bocca nell'enfasi di una polemica politica. Il fondatore di Italia Viva quelle cose le ha scritte, messe nero su bianco in un libro, dunque presumo che non siano accuse lanciate a vanvera, ma lungamente meditate. Non so che cosa abbia spinto Renzi a un passo così azzardato, ma a prescindere dalle sue ragioni, una cosa mi pare ovvia: ciò che dice non può passare cosi, cioè senza reazioni. Un ex premier sta dicendo che c'è chi ha speculato e guadagnato sulla pandemia, facendo affari milionari sulla pelle degli italiani. Un ex capo di governo sta chiedendo una commissione parlamentare d'inchiesta per accertare se qualcuno abbia lucrato sui banchi a rotelle, il gel, le mascherine e i ventilatori cinesi mal funzionanti. Ora, Renzi può piacere o meno, può essere simpatico oppure no, lo si può apprezzare o detestare. Però ciò che dice non si può ignorare, perché le accuse che lancia, facendo anche qualche nome e cognome, meritano non soltanto un approfondimento parlamentare, ma anche qualcuno in tribunale. Tra i rilievi mossi nel libro, ce n'è uno che punta in alto, ossia all'entourage dell'aspirante capo politico dei 5 stelle, ossia a quel Giuseppe Conte che proprio Renzi ha costretto alle dimissioni, favorendo l'arrivo di Mario Draghi. Scrive l'ex presidente del Consiglio nel suo libro: «Nel maggio 2020 il commissario Arcuri fa sapere a uno dei benefattori delle intermediazioni di mascherine, Benotti, il quale ha incassato milioni e milioni di euro da questa attività sulla cui legittimità sono aperte inchieste, che lui, Arcuri, non può più vederlo. Perché? Perché Palazzo Chigi gli ha fatto sapere che non è il caso». A questo punto il fondatore di Italia viva si chiede: che cosa significa che Palazzo Chigi ha fatto sapere che non è il caso? Forse il governo già a maggio dello scorso anno era a conoscenza di un'indagine? E a che titolo qualcuno della presidenza del Consiglio sapeva cose che avrebbero dovuto essere coperte da segreto istruttorio? Forse - chiede Renzi - qualche esponente dei Servizi segreti ha informato chi di dovere di un'indagine che poteva mettere in imbarazzo qualcuno? Chi è la persona che avrebbe avvisato il commissario straordinario all'emergenza Covid di non frequentare l'intermediario di mascherine e dispositivi sanitari e perché? Domande più che legittime che, in parte, noi per primi nei mesi scorsi avevamo rivolto senza ottenere risposta. Ma oggi è un ex presidente del Consiglio a porre la questione e a voler sapere. E per quanto Italia Viva nei sondaggi pesi come una piuma, sarà difficile ignorare la faccenda».
LAVORO, BUONE NOTIZIE
Il Sole 24 Ore in prima pagina presenta i risultati confortanti di un’indagine fra gli operatori della somministrazione di lavoro:
«Somministrazione di lavoro in crescita dopo il rallentamento del 2020. Assolavoro, l'associazione che raggruppa le agenzie per il lavoro stima per luglio e agosto una crescita di 150mila posizioni rispetto alla stesso periodo del 2019. Una conferma del fatto che il lavoro in somministrazione segna una ripresa dopo l'anno del Covid. I lavoratori in "missione" presso le aziende e la Pa nel mese di aprile erano 438.262 (+31,7% rispetto ad aprile 2020 e +10,4% rispetto allo stesso mese del 2019), e superano quota 400mila da settembre 2020. Le richieste di personale arrivano alle agenzie per il lavoro non solo dalle grandi aziende, ma anche dalle piccole e medie imprese. E non solo dai settori che hanno risentito meno della battuta d'arresto del 2020, come la grande distribuzione o l'Ict, ma anche da settori fortemente penalizzati dalle restrizioni legate alla pandemia, come la ristorazione, gli alberghi e la moda. È quanto emerge dall'indagine svolta dal Sole 24 Ore del Lunedì presso alcuni dei principali operatori della somministrazione di lavoro».
IL PAPA DAL DECIMO PIANO DEL GEMELLI
Tradizionale Angelus domenicale del Papa pronunciato da un balcone del Policlinico Gemelli. Domenico Agasso per La Stampa.
«Quando sul balconcino al decimo piano del Policlinico Gemelli si intravede il Pontefice uscire con passo lento ma deciso, un grande e caloroso applauso dei fedeli sale dal piazzale ad accoglierlo. Durante l'Angelus numerose volte la voce di Francesco, più flebile del solito, a tratti un po' roca, sarà interrotta dalle grida «Viva il Papa! Ti vogliamo bene!». Bergoglio è leggermente - e comprensibilmente - pallido e smagrito, ma le sue condizioni generali appaiono discrete. E immutata è la sua volontà di lanciare messaggi incisivi: «Il servizio sanitario gratuito è un bene prezioso, bisogna mantenerlo!». Vuole accanto a sé sul balcone alcuni piccoli ricoverati nel reparto oncologico pediatrico. Una sofferenza mostrata come promemoria contro l'indifferenza - occorre «accompagnarli con la preghiera» - di fronte alle telecamere di tutto il mondo che attendevano il Papa per la prima volta dopo l'operazione al colon e che si trovano a inquadrare anche visi di bimbi scavati dal dolore: «Qui ci sono alcuni amici bambini malati... Perché soffrono i bambini è una domanda che tocca il cuore», scandisce Jorge Mario Bergoglio. Francesco è andato a trovarli di persona, i giovanissimi pazienti nel reparto che si trova sullo stesso piano dell'«appartamento dei Papi» (chiamato così perché vi era stato ospitato dieci volte anche san Giovanni Paolo II). Ha confortato i piccoli ammalati insieme ai loro genitori. E tra i ragazzini che poi possono seguirlo sul balcone c'è Anna, 13 anni: alcuni giorni fa aveva scritto una lettera al Papa facendosi portavoce di tutti i piccoli che stanno lottando in ospedale. «Perché soffrono i bambini?», si domanda il Pontefice, che poi incoraggia a «pregare per tutti i malati: nessuno sia lasciato solo, ognuno possa ricevere ascolto, vicinanza, tenerezza, e cura». Una settimana dopo l'intervento reso necessario da una «stenosi diverticolare severa con segni di diverticolite sclerosante», il Papa si dice «contento di poter mantenere l'appuntamento domenicale dell'Angelus, anche qui». A pochi metri da lui, appoggiato alla finestra adiacente, lo ascolta anche Sergio Alfieri, il chirurgo che lo ha operato. Il Vescovo di Roma ringrazia «tutti» per il «sostegno» di questi giorni. E poi, con enfasi esprime una riflessione che ha fatto «sulla sua pelle» nella settimana di ricovero: «Ho sperimentato ancora una volta quanto sia importante un buon servizio sanitario, come c'è in Italia e in altri Paesi». Gratuito, che sia «accessibile a tutti - sottolinea - Non bisogna perdere questo bene prezioso», chiede con forza il Papa infermo tra gli infermi. Prima di raggiungere la sua stanza passa a salutare molte persone nei corridoi del Gemelli, tra degenti, medici e infermieri. Francesco, che all'interno del nosocomio si muove con una carrozzina spinta da uno dei suoi assistenti, distribuisce rosari. E sorrisi. Il suo rientro in Vaticano è atteso in questi giorni».
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