La Versione di Banfi

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Le vite degli altri

alessandrobanfi.substack.com

Le vite degli altri

14 vite senza valore rispetto ai profitti della funivia del Mottarone. I freni di emergenza erano stati tolti per una scelta "consapevole". Cabina di regia su Semplificazioni. Ancora sospetti su Wuhan

Alessandro Banfi
May 27, 2021
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Le vite degli altri

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“Le vite degli altri”, ha detto la procuratrice di Verbania. Vite che non hanno valore. Era già successo con Luana, la ragazza di Prato, morta perché probabilmente era stata tolta la sicurezza da quei macchinari tessili a cui lavorava. E succede ed è già successo in tanti, meno conosciuti, incidenti sul lavoro. I meccanismi di sicurezza avrebbero diminuito gli incassi, i profitti, a volte magari allungato i tempi di produzione. Per la funivia Stresa-Mottarone non si voleva che diminuissero i passeggeri. E i relativi incassi. Lo hanno ammesso gli stessi arrestati. Ecco da dove viene lo spaventoso cinismo che ha provocato la morte di 14 persone nella funivia. Quella decisione “deliberata e consapevole” di togliere il meccanismo automatico di frenata, in caso di guasto. Che mondo mostruoso abbiamo creato se non considera il rispetto della vita umana più importante della logica del guadagno? E del resto non è lo stesso mondo che tiene in piedi il brevetto dei vaccini per non danneggiare i profitti delle Big Pharma? Non è la stessa Europa che vorrebbe non sapere e non vedere i migranti che cercano di arrivare sulle sue coste? Non è la stessa Italia che ci ha ossessionato, gridando alla “dittatura sanitaria” per molte settimane, con l’economia che doveva a tutti i costi ripartire? E poco importa se si eludeva la sicurezza anti Covid. Tanto sono quattro anziani a morire…  I morti del Mottarone sono anche sulla coscienza di chi ha alimentato questo clima di profondo cinismo. Questa cultura. Che disprezza le vite degli altri. Nella società, nei media, nelle aziende.

Ieri sono state fatte 514 mila 150 somministrazioni di vaccini. Come spesso al giovedì siamo sempre ai massimi della settimana. Su Famiglia Cristiana interessante intervista sulla campagna internazionale per dare a tutti il vaccino. Il Corriere della Sera prova a rispondere alla domanda: perché si torna a sospettare sul laboratorio virologico di Wuhan? Intanto si sono definiti i contorni italiani delle prossime settimane, senza coprifuoco, in giallo e in bianco.

Ma il Governo ha una serie di altri ostacoli da superare. Oggi si riunisce la cabina di regia sul decreto semplificazioni. Ieri c’è stato un faccia a faccia Cartabia-Bonafede sulla riforma della giustizia, il primo dopo il cambio della guardia a Via Arenula. Importante che ci sia dialogo. Niente metodo ungherese ma metodo Draghi per le nuove nomine ai vertici di ferrovie e Cassa depositi e prestiti. C’è malumore nei partiti. Clamorosa sentenza ambientalista contro la Shell. Gigi Proietti non trova sepoltura a Roma, per ora è in Umbria, a Porchiano. Vediamo i titoli.  

LE PRIME PAGINE

Fanno paura i giornali stamattina. Ma perché fa paura la realtà che raccontano. Il Corriere della Sera: «Hanno tolto i freni per soldi». Per la Repubblica è: La strage dell’avidità. La Stampa quantifica la somma: Una strage per 140 mila euro. Il Quotidiano nazionale calcola in altro modo, valutando l’incasso giornaliero: Hanno fatto una strage per 12.600 euro. Comunque sia, il movente è quello sintetizzato dal Giornale: Morti per denaro. Il Messaggero accusa: Scelta mortale. Libero grida: Criminali. Il Fatto pubblica altri particolari: Funivia, ecco le mail subito dopo lo schianto. Avvenire: Tragica responsabilità. Il Domani allarga il discorso: Così lo Stato sta rinunciando a fare i controlli sulla sicurezza. La Verità sta invece sui temi della politica e pubblica le foto dei Ministri Orlando e Speranza sotto il titolo: I due veri nemici di Draghi. I quotidiani economici vanno sui conti degli enti locali, come Il Sole 24 Ore: Comuni, ecco chi rischia il default. E sulle opportunità dei professionisti, come Italia Oggi: Cassa integrazione in studio. Il Manifesto dedica l’apertura ad una clamorosa sentenza olandese contro la Shell per danno ambientale, che ha dato ragione agli ambientalisti: Super.

LA SCELTA CONSAPEVOLE DI TOGLIERE I FRENI

Andrea Pasqualetto sul Corriere è stato fra i primi a spiegare bene che cosa poteva essere accaduto coi “forchettoni” lasciati attivi, nelle prime ore dopo la tragedia della funivia. Resta una domanda: perché la fune portante ha ceduto?

«Il blocco dei freni è stata una scelta consapevole, meditata, fin dal giorno della riapertura della funivia dopo lo stop per il Covid, il 26 aprile. Motivo? L'impianto aveva delle anomalie, i freni scattavano bloccando le cabine e tutto questo si traduceva in perdite di tempo, di corse e di biglietti. La decisione sarebbe stata condivisa con il gestore della funivia, Luigi Nerini, e con il direttore di esercizio Enrico Perocchio, ingegnere, il più alto in grado della società di gestione. Risultato: tre fermi con l'accusa di omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime e omissione di cautele. «Confidavano nella buona sorte», ha sintetizzato il procuratore di Verbania Olimpia Bossi. Confidavano cioè nel fatto che la fune non si sarebbe mai rotta. L'evento in effetti è rarissimo ma quando capita e non ci sono quei freni, bloccati dai cosiddetti forchettoni, può succedere di tutto. Domenica scorsa è stata una strage. Perocchio, che ha un doppio ruolo essendo anche dipendente della Leitner, la società che ha fornito le cabine e fa le manutenzioni all'impianto, ha negato ogni responsabilità. «L'ingegnere non ha mai autorizzato l'utilizzo della cabinovia con i forchettoni inseriti e anche di aver avuto contezza di simile pratica, che lui definisce suicida», ha fatto sapere l'avvocato Andrea Da Prato, suo difensore. (…) «Glielo dico in camera caritatis - ci confida un esperto della Leitner che chiede l'anonimato -. Dovevano chiudere l'impianto e portar su le persone con i pullman fino a che risolvevano i problemi di malfunzionamento». L'azienda incaricata della manutenzione era intervenuta invano due volte, l'ultima lo scorso 3 maggio. Fin qui, il filone d'indagine sulla causa ultima del disastro. C'è poi la parte riguardante la rottura della fune traente. L'inchiesta qui verte sui controlli, sulle verifiche, sulle manutenzioni. Perché il cavo di ferro si è spezzato? Usura? Corrosione? «L'usura viene misurata annualmente da un controllo che si chiama magnetoinduttivo, che è sempre stato superato», spiega un ingegnere che conosce bene l'impianto. La notte prima si era abbattuto un temporale su Stresa. Colpa di un fulmine? «Difficilissimo, il cavo sta sotto». La sostituzione di un rullo avvenuta il giorno prima del disastro? «Improbabile». E dunque? «Guarderei più alla parte terminale della fune, si chiama "testa fusa", che aggancia il carrello della cabina. È il punto più debole e il meno controllabile. O alle due pulegge, a monte e a valle, dove corre il cavo, che magari si sono inclinate».

Olimpia Bossi, procuratrice della Repubblica di Verbania, che ha guidato le indagini parla dalle colonne della Stampa. Parole durissime ed amare.

«Abbiamo provato altro dolore e un amarissimo sconcerto quando ci siamo resi conto che il mancato funzionamento del sistema frenante era esito di una scelta. Qua non c’entra la negligenza, il pressappochismo, quell’errore umano che non rende immuni da responsabilità ma almeno genera una certa comprensione. Ci troviamo davanti a chi, a fronte di un proprio interesse, ha preferito mettere a repentaglio la vita degli altri». Bloccare le morse del freno di sicurezza, per evitare di compiere un lavoro. Si riferisce a questo? «Parliamo di un’impresa che ha violato, per decisione dei suoi responsabili, norme in materia di sicurezza. Se vale per tutte le aziende, a maggior ragione deve essere inderogabile per attività che per loro natura sono potenzialmente pericolose. Questa è la nostra convinzione e abbiano agito di conseguenza. In prima battuta sarà il gip a dire se abbiamo operato correttamente. Abbiamo cominciato a fare chiarezza: si tratta di una primissima risposta parziale ancorché terribile. L’indagine è appena cominciata, a monte c’è sempre la prima domanda: perché si è spezzato il cavo traente?». (…) Non era passato neanche un giorno dal disastro, che focalizzavate l’attenzione su quel forchettone. Un’intuizione? «Gli operatori e le forze dell’ordine sul luogo del disastro domenica avevano scattato centinaia di foto, girato moltissimi video e tra i tanti dettagli spuntava proprio quello. L’intuito dei carabinieri ha portato subito a un approfondimento e martedì pomeriggio abbiamo convocato i dipendenti di Ferrovie del Mottarone per capire da loro di cosa esattamente si trattava. Lo hanno spiegato ed è emerso in modo inequivocabile: tutti sapevano che il freno restava aperto anche se non doveva». Il caposervizio Gabriele Tadini ha ammesso questa consapevolezza? «Sì, ha risposto alle domande e ha dichiarato che si era fatta quella scelta perché si era sicuri che mai il cavo traente si sarebbe spezzato. Le anomalie erano state riscontrate al sistema frenante della cabina 3, quella schizzata nel vuoto, e in parte nella 4, che fortunatamente domenica si è fermata senza schiantarsi. Da quello che abbiano desunto la 3 viaggiava col freno disattivato da fine aprile, quando è ripreso il trasporto dei passeggeri. Tadini in azienda ha una posizione subordinata al titolare e al direttore dell’esercizio. Noi sosteniamo quindi che anche Nerini e Perocchio sapevano e volevano che si procedesse così per non fermare l’impianto per un controllo approfondito. Quando l’altra notte sono emersi gravi indizi di colpevolezza, abbiamo convocato anche loro due e ho assunto la decisione di procedere con il fermo. Al momento gli altri dipendenti non sono indagati». (…) Potrà dimenticare il 23 maggio 2021? «Mai. Noi magistrati dobbiamo astenerci da giudizi morali, ma qui c’è una gravità di condotta a tutela che smuove la coscienza di chiunque».

Commento in prima pagina sul Corriere di Antonio Polito, titolo lapidario: L’etica smarrita.  

«Qualsiasi azione umana deve essere sostenuta da un principio morale di responsabilità verso gli altri, altrimenti è solo un episodio della guerra di tutti contro tutti, un atto di violenza e di sopraffazione. Lo Stato moderno è nato per impedirlo, garantendo così l'uguaglianza al posto del privilegio di pochi. Sul Mottarone quel principio morale - stando al clamoroso sviluppo delle indagini, e con il beneficio del dubbio che sempre deve essere concesso agli accusati - è stato deliberatamente calpestato. Si è preferito non aspettare che le anomalie dell'impianto fossero riparate, pur di non interrompere un servizio appena ricominciato. E per farlo si è dolosamente disattivato il principale meccanismo di sicurezza: dalla riapertura dell'impianto, il 26 aprile, la funivia ha funzionato senza freni. Uno degli effetti collaterali del Covid è anche questo sconvolgimento nelle priorità, la paura di restare di nuovo fermi dopo il lungo fermo, e di perdere ancora guadagni. Dovremo tenerne conto in tutti i campi della vita nazionale, elevando il livello di attenzione e di prudenza. Ma niente può giustificare la scommessa sulla vita degli altri. Perché di questo si è trattato a Stresa. Da un punto di vista morale, una scelta ripugnante».

Leonardo Coen sul Fatto critica i “poker sovranisti” giocati sulle nostre vite:

«La tragedia di Stresa è qualcosa che va al di là del disastro stesso. È il contesto, che la definisce. Ossia, il punto di non ritorno in cui è precipitata la nostra società, disorientata da messaggi contraddittori, ottimisti e di disperazione, intrecciati ed onnipresenti. Incombe un'equazione inquietante. Trasversale. Detto brutalmente, si sacrificano vite per guadagnare di più, sia in termini economici, sia in quelli politici. Ad esempio, battersi e scatenare polemiche per aprire a tutti i costi bar e ristoranti, quando moltissimi dei loro gestori non rispettano più di tanto le regole anti-Covid, è un indizio di questa deriva. Si concedono i benefici della "ripresa" a chi spesso e volentieri elude ed evade le imposte, impone il lavoro nero, non rispetta le norme di sicurezza. Non scordiamo quel che successe un anno fa nella Bergamasca, quando le attività economiche e commerciali rimasero in funzione, accontentando imprenditori grandi e piccoli, fregandosene del contagio e favorendo i picchi dei decessi. I morti del Covid sono invisibili numeri cui ci siamo assuefatti. I cadaveri del Mottarone, accartocciati e dilaniati sono invece lì davanti ai nostri occhi. Ci riportano alla realtà, come il corpo inerte della bimba sulla battigia libica. Ma l'una e gli altri, sono il frutto velenoso delle stesse dinamiche. In questi mesi di pandemia e di scontri di potere spesso insensati, certi politici giocano a poker sovranisti con le nostre vite, irresponsabilmente spacciando costanti rassicurazioni pur di favorire i propri elettori in barba ai controlli, anche a chi avrebbe avuto timori nell'ignorare precauzioni e regole, comprese le essenziali procedure di sicurezza per evitare incidenti nel mondo del lavoro, nelle strutture di servizio o in quelle turistiche. Per il pokerista il rischio è accettabile. Ma per noi?».

NUOVI PROTOCOLLI: ZONA BIANCA SENZA COPRIFUOCO

Michele Bocci su Repubblica fa il punto sulle nuove regole per l’estate: nel giro di poche settimane tutte le regioni saranno gialle o bianche. E la differenza fra i due colori è quasi inesistente.

«Zona bianca senza coprifuoco ma con mascherine, distanziamento, sanificazioni, monitoraggio dell'andamento dei contagi. Le Regioni, il ministero alla Salute e l'Istituto superiore di sanità ieri hanno condiviso il protocollo per lo scenario con meno restrizioni. In pratica riapre tutto subito, tranne le discoteche, anticipando i rilasci previsti nelle prossime settimane per le zone gialle. Dal primo luglio quando in base al programma indicato dal decreto del governo sarà tutto ripartito (comprese ripartiranno piscine, eventi sportivi al chiuso e centri benessere), la differenza tra giallo e bianco sarà comunque praticamente nulla. Da lunedì prossimo entreranno in bianco Molise, Sardegna e Friuli. Dal 7 toccherà ad Abruzzo, Umbria, Veneto e Liguria e dal 14, ormai quasi certamente, a Provincia di Trento, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte e forse anche la Puglia, che è al limite e aspetta i dati di oggi per conoscere la sua situazione. I principi seguiti da Regioni e governo sono due, indicati nel documento approvato ieri sera: «Superamento delle limitazioni orarie alla circolazione e alle attività; anticipazione al momento del passaggio in zona bianca delle riaperture delle attività economiche e sociali per le quali la normativa vigente dispone già la riapertura in un momento successivo». E alle Regioni ieri il Cts ha inviato le correzioni alle linee guida per le riaperture approvate nei giorni scorsi. Si chiede ad esempio che chi partecipa alle cerimonie, come feste di nozze, sia in possesso di uno dei requisiti per il "green pass". Devono averlo anche i lavoratori che stanno a meno dii 1 metro di distanza dalle altre persone. Oggi le Regioni faranno le loro controproposte. I presidenti hanno anche deciso di elaborare un documento sui richiami in vacanza da mandare al commissario straordinario Francesco Figliuolo. Alcune sono scettiche, altre invece, come il Veneto, insistono che ci si può organizzare anche perché non sono poi tanti i turisti che richiederebbero il servizio».

CABINA DI REGIA E NUOVE NOMINE

Sul Decreto Semplificazioni oggi c’è una riunione della cabina di regia dell’esecutivo. Enrico Marro sul Corriere della Sera:

«Riunione della cabina di regia a Palazzo Chigi, questa mattina, per sciogliere i nodi del decreto legge Semplificazioni, che il premier Mario Draghi vorrebbe portare entro questa settimana in Consiglio dei ministri. Si tratta di un provvedimento fondamentale, insieme con il decreto legge sulla governance, per dare attuazione al Pnrr, il piano di ripresa che fa affidamento sugli oltre 200 miliardi di euro di risorse europee fino al 2026, le quali, però, verranno trasferite all'Italia in base allo stato di avanzamento dei lavori. Diventa quindi decisivo semplificare appunto le norme e le procedure per velocizzare la realizzazione delle opere. Solo che sulla bozza di decreto messa a punto nei giorni scorsi si è scatenato uno scontro nella maggioranza e tra il governo e i sindacati, in particolare sulla liberalizzazione dei subappalti e il ritorno al criterio del massimo ribasso. Scontro che si intreccia con quello sui licenziamenti. Ieri i sindacati hanno alzato il tiro, dopo che nel decreto Sostegni bis è saltata la proroga del divieto di licenziare. Il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha chiesto al governo di convocare le parti sociali altrimenti «valuteremo quali iniziative mettere in campo, e non ne escludo neanche una», mentre la minaccia di sciopero generale è già stata lanciata nei giorni scorsi sul dl Semplificazioni, appunto. Draghi proverà a risolvere i contrasti nella maggioranza con il vertice di questa mattina».

Metodo Draghi e non metodo ungherese (copyright Paolo Mieli) sulle nomine del Governo. Non c’è stato il consueto assalto alla diligenza dei partiti, che infatti appaiono delusi. Ha deciso il Presidente del Consiglio, scrive sulla Stampa Luca Monticelli.

«La parola chiave è discontinuità. Con buona pace della politica e dei salotti buoni. I partiti hanno avuto l'antipasto del «metodo Draghi» sulla prima tornata delle nomine che da qui ai prossimi mesi interesseranno oltre 500 cariche nelle partecipate dello Stato. Fabrizio Palermo dovrebbe essere sostituito da Dario Scannapieco alla guida di Cassa Depositi e prestiti, ma l'ufficialità si avrà solo oggi direttamente in assemblea. Il condizionale è d'obbligo visto che tre anni fa Scannapieco fu rimpiazzato da Palermo la notte precedente alla consegna della lista. Luigi Ferraris è il nuovo amministratore delegato di Ferrovie che si troverà a gestire 30 miliardi del Recovery plan, mentre il presidente sarà Nicoletta Giadrossi. Prendono il posto di Gianfranco Battisti e Gianluigi Castelli. Ferraris vanta una lunga carriera tra Enel, Poste e Terna. Giadrossi ha esperienze alla General Electric, Fincantieri e oggi siede nel cda di Brembo. Ha battuto la concorrenza di Paolo Scaroni che nei giorni scorsi aveva incontrato Francesco Giavazzi, il consigliere economico del premier. Il vertice a Palazzo Chigi sulle nomine, saltato martedì per gli impegni europei di Draghi, si è svolto ieri nel tardo pomeriggio, dopo una ricognizione mattutina che però non era stata definitiva. Intorno alle 21 è uscita la nota del Tesoro con la lista del cda di Fs mentre si apriva l'assemblea delle Ferrovie. I componenti sono: Pietro Bracco, Stefano Cuzzilla, Alessandra Bucci, Silvia Candiani, Riccardo Barbieri Hermitte. Oggi toccherà invece a Cdp: Dario Scannapieco, vice presidente della Banca europea degli investimenti, sembra destinato a tornare a Roma dove potrà riabbracciare il suo amico Mario Draghi. Lavorerà in sinergia con il Mef e Palazzo Chigi per attuare la strategia di rilancio dell'economia nel periodo post Covid. Palermo, salvo colpi di scena dell'ultima ora, viene rimosso dopo tre anni di risultati importanti: 39 miliardi di risorse mobilitate e operazioni come Borsa-Euronext e l'acquisizione della maggioranza di Open Fiber. Un manager stimato che potrebbe usufruire delle porte girevoli del potere e rientrare in qualche altra grande azienda di Stato. Voci di corridoio nei giorni scorsi lo davano forte su Leonardo, nel caso in cui le vicende giudiziarie di Alessandro Profumo lo costringessero a un passo indietro. (…)  Vince sicuramente Mario Draghi che ha deciso in totale autonomia così come aveva già fatto scegliendo i ministri del governo e poi i profili utili per dispiegare la sua visione: Francesco Paolo Figliuolo commissario della campagna vaccinale, Fabrizio Curcio alla Protezione civile, Franco Gabrielli sottosegretario alla sicurezza ed Elisabetta Belloni ai servizi segreti. Perdono i partiti perché nonostante le pressioni su Fs e Cdp non hanno toccato palla. Luigi Di Maio in un colpo solo rinuncia a due uomini nelle stanze dei bottoni considerati di punta dai 5 stelle: Gianfranco Battisti e Fabrizio Palermo. Compensa con Luigi Ferraris che conosce, ma i gruppi parlamentari pentastellati sono in subbuglio. Gianluigi Castelli, vicino alla Lega, è una tessera che viene a mancare nel mosaico di Matteo Salvini e lo stesso Palermo aveva estimatori sia nel Carroccio sia nel Partito democratico. Al Nazareno è scattato l'allarme: si teme che Scannapieco possa mettere una pietra tombale sul progetto della rete unica tra Tim e Open Fiber».

LENTEZZA DEI PROCESSI E RISCHI PER LA DEMOCRAZIA

Prove di dialogo sulla riforma necessaria della giustizia. Ieri c’è stato un vertice fra la ministra Cartabia e il suo predecessore, dei 5 Stelle, Bonafede. Giovanni Bianconi sul Corriere:

«Si sono rivisti nella stessa stanza a cento giorni di distanza, Marta Cartabia e Alfonso Bonafede: dal passaggio delle consegne tra ministri della Giustizia, subito dopo il giuramento del governo Draghi, alla discussione di ieri sulla riforma del processo penale che la Guardasigilli vuole condividere con la maggioranza prima di portare in Parlamento i propri emendamenti. Il Movimento 5 Stelle, in questo percorso attraverso le diverse posizioni dei partiti che sostengono il governo, rappresentano l'ostacolo più arduo. Perché uno dei punti sui quali bisognerà intervenire è la riforma della prescrizione targata Bonafede, il quale non ha nessuna intenzione di vedere sconfessato (con dichiarata soddisfazione di tutti gli altri) ciò che - da ministro e anche dopo - ha sempre rivendicato come una conquista di civiltà. Alla fine, è lui a dare il via libera al comunicato post-riunione: «Riteniamo che, in adempimento del dettato costituzionale, sia fondamentale garantire a ogni cittadino un processo celere che si esaurisca in termini ragionevoli, ma questo non deve mai tradursi in denegata giustizia; ogni cittadino che si rivolge allo Stato per avere una risposta di giustizia deve avere la certezza che quella risposta arriverà». I toni attutiti con cui la delegazione grillina commenta le due ore di incontro «cordiale» servono a tenere bassa la tensione, anzi a far capire che c'è spirito di collaborazione e disponibilità al dialogo; ma servono anche a ribadire ciò che è stato detto e ripetuto nel chiuso del grande ufficio di via Arenula: non ci si può ripresentare ai cittadini con la norma che consente ai processi di andare in fumo, magari dopo anni di attesa e a pochi passi dalla sentenza definitiva, perché il tempo è scaduto. Una posizione netta alla quale la Guardasigilli ha risposto in maniera altrettanto netta: d'accordo sull'esigenza di scongiurare la «denegata giustizia», ma non ci si può presentare nemmeno con una litigiosità senza fine che impedisce di trovare soluzioni ai problemi di una giustizia che non funziona anche perché troppo lenta. I tempi dei processi - ricorda Cartabia ai rappresentanti del Movimento - vanno necessariamente ridotti per accedere ai soldi del Recovery fund, né si può rischiare una «irragionevole durata» dovuta anche all'abolizione della prescrizione dopo il verdetto di primo grado; dunque se non vi piacciono le proposte sul tavolo provate a suggerirne altre, in maniera concreta e costruttiva».

Mattia Feltri nella sua rubrica in prima pagina de La Stampa si occupa del clamoroso caso dell’ex sindaco del Pd di Lodi, Simone Uggetti, assolto cinque anni dopo il suo arresto (e la sua fine politica) perché il fatto non sussiste.

 «La solita storia, sempre uguale, per la milionesima volta: Simone Uggetti, sindaco di Lodi eletto nel Pd, nel 2016 viene arrestato per turbativa d'asta e nel 2021 viene assolto perché «il fatto non sussiste». Davanti alla solita storia si potrebbero dire le solite cose, e andrebbe benissimo. Si potrebbe dire che cinque anni per accertare l'innocenza di una persona sono un tempo spropositato e tirannico, si potrebbe dire che la presunzione d'innocenza per gli altri dovrebbe esserci indispensabile come l'aria perché coincide con la presunzione d'innocenza per noi, si potrebbe dire del migliaio di italiani innocenti che ogni anno finiscono in manette, e sarebbe giusto, sacrosanto, il minimo per un uomo come tutti gli altri. Ma qui c'è un problema ulteriore, e il problema è che Simone Uggetti non era un uomo come tutti gli altri: nonostante le sciocchezze populiste di cui si cerca di riempirci la testa, era qualcosa di più, era un sindaco, era l'uomo scelto dai suoi concittadini per amministrare il Comune. La giustizia è un affare serio, e non ha da fermarsi davanti a nulla, ma in casi come questi, ormai quotidiani, le toccherebbe muoversi con particolare attenzione perché non soltanto si priva della libertà un uomo, ma si privano i cittadini del diritto di essere rappresentati da chi hanno votato. Infatti Uggetti fu costretto a dimettersi e si indissero nuove elezioni (vinte dal candidato della Lega), cioè la volontà democratica fu inquinata e sovvertita. Fino a quando saremo disposti a sopportare che il sospetto di un qualsiasi pm valga, sempre e comunque, più del fondamento della democrazia?».

BIDEN VUOLE LA VERITÀ SUL LABORATORIO DI WUHAN

Giuseppe Sarcina dagli Usa e Guido Santevecchi da Pechino cercano di spiegare ai lettori del Corriere della Sera perché si torna a parlare dei sospetti sul Laboratorio virologico di Wuhan. Biden vuole la verità, e adesso il campo è sgomberato dalle teorie cospirative, in parte alimentate dallo stesso Trump.

«Joe Biden chiede ai servizi segreti di «raddoppiare gli sforzi e preparare un rapporto sull'origine del Covid-19 entro novanta giorni». In una nota diffusa dalla Casa Bianca, il presidente americano rivela «di aver già ricevuto un primo report», ma di non essere soddisfatto. «Dobbiamo andare avanti su due possibili scenari: il virus può essere emerso dal contatto tra uomini e animali infetti; oppure può essere derivato da un incidente di laboratorio». Biden annuncia che il governo Usa, in accordo con i partner mondiali, «continuerà a premere sulla Cina, in modo che possa partecipare a un'inchiesta internazionale, pienamente trasparente e basata su dati scientifici». La posizione di Washington è condivisa dall'Unione europea e da altri 13 Paesi. La comunità internazionale dei virologi, a cominciare da Anthony Fauci, sta cercando di separare scienza e politica. Impresa non facile, poiché fin dal gennaio 2020 il dibattito sulla nascita della pandemia è stato inquinato da teorie cospirative, in parte alimentate anche da Donald Trump. Al centro dell'attenzione l'Institute of Virology di Wuhan, la città-innesco della pandemia. La pista di un esperimento andato male ha ripreso quota da qualche mese. Per quale ragione? La risposta è facile: le missioni, le ricerche condotte dall'Organizzazione mondiale della Sanità non hanno dato esiti convincenti. Nel maggio del 2020 l'Oms ha promosso uno studio congiunto con gli scienziati cinesi. Poi nel febbraio del 2021 un team internazionale ha visitato Wuhan. Una missione giudicata «poco più di una farsa» dal Dipartimento di Stato americano, con Biden nel frattempo insediato alla Casa Bianca. In ogni caso il risultato è un papiro di 313 pagine, pubblicato sul sito il 30 marzo 2021, sulla base di dati esaminati tra il 14 gennaio e il 10 febbraio 2021. L'analisi conclude che «è molto probabile» che l'infezione sia stata trasmessa dagli animali (forse pipistrelli) agli esseri umani; mentre è «decisamente improbabile» che il virus si sia sviluppato nei laboratori di Wuhan. In realtà, ed è questo il passaggio chiave, non ci sono prove sufficienti a sostegno né dell'una né dell'altra tesi. (…) L'iniziativa più efficace è una lettera pubblicata il 13 maggio dalla rivista Science . «La ricerca è stata costruita sulla base dei dati forniti dagli scienziati locali; gli altri non hanno avuto accesso diretto agli accertamenti sul campo. Inoltre, nonostante non ci siano prove in un senso o nell'altro, il rapporto è estremante sbilanciato», scrivono i 18 specialisti provenienti da centri studi di alto livello (14 Usa, 2 Canada, 1 Regno Unito e Svizzera) che hanno firmato la lettera. «Su 313 pagine, solo quattro sono dedicate all'ipotesi di un incidente in laboratorio; tutto il resto esplora la possibilità di una trasmissione tra animali e uomini». Il dibattito tra gli scienziati stimola la curiosità dei media e, nello stesso tempo, incoraggia la fuga di notizie. Negli Stati Uniti saltano fuori dossier rimasti segreti per mesi. Il 24 maggio il Wall Street Journal dà notizia di un report dell'intelligence americana che rivela come, nel novembre del 2019, tre ricercatori dell'Institute of Virology di Wuhan si fossero ammalati contemporaneamente. I tre finirono in ospedale con «sintomi compatibili sia con il Covid-19 sia con l'influenza stagionale». Le carte dei servizi, quindi, non sono risolutive. (…) I 17 esperti internazionali a Wuhan hanno lavorato con 17 colleghi cinesi, che li hanno guidati e controllati in ogni spostamento, portandoli anche nel laboratorio (3 mila metri quadrati, completato nel 2015 a un costo di 42 milioni di dollari e pienamente operativo dal 2018). La loro permanenza è durata un mese, ma 14 giorni li hanno passati in quarantena chiusi in un albergo. Nel rapporto, pubblicato a marzo, il team Oms ha definito «estremamente improbabile» un errore durante ricerche scientifiche cinesi sui coronavirus e non ha riscontrato «falle nella sicurezza». Però, lo studio ammette la carenza di «raw data», dati grezzi sulle cartelle cliniche dei primi pazienti individuati. I colleghi cinesi hanno replicato: «In base alla nostra legislazione, alcuni dati non potevano essere consegnati o fotografati, ma li abbiamo analizzati insieme ai colleghi stranieri e tutti hanno potuto vedere il database». In questi mesi, tra gli indiziati per una possibile fuga del Sars-CoV-2 dal laboratorio, c'è stata Shi Zhengli, la famosa «Bat Woman» cinese che per quindici anni ha fatto ricerche nelle grotte della provincia sudoccidentale dello Yunnan, infestate dai pipistrelli. La virologa ha riferito di aver ricevuto una telefonata il 30 dicembre 2019, mentre era a una conferenza a Shanghai: «Era il direttore dell'Istituto di prevenzione e controllo delle malattie virali, da Wuhan: avevano trovato un nuovo coronavirus in due pazienti con polmonite». Shi Zhengli ha ammesso di aver subito avuto il dubbio atroce: «Può essere venuto dal nostro laboratorio?». Rientrata in città accertò che non era possibile: «Posso garantirlo sulla mia vita».

Famiglia Cristiana ha intervistato l’ingegnere ugandese Winnie Byanyima, impegnata nella campagna People’s Vaccine Alliance, Alleanza per il vaccino del popolo. Il vaccino è un bene pubblico, dice.

«“È inaccettabile. Mentre le aziende farmaceutiche fanno enormi profitti grazie ai vaccini contro il Covid, queste rifiutano di condividere le loro conoscenze e la tecnologia per aumentare le scorte mondiali di vaccini. In India abbiamo visto morire di Covid 4 mila persone al giorno, è immorale tollerare questo accumulo di profitti senza prima pensare a salvare le vite umane”. C'è passione nella voce di Winnie Byanyima, direttrice di UnAids (il programma delle Nazioni Unite per la lotta contro l'Aids) ed ex direttrice di Oxfam, oggi in prima linea nella campagna di People's Vaccine Alliance, un movimento che chiede che il vaccino anti Covid-19 sia trattato come un bene pubblico e non per profitto. Ugandese, 62 anni, ingegnere aeronautico, Byanyima è stata per undici anni parlamentare. Quindi che cosa serve per salvare vite umane dal Covid? «Serve un piano globale per assicurare una produzione di massa dei vaccini e avere così abbastanza riserve per vaccinare tutta la popolazione mondiale. Bisogna capire che se si vaccinano solo i Paesi ricchi ci sarà comunque sempre il rischio di nuove mutazioni del virus che potrebbero rendere inefficaci i vaccini, così da mettere nuovamente a rischio tutti noi». Il programma internazionale Covax per l'accesso equo ai vaccini funziona? «Covax è un atto di solidarietà da parte di alcuni Paesi ricchi, ma non è abbastanza. È solo una goccia d'acqua nell'oceano. Serve una sospensione temporanea dei brevetti e della proprietà intellettuale sui vaccini, così da arrivare a una produzione di massa e a un calo dei prezzi». Il Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio, sta proprio discutendo di questo. Lei che cosa si aspetta? «Prima di tutto devo essere grata a Ngozi Okonjo-Iweala, la nuova direttrice dell'Organizzazione mondiale del commercio, perché ha chiesto agli stati membri del Wto di arrivare a una conclusione entro novembre. Questo è importante, perché di solito i negoziati al Wto sono molto lunghi e a volte ci vogliono anni per arrivare a una decisione. Ma io spero in tempi ancora più veloci, magari entro luglio, almeno non vedremo più la gente morire. Gli Stati Uniti e un altro centinaio di Paesi sono d'accordo, perciò spero in un esito positivo. Ricordo che nel picco dell'epidemia mondiale di Hiv le persone sieropositive lottarono per questo e vinsero la loro battaglia. Non vedo perché non possa accadere anche adesso». L'Africa come sta affrontando la pandemia? «L'Africa ha mostrato una forte leadership, unendo le forze nella convinzione che nessun Paese può fare da solo e sentirsi al sicuro fino a quando non lo sarà anche il Paese vicino. Però la pandemia ha colpito molte economie deboli, e in Africa i costi economici e sociali sono stati più pesanti rispetto alle perdite di vite umane».

CONDANNATA LA SHELL. C’È UN GIUDICE ALL’AJA

Sentenza storica contro il colosso petrolifero della Shell, condannata in un Tribunale dell’Aja per i rischi di danno ambientale imminente. La cronaca del Manifesto.

«Petrolieri di tutto il mondo, preoccupatevi. Un'associazione ambientalista e 17mila cittadini olandesi hanno vinto contro un peso massimo del petrolio, la Royal Dutch Shell. A cui una giudice dell'Aja ha ordinato di tagliare le emissioni di gas serra e di farlo ora, non fra trent' anni. È una prima mondiale, gioiscono i capi di Milieudefensie (Difesa ambientale, in olandese). Perché Shell è il nono inquinatore mondiale. E perché non sono solo i Governi a dover rispettare gli Accordi di Parigi sul clima. Ora anche le aziende, almeno quelle che hanno fatturati come il pil di un piccolo medio stato. Milieudefensie è nata come associazione di scienziati nel 1971, oggi è la branca olandese di Amici della Terra e dichiara 90mila iscritti. Con 300mila dollari di budget per avvocati, ricerche ed esperti, ha sfidato una delle quattro più grandi compagnie del pianeta, che fattura 260 miliardi di dollari l'anno in 140 Paesi. L'ha sfidata in casa sua - il quartier generale e a Houston, in Texas, ma la sede fiscale è a L'Aja. E l'ha sfidata sulla base del «danno imminente» e della preminenza del danno collettivo sull'interesse aziendale, e anche questa è una prima. Perché Shell non ha fatto niente di illegale, ha stabilito la giudice Larisa Alwin. Ma siccome il 95% dei suoi investimenti sono e continuano ad essere spesi per trivellare petrolio o per cercarne altro, e da decenni si è a conoscenza dei danni dei gas serra, i generici impegni non bastano più: troppo evidente il danno in arrivo per i cittadini olandesi (e magari per tutti quelli che respirano un'aria simile), troppo lieve l'impegno per contrastarlo la definizione del giudice è «intangibile, indefinito e non vincolante». Quindi la sentenza: taglio del 45% dei gas serra entro il 2030, sia i vostri che quelli provocati da ivostri prodotti. Fate come volete, scrive il giudice, ma tagliate». 

LA SHOAH E LA GENTILEZZA DEL PAPA

Ieri all’udienza del mercoledì, in piazza San Pietro, papa Francesco ha avuto un gesto di affetto e di gentilezza nei confronti di una sopravvissuta ai campi di sterminio. Elena Loewenthal su La Stampa

«Un uomo si piega, accoglie con delicatezza la mano di una donna e le stampa sul dorso un bacio leggero, a fior di labbra. Un gesto di cavalleria d'altri tempi, che oggi come oggi ci lascia spiazzate, pur se lusingate, nei rari casi in cui succede. Ma se l'uomo è Papa Francesco e la donna è Lidia Maksymowicz, una signora polacca di origini bielorusse sopravvissuta al lager, il gesto è tutt' altra cosa. E poi il bacio non approda sulla mano, no, ma sul numero infame che Lidia ha tatuato sul braccio. E subito dopo quel bacio, Lidia butta le braccia al collo del Papa e quasi se lo stringe a sé. Tutto si svolge nel giro di pochi, intensi secondi, ma è come se la brevità del momento lasciasse un immenso spazio bianco da dedicare alla ricerca del significato, ai pensieri e alle domande che il gesto desta in tutti noi. La prima cosa che ci resta impressa, di quella scena, è la dolcezza. Non c'è nulla di brusco né di drastico. È come se ci dicesse: badate, questo gesto non pretende nulla. Non vuole imporre una svolta alla storia, né raccontare qualcosa che nessuno aveva mai sentito prima d'ora. Non è, insomma, un gesto che nasce per diventare simbolico, pubblico. Né tanto meno esige nulla da Lidia, e men che meno ci sembra una richiesta di perdono. Perché poi. C'è qualcosa di profondamente intimo, in quello scambio fatto di pochissime e inascoltabili parole. Perché? Perché quel gesto del Papa è prima di tutto e soprattutto un atto di gentilezza. Intesa non come cortesia formale o rispetto di convenzioni - nulla a che fare con il galante baciamano ormai quasi estinto, ovviamente. Ci vuole del tempo, ci vuole impegno d'ascolto "visivo" per cogliere l'essenza di quel gesto: cioè l'atto di gentilezza gratuita che il capo della Chiesa cattolica, rappresentante del divino in terra, riserva a un'anziana donna che tanti anni fa è stata in quell'inenarrabile inferno di dolore e ingiustizia. Ma, sia ben inteso, è proprio nella sua natura di gentilezza che sta tutta la portata storica di quel momento. Che non è simbolo bensì lezione di umanità - in senso morale e intellettuale. Perché quella gentilezza, quella disposizione d'animo che prende corpo nel piegarsi, cogliere la mano e stampare un bacio leggero sul dorso di quel braccio, là dove sono ancora impressi seppure sfocati dal tempo i numeri dell'orrore, è il presupposto necessario per accostarsi a quella esperienza. Nessuno di noi, nessuno che non sia stato in quell'abisso, potrà mai capire o anche soltanto provare a capire che cosa hanno passato quelle donne e quegli uomini, che cosa hanno sentito, vissuto, temuto, sperato. La Shoah resta un buco nero della storia, perché è inconcepibile, incomprensibile in modo assoluto. Non possiamo capire, né tantomeno immedesimarci. Quel che ci resta da fare, a tanti anni di distanza eppure ancora ben lontani dall'aver introiettato quel capitolo della storia nella nostra coscienza di italiani, europei e membri del genere umano, è usare proprio quella gentilezza lì, del Papa. Indispensabile per ascoltare, magari nel silenzio di un muto abbraccio, la voce dei sopravvissuti ancora fra noi. Non meno indispensabile per fare propria quella storia, riconoscerla come parte di uno scomodo, intollerabile ma comune passato. Ecco, il gesto del Papa racconta tutto questo. Non pretende di essere un pilastro nella storia dei rapporti fra ebrei e cristiani, né tantomeno di costituire un punto fermo nella revisione storica di quel recente passato. È, semplicemente e grandiosamente, un atto di quella gentilezza indispensabile per essere e restare umani di fronte a un dolore inenarrabile, a un'esperienza come quella della Shoah che non c'è modo di condividere né di comprendere, eppure tutti ci riguarda».

PER GIGI PROIETTI NON C’È POSTO AL CIMITERO

Libero racconta l’odissea della salma di Gigi Proietti, che non ha trovato, come molti altri defunti, sepoltura a Roma. Temporaneamente è al cimitero di Porchiano, in Umbria. Scrive Brunella Bolloli:

«Probabilmente Gigi Proietti riderebbe sornione a vedere la gran caciara scatenata attorno alla sua mancata sepoltura: rifarebbe una delle sue scene più esilaranti, quella in cui interpreta il cassamortaro Fulgenzio Lapide, il becchino, in uno dei suoi cavalli di battaglia. E però la vicenda delle sue ceneri che non hanno ancora trovato spazio al cimitero del Verano ha i contorni drammatici più che comici e viene offerta su un piatto d'argento all'opposizione di Virginia Raggi che si presenta per il secondo mandato da sindaca (e forse anche su questo il grande Proietti avrebbe fatto un monologo da scompisciarsi dalle risate). In breve. L'attore è morto il 2 novembre, il 10 dello stesso mese è stato cremato, ma le sue ceneri sono state "deportate" in Umbria perché a Roma da anni i cimiteri, gestiti dall'Ama, la municipalizzata dell'Ambiente, non funzionano, le salme sono accatastate, mancano i loculi, manca il personale, è un disservizio continuo e prima di Proietti c'era stato il caso del figlio del deputato Pd Andrea Romano e ora anche il giornalista Pierluigi Battista bacchetta la prima cittadina grillina, anche se lo fa con gentilezza, ma le chiede: insomma, quando pensa di dare degna sepoltura a mia mamma che è mancata da oltre due mesi? Su Proietti, core de Roma, è montata la polemica dopo un articolo di Repubblica. Da Matteo Salvini a Carlo Calenda, da Antonio Tajani ad Annagrazia Calabria agli esponenti di Fratelli d'Italia, tutti a dire che è una vergogna che nella Capitale la situazione sia così disastrosa. I consiglieri azzurri hanno anche annunciato un'interrogazione alla sindaca Raggi. L'Ama, già sotto accusa per la gestione dei rifiuti in città, ha improvvisato una difesa dicendo che le operazioni di sepoltura sono seguite secondo le indicazioni della famiglia dell'attore, nel pomeriggio ha diffuso una nota tacciando di fake news l'articolo di Rep, ma ovunque il caso Proietti è rimbalzato come sinonimo di situazione «dolorosa, intollerabile, indegna di un Paese civile». Subito dopo la sua scomparsa, sembrava che Gigi dovesse essere seppellito nel cimitero Acattolico di Roma, dove però delle sue ceneri non c'è traccia. Ora l'urna dell'attore si trova "temporaneamente" nel cimitero di Porchiano, fuori regione, dove riposano i genitori, Romano e Giovanna. Ma Proietti ha fatto la storia della città di Roma, ha fondato un teatro, è un simbolo della romanità: deve essere seppellito al Verano vicino ai grandi, soprattutto perché il giorno del funerale si sono spesi fiumi di retorica per celebrarlo».

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana   https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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Le vite degli altri

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