L'Ema aumenta il caos
L'Ema come De Luca: Italia, Francia, Germania e Spagna forse sbagliano su AstraZeneca, ma decidono gli Stati. Ci vorrebbe un Fauci italiano. Conte vara il nuovo 5S, Grillo piomba a Roma
La vita è sempre ironica, fino al paradosso. Il Giornale è andato a vedere nelle terapie intensive chi sono adesso coloro che rischiano la vita per il Covid 19: sono quasi tutti ultra 40enni che hanno scelto di non vaccinarsi. In Italia i no vax sono più di due milioni fra gli over 60. Il paradosso è che rischiano di essere loro gli unici a tenere vivo quel virus, la cui pericolosità (o a volte esistenza) negano. Tutte le volte che Il Fatto di Travaglio festeggia perché la campagna vaccinale dell’odiato Figliuolo perde colpi, arrivano dati che smentiscono il giornale. È successo anche stamattina. Ieri il conteggio sul sito del Governo si era fermato, ma i dati dell’alba di oggi non lasciano dubbi: nelle ultime 24 ore 584 mila 947 vaccini, altrettanti nelle 24 ore precedenti. Ma la confusione a livello di informazione e anche di pareri scientifici aumenta. Ha ragione Miozzo sul Foglio. Ieri l’Ema ha di nuovo smentito le ultime decisioni su AstraZeneca, che pure sono operative in mezza Europa. Pur dicendo, alla fine, che sono i singoli Stati che devono decidere.
La politica italiana ha davanti a sé due passaggi cruciali: nasce in questi giorni il nuovo Movimento 5 Stelle rilanciato da Conte. Regole e nuova segreteria ci diranno qualcosa dell’identità del primo gruppo politico in Parlamento. E due: il centro destra deve sciogliere il nodo del candidato sindaco di Milano. Sullo sfondo ci sono i destini del governo Draghi (il “governo horror” secondo Di Battista). Secondo Repubblica Conte ha già l’elmetto in testa per una guerriglia anti-governativa nelle prossime settimane.
Sul piano delle cose da fare, oltre alla campagna vaccinale, c’è la questione blocco licenziamenti e lavoro. Non è una questione secondaria. A sentire Brunetta (ma anche i commercianti, per non parlare delle agenzie di lavoro interinale) sta crescendo repentinamente l’offerta di lavoro. Manca chi si presenti. Il che farebbe pensare che anche su questo tema forse Draghi potrebbe prendersi un altro “rischio ragionato” (come sulla fine dei divieti) e non prorogare il blocco. Nonostante l’opposizione di Landini e il prossimo sciopero. Anche il Papa, il più attento ai bisogni degli ultimi e allo strapotere del profitto, invita i sindacati a non pensare solo ai pensionati e ai garantiti. Ma certo non sono decisioni semplici e nessuno ha la ricetta giusta in tasca. Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
Il Corriere della Sera sulla nuova libertà di movimento, grazie al certificato vaccinale: Viaggi, arriva il Green pass. La Repubblica invece sottolinea l’aspetto della fine dell’emergenza: Stop alle mascherine all’aperto.
La Stampa, un po’ troppo sopra le righe, vede addirittura divisioni politiche sui dispositivi di protezione: Via al Green Pass, lite sulle mascherine. Per Il Messaggero invece c’è divertimento dietro l’angolo: Il green pass apre le discoteche. La presa di posizione dell’Ema, che smentisce ciò che si fa di AstraZeneca in questo momento in Italia, Germania, Francia e Spagna è clamorosa. Per Quotidiano Nazionale: L’Ema frena: attenti ai mix di vaccini. La Verità, pensa un po’, se la gioca contro il Ministro della Salute: L’Ema demolisce Speranza e il suo cocktail di vaccini. Il Fatto, altro grande classico, la rivolge contro Figliuolo: Tre docce fredde: frenata sui vaccini. Di occupazione scrivono Avvenire, che riporta un intervento del Papa: Un lavoro umano. Libero: L’Italia chiama, nessuno risponde, sulle mancate risposte alle offerte di lavoro. E il Domani: Le nuove lotte per i diritti del lavoro nascoste in un magazzino di libri. Di finanza e monete invece tratta Il Sole 24 Ore: L’effetto Fed dà la carica al dollaro. Mentre il Manifesto titola sulla campagna elettorale a Roma, sostenendo che gli interessi del costruttore Caltagirone stanno condizionando ben tre candidati: la Raggi, Calenda e Michetti. Gioco di parole: La voce del mattone.
DA LUGLIO VIA LE MASCHERINE, VARIANTI PERMETTENDO
La discussione sullo stato d’emergenza è accantonata. Il Green Pass è una realtà e nelle prossime ore si concretizzerà sugli smartphone di chi è già vaccinato. Draghi ha chiesto a Salvini, nel faccia a faccia di ieri, di frenare le polemiche. “Silenzio e lavoro”, ha ribadito, di fatto promettendo la fine dell’obbligo delle mascherine all’aperto da luglio. Monica Guerzoni per il Corriere.
«A Matteo Salvini il presidente del Consiglio ha chiesto una tregua. Una moratoria sulle parole e sulle polemiche politiche, almeno sul fronte delicatissimo della lotta alla pandemia. In compenso il leader della Lega, che al capo del governo ha snocciolato «i Paesi europei che hanno già tolto il bavaglio», è uscito dal breve incontro di Palazzo Chigi convinto che l'obbligo di indossare le mascherine all'aperto cadrà in Italia ancor prima del 15 luglio. Ai piani alti di piazza Colonna la misura è allo studio da giorni. Draghi ne ha soppesato gli effetti e il forte valore simbolico. Di certo il presidente non vede l'ora di dare agli italiani un messaggio di ritorno alla vita e alla normalità, ma bisogna farlo «con prudenza, passo dopo passo». Senza fughe in avanti e senza lasciarsi guidare dalle ideologie. La Lega e Italia Viva sono in pressing, i 5 Stelle sono favorevoli ad accelerare, il Pd conserva qualche cautela e il ministro Speranza di Leu teme la corsa della variante indiana. Eppure la decisione è matura. E se nella maggioranza c'è chi ipotizza il via libera dal 1° luglio, secondo fonti di governo la data più probabile è il 5 luglio, perché nell'era dell'esecutivo di unità nazionale le riforme relative alla pandemia scattano di lunedì. Dell'opportunità di prorogare lo stato di emergenza, che scade il 31 luglio e che il leader della Lega voleva eliminare, si tornerà invece a parlare solo alla metà del mese prossimo. Fino ad allora, silenzio e lavoro. Questa la linea «pragmatica» di Mario Draghi, il quale guarda con sollievo ai numeri dei contagi in discesa, ma segue con attenzione (e preoccupazione) i dati della variante Delta che ha cominciato a picchiare duro in diversi Paesi, dal Regno Unito alla Russia. Anche per questo e per l'imprevedibilità del Covid, a Palazzo Chigi la proroga dello stato di emergenza è ritenuto un passaggio scontato. Se tra un mese la situazione sarà sotto controllo i poteri speciali verranno prolungati fino al 30 ottobre, se invece, come nessuno ovviamente si augura, il virus e le sue varianti costringeranno anche l'Italia ad alzare il livello di guardia, lo stato di emergenza verrà prorogato fino al 31 dicembre».
L’EMA ALIMENTA IL CAOS, MIOZZO VORREBBE UN FAUCI
Vaccini. Stefano Caselli sul Fatto dipinge un quadro disperato della situazione e sottolinea come l’Ema ieri abbia aggiunto confusione a confusione. In qualche modo delegittimando la scelta di Locatelli e Speranza sulla seconda dose.
«Giugno doveva essere il mese della "spallata", ma purtroppo potrebbe rivelarsi quello della frenata. La campagna vaccinale italiana, infatti, sembra risentire dell'incertezza seguita alla giravolta su AstraZeneca (divieto di somministrazione del vaccino avettore virale per la fascia under 60 anni a seguito dellatragica morte della 18enne genovese Camilla Canepa) e del conseguente caos sulle seconde dosi. "La decisione di somministrare AstraZeneca - aveva detto il generale Figliuolo il giorno dopo le nuove indicazioni dell'Aifa - avrà qualche impatto sul piano vaccinale". E così sembra essere stato. Il 10 giugno, giorno della notizia della morte di Camilla, erano state somministrate 618.689 dosi di vaccino anti-Covid, un record superato solo il 4 giugno (627.541). Due giorni dopo - il 13 giugno - le dosi sono scese a 420.670, per poi tornare a salire oltre il mezzo milione nei tre giorni seguenti. Il trend anche se l'esperienza insegna che le forti oscillazioni sono sempre possibili, sembra in frenata: "Il Piano - assicurava tuttavia ancora mercoledì il generale Figliuolo - è ancora sostenibile". Resta il fatto che - secondo il report settimanale della Fondazione Gimbe - 2,66 milioni di ultrasessantenni non hanno ancora ricevuto nemmeno la prima dose e 6,2 milioni devono completare il ciclo vaccinale. E - come abbiamo dato conto ieri - il cosiddetto "abbandono vaccinale" (chi rifiuta una dose AstraZeneca o una seconda di altro vaccino) riguarda anche gli over 60. Certo a fare chiarezza non aiuta l'Ema, l'Agenzia europea del Farmaco. Negli ultimi giorni, com' è noto, si è parlato molto di mix vaccinale, altrimenti detto "vaccinazione eterologa", ossia la somministrazione di una seconda dose di un siero diverso rispetto dall'AstraZeneca ricevuto in prima istanza dagli under 60. Ebbene, ieri l'Agenzia europea è intervenuta sul tema creando - se possibile-ancora più incertezza: "L'approccio del mix di vaccini fra prima e seconda dose - ha detto Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell'Ema - è stato adottato con successo in passato ed è ben noto che spesso ha come esito una migliore risposta immune. Ma riguardo ai vaccini Covid 11 abbiamo evidenze limitate, anche se alcuni studi preliminari hanno mostrato che la risposta immunitaria sembra essere soddisfacente e non stanno emergendo particolari problemi da un punto di vista di sicurezza. Quindi potrebbe essere una strategia da adottare, ma certamente le evidenze sono limitate ed è importante che raccogliamo più informazioni e monitoriamo attentamente". Ema, quindi, non può che alzare le mani: "Non è facile - prosegue Cavaleri - uscire fuori con una raccomandazione clinica". Quindi che fare? "La decisione - conclude il dirigente Ema - è degli Stati Ue. AstraZeneca e Johnson&Johnson hanno un rapporto rischio beneficio positivo da 18 anni in su ed è una decisione degli Stati scegliere se lo vogliono usare solo in alcune popolazioni, se optare per il mix con un vaccino a mRna per il richiamo"».
Agostino Miozzo, ex coordinatore del Comitato scientifico, il Cts, si sfoga in una lettera aperta al Foglio. Miozzo evidenzia un problema enorme: la comunicazione su vaccini e campagna vaccinale in Italia è stata un disastro.
«Al direttore - Le scrivo perché sono decisamente sconvolto dal caos informativo generato sul tema vaccini e loro effetti collaterali. Mai nel passato si è vista una comunicazione scientifica così disordinata e di così scarso livello, sopraffatta e confusa con la comunicazione politica e con quella a uso talk- show. In Italia, purtroppo, pur avendo la presenza di un gran numero di grandi e ottimi scienziati, non abbiamo avuto la fortuna di avere un Anthony Fauci, con la sua competenza e straordinaria forza comunicativa. Peraltro, due qualità con cui Fauci è riuscito a tener testa a un uomo come l'ex presidente Trump. Da noi è mancata una figura del genere, capace di dettare al Paese, sin dall'inizio della crisi, la linea scientifica in modo deciso e indiscutibile. Il Covid- 19 sin dalla sua comparsa in occidente ha avuto una difficile e complessa vita comunicativa, dovuta anche al fatto che questa è stata la prima grande emergenza planetaria vissuta in epoca di social media; quella dimensione dell'informazione che sfugge completamente al controllo delle istituzioni siano esse scientifiche che politiche e nessuno, all'interno delle istituzioni, era preparato allo tsunami comunicativo che sarebbe stato generato e governato dai social. All'inizio della pandemia gli organi ufficiali della stampa tradizionale sono riusciti a prevalere in ragione della estrema novità, dello choc provocato a livello planetario da questa tremenda e sconosciuta crisi. Poi sono sorti come i funghi i comunicatori di professione, i predicatori, i super esperti della "qualunque" che hanno spopolato sulla stampa tradizionale in parallelo a una inesauribile disponibilità di notizie circolate, incontrollate, sui social che hanno avuto comunque una ben maggiore capacità di convincimento, generando una narrazione efficace ma soprattutto difficilmente controllabile, e contestabile, dalle istituzioni. Interessanti sono i sondaggi che ci dicono che oggi la metà degli italiani si fida di alcuni esperti, ma non di altri; siamo così riusciti a creare il modello del "virologo à la carte", cioè l'esperto che dice non quello che è scientificamente necessario e opportuno dire ma ciò che il suo pubblico si aspetta che lui dica. Sui vaccini siamo riusciti nelle ultime settimane a raggiungere l'apice della tragedia comunicativa, con la straordinaria capacità di trasferire una mole contraddittoria di notizie ai nostri concittadini, penso agli anonimi signori Agostino e alla signora Chiara, ultrasessantenni residenti ovunque alla periferia dell'impero, ai quali il sistema si è rivolto dando per scontato che conoscessero la differenza tra un vaccino a vettore virale o uno a mrna, il significato di dose eterologa piuttosto che il significato, concreto e reale, della percentuale di 1 su centomila effetti collaterali o complicazioni. Questa straordinaria conoscenza collettiva dei segreti della medicina, che evidentemente è stata data per assodata, avrebbe dovuto consentire al popolo di seguire l'esilarante dibattito scientifico che si è consumato a suon di decisioni alternate sui numeri. A me è sembrata più che altro l'estrazione di una nuova forma di Superenalotto piuttosto che una evoluzione di conoscenze scientifiche: sopra i sessanta, sotto i cinquanta, sotto i sessanta, dai diciotto, fino ai sessantacinque, 18- 60 etc».
Chiara Giannini per Il Giornale interpella direttamente il generale Figliuolo:
«Vaccinarsi è essenziale per superare la crisi, far ripartire il Paese e l'esistenza di tutti noi. I vaccini sono la chiave per proteggersi dalla malattia e dai suoi tremendi costi umani, economici e sociali. Per abbattere i rischi, ho ritenuto indispensabile fissare delle priorità per la campagna vaccinale, mirate a proteggere e mettere in sicurezza i più vulnerabili, ovvero gli anziani e i fragili. Ad oggi la percentuale di over 80 che ha ricevuto la prima somministrazione è cresciuta dal 68% al 92%. Per la fascia 70-79 si è passati addirittura dal 20% all'85%, mentre per la categoria 60-69 si è registrato un balzo in avanti che ha portato la percentuale dal 15% al 78%. Bisogna continuare a vaccinare prioritariamente queste categorie, insieme ai più fragili». Ci sono grosse polemiche legate ad AstraZeneca. «I vaccini sono autorizzati prima dall'Ema in Europa e poi dall'Aifa in Italia, e - come tutti i farmaci - possono presentare effetti collaterali, ma questi effetti sono statisticamente molto inferiori ai benefici che apportano. In pratica, più la curva dei contagi si riduce, più è doveroso mitigare i rischi. Quindi nello scenario attuale il Cts ha recentemente dato delle raccomandazioni stringenti sull'uso dei vaccini adenovirali. Le valutazioni sull'utilizzo dei vaccini espresse dalle agenzie regolatrici del farmaco si basano sulle evidenze disponibili, e vengono progressivamente aggiornate sulla base di nuovi dati che emergono giorno per giorno. La vaccinazione sta dunque salvando migliaia di vite e questo è un dato inconfutabile». C'è qualche problema sulle forniture? «Gli approvvigionamenti stabiliti in sede UE ci consentono di guardare al futuro con un certo ottimismo. Certo, è capitato talvolta che alcune case farmaceutiche non abbiano rispettato con puntualità il calendario, i quantitativi delle consegne o che abbiano consegnato il grosso delle dosi alla fine del trimestre a causa di contratti troppo permissivi. Ma il ruolo della Struttura è anche questo: controllare gli scostamenti e bilanciare verso le Regioni anche con la riserva che ho fortemente voluto».
REPORTAGE DALLE RIANIMAZIONI: NO VAX PENTITI
Il Giornale è andato a vedere nei reparti di rianimazione chi sono i casi di ammalati gravi. E ha scoperto che sono No Vax. Del resto in Italia si calcolano in due milioni gli ultra sessantenni che non hanno voluto vaccinarsi. Il racconto di Maria Sorbi:
«Dottore, la prego mi aiuti. Lo so, ho fatto una cavolata». Quando la fame d'aria ti assale, non c'è ideologia che tenga, c'è solo l'istinto di sopravvivenza. Lo sanno bene i No Vax ricoverati in questi giorni. Pentiti di non essersi vaccinati per tempo, hanno gli occhi spaventati e imploranti di chi non riesce a respirare. Qualcuno di loro, prima di essere isolato sotto i C-Pap, ha perfino chiesto scusa al medico. Giovanni, poco più di 40 anni, ricoverato all'ospedale Niguarda di Milano, era fermamente convinto che la pandemia fosse un'esagerazione e che i vaccini fossero una follia «da gregge» manovrato dalla mala informazione. Dopo giornate attaccato al respiratore e ore scandite solo dal rumore delle spie dei macchinari, ora ha cambiato idea. «Ci sono capitati più casi di persone contrarie al vaccino che si sono ricredute nel momento del bisogno - spiega Massimo Puoti, direttore di Malattie infettive al Niguarda - Ma c'è anche stato un paziente che ha insistito in tutti i modi per avere cure alternative, che ovviamente in ospedale non somministriamo. È ancora intubato in terapia intensiva e speriamo se la cavi». I pochi ricoverati di questi giorni sono per lo più no vax (non tutti militanti sui social), ma anche, come segnala Puoti, famiglie di immigrati «che non sono in grado di accedere alle cure preventive perché non hanno gli strumenti culturali e linguistici. Usano come unico strumento di cura il Pronto soccorso. Ci è capitato più di una volta di ricoverare una famiglia intera. Anche loro fanno parte di quel 20% di persone che si ammalano ora». Lo stesso fenomeno del «dottore, se tornassi indietro mi vaccinerei» c'è in quasi tutti i reparti, dove gli anti vaccinisti si trovano a fianco del letto di chi è stato colpito dal virus tra una dose di vaccino e l'altra. All'ospedale di circolo di Varese, il direttore del dipartimento di Medicina Interna Francesco Dentali, racconta: «I pazienti non vaccinati e ricoverati da noi capiscono da soli di aver commesso un errore e si pentono per non essersi protetti prima». Alcuni si rendono conto che la loro ideologia ha messo a rischio la vita della famiglia, dei figli, dei nonni. Altri restano convinti, fino al foglio di dimissione, di essersi ammalati di un altro tipo di polmonite, che nulla ha a che fare con il Covid. I medici non stanno a convincerli. Li curano e basta. Il timore è che nei prossimi mesi saranno quasi esclusivamente i non vaccinisti l'obbiettivo dello stesso virus che negano, come nel più surreale degli scenari. La variante delta colpisce infatti dove trova terreno e al momento i bersagli sono i giovani non ancora vaccinati e quella fetta di popolazione (15%) che si rifiuta di farsi iniettare il vaccino. Nella maggior parte dei casi, vista l'età, le conseguenze non sono gravi. Ma, come testimoniano i primari dei reparti, i casi gravi ci sono ancora. (…) Sui social, Roberto Burioni, ordinario di Microbiologia e virologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, non si stanca di ripetere l'importanza della vaccinazione. E lo fa nonostante abbia ricevuto da popolo no vax accuse pesanti, tra cui, per citarne solo una delle ultime, quella di fare da spalla a «un nazismo sanitario pericoloso e assassino». Il virologo si lascia scivolare addosso insulti a raffica - ormai ci ha fatto il callo - e spiega: «Questa malattia non è uno scherzo. Chi non si vaccina ha un'altissima probabilità di ammalarsi. Questa volta rifiutare il vaccino sulla base di una superstizione porta a un rischio molto grosso». «Cari amici che non amate i vaccini spiega il medico social fate bene per voi a vaccinarvi, non solo per la comunità. Io sono vaccinato e se incontro uno che non si è vaccinato mi dispiace per lui, ma non mi ammalo. Mi dispiace però per chi ha magari una leucemia, ha risposto peggio al vaccino e può essere contagiato da un antivaccinista. Io sono convinto che la storia dei prossimi mesi convincerà molti a vaccinarsi». Che non vuole essere una gufata ma una proiezione di chi il virus lo ha studiato in laboratorio e di chi sa che la guerra non è ancora finita. E sarebbe davvero grottesco se gli unici a fare da veicolo al Covid e a tenere viva la pandemia fossero proprio quelli che lo hanno negato».
IL PD VA PER LA SUA STRADA. PARLA BETTINI
Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera intervista Goffredo Bettini, che prende le distanze dai 5 Stelle, Raggi compresa.
«Goffredo Bettini, l'alleanza con i Cinque stelle segna il passo. «Ora il morboso interesse sulle alleanze serve a poco. È il momento della "riscossa" italiana: stroncare la pandemia e rilanciare la produzione e la crescita. Ci sono dati incoraggianti. Vanno consolidati. Con criteri di giustizia e umanità. Sono aumentati i poveri come ha rilevato l'Istat e tante persone rischiano con la fine del blocco dei licenziamenti. Per questo è fondamentale l'impronta sociale che ha dato Orlando alla sua azione di governo. La "riscossa" deve essere di tutti. Senza gli egoismi del passato. Le relazioni tra il Pd i 5 Stelle mi paiono positive. Tutto è cambiato rispetto al governo Conte. Adesso ognuno avverte l'esigenza di definire con più libertà il proprio profilo. Ma questo è un bene, non un problema. Dobbiamo prepararci a un ritorno pieno della dialettica democratica. Draghi è una vera garanzia di tenuta della Repubblica. La sua funzione è insostituibile, qualsiasi ruolo avrà in futuro. Tuttavia quello attuale è un governo d'emergenza. Spero che possa varare alcune riforme importanti: la giustizia, il fisco, la Pa. Ma alla fine è indispensabile che tornino a confrontarsi centrodestra e centrosinistra». Intanto a Roma e a Torino Pd e 5 Stelle si fanno la guerra. «A Roma la presenza della Raggi, che non ha governato bene, ha impedito qualsiasi accordo. A Torino si poteva e forse si può ancora fare di più». A proposito di Torino, lì le primarie hanno visto una bassa partecipazione. «Certamente l'afflusso così scarso alle primarie impone di stabilire un livello minimo di partecipazione. Altrimenti da una festa di popolo si trasformano in una gara tra correnti interne». Tornando al M5s: Giuseppe Conte ha detto che al contrario del Pd il suo movimento cerca consensi anche al centro. Vi ha confinato a sinistra, con buona pace della vocazione maggioritaria del Partito democratico... «Cos' è il centro? Se è le sigle di piccoli partiti, che costantemente attaccano il Pd, francamente non m' interessa. Se, al contrario, è quella parte di cittadini semplici, popolari, democratici e moderati, che cerca un'idea collettiva di futuro, allora il centro interessa moltissimo al Pd e alla sinistra. Vi sarà in quello spazio elettorale una civile competizione con Conte.».
GRILLO A ROMA: TORNARE ALLO STATUTO
Viene in mente il vecchio slogan di Sidney Sonnino, “Torniamo allo statuto”, a proposito del lavoro di Giuseppe Conte alle prese con le nuove regole del rilanciato Movimento 5 Stelle. Grillo piomba nella Capitale per gli ultimi ritocchi. Emanuele Buzzi per il Corriere.
«Grillo torna al centro della scena per dirimere le questioni relative allo Statuto e per incontrare i parlamentari in vista della partenza dell'era contiana. Il garante da oggi fino a martedì-mercoledì si occuperà della svolta dei Cinque Stelle. Ci sarà un confronto con Giuseppe Conte (alcuni fonti parlano di un arrivo di Grillo nella Capitale a breve, altre di un incontro a Marina di Bibbona): tra le questioni sul tavolo, i poteri dello stesso Grillo, anzitutto, e i nodi relativi alla comunicazione M5S. Punti che a seconda degli interlocutori vengono descritti come in via di risoluzione o come tema di scontro. In serata fonti vicine a Conte assicurano che «Conte e Grillo stanno lavorando in un clima di estrema collaborazione, anche personale, per limare gli ultimi dettagli dello Statuto. Già nella giornata di domani (oggi, ndr ) dovrebbero concordare la versione definitiva». I ben informati assicurano che «nello Statuto i poteri del garante non cambiano, vi saranno però alcuni necessari adeguamenti visto che l'intera architettura statutaria subirà significative modifiche rispetto alle previsione del vecchio statuto». Grillo di sicuro - avendo depositato il logo del Movimento anni fa - avrà di nuovo un ruolo forte per quanto riguarda la titolarità del simbolo, probabilmente insieme a Conte (che, da leader, lo gestirà) e forse anche con Luigi Di Maio, il cui ruolo nel futuro 5 Stelle sarà centrale, anche se non è ancora chiaro con quale mansione. Nel nuovo Statuto è prevista la figura di uno o più vice. E il totonomi all'interno dei Cinque Stelle impazza. Si dice anche che l'ex premier stia scegliendo il suo futuro braccio destro. Pare probabile che la vecchia guardia pentastellata - non solo Di Maio - avrà ancora una voce in capitolo importante. E nel gruppo si parla di Alfonso Bonafede e Vito Crimi. Proprio il nome del reggente però crea già malumori all'interno della compagine pentastellata. Di sicuro avranno un peso rilevante le quote rosa (circola sempre il nome di Paola Taverna e si profila la new entry di Alessandra Todde per via del suo profilo manageriale, in linea con l'idea che ha Conte ha per il M5S). Ma fonti assicurano che «in questi momenti si sta parlando di organi e non di nomi. Non sono state fatte anticipazioni sui nomi, che non sono stati decisi: le voci sono intempestive». Il gruppo parlamentare vive questi giorni l'attesa della presentazione del nuovo statuto con un carico di ansia e aspettative, un carico che solo la pubblicazione delle nuove norme potrà spezzare.».
CONTE GUERRIGLIERO CONTRO DRAGHI
Per Francesco Bei di Repubblica la vera chiave di lettura dell’iniziativa politica di Conte è il risentimento contro Mario Draghi. La prospettiva è quella della “guerriglia” al Governo (il governo horror di Di Battista).
«Questa spinta del turbo-Conte, avrà naturalmente un impatto non secondario nei rapporti interni alla maggioranza. Soprattutto con Mario Draghi. A parlare con alcune fonti bene informate, salta fuori che i rapporti tra i due siano formalmente cordiali ma politicamente glaciali. Si vedrà se davvero verrà messo in agenda un faccia a faccia, come Conte ha annunciato da Floris. Intanto si può qui ricostruire che, da febbraio a oggi, sono stati soltanto tre i colloqui tra il leader in pectore dei 5S e il premier. E in tutte e tre le telefonate, Conte ha cercato di mettersi contro una decisione già presa da Draghi. È accaduto una prima volta un mese fa, quando il presidente del Consiglio ha deciso di piazzare Elisabetta Belloni a capo del Dis, il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Conte ha provato a opporsi, sostenendo il prefetto Gennaro Vecchione. Telefonata non facile, ruvida. Alla fine inutile. Stesso meccanismo nel colloquio sul futuro della Cassa Depositi e Prestiti. Contro la scelta di Draghi di nominare Dario Scannapieco come nuovo amministratore delegato, in sostituzione di Fabrizio Palermo, Conte le ha tentate tutte, senza esito. Infine, l'ultima battaglia combattuta (e persa) sulla sponda opposta a quella di Palazzo Chigi, sul blocco dei licenziamenti. Conte ha provato a mettersi nella scia del ministro Andrea Orlando sulla proroga del blocco. Il leader M5S si è fatto sentire direttamente con Draghi, avvertendolo che Palazzo Chigi non poteva ignorare il parere del partito di maggioranza relativa. Il problema è che il capo M5S si è mosso in ritardo, quando Orlando aveva già smesso di presidiare la norma e aveva imboccato una exit strategy. A quel punto, senza più la sponda dell'ala sinistra del Pd, l'ex premier si è ritrovato spiazzato e ha dovuto arrendersi. Ma, al di là dell'esito sfortunato delle tre battaglie condotte da Conte lontano dai riflettori, il punto è un altro. Il punto è che la strategia, nonostante i proclami di «lealtà» al suo successore, prevede una tattica guerrigliera per conquistare spazi e riportare il M5S a essere nei sondaggi «al primo posto». Lanciando un abbraccio avvolgente all'ala barricadera che guarda ad Alessandro Di Battista».
IL PARTITO DEGLI ITALIANI FILO CINESI
Francesco Verderami in un retroscena per il Corriere torna ad analizzare le conseguenze della presidenza Biden sulla politica italiana.
«Era il 21 gennaio e Conte alla Camera teorizzò l'equivicinanza dell'Italia agli Stati Uniti e alla Cina: dovettero intervenire il capodelegazione del Pd Franceschini e il ministro della Difesa Guerini per imporgli di cambiar registro al Senato e per costringerlo a salutare l'avvento alla Casa Bianca di Biden, che appena il giorno prima aveva prestato giuramento. È evidente allora come in quattro mesi sulla politica estera si sia registrato il tasso di maggiore discontinuità tra Draghi e il suo predecessore. E il ritorno all'ortodossia, declinata su basi nuove, sta costringendo (quasi) tutti i partiti a riposizionarsi. Oggi, per esempio, Salvini non parla più di Putin. Tiene una videoconferenza con l'ex braccio destro di Trump, Giuliani, però - «in linea con il nostro presidente del Consiglio» - precisa che i rapporti tra Italia e Stati Uniti «resteranno ottimi indipendentemente dal colore dell'Amministrazione americana». Non è chiaro se la svolta sia dettata dalla convinzione o dalla convenienza, ma c'è più di un motivo - secondo il responsabile Esteri della Lega Fontana - per sostenere «la linea del premier, che ci ha sorpresi positivamente»: «Fa sponda con la Francia per evitare che la Germania riparta con le logiche rigoriste; sulla Turchia dice cose che noi possiamo solo pensare; nel Mediterraneo si muove per garantire la centralità perduta dell'Italia...». A destra anche la trumpiana Meloni ha provveduto a un cambio di rotta, prima presentando una mozione parlamentare con cui abbraccia la dottrina economica di Biden sulla tassazione delle multinazionali, poi plaudendo alla linea dura sull'immigrazione della vice presidente Harris. E Berlusconi, che dalla sponda dell'Atlantico non si è mai mosso nonostante i suoi rapporti con «l'amico Vladimir», può finalmente ricordare come «da anni ripeto inascoltato quanto la Cina sia per noi una minaccia». Perciò si riconosce nell'azione del premier, a cui il Financial Times ha appena dedicato un articolo, spiegando nei dettagli come abbia agito per impedire al Dragone di mettere le mani su aziende italiane considerate strategiche. Alcune mosse restano riservate, altre vengono mediaticamente amplificate. Ad aprile l'arresto dell'ufficiale di Marina Biot - accusato di spiare per Mosca - fu reso noto con grande risalto proprio per mandare un avvertimento a Putin, come fece intendere Guerini. Non a caso c'è una forte sintonia tra il premier e il titolare della Difesa, ribattezzato «il ministro del deep state», che interpreta la linea più atlantista nel Pd. Lì dove resta un'area ancora legata «a certi vecchi richiami», come spiega un autorevole esponente dem che all'epoca del governo Conte denunciò la presenza di un «partito cinese, assai influente su Palazzo Chigi». Allora a colpire era stato un discorso pronunciato da D'Alema al Forum Euroasiatico: «L'Occidente è una grande potenza che sta vivendo una vecchiaia rancorosa, ostile a tutto il resto del mondo. Alla Russia, all'Iran, alla Turchia, alla Cina». L'elogio che l'ex premier ha riservato l'altro giorno al Pcc fa il paio con quanto sostenne al Forum: «L'Europa ha un compito nei rapporti con gli Usa, rappresentando un territorio dove prevale la cultura, la diplomazia, la tradizione giuridica. Mentre gli americani si sono sempre presentati forti della loro supremazia militare». Lontani i tempi in cui chiamava «Condi» il segretario di Stato di George W. Bush, D'Alema sembra adesso avere una forte influenza ideologica su Grillo e alcuni suoi seguaci».
La politica estera come terreno di scontro fra fazioni, i partiti e i leader se le danno di santa ragione. Ne scrive Michele Serra nella sua Amaca per Repubblica, titolo: Il mappamondo e il mattarello.
«Ma come, non eravamo entrati nel glorioso Evo postideologico? Ci sono dichiarazioni politiche, articoli di giornale e tweet (i modernissimi social!) che hanno la freschezza - anche lessicale - di una mummia. Come se il mondo fosse ancora diviso in due blocchi, che prima si chiamavano capitalismo e comunismo, oggi si chiamano Occidente e non Occidente. Nel secondo insieme, un po' per praticità, un po' per fare in fretta, ci si ficca dentro un poco di tutto, dall'Ottomano con la scimitarra a Putin con il polonio, dal comunismo cinese con le tasche piene a quello cubano con le tasche vuote. Poi basta un'occhiata appena meno distratta per scoprire, per esempio, che la scimitarra di Erdogan è un'arma della Nato, e quel fulgido esempio di democrazia che sono i governi ungherese e polacco fanno parte dell'Unione Europea. Che i sauditi sono solidi alleati economici e politici del famoso Occidente, così sensibile ai diritti. Per dire che, se davvero sono diritti civili e democrazia a fare la differenza, no».
IL PAPA: “IL LAVORO È UN BENE COMUNE”
Preoccupato intervento di papa Francesco su economia e lavoro alla riunione del comitato Onu. Gianni Cardinale su Avvenire:
«Nel 2020 c'è stata «una perdita di posti di lavoro senza precedenti». Ma «con la fretta di tornare a una maggiore attività economica, al termine della minaccia del Covid-19», bisogna evitare «le passate fissazioni sul profitto, l'isolamento e il nazionalismo, il consumismo cieco». È necessario invece puntare su «un nuovo futuro del lavoro fondato su condizioni lavorative decenti e dignitose, che provenga da una negoziazione collettiva, e che promuova il bene comune», su un lavoro insomma «che sia umano». È forte e chiaro l'invito lanciato da papa Francesco nel videomessaggio - in spagnolo - inviato ieri in occasione della 109ª Conferenza internazionale del lavoro. Un intervento lungo e accorato in cui il pontefice ha ribadito che l'economia va riformata «a fondo», che è un «diritto fondamentale» riunirsi in sindacati (i quali non devono tutelare solo i pensionati), che la proprietà privata è un diritto «secondario» subordinato a quello «primario» del «destino universale dei beni». Per Francesco è necessario «dare priorità alla nostra risposta ai lavoratori che si trovano ai margini del mondo del lavoro e che si vedono ancora colpiti dalla pandemia di Covid 19; i lavoratori poco qualificati, i lavoratori a giornata, quelli del settore informale, i lavoratori migranti e rifugiati, quanti svolgono quello che si è soliti denominare "il lavoro delle tre dimensioni": pericoloso, sporco e degradante, e l'elenco potrebbe andare avanti». «Molti migranti e lavoratori vulnerabili, insieme alle loro famiglie - fa notare il Pontefice -, generalmente restano esclusi dall'accesso a programmi nazionali di promozione della salute, prevenzione delle malattie, cure e assistenza, come pure dai piani di protezione finanziaria e dai servizi psicosociali». Il Papa ricorda che «la mancanza di misure di tutela sociale di fronte all'impatto del Covid 19 ha provocato un aumento della povertà, la disoccupazione, la sottoccupazione, l'incremento della informalità del lavoro, il ritardo nell'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, il che è molto grave, l'aumento del lavoro infantile, il che è ancora più grave, la vulnerabilità al traffico di persone, l'insicurezza alimentare e una maggiore esposizione all'infezione tra popolazioni come i malati e gli anziani». Per Francesco «i più vulnerabili - i giovani, i migranti, le comunità indigene, i poveri - non possono essere lasciati da parte in un dialogo che dovrebbe riunire anche governi, imprenditori e lavoratori». La Conferenza è promossa dall'Organizzazione internazionale del lavoro, organismo Onu con sede a Ginevra».
Alessandro Sallusti in un editoriale per Libero (titolone di apertura: Italia chiama, nessuno risponde) ragiona sulla mancanza di professionisti e forza lavoro. Per lui “manca il sogno”.
«L'allarme lo ha lanciato ieri il ministro Brunetta: «Temo non troveremo decine di migliaia di professionisti» ha detto riferendosi alla fuga dai concorsi che lo Stato ha indetto per assumere i tecnici qualificati necessari per gestire il Recovery Plan. Tradotto: l'Italia dei migliori, o teorici tali, non si fida di uno Stato percepito come pasticcione e bolso. O forse questi migliori non sono interessati al contratto a termine - tre anni - che il governo offre loro. Se l'ipotesi giusta fosse la seconda, ci sarebbe da preoccuparsi; vorrebbe dire che la nostra gioventù è ancorata all'idea del posto fisso come unica opzione professionale quando in tutto il mondo e in ogni settore la mobilità sul lavoro è la norma, oltre che il solo ascensore sociale in funzione. Resto convinto che il lavoro vada preso là dove esiste e che partecipare alla ricostruzione del Paese non solo sia stimolante ma costituisca un'esperienza che un domani farà curriculum anche per le aziende private. E allora perché tanta ritrosia? Azzardo un'ipotesi: il governo Draghi ha sicuramente stabilizzato e messo in sicurezza il Paese ma manca il sogno, quello di cui furono capaci prima Berlusconi nel 1994 e poi in parte anche Renzi nel 2014. Che cosa è un "sogno"? Penso a qualche cosa nell'aria che vada oltre i tecnicismi, accenda speranze, sappia di nuovo. La caccia ai cervelli aperta da Brunetta è invece sì una opportunità, ma che appare isolata in un contesto che non dà veri segnali di svolta. Le riforme annunciate - quella della giustizia e quella fiscale - sono di fatto già abortite, il reddito di cittadinanza va avanti così com' è nonostante le evidenti storture, la rissa quotidiana tra virologi oscura i successi della guerra al Covid. Certo, Draghi ha dimostrato che l'Italia può tornare a sedersi al tavolo dei grandi del mondo al posto che merita. Ma è una tavolata lontana, difficile coglierne l'importanza sul breve periodo. Mi dicono che al premier non manchino le doti per accendere simpatia ed entusiasmi anche fuori dalla cerchia dei suoi collaboratori. Se è vero, è giunto il momento di usarle».
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