La Versione di Banfi

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Liberté per chi si vaccina

alessandrobanfi.substack.com

Liberté per chi si vaccina

La via Macron che rende obbligatorio il green pass per locali e trasporti piace pure in Italia. Anche se Meloni diventa No Vax. Renzi indagato e salta la nuova Rai. Primo sì al Ddl Zan. Il Papa torna

Alessandro Banfi
Jul 14, 2021
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Liberté per chi si vaccina

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Nel giorno della presa della Bastiglia, oggi è il 14 luglio, si fa un gran parlare della via francese. Di che si tratta? Il presidente Macron ha spiegato che si potrà accedere ad un locale o prendere un mezzo di trasporto solo se si è in possesso o della certificazione vaccinale o di un tampone recente, insomma del green pass. Conseguenza immediata: in poche ore un milione di francesi ha prenotato il vaccino. Per Meloni e Salvini si tratta di una mossa illiberale. La leader di Fratelli d’Italia parla di un attentato alla “libertà sacra e inviolabile”. I francesi avrebbero rinunciato alla “Liberté”? In realtà a molti, anche a Roma, piace l’opzione francese. Diversi costituzionalisti e giuristi spiegano oggi che un’eventuale misura di questo tipo (già applicata per le feste di nozze) sarebbe perfettamente legittima. Certo, i numeri della variante costringeranno presto Draghi a nuove misure. Non si capisce perché la Destra in Italia debba scimmiottare la follia trumpiana e sostenere una posizione No Vax. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 576 mila 189 vaccinazioni. Metà degli italiani hanno già fatto prima e seconda dose.

Matteo Renzi è stato indagato dalla Procura di Roma per il documentario su Firenze, che gli aveva comprato Lucio Presta. Per i Pm è finanziamento illecito. Inevitabile la ripercussione sulle nomine Rai, che erano in pectore. Nomine rimandate nel CDM perché Marinella Soldi, proposta in un primo tempo da Draghi alla presidenza di Viale Mazzini, è stata l’acquirente per conto di Discovery proprio di quel documentario. Coincidenze tempestive, per certi versi sbalorditive.

A proposito di giustizia, oggi Draghi e Cartabia sono in visita nel carcere teatro delle violenze sui detenuti, a Santa Maria Capua Vetere. Secondo Repubblica sarà l’occasione per un discorso importante del nostro Presidente del Consiglio, a conferma dell’impianto garantista della riforma. Ieri primo sì del Senato al Ddl Zan, ma siamo solo all’inizio. Cuba e Afghanistan in primo piano nelle cronache estere. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Ancora la pandemia in primo piano, anche grazie alla polemica sulla via francese. Il Corriere della Sera: Più contagi, meno regole. La Stampa: Green pass nei locali, Italia divisa. Il Messaggero spinge: «Obbligo green pass nei locali». E anche il Quotidiano nazionale non sembra contrario: La lezione francese: pass obbligatorio. La Verità si straccia le vesti e fa le barricate sulla linea Meloni: Vaccini obbligatori con l’inganno. Mette in primo piano la riforma della giustizia e la visita al carcere delle violenze la Repubblica: Giustizia, la sfida di Draghi. Così come Il Giornale: Attacca le toghe. Renzi indagato, Il Fatto: Renzi è indagato: «Soldi da Presta», il Domani: Documentari e format tv, Renzi e Presta indagati per finanziamento illecito e Libero: La vendetta dei Pm: Renzi indagato si occupano tutti dell’indagine sul leader di Italia Viva. Del primo sì del Senato al Ddl Zan scrive Avvenire: Avanti al buio. Il Sole 24 Ore pubblica una statistica choc della Federal Reserve: Negli Usa l’1% ha il 53% dei capitali. Mentre il Manifesto dedica il primo titolo alla questione migranti e ai rapporti con la Libia: La benda sugli occhi.

È GIUSTA LA VIA FRANCESE?

Salgono i contagi da variante, in Inghilterra stanno risalendo anche i decessi. Che cosa farà il Governo per contrastare la  nuova fase della pandemia? Il modello Macron è visto da molti come una possibile soluzione. La cronaca del Corriere a firma Sarzanini e Guerzoni.

«Proroga dello stato di emergenza di almeno due mesi e rilascio del green pass solo dopo la seconda dose. Sono le misure principali che il governo discuterà la prossima settimana per fermare la risalita della curva epidemiologica. Niente è ancora deciso, ma tra Palazzo Chigi, ministero della Salute e segreterie dei partiti si discute della possibilità di rendere obbligatoria la carta verde per partecipare ad alcuni eventi dove il rischio di contagi è alto, proprio come già accade per i banchetti di nozze. L'ipotesi di cui si ragiona è il modello adottato da Macron in Francia: imporre il green pass per salire sui treni, o andare al ristorante. L'idea, condivisa dal Pd e dal ministro di Leu Roberto Speranza, è quella di evitare nuove chiusure di locali pubblici o altre attività, ma far pagare un prezzo (sul piano della libertà) a chi non si vaccina. Lega e Fratelli d'Italia già fanno muro e il premier Mario Draghi non vuole aprire lo scontro con i partiti. Ma di fronte alla risalita di contagi si ritiene indispensabile muoversi con anticipo per rallentare la corsa della variante Delta. La cabina di regia sarà convocata la prossima settimana, ma già domani potrebbe esserci una riunione informale per valutare il monitoraggio dell'Istituto superiore di sanità. Sui tavoli del governo ci sono i grafici e i dati dei contagi e dei decessi nel Regno Unito, il Paese dove la variante Delta è diventata dominante in anticipo. A preoccupare il premier, il ministro Speranza e gli scienziati è quel 56% in più sui numeri delle ospedalizzazioni in una settimana e il raddoppio dei decessi registrati da Londra, che ieri erano 50. Nelle riunioni riservate il responsabile della Salute parla di «cambio di fase in Europa», si chiede quanti ricoveri in terapia intensiva e quanti morti potrebbe provocare da noi la proiezione dei dati inglesi e spinge perché il governo decida al più presto le nuove misure. I dati su cui si fonderanno le scelte del governo sono due, uno positivo e l'altro negativo. Il primo è il numero importante di vaccini somministrati, ieri sera eravamo a 58.700.000, con una media giornaliera di circa 530 mila iniezioni. Il secondo, tutt' altro che incoraggiante, riguarda la capacità diffusiva della variante Delta, che impone di organizzare al più presto una rete di protezione in grado di reggerne l'urto. La decisione deve ancora essere assunta, ma nel governo danno ormai per scontato che la certificazione verde sarà rilasciata solo a partire dalla seconda dose e non più dopo la prima somministrazione. Il patto tra Draghi e Salvini prevede di discuterne pochi giorni prima della scadenza fissata al 31 luglio, ma nell'attuale situazione sembra scontato che ci sia una proroga dello stato di emergenza. Un rinvio che servirà a gestire la campagna vaccinale e soprattutto il ritorno dei ragazzi a scuola. Gli scienziati sono concordi nel ritenere che una sola dose di vaccino non sia sufficiente a dare copertura rispetto alla variante. Per questo si sta valutando di rilasciare il green pass soltanto alla fine del ciclo, in modo da avere garanzia di immunizzazione. Il parere del Comitato tecnico scientifico sui treni ad alta velocità prevede la capienza al 100% quando i passeggeri hanno il green pass. E proprio seguendo questa linea si valuta se rendere obbligatorio il certificato anche per partecipare agli eventi sportivi negli stadi e prevedere una maggiore capienza dei mezzi di trasporto». 

In prima pagina sul Corriere Massimo Gramellini (Non si pass) chiosa l’uscita della Meloni e le norme alla Macron:

 «La libertà individuale è sacra e inviolabile» twitta Giorgia Meloni per esprimere contrarietà a quel dittatore di Macron, che lascerà salire in treno ed entrare al ristorante solo chi avrà fatto il vaccino o almeno un tampone. Con buona pace dei francesi, che la festeggiano proprio oggi, la libertà secondo Meloni & Co. funziona a senso unico. Io ho la libertà di andare dove mi porta l'alito, ma tu non hai quella di cautelarti dai possibili effetti. Si tratta di una grande conquista della modernità, e la polemica sul pass vaccinale ne è solo l'applicazione più recente. Per dire, da tempo mi sono conquistato la libertà «sacra e inviolabile» di ascoltare la musica in spiaggia a pieno volume senza le cuffie, mentre tu non hai la libertà di startene in pace sotto l'ombrellone, ma solo quella di non sentirmi, infilandotele tu, le cuffie. La società orwelliana, così la chiama la Meloni, si ostina a limitare alcune forme di libera espressione della personalità, come correre in auto a 300 all'ora o fumare in faccia a chi capita. Sostiene di farlo per proteggere gli altri da me, ma si tratta di scrupoli da predicatori fighetti. Gli altri infatti non esistono. Esisto io. E io, a casa mia, faccio quel che mi pare. Solo che adesso casa mia è ovunque mi trovi. Ma se gli altri non esistono, non esistono neanche altre libertà all'infuori della mia? O esistono, però sono un po' meno «sacre e inviolabili»? Per delucidazioni attendo con ansia il prossimo tweet liberale della Meloni».

IL PREFETTO CONTRO LA FGCI

Anche la festa degli azzurri è diventata occasione di polemica. Il Corriere pubblica un’intervista col Prefetto di Roma che accusa apertamente la Figc, le autorità del calcio, per non aver “obbedito” alla richiesta di limitare i festeggiamenti, così da controllare che anche all’aperto tutti indossassero la mascherina, visti gli assembramenti. La prossima volta, dice il Prefetto, tratteremo direttamente coi calciatori.

«Avevamo negato il permesso a festeggiare la vittoria dell'Italia agli Europei sull'autobus scoperto, ma i patti non sono stati rispettati». Il prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, non nasconde l'amarezza per quanto accaduto lunedì e «per le possibili conseguenze che potrebbero verificarsi nelle prossime settimane, nonostante il grandissimo lavoro svolto». Non si doveva festeggiare? «Certamente sì. Ma con modalità diverse». (…) «Abbiamo pensato che avrebbero fatto fermare i giocatori davanti a Palazzo Chigi dopo l'incontro con il presidente del Consiglio Mario Draghi. Ci avevano assicurato che il trasferimento sarebbe avvenuto con un autobus coperto. Invece poco dopo l'uscita dal Quirinale si è aggregato un autobus scoperto con la livrea e le scritte dedicate ai campioni d'Europa». Lei ha parlato con lo staff del presidente Gravina? «Certo e hanno sostenuto che c'era comunque già molta folla per le strade ed era forte intenzione dei calciatori di proseguire i festeggiamenti con l'effettuazione di un giro su un autobus scoperto». Non potevate fermarlo? «C'erano migliaia di persone in attesa del giro in autobus, vietarlo avrebbe potuto creare problemi di ordine pubblico». È vero che sono stati i calciatori a volerlo? «Mi risulta che Chiellini e Bonucci hanno rappresentato con determinazione il loro intendimento al personale in servizio d'ordine; a quel punto non si è potuto far altro che prendere atto della situazione e gestirla nel miglior modo possibile. La complessità e la delicatezza è testimoniata dalle immagini da cui si può vedere che praticamente solo le forze di polizia indossavano la mascherina. Tutto quello che è successo ci ha profondamente amareggiati; da un anno, anche nei periodi più difficili, a Roma abbiamo sempre cercato di applicare le misure anti-Covid stimolando la collaborazione dei cittadini e delle categorie produttive piuttosto che imporre misure draconiane». Ha più sentito Gravina o qualcuno della Figc? «No, perché sono ancora amareggiato dalla mancanza di rispetto che c'è stata per il grande impegno della questura e di tutte le forze di polizia durante tutto il periodo degli europei e per la preparazione di questa festa. Mi auguro che l'Italia l'anno prossimo vinca i Mondiali per avere gli stessi festeggiamenti: tratteremo direttamente con i calciatori».».

Per Marco Travaglio del Fatto è proprio “la trattativa Stato-Bonucci” a fare scandalo. Dove a Bonucci viene così dato del mafioso… mica male per uno juventino.

«Svariati "colleghi", un istante dopo il rigore sbagliato da Saka, anziché gioire per l'Italia già twittavano contro di me (ma come siete messi? ma fatevi una vita). "Travaglio non ne azzecca una": peccato che non avessi fatto alcun pronostico. Rispondendo alla Gruber, avevo solo detto che nelle eliminatorie avevamo battuto tre squadrette ed era presto per esultare. Peraltro, diversamente da chi vive in diretta social h 24, anche quando va al cesso, convinto che le sue gesta appassionino i più, non ho mai pensato che il mio tifo interessi a qualcuno. Ma c'è sempre chi me lo chiede. Ai tempi del doping e di Calciopoli, tifai contro la mia Juve finita nelle grinfie del clan Moggi e contro la Nazionale di Lippi &C. che ne era la legittima erede, nell'illusione di una bonifica. Ma il calcio restò marcio. E il tifo è roba di pancia: dalla mia non sale più nulla. Domenica ho sofferto per Berrettini, poi ho assistito alla finale di Wembley nella più assoluta indifferenza: come se giocassero Malta e Lussemburgo. Meno indifferente mi lascia l'uso politico che il governo Draghi e i suoi trombettieri, molto più populisti di chi fingono di combattere, fanno della vittoria: prima profittando della distrazione generale per infilare il Salvaladri, come B. il 13 luglio '94 (semifinale mondiale); poi calandosi le brache dinanzi agli azzurri per il bagno di folla in pullman contro il parere dei ministri della Salute e dell'Interno, in una "trattativa Stato-Bonucci" che ha coperto di ridicolo le istituzioni, oltre ad aggiungere focolai di Covid a quelli delle "notti magiche" con ammucchiate di piazza. Un discorso a parte meriterebbe un noto leccapiedi dal nome volatile che su Rep distribuisce patenti di "cretino anti-tifoso" a chi non lecca con e come lui. Ma, diceva La Rochefoucauld, "in questi tempi difficili è opportuno concedere il nostro disprezzo con parsimonia, tanto numerosi sono i bisognosi"».

RENZI INDAGATO

Matteo Renzi è stato indagato per finanziamento illecito dalla Procura di Roma. Al centro dell’inchiesta un suo documentario su Firenze che gli comprò Lucio Presta con la sua Arcobaleno 3. Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera.

«I soldi che Matteo Renzi ha ricevuto dall'imprenditore-manager Lucio Presta sono diventati una sospetta violazione della legge sui finanziamento dei partiti, per la quale il leader di Italia viva è indagato insieme all'agente delle star e al figlio Niccolò che amministra la società. La Procura di Roma ha acceso i fari sui 700 mila euro versati da Presta a Renzi tra il 2018 e il 2019 (più della metà per la realizzazione del documentario tv Firenze secondo me ), e una settimana fa gli investigatori della Guardia di finanza si sono presentati negli uffici della Arcobaleno Tre, nonché a casa dei due Presta e di altri azionisti e impiegati della società, in cerca di documenti cartacei e informatici utili alle indagini. L'esame di computer, telefonini e altri dispositivi elettronici è appena cominciato, ma Renzi ha già reagito con un messaggio via Facebook: «È tutto tracciato, lecito e legittimo. Che la mia attività professionale sia finanziamento illecito alla politica non sta né in cielo né in terra, non temo niente e nessuno». A Lucio e Niccolò Presta sono contestati anche reati tributari, ma nel decreto di perquisizione viene riassunta la tesi dell'accusa sui rapporti con l'ex premier ed ex segretario del Pd, all'epoca dimessosi dalla carica ma non ancora dal partito: «Si ritene che i reati ipotizzati siano stati realizzati mediante rapporti contrattuali fittizi, con l'emissione e l'annotazione di fatture relative a operazioni inesistenti, finalizzate anche alla realizzazione di risparmio fiscale, consistente nell'utilizzazione quali costi deducibili inerenti all'attività d'impresa, costi occulti del finanziamento della politica». In sostanza: un contributo illecito all'esponente politico mascherato da costi sui quali era possibile pagare meno tasse. L'inchiesta dovrà accertare se questa ipotesi è reale o se invece quei soldi furono solo un legittimo compenso al leader di partito divenuto anche ideatore, autore e conduttore di programmi televisivi, come sostiene l'avvocato dei Presta: «Si tratta di regolari fatture pagate alla persona fisica, quale corrispettivo dell'attività svolta, non al politico o al partito». Renzi, che lasciò la guida del Pd a marzo 2018 all'indomani della sconfitta elettorale, aprì la partita Iva il 28 luglio dello stesso anno, e due giorni dopo firmò i primi contratti con la Arcobaleno Tre. Il documentario in quattro puntate andò in onda tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 grazie a Discovery Network, all'epoca guidata da Marinella Soldi, ora indicata dal premier Mario Draghi come futura presidente della Rai; la multinazionale avrebbe pagato una cifra molto bassa (al momento è stata trovata una fattura di 1.000 euro) per una programmazione che non si tradusse in un grande successo d'ascolti ma fruttò all'ex premier 400.000 euro. Tuttavia sono altri i pagamenti considerati più sospetti dagli inquirenti. In particolare due contratti da 100.000 euro ciascuno per due format rimasti sulla carta: uno con interviste realizzate dallo stesso Renzi a personaggi famosi; l'altro una sorta di Accadde oggi , su avvenimenti storici legati al calendario, che in assenza di ulteriori dettagli non sembra una grande novità per i palinsesti televisivi. Infine, altri 100.000 euro per la cessione dei diritti d'immagine del Renzi «artista». Sarebbero queste le fatturazioni legate a «operazioni inesistenti» rilevate dalla Guardia di finanza dopo le prime segnalazioni di operazioni sospette sui bonifici partiti dai conti correnti della Arcobaleno Tre, che per entità delle somme e coincidenze temporali sono state collegate all'acquisto della villa fiorentina dove Renzi vive con la sua famiglia. Per comprarla l'ex premier poté contare, a giugno 2018, su un prestito di circa 700.000 euro da un imprenditore amico, restituiti a fine anno, subito dopo aver incassato i compensi pattuiti con la società di Presta. Se fosse fondata l'ipotesi investigativa, in pratica l'imprenditore televisivo avrebbe finanziato l'acquisto della villa del leader politico. Il che ha fatto scattare l'ipotesi di reato poiché - secondo la legge del 1981 - i divieti sui contributi occulti ai partiti «sono estesi ai finanziamenti e ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale» ed ad altre categorie di rappresentanti politici e amministratori pubblici».

Alessandro Sallusti nel commento in prima pagina di Libero “pensa male”, come avrebbe detto Andreotti, facendo dunque peccato, forse però azzeccandoci.

«Sto seriamente pensando se firmare il referendum sulla giustizia», aveva detto poche ore fa Matteo Renzi. La risposta della magistratura non si è fatta attendere: avviso di garanzia per lui e per il manager dello spettacolo Lucio Presta con il quale l'ex premier aveva prodotto per Discovery il documentario "Firenze secondo me", quattro puntate andate in onda nel 2018 su tv Nove peraltro senza grande riscontro di pubblico. L'accusa è di finanziamento illecito ai partiti, la solita che i magistrati contestano ai politici quando, pur frugando nelle loro vite, non trovano nulla di serio. Non per fare il garantista a oltranza ma la scena di questo avviso di garanzia sembra uscita dalle pagine del libro "Il Sistema" nel quale Luca Palamara ricostruisce le scorribande della magistratura nella vita politica. C'è il politico ingombrante da punire (di solito, come in questo caso, nemico del Pd), c'è il pm con smania di protagonismo, ci sono i giornali amici che preparano il terreno e ci inzupperanno il biscotto. Tutto da copione, compreso il fatto che Matteo Renzi stia in questi mesi facendo impazzire la sinistra e ammicchi sia con Salvini che con Berlusconi per bloccare il decreto Zan e per far passare la riforma della giustizia. I più raffinati, e informati delle segrete cose sostengono che questo avviso di garanzia sia anche un segnale a Mario Draghi che pochi giorni fa aveva indicato, all'insaputa dei partiti, Marinella Soldi come futuro presidente Rai. La signora all'epoca dei fatti finiti sotto inchiesta era infatti amministratore delegato di Discovery, la compagnia di produzione che aveva sottoscritto con Renzi il contratto in questione e che secondo i magistrati era sproporzionato rispetto alle qualità artistiche dell'ex premier. Insomma parliamo del nulla o giù di lì. Ma è un nulla rumoroso e pericoloso, l'ennesimo tentativo di interferire nel corso della politica e dei governi. Qui non basta una riforma, il cancro di una magistratura incosciente è una emergenza nazionale che necessita un intervento non più rinviabile».

PRIMO SÌ PER IL DDL ZAN

Italia Viva ha votato in modo compatto la costituzionalità del Ddl Zan ed ha impedito il suo ritorno in Commissione. Ma i voti, che ieri si sono manifestati al Senato, lasciano un margine di maggioranza molto ristretto e quindi pongono un problema. Anche se Pd e 5Stelle continuano a tirare diritto. La cronaca di Avvenire.

«Prima le schermaglie procedurali. Poi la bagarre, con fischi e proteste e la presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, che invita alla calma: «Gli europei li abbiamo già vinti, non voglio un clima da stadio». Com' era prevedibile, stante la diversità di vedute nella stessa maggioranza, a Palazzo Madama la prima giornata di discussione in aula del disegno di legge Zan è stata subito movimentata. Sul piano politico, Lega e Forza Italia restano contrari a una parte dei contenuti del testo, approvato dalla Camera otto mesi fa, e chiedono altro tempo per una mediazione finale, che corregga e blindi il provvedimento. Ma Pd, M5s e Leu non vogliono slittamenti in autunno, lanciano accuse di «ostruzionismo» e spingono per il voto prima di agosto. Nel mezzo c'è Italia Viva, presumibilmente favorevole ad alcune limature, seguite da una doppia approvazione con rapi- da navetta fra Camera e Senato «in due settimane». Scontro in maggioranza. Il pressing di Carroccio e Fi sulle altre forze di maggioranza per modificare gli articoli 1,4 e 7 (su definizione di genere, libertà d'espressione ed educazione gender nelle scuole) si è concretizzato ieri, sul piano procedurale, in una richiesta formale di rinviare il provvedimento all'esame in commissione. L'ha presentata il presidente della commissione Giustizia Andrea Ostellari, esponente leghista. A quel punto, la presidente Alberti Casellati ha deciso a sua volta di rinviare la decisione sull'andamento dei lavori e convocare la riunione dei capigruppo. Ma la decisione ha suscitato le proteste delle forze di centrosinistra che, al contrario, premono affinché si voti al più presto (seppur con l'incognita del voto segreto, se richiesto da almeno 20 senatori). Dopo un'ora di interruzione, in serata i lavori sono ripresi col voto sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate da FdI e Lega, respinte sul filo di lana, mentre la sospensiva chiesta da Forza Italia verrà votata stamani. Gli appelli di Renzi e Salvini. «Ora siamo a un passo, a un centimetro e io qui ragiono di politica - è l'invito del leader di Iv Matteo Renzi -. O fate di quest' aula un luogo in cui gli ultrà si confrontano e non si porta a casa il risultato, perché lo scrutinio segreto è un rischio per tutti... O si assume la responsabilità politica di trovare un accordo a portata di mano». Nell'emiciclo parla pure l'altro Matteo, il segretario del Carroccio Salvini: «Di questi 10 articoli prendiamo la parte più importante, ma togliamo ciò che divide l'aula e il Paese, ossia la parte sui bambini e l'educazione sentimentale». Una proposta concreta, insiste Salvini (bacchettato peraltro dalla presidente Casellati per aver usato, nella foga oratoria, il termine 'cogl..ne'): «Togliamo dal banco quello che divide e in un mese sia al Senato che alla Camera approviamo una norma di civiltà, che punisce pesantemente chi aggredisce e offende altri. Spero che il tratto finale di questo percorso ci veda insieme ». Dal canto suo, il dem Alessandro Zan, primo firmatario del testo, si appella ai 17 senatori di Iv e al loro leader: «Se Renzi sta dalla parte dei diritti, il ddl passa». Il no alle pregiudiziali. Alle 20, l'aula respinge per soli 12 voti (con 136 contrari, 4 astenuti e 124 a favore) le questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate da azzurri e leghisti. Un voto che i due fronti interpretano in modo opposto: la capogruppo dem Simona Malpezzi parla di «giornata positiva, perché indica che i numeri nella maggioranza per far passare il ddl ci sono ». Per la Lega, invece, quegli stessi numeri «sono a rischio». Di fatto, i 12 no di differenza alle pregiudiziali di ieri sono quelli annunciati da Iv (che conta 17 senatori e perciò resta l'ago della bilancia, in una ipotesi di 140  150 voti a favore e altrettanti contrari). Slittamento a settembre? La capigruppo ha fissato alle 12 del 20 luglio il termine per la presentazione degli emendamenti. «Stiamo provando a scongiurare lo slittamento a settembre», dice il capogruppo M5s al Senato, Ettore Licheri. Tuttavia, l'eventualità che si debba proseguire dopo la pausa agostana dei lavori parlamentari resta alta, visto che la discussione generale andrà avanti fino a martedi («sedute di 4 ore e trenta, con sanificazioni di 70 minuti») e che poi l'aula dovrà esaminare il provvedimento sulla Rai, il dl Sostegni bis (che scade il 24 luglio) e il dl 'reclutamenti nella P.a.', da rimandare alla Camera. Un ingorgo che alla fine potrebbe concedere alla maggioranza, anche contro la volontà del centrosinistra, altro tempo per accordarsi su un nuovo testo».

Sul merito del disegno di legge, interessante intervista di Sabrina Cottone del Giornale alla storica Francesca Izzo, femminista, deputata Ds per cinque anni.

«Che cosa sta succedendo in Senato?». Francesca Izzo, storica del pensiero moderno e contemporaneo specializzata in cultura politica delle donne, deputata ds tra il 1996 e il 2001, impegnata da sempre nei movimenti femministi, spera ardentemente che la legge Zan sia modificata. «È un capovolgimento della realtà. Per questo insieme ad altre donne continuo a battermi senza lasciarmi intimidire. Sono sorpresa da come la sinistra sposi queste posizioni senza dibattito». I sondaggi dicono che le persone sono in maggioranza favorevoli alla legge Zan. Lei pensa che la contrapposizione in Senato rispecchi una divisione viva nel Paese? «Per fortuna si è aperta un po' più di discussione nell'ultimo mese e mezzo, anche se molto limitata, ma la gente non ha ancora chiaro quali siano i contenuti del testo. Fondamentalmente c'è quest' idea che la legge Zan cerchi di tutelare al meglio le persone omosessuali e trans e per questo si dichiara favorevole. Ma non c'è solo quello». La legge Zan non combatte le discriminazioni? «Insieme a questo obiettivo è presente in maniera surrettizia la volontà di far passare in una legge di rilievo penale una posizione sulla sessualità umana molto discutibile. È giusto che se ne discuta nelle sedi accademiche, nell'opinione pubblica, ma non che la questione entri in sedi penali». Si riferisce all'identità di genere? L'espressione è già stata usata in sentenze della Consulta. «È stata utilizzata in un altro senso, non in quello che è specificato all'articolo uno della legge Zan, ovvero il concetto di sesso percepito. In tutto il nostro ordinamento, quando si parla di identità di genere riferita alle persone transessuali, ha sempre un ancoraggio al sesso. Utilizzando la polisemia si dice: è già nell'ordinamento ma non è così». Come donna e come femminista, che cosa teme di più? «Molte femministe sono contrarie perché questa concezione espressa dal termine identità di genere mette in discussione radicalmente il binarismo, cioè che il genere umano è diviso in donne e uomini. La legge sottende che la divisione in due sessi è una costruzione ideologica, culturale, che organizza la famiglia in un certo modo, mentre invece esiste una pluralità di espressioni sessuali. Così, la legge Zan mette in discussione l'esistenza delle donne. Nega che possa esserci una differenza tra una donna biologicamente tale e una donna transgender. Diventerebbe un atto di discriminazione affermare che una donna di sesso femminile è differente da un transessuale o da un uomo che si percepisce donna». Questo è confusivo e dannoso per i bambini? «Ovviamente le conseguenze possono essere anche molto spiacevoli sui bambini, perché si introduce un'altra idea di umanità e lo si fa di nascosto, in due articoli che cambiano una legge penale. C'è l'idea che per combattere la discriminazione nei confronti di omosessuali e transessuali bisogna dire che siamo tutti uguali. Io penso che la discriminazione si superi mantenendo le differenze e non discriminando, accettando che esistano omosessuali, transessuali e queer senza discriminarli, ma mantenendo che esistano donne e uomini». C'è un capovolgimento della realtà in questa legge? «Certo, perché salta il dato biologico, che non sono solo cromosomi ma l'intera corporeità umana, l'esistenza fisico- relazionale. In questa visione il corpo non esiste più. Io mi vesto da donna, ho atteggiamenti da donna e sono una donna. Ormai sembra che biologico sia una parola offensiva». Vede in questa legge il rischio della maternità surrogata? «Non è un rischio, è una conseguenza. Se io mi sento una donna e voglio avere un figlio che faccio? Viene rivendicato il ricorso alla maternità surrogata perché una volta che io sono una donna non mi si può discriminare». Ha timori anche per la libertà di espressione? «Se si toglie l'identità di genere cadono moltissimi rischi. Siamo tutti d'accordo sul non colpire omosessuali e transessuali. Ma con questa legge, nel minimo, se io dico che sono una donna e che l'umanità è divisa in uomini e donne, rischio come già accade in altri Paesi di essere censurata. Sono molto preoccupata».

Liana Milella per Repubblica intervista Maria Elena Boschi di Italia Viva che torna a proporre una mediazione a Pd, 5 Stelle e Leu, con tempi rapidi e certi per l’approvazione:

«Abbiamo proposto di tornare al testo di Ivan Scalfarotto e firmato da molti colleghi, tra cui Zan. In sintesi: punire ogni delitto di odio che abbia come matrice l'omofobia e la transfobia. Così si otterrebbe la stessa tutela prevista dal ddl Zan per tutti e tutte, ma superando le obiezioni di alcune forze politiche». Ma come si fa a evitare il ritorno in commissione? Su questo Renzi è netto, non vuole che il ddl Zan torni lì. «Abbiamo votato a favore per portare subito la discussione in aula e voteremo contro il rinvio in commissione. I tempi sono maturi per un accordo in aula». Sarà difficile in aula però evitare i voti segreti. Lei è sicura che il vostro gruppo tenga su questa posizione? «Noi non chiederemo il voto segreto: le nostre battaglie le facciamo a viso aperto. In mancanza di un accordo sulle modifiche voteremo il testo Zan come abbiamo già fatto alla Camera. Non saremo noi ad affossarlo. A voto segreto però mancheranno molti voti Pd e M5s. Sulla carta la differenza è di soli 6 voti tra la legge approvata o bocciata». L'unica strada da seguire adesso, per voi di Iv, può essere solo quella di tornare alla proposta di Scalfarotto? «Non vogliamo piantare una bandierina, ma approvare una legge che garantisca maggiori tutele. Se ci sono proposte diverse su cui trovare un accordo ampio che salvi la legge, ci siamo». Non ci potrebbe essere un altro compromesso possibile che eviti la delusione di archiviare il ddl Zan? «Ogni soluzione che non abbassi le tutele, ma che possa avere numeri più ampi, ci vede disponibili. Quelli che dicono o Zan o niente sono altri. E sbagliano. A me interessa che una legge buona sia approvata, mi stanno a cuore quei ragazzi non la vanità di singoli parlamentari».

DRAGHI E CARTABIA NEL CARCERE DELLE VIOLENZE

Il Presidente del Consiglio e la Guardasigilli saranno oggi nel carcere delle violenze, quello di Santa Maria Capua Vetere. Una visita importante per l’immagine stessa del Paese ma anche un’occasione per sottolineare l’emergenza carceri dentro l’emergenza giustizia. Chiara Giannini per Il Giornale.  

«Un segnale importante quello che il ministro della Giustizia Marta Cartabia e il presidente del Consiglio Mario Draghi daranno oggi con la visita al penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, al centro dello scandalo per le violenze subite dai detenuti da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria che, tra l'altro, avevano falsificato le prove riferite a presunte aggressioni messe in atto dai carcerati durante la protesta, lo scorso anno, in periodo Covid. L'intento è quello di riportare il penitenziario, «tornato indietro di secoli», a livelli accettabili e a un controllo da parte delle istituzioni. La Guardasigilli, appresi i fatti, aveva parlato di «abusi intollerabili», condannandoli senza se e senza ma. Come si ricorderà, il 6 aprile 2020 si erano scatenate proteste da parte dei detenuti in seguito al diffondersi della notizia che uno di loro era affetto da Covid. Avevano chiesto a più riprese dispositivi di protezione, ma non ottenendoli era scattato il caos. Sedata la rivolta, alcuni agenti di guardia si erano accordati per strumentalizzare volontariamente l'accaduto. È quanto rilevato anche da alcune chat scambiate tra di loro. Il 28 giugno il blitz dei carabinieri, in seguito all'ordinanza del Gip Sergio Enea, su richiesta dei pm Pannone e Pinto, con l'aggiunto Milita e il procuratore capo Antonietta Troncone. Alla fine 52 le persone coinvolte con 8 arrestati, 18 indagati ai domiciliari, 23 interdetti dai pubblici uffici e 3 con obbligo di dimora. Nei circa 20 video acquisiti si rilevano oltre 4 ore di maltrattamenti e percosse a carico dei carcerati. Una situazione che ha dell'incredibile. Durissime e inaccettabili le parole dei responsabili, che parlano di «pulizia», dicono «abbattiamoli come vitelli» e c'è chi arriva persino a usare violenza contro un disabile. Ieri, peraltro, al tribunale del Riesame di Napoli si è discussa la posizione della commissaria della Penitenziaria Anna Rita Costanzo, tra coloro che sono ai domiciliari. La donna, secondo quanto contenuto nel fascicolo, a un detenuto che la stava implorando di non fargli del male e che le diceva «perché ci state facendo picchiare? Aiutatemi sto subendo troppo, mi stanno uccidendo», aveva risposto: «Per colpa vostra sto facendo le nove di sera». Il legale difensore della Costanzo, Vittorio Giaquinto, ha richiesto che sia annullata l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip a carico della donna. La decisione del tribunale del Riesame dovrebbe essere resa nota a breve. La visita del premier Draghi e della Cartabia sarà seguita da dichiarazioni alla stampa».

Tommaso Ciriaco per Repubblica presenta la visita di Draghi a Santa Maria Capua Vetere come una vera svolta.

«Un nuovo segnale sui diritti, questa volta quelli dei detenuti. Ecco come va letta innanzitutto la visita di Mario Draghi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, teatro il 6 aprile 2020 di un brutale pestaggio che oggi sarà condannato senza attenuanti dai vertici dell'attuale esecutivo. Una mossa diretta, per certi versi anche impegnativa perché densa di significati politici, che dovrebbe portare il premier a esporsi oggi stesso, rilanciando in qualche modo la prospettiva di una riforma organica del sistema carcerario. Ma si tratta anche di un atto simbolico, che segna unadiscontinuità rispetto alla gestione del precedente governo su dossier delicati come quello delle carceri e della giustizia, che tanto preoccupano l'Europa. Sono terreni minati. La riforma del sistema giudiziario, architrave del Pnrr, è già stata licenziata dal consiglio dei ministri pochi giorni fa nonostante le resistenze del Movimento e i molti dubbi di Forza Italia. Anche per favorire un percorso parlamentare sereno, Draghi ha ricevuto ieri Enrico Letta. Ha ottenuto rassicurazioni sul totale sostegno del Pd al testo. E ha concordato sulla possibilità che sia proprio il segretario dem a favorire (sia pure senza ingerenze) una mediazione con i grillini, facendo leva sull'ottimo rapporto che lega il leader dem a Giuseppe Conte. Anche perché, sostiene il premier, «approvare in tempi rapidi le riforme concordate con la commissione » è l'unico modo per portare a casa tutti i 191,5 miliardi del recovery. Un braccio di ferro, quello sulla giustizia, destinato comunque a sfogarsi in Parlamento, e che si incrocia con la futura stagione referendaria promossa dai Radicali e dalla Lega. In questo contesto, con più fronti già aperti, Draghi sceglie di muovere una pedina. Rompe il silenzio sulle violenze del carcere nel casertano. E si dissocia anche, di fatto, dalla gestione di quella fase da parte del precedente esecutivo, sotto la guida di Conte e Bonafede. Un atto simbolico, si diceva, che culminerà in un discorso in un atrio all'aperto della casa circondariale. Significa non poter tacere su fatti giudicati inaccettabili (in questo, distinguendosi nettamente anche da Matteo Salvini, che subito dopo i video si è schierato senza troppi distinguo con le guardie carcerarie). Nello stesso tempo, costruendo un messaggio equilibrato, in modo da circoscrivere gli eventi e delimitare le responsabilità, senza generalizzare, senza condannare un'intera categoria. Visitando il carcere, dunque, Draghi chiederà che incidenti del genere non si ripetano mai più. E spingerà sulla possibilità di una riforma organica del mondo carcerario. Non a caso, sarà accompagnato dalla ministra Cartabia, a rafforzare l'impegno in questa direzione». 

5STELLE, GRILLO NON FA LA FOTO CON CONTE

Pace fra i 5 Stelle: l’Elevato non è sceso a Roma. Si aspettava il suo arrivo per scattare la foto della ritrovata concordia fra lui e Giuseppe Conte. Per ora l’appuntamento è rimandato. Giuseppe Alberto Falci per il Corriere.

«A metà pomeriggio si diffonde la voce che oggi Beppe Grillo non sarà nella Capitale. E di conseguenza l' «Elevato» non incontrerà Giuseppe Conte, per chiudere il processo di mediazione che ha portato al nuovo Statuto. Insomma, non ci sarà la fotografia della sintonia ritrovata fra il garante e l'ex premier. La foto della pace può attendere e il mancato scatto diventa un giallo, anche se a sera Conte minimizza: «Con Grillo ci vedremo presto. E chiudiamo presto il lavoro». Negli stessi attimi, ospite degli studi di La7 a In Onda , il ministro Stefano Patuanelli parla di «grande capacità di visione di Beppe» e di «grande capacità di leadership di Conte». Sarà. Ma qualcosa non torna. Ecco perché nel pomeriggio dello scontro sul disegno di legge Zan, fra Montecitorio e Palazzo Madama, le truppe del M5S sono più concentrate sul loro futuro. «Come finirà? Che ne sarà di noi?». Una deputata esperta la mette così: «Vogliamo soltanto che si sbrighino. Siamo stanchi di non avere una guida, una struttura...». Andrea Cioffi, vicepresidente vicario del gruppo del Senato, attraversa il salone Garibaldi e rivela un dettaglio non banale: «La mia assistente mi aveva detto che Beppe sarebbe arrivato domani (oggi per chi legge, ndr ). Noi non sappiamo altro...». Dopodiché prende e se ne va. Sia come sia, dalle alte sfere della galassia pentastellata assicurano che «non c'è alcun problema fra Beppe e Giuseppe», «che più semplicemente si stanno affinando gli ultimi dettagli». Non a caso c'è chi sostiene che si sarebbero dovuti vedere ma alla fine hanno optato per una conversazione telefonica. D'altro canto, i passaggi da definire riguardano il timing delle votazioni e la piattaforma in cui votare. Due nodi ancora non sciolti. «Ricordo che Grillo aveva chiesto di votare su Rousseau». Ed è forse per questa ragione, visto che il voto dovrebbe tenersi su SkyVote e non su Rousseau, che qualcuno arriva a sussurrare che il garante nicchi. Certo, osservano, «interpretare il pensiero dell'Elevato non è mai facile. Ma è altresì vero che, rispetto allo Statuto che desiderava, le nuove regole sono un'altra cosa». Sullo sfondo c'è anche un'attenzione nemmeno tanto velata che riguarda la nomina dei tre vicepresidenti che affiancheranno Conte, del capo della scuola politica, ma soprattutto del comitato garanzia. Non a caso il gruppo parlamentare della Camera ribolle perché i nomi in circolazione per i ruoli politici più significativi sono tutti ascrivibili al gruppo del Senato. Leggi alla voce, Stefano Patuanelli, Vito Crimi. «E noi della Camera, che siamo il doppio in termini di numero?».

MIGRANTI E LIBIA, LETTA VUOLE L’EUROPA

Importante passaggio parlamentare domani sul tema dei migranti e sui finanziamenti alla Libia. Carlo Lania sul Manifesto spiega il tentativo di Letta di coinvolgere l’Europa. 

«Non può essere solo l'Italia a farsi carico dell'addestramento della Guardia costiera libica. Anzi l'Italia non deve proprio farlo. Istruire ed equipaggiare le milizie che intercettano i barconi nel Mediterraneo è un compito che spetta all'Europa, così come più in generale deve essere europea la gestione dei flussi migratori. Ad affermarlo è Enrico Letta alla vigilia del voto sulla delibera missioni internazionali previsto per domani alla Camera. Il segretario del Pd prova così a smorzare il dissenso crescente nel suo partito per la cosiddetta «Scheda 48», dove è previsto uno stanziamento di 10,5 milioni di euro, mezzo milione in più rispetto al 2020, per finanziare l'addestramento dei guardacoste libici e la manutenzione dei mezzi navali di Tripoli. Dissenso cresciuto ulteriormente dopo le immagini diffuse dalla ong Sea Watch della motovedetta che insegue e spara in acque internazionali contro un barca con una quarantina di migranti a bordo. «Che c'entriamo noi con quella missione?» ha chiesto, ad esempio, l'ex capogruppo Graziano Delrio durante una riunione che la scorsa settimana si è tenuta tra i deputati dem. L'idea che circola nel Pd da quando Letta è segretario è che dall'emergenza migranti si esce solo trasformandola in una questione che riguarda tutti gli Stati membri dell'Ue. «In otto anni, da quando è finita la missione Mare nostrum voluta proprio da Letta, non è cambiato nulla, la cooperazione tra gli Stati non si è sbloccata e intanto nel Mediterraneo sono morte migliaia e miglia di persone», spiegano al Nazareno. Quindi, occorre puntare sui corridoi umanitari, modificare il regolamento di Dublino ed estendere il mandato della missione europea Irini affidandole anche operazioni di search and rescue, ricerca e soccorso dei migranti. Corridoi umanitari al parte, il resto sono cose che, per la verità, Bruxelles ha già fatto capire da tempo di non avere alcuna intenzione di fare. Al punto che nonostante l'indiscusso prestigio internazionale, perfino Mario Draghi ha dovuto prendere atto delle rigidità presenti nell'Unione sull'argomento. Anche il rapporto con la cosiddetta Guardia costiera libica fa parte dei compiti di cui per il Pd l'Ue dovrebbe farsi carico. E in parte già lo fa, visto che fa rientra tra i nuovi compiti assegnati alla missione Irini. La proposta di modifica è comunque inserita in un emendamento alla «Scheda 48» presentato ieri alla Camera a firma dei deputati dem Enrico Borghi e Lia Quartapelle. Al momento, però, la proposta avanzata dal segretario non convince chi nel partito chiede da tempo di interrompere ogni rapporto con la Marina di Tripoli. «Stiamo alla sostanza delle cose», spiega il dem Matteo Orfini. «Il problema non è chi addestrata i libici, se l'Italia o l'Europa. Il problema è che la cosiddetta guardia costiera libica compie sistematicamente atti criminali. Tortura, stupra, uccide. Collaborare con la cosiddetta guardia costiera libica significa divenire corresponsabili di quei crimini. Poco cambia se chiediamo di farlo all'Europa. Anzi, non cambia nulla. Quindi non possono chiederci di votare a favore della missione». L'anno scorso otto deputati dem si espressero contro la delibera, mentre il resto del partito votò a favore. Quest' anno i deputati dem dissidenti potrebbero essere di più». 

CUBA, IL POPOLO CONTRO IL REGIME

Proseguono le proteste popolari a Cuba per ottenere alimenti e vaccini. Matteo Pucciarelli per Repubblica ha intervistato Fausto Bertinotti sul mito della rivoluzione castrista.  

«Dice Fausto Bertinotti, che con Fidel Castro aveva un rapporto diretto e che però vide raffreddarsi i rapporti con i compagni cubani quando Rifondazione prese pubblicamente posizione contro la pena di morte nel Paese caraibico, di essere "riconoscente a Cuba per ciò che ha rappresentato per milioni di persone come me, l'ho amata e le sono grato". Con che stato d'animo assiste alla crisi che sta vivendo il Paese adesso? «Credo che la sorpresa e il miracolo di Cuba sia quello di essere arrivata sin qua, con tutte le sue luci ed ombre. Il mondo è cambiato radicalmente, i due blocchi della guerra fredda non ci sono più, la contrapposizione tra società post rivoluzionarie e capitalistiche è stata invasa dalla globalizzazione. Con la Cina che prende un corso imperiale sulla quale è issata una bandiera rossa, ma sempre imperiale è, mentre Cuba ha provato con crescenti difficoltà a essere fedele a se stessa. Pensi che a Porto Alegre e nelle piazze delle moltitudini in lotta a inizio anni Duemila, l'ultimo grande movimento planetario, ancora si interloquiva con Cuba. Oggi però chi guida il Paese ha di fronte una scelta: ascoltare la piazza, il popolo, oppure perdere tutto». L'utopia sta per finire? «Rimangono fattori caratteristici dell'esperienza come la centralità dell'istruzione, l'eccellenza della sanità pubblica, la solidarietà e l'internazionalismo. Ma la storia si sta esaurendo, ci sono forme di logoramento: il doppio mercato, le disuguaglianze interne, la burocratizzazione: in questa condizione, subendo lo spiazzamento della storia universale e una stretta economica vigorosa, ci vorrebbe una rivoluzione nella rivoluzione, un ritorno alla lingua originaria, che era quella di tutto il potere al popolo. Sarebbe un gesto grande e coerente con la nascita del socialismo cubano un governo che oggi dicesse a chi manifesta 'avete ragione voi', non solo per ascoltare ma per costruire la storia assieme a quelle persone, senza covare l'illusione che il mercato sia salvifico. Cuba può avere una fine diversa rispetto ai Paesi che sono passati dal socialismo al mercato, ma occorre tornare indietro per riacchiappiare il futuro, un balzo della tigre che abbia fiducia di fondo nel popolo. La primavera di Praga è ancora un insegnamento: si può uscire da una crisi del sistema socialista ma da sinistra e dal basso, e si riesce se dai ragione al popolo contro il potere costituito. Ci vorrebbe per questo un atto di totale rimessa in discussione del proprio potere da parte delle proprie classi dirigenti. Chi lotta in piazza è una risorsa, non un pericolo». 

I TALEBANI UCCIDONO I SOLDATI PRIGIONIERI

Arrivano testimonianze video dall’Afghanistan di un eccidio di soldati afghani da parte dei talebani. Giordano Stabile per la Stampa.

«Gli uomini del colonnello Sohrab Azimi, a capo dell'unità delle forze speciali più decorate dell'Afghanistan, hanno combattuto fino all'ultima pallottola. Circondati da centinaia di taleban nella loro base a Dawlat Abad, provincia settentrionale di Faryab, si sono arresi soltanto quando hanno finito le munizioni. I guerriglieri jihadisti li hanno fatti uscire e hanno preso le loro armi. Poi è cominciato il massacro. Li hanno portati al centro della cittadina e uccisi uno a uno, al grido di «Allah Akhbar», Dio è il più grande. Almeno 22 valorosi soldati sono morti così, lo scorso 16 giugno. Ieri sono emersi i video dell'eccidio, arrivati ai media americani. Un filmato mostra i corpi trascinati attraverso il mercato. In un altro, di 45 secondi, si sente uno degli abitanti che dice in pashto, la lingua più diffusa nel Paese: «Non uccideteli, vi prego, non sparategli, perché voi pashtun ammazzate gli afghani?». Il massacro nella provincia di Faryab, al confine con il Turkmenistan, e la morte del colonnello Azimi, erano stati un duro colpo per il morale dell'esercito. Poche settimane dopo i taleban hanno preso quasi tutta la frontiera. Hanno diffuso un loro video dei combattimenti, mostrato mezzi e armi catturate e denunciato «i commando addestrati dalla Cia». Ma questi nuovi filmati gettano un'ombra sinistra. Dalle zone riconquistate dagli studenti barbuti continuano a filtrare denunce di abusi, imposizione della sharia. I taleban smentiscono, come hanno smentito l'eccidio dei soldati. Hanno detto di avere nelle loro mani «24 prigionieri», senza però mostrarli, e che la notizia «falsa» delle esecuzioni serve a «scoraggiare quelli che vogliono arrendersi». Testimoni locali sentiti dalla Cnn hanno confermato che i militari «sono stati condotti in mezzo alla strada e uccisi a sangue freddo». È un assaggio di quello che potrebbe succedere su larga scala, mentre il cerchio si stringe attorno a Kabul. Ieri i jihadisti hanno pubblicato sui social media le foto di una base militare disertata dai soldati a soli 40 chilometri dalla capitale. Poi immagini di un elicottero governativo in fiamme all'aeroporto di Kunduz. E ancora della villa abbandonata dal governatore di Kandahar, alla periferia della città. Infine una potente esplosione ha devastato il primo distretto di Kabul, con almeno quattro morti e decine di feriti. Da quando è cominciato il ritiro americano, ad aprile, i seguaci del defunto Mullah Omar hanno conquistato, secondo il centro studi Afghanistan Analysts Network, il «40 per cento dei distretti del Paese».

LA GRANDE DISUGUAGLIANZA AMERICANA

Vittorio Carlini sul Sole 24 Ore analizza i numeri ufficiali della Federal Reserve americana, secondo i quali l’1 per cento di cittadini ha in mano il 53 per cento della ricchezza.  

«A Wall Street pochi paperoni hanno sempre di più. Con buona pace dei tanti (troppi) proclami sulla "democratizzazione" dei mercati. La prova? La fornisce la Fed. Secondo la Banca centrale statunitense l'1% degli americani più ricchi, tra azioni e fondi d'investimento, possiede, alla fine del primo trimestre del 2021, la bellezza di 19.990 miliardi di dollari. Un valore che è il più alto da quando la Federal reserve ha avviato la raccolta dei dati sulla distribuzione della ricchezza delle famiglie statunitensi. Cioè: dal 1989. In termini percentuali significa che l'1% della popolazione Usa più facoltosa ha il 53,5% dei "corporate equities" e "mutual fund shares" in mano a tutti gli americani. La cifra impressiona. Anche perché, pure allargando la quota di "ricconi" considerata, l'impostazione di fondo non cambia. Da una parte, il solo 10% degli statunitensi maggiormente abbienti ha 33.590 miliardi in azioni e funds; dall'altra, il rimanente 90% si accontenta di 4.240 miliardi di dollari. (…) Ma, allora, tutta l'enfasi sul popolo di Robin Hood o Wallstreetbets? A ben vedere non può negarsi che i forum in Internet abbiano, in particolare in America, acquisito un ruolo rilevante tra i partecipanti al "gioco" dei listini. La piattaforma riconducibile a Reddit, ad esempio, vanta oltre 10 milioni di "degenerati" (così si autodefiniscono i partecipanti al forum). Una forza d'urto che, come si è visto nei casi quali quello di GameStop, è in grado di mettere in difficoltà blasonati hedge fund. Inoltre le politiche fiscali espansive di Washington, unitamente agli inesistenti costi commissionali di molte piattaforme di trading, hanno agevolato la corsa in massa dei piccoli investitori verso la Borsa. Il retail però da un lato, salvo casi non rilevanti sui grandi numeri, rimane piccolo; e, dall'altro, contribuisce (almeno finora) al rialzo del mercato Usa. In un simile contesto, alla fine, i veri beneficiari sono coloro che hanno grandi patrimoni investiti. Non il giovane che, portando a casa una plusvalenza di qualche migliaio di dollari, pensa di essersi arricchito. Bensì i Paperoni (quelli veri) che, seppure in maniera indiretta, si avvantaggiano della stessa corsa del retail a Wall Street. Una caccia al guadagno la quale, contribuendo (insieme alle politiche monetarie espansive delle banche centrali) a sostenere il rally, fa lievitare il patrimonio borsistico dell'1% più ricco. Fin qui alcune suggestioni rispetto alla ricchezza in sé. Quale, invece, la situazione riguardo alla razza? Beh, com' è facile immaginare, la disuguaglianza, seppure diminuita nel corso degli anni, si replica. Sempre secondo la Fed i bianchi possiedono l'89,5% di stocks e fondi d'investimento in mano agli americani. I neri (1,1%) e gli ispanici (0,5%) si accontentano delle briciole. Gli "altri", essenzialmente asiatici, arrivano all'8,9%. Certo, può obiettarsi: la ricchezza non è solo quella azionaria. Ci sono, ad esempio, gli immobili o gli investimenti in società private. Vero! E tuttavia, guardando ai total asset, da una parte la quota in mano ai bianchi rimane su livelli elevati all'82,9% (4,6% per gli afroamericani); e, dall'altra, il 10% più ricco possiede il 64,8% (sempre dei total asset) contro il 35,2% del restante 90% della popolazione. Insomma: la disuguaglianza "made in Usa" è nei numeri della Fed».

INIZIATO IL COUNT DOWN PER IL RITORNO DEL PAPA

Papa Francesco è ancora al Policlinico Gemelli, ma è iniziato il conto alla rovescia per il suo ritorno in Vaticano.

«Ormai è conto alla rovescia di giorni per il ritorno del Papa in Vaticano. Ma intanto Francesco si dedica ad alleviare la sofferenza di quanti sono ricoverati vicino a lui. Ieri, a riprova di questa vicinanza fisica oltre che spirituale, si è nuovamente recato in visita al reparto di Oncologia Pediatrica, posto al 10° piano del Policlinico Agostino Gemelli, vicino all'appartamento dove si trova ricoverato. Nelle foto diffuse dalla Sala Stampa vaticana, si vede il Pontefice accarezzare e benedire diversi piccoli tenuti in braccio dalle rispettive mamme. In un'altra immagine più corale il Papa, sorridente, percorre il corridoio del reparto, tra gli applausi del personale medico e dei parenti dei bambini. Un momento gioioso per tutti. Intanto proseguono i miglioramenti. E se Francesco è ancora al Gemelli è solo, come spiegava già il comunicato di lunedì, per consentirgli di completare in maniera più monitorata la convalescenza postoperatoria. Una ulteriore conferma la si è avuta dalla dichiarazione di ieri del direttore della Sala Stampa della Santa Sede. «Il Santo Padre - ha fatto sapere Matteo Bruni - continua le cure previste e la riabilitazione, che gli permetterà quanto prima il ritorno in Vaticano». A count down già avviato, dunque, non cessa tuttavia la paterna sollecitudine del Pontefice per quanti, in questi giorni di degenza nel policlinico romano, hanno condiviso con lui la situazione di pazienti. Ieri per esempio il suo saluto è andato «ai tanti ammalati incontrati in questi giorni». E Bruni ha specificato che «un pensiero particolare» del Papa è stato per «quanti, allettati, non possono tornare a casa». L'augurio per loro è «che possano vivere questo tempo come un'opportunità, anche se vissuta nel dolore, per aprirsi con tenerezza al fratello o alla sorella malati nel letto accanto, con cui si condivide la medesima umana fragilità». A tal proposito si deve ricordare che il dialogo affettuoso con i piccoli pazienti suoi vicini di reparto era iniziato l'8 luglio, quando Francesco aveva fatto giungere la sua «paterna vicinanza » e un «affettuoso saluto» a distanza. I bimbi poi gli avevano fatto pervenire i loro disegni. In uno, particolarmente bello, gli avevano scritto: «Caro Papa Francesco, abbiamo saputo che non stai tanto bene e adesso ti trovi nel nostro stesso ospedale. Anche se non possiamo vederci, ti mandiamo un forte abbraccio e ti auguriamo di guarire presto». Infine domenica mattina, prima della recita dell'Angelus, Bergoglio aveva incontrato alcuni di quei piccoli pazienti con i loro familiari che, successivamente, erano con lui sul terrazzino del decimo piano in occasione della preghiera mariana».

Se vi è piaciuta la Versione di Banfi fatelo sapere inoltrando questa rassegna via email ai vostri amici. Se non vi è piaciuta, beh nessuno è perfetto.

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana   https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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Liberté per chi si vaccina

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