L'idea di Francia (e d'Europa)
Sesta notte più tranquilla, oggi contro manifestazioni dopo i disordini a Parigi. Meloni difende la svolta europea sui migranti, nonostante la rottura. Ma manca un modello. Dov'è Prigozhin?
La sesta notte è stata più tranquilla in Francia. La rivolta delle banlieue dà finalmente segni di cedimento, anche dopo gli appelli della famiglia di Nahel, il 17 enne ucciso dalla polizia ad un posto di blocco. Oggi davanti a tutti i Municipi di Francia ci saranno manifestazioni per far cessare le proteste. Mentre il governo francese è ricorso al coinvolgimento penale dei genitori, per fermare le violenze dei minorenni. Restano ancora tanti gli interrogativi che i disordini francesi pongono all’attenzione di tutti. Scrive Domenico Quirico sulla Stampa: “Sarebbe questo il Paese della Grande Rivoluzione – mi chiedono - che uccide ai posti di blocco e insegue a randellate i suoi veri proletari, che sono gli ex immigrati diventati cittadini ma ammucchiati nelle banlieue e nelle camere ammobiliate, ignorati e disdegnati come un tempo avveniva per i coloni di Oltremare?”. Non può essere un problema di ordine pubblico, se non nell’immediato. È una questione sociale e culturale, anzitutto. Lo sostiene anche Giulio Sapelli in un’intervista su Libero, in cui ricorda che il nostro modello di integrazione è diverso da quello francese, perché oltralpe si pretende di cancellare fede e tradizione di chi arriva in quel Paese. La questione è semmai che cosa voglia essere la Francia, che cosa voglia essere l’Europa. Maurizio Belpietro sulla Verità indica una sola soluzione: mandare soldi ai Paesi del Nord Africa perché trattengano coloro che vogliono partire. Ma se i soldi servono per pagare degli aguzzini sul “modello Libia” non sono certo spesi bene. Manca un’idea complessiva di cooperazione e sviluppo per i Paesi del Sud Globale da parte dell’Occidente, tentato di chiudersi nel suo egoismo: prima gli americani, prima gli italiani, prima i francesi…
Giorgia Meloni con un’intervista al Corriere della Sera cerca di cambiare la narrazione sul fallimento dell’ultimo Consiglio d’Europa, conclusosi con una rottura proprio sul tema dei migranti. La nostra premier insiste che un accordo fra i 27 c’è stato sulla politica “esterna”, certificando come adeguate le mosse italiane verso la Tunisia. Ma che non c’è concordia sull’accoglienza “interna” ed è comprensibile per Paesi come Polonia e Ungheria. Resta il fatto che l’Europa del futuro, che sarà probabilmente ancora più “sovranista”, dà poche speranze che si arrivi davvero a quel “piano Mattei” evocato più volte da Meloni. Enrico Mattei ha attuato una visione economica, energetica e strategica sulla base di una visione culturale che era allora un superamento del colonialismo e del neo colonialismo delle sette sorelle, oggi quale è il retroterra culturale di un possibile nuovo “piano Mattei”?
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