L'ondata di Natale
Nuovo possibile picco della pandemia proprio nei giorni delle Feste. Ieri balzo di contagi e decessi. Incubo inflazione: +6,8% in Usa. Dimissioni del prefetto immigrazione al Viminale. Assange in Usa?
L’orizzonte del Natale è segnato dal picco della pandemia. Lo dicono i numeri dei contagi e dei decessi, che purtroppo ieri registrano un venerdì nero. Fra 14 giorni, sotto l’albero, potremmo avere una situazione preoccupante negli ospedali e nelle terapie intensive. Più dei giornali italiani, stamattina l’allarme è sui giornali europei. In Gran Bretagna i contagiati giornalieri sono tre volte tanto i nostri e il sistema sanitario è già al collasso, come scrive Il Guardian. Vedremo se in Italia saranno varate nuove misure restrittive. Sul fronte economico, è confermato lo sciopero generale del 16, nonostante alcune limitazioni imposte per i servizi pubblici. Preoccupa anche l’inflazione: ieri i dati Usa (+6,8 per cento) confermano che non si tratta solo di una fiammata passeggera. Che cosa farà la Bce giovedì?
Si torna a parlare di migranti. Avvenire lo fa in occasione della Giornata internazionale dei diritti e mette in fila le crisi umanitarie delle ultime settimane: dall’Afghanistan alla Polonia-Bielorussia fino alla Manica. Il Fatto riprende lo slogan papale del “Naufragio di civiltà”. Ma si parla di migranti anche per le dimissioni del Prefetto che al Viminale si occupava di immigrazione, Michele Di Bari, la cui moglie è stata coinvolta in un’inchiesta proprio sul caporalato: secondo l’accusa sottopagava i braccianti.
Per la corsa al Quirinale tanti i temi e le notizie stamattina. Verderami sul Corriere si occupa del “largo consenso”, da Letta a Meloni, che porterebbe alla scelta del nuovo inquilino del Colle. In effetti è molto difficile eleggere un Presidente in un orizzonte stretto. Ma è anche vero che nel passato gli unici Presidenti eletti con tanti voti e al primo giro sono stati solo De Nicola, Cossiga e Ciampi. Si ripeterà il miracolo? Salvini, ospite della Meloni, ha voluto dire e ribadire che “Berlusconi è un candidato vero”. A scanso di equivoci.
Dall’estero: primo giro europeo del nuovo cancelliere tedesco Scholz che lancia un avvertimento a Putin sull’Ucraina. Concluso il summit delle democrazie voluto da Biden. Clamoroso ribaltone della giustizia inglese: Julian Assange potrà essere estradato degli Stati Uniti.
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Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
Giornata record per i dati dei contagi e dei decessi dovuti alla pandemia. Il Corriere della Sera lancia l’allarme: Balzo dei contagi: oltre 20 mila. Il Quotidiano Nazionale annuncia: Green pass, ecco che cosa cambia. Il Messaggero prevede un’altra stretta: Picco di contagi, verso le misure d’emergenza. La Repubblica sottolinea l’accelerazione della campagna di Figliuolo: Vaccini no stop contro il virus. La Stampa mette in primo piano la somministrazoni ai piccoli: Covid, via al piano di Natale. Ai bimbi due dosi in 21 giorni. I giornali di destra sono eccitati dalle dimissioni del prefetto dell’immigrazione al Viminale per un’inchiesta sul caporalato. Per il Giornale: Trema il Viminale. Per Libero: L’uomo della Lamorgese nei guai per i clandestini. (Anche se per altri giornali era stato nominato a suo tempo da Salvini). La Verità ci inzuppa il pane: Romanzo Viminale. Avvenire resta sul dramma dei migranti: Diritti e rovesci. Unico giornale ad occuparsi di corsa al Quirinale, nel titolo principale è Il Fatto, che fa il conto: 109 voltagabbana, uno ogni tre giorni. Il Manifesto si occupa ancora dello sciopero del 16: Scontro di classe. Il Mattino appare soddisfatto: Casa, più fondi al superbonus. Mentre del caro vita si occupano Il Sole 24 Ore: L’inflazione non ferma Wall Street. E il Domani: Addio alla favola rassicurante dell’inflazione provvisoria.
I CONTAGI SONO 20 MILA, I MORTI 118
Nella lotta al virus allarma la curva dei contagi in crescita da 7 settimane. Ieri oltre 20 mila positivi (dato peggiore da aprile) e 118 vittime. Da lunedì Calabria sarà in giallo, dal 20 a rischio altre cinque regioni. Adriana Logroscino per il Corriere.
«Superate due soglie psicologiche: ieri sono stati rilevati 20.497 nuovi positivi, mai così tanti da aprile, e sono stati constatati 118 decessi per Covid, il numero più alto da fine maggio. Ma non si tratta solo di percezione. Il monitoraggio settimanale dell'Istituto superiore di sanità, infatti, conferma la progressione del contagio per la settima settimana di seguito. Ora, in Italia, l'incidenza per centomila abitanti è a 176. Si infettano di più gli under 20 e i 30-49 enni. Consola che, nel quadro europeo, dove ieri è stata la Gran Bretagna a superare il suo record di contagi da gennaio (58.194), l'Italia sia l'unico Paese che «desta bassa preoccupazione», secondo l'Ecdc, ente comunitario di vigilanza sulle malattie. E che l'Rt, a 1,18, sia in lieve diminuzione. Non rassicura, invece, che ci siano ancora 6,1 milioni di non vaccinati: in percentuale sono soprattutto 12-19enni, in termini assoluti pesano il milione e 290 mila tra i 40 e i 49 anni e il milione e 180 mila tra i 50 e i 59. «Nelle ultime settimane c'è un trend di crescita dell'epidemia, sebbene più in ritardo rispetto agli altri Paesi europei - è la lettura dei dati di Silvio Brusaferro, presidente dell'Iss -. La circolazione del virus è più elevata nel Nord Est e le fasce di età più colpite sono quelle più giovani». I vaccini, però, fanno la differenza tra la situazione di quest' anno e quella di un anno fa. «I casi di contagio notificati sono in crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma il numero di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi è nettamente inferiore». Per questo è «critico» (sempre per Brusaferro) il dato dei 6,1 milioni di italiani che non hanno ricevuto ancora neppure una dose. Mentre positivo è l'incremento spiccato dei richiami: oltre quota 10 milioni le iniezioni fatte. «La terza dose riduce ulteriormente il rischio di contrarre l'infezione in tutte le fasce d'età». Dal 13 al 26 dicembre, secondo il target fissato dal commissario per l'emergenza Francesco Paolo Figliuolo, le Regioni sono chiamate a somministrare 6,3 milioni di dosi di vaccino. L'obiettivo è infatti quello di contenere gli effetti della pandemia sul sistema ospedaliero. La media nazionale di posti letto occupati in terapia intensiva è all'8,5%, negli altri reparti al 9,9%. Con significative differenze a livello territoriale. In zona gialla, dove già si trovano il Friuli-Venezia Giulia, da due settimane, e la Provincia autonoma di Bolzano, da una, arriva da lunedì prossimo anche la Calabria che sfora tutti i parametri: incidenza (119) e ricoveri (11,8% in rianimazione, 16,8% in area medica). Si salva, per ora, la Provincia autonoma di Trento, con i valori a un soffio dalla soglia. Ma da lunedì 20, sotto Natale, potrebbero essere in giallo anche Veneto e Liguria: i presidenti Luca Zaia e Giovanni Toti l'hanno già messo in conto e hanno avvertito i concittadini. A rischio anche Lazio, Marche e Valle d'Aosta. Sono poi cinque le regioni che, secondo il monitoraggio dell'Iss, si trovano in una condizione di «alta probabilità di progressione a rischio alto»: Abruzzo, Emilia-Romagna, Marche, Liguria e Veneto. Il ministro per la Salute, Roberto Speranza, parla di fase «ancora non facile» e invita ad «aver fiducia nella scienza». Anche per lo scenario che potrebbe determinare la prevalenza della variante Omicron (finora i casi in Italia sono 23), si profila una proroga dello stato di emergenza, in scadenza il 31 dicembre, a marzo o forse fino ad aprile. Da gennaio, al termine dei due anni dalla prima emanazione, sarà però necessario disporre l'emergenza con un passaggio in Parlamento».
SE CI SI AMMALA, GREEN PASS REVOCATO
La bozza del nuovo Dpcm all'esame del Garante della privacy prevede che il certificato verde venga revocato dopo un tampone positivo. Niccolò Carratelli per La Stampa.
«Se ci si ammala di Covid, il Green Pass viene revocato. Sembra ovvio, ma finora non lo è stato. Per questo serve un nuovo Dpcm, che il governo ha inviato al Garante della privacy per un parere. Punta a tappare il «buco» nel sistema di verifica dei certificati: ad oggi restano validi anche se il titolare, nel frattempo, risulta positivo al tampone. Banalmente, perché la piattaforma dove vengono registrati i test positivi non dialoga con quella dei pass rilasciati. Nel testo, messo a punto dai tecnici del ministero della Salute, viene spiegato meglio cosa deve avvenire «nell'eventualità in cui, dal flusso dei tamponi molecolari che le Regioni e Province autonome inviano al sistema Tessera sanitaria, risulti la positività al SARS-CoV-2 di una persona in possesso di certificazione verde in corso di validità». Un passaggio che doveva essere automatico, ma non è mai scattato: «Il sistema TS comunica la positività alla Piattaforma nazionale-DGC, unitamente ai dati di contatto dell'interessato eventualmente disponibili - si legge -. La Piattaforma genera una revoca delle certificazioni verdi rilasciate alla persona risultata positiva, inserendo gli identificativi univoci nella lista delle certificazioni revocate». Così questi Green Pass «vengono riconosciuti non validi in caso di verifica», con relativa comunicazione «al Gateway europeo, perché siano considerati non validi anche negli altri Stati membri». Inoltre, per chiudere il cerchio, «la Piattaforma nazionale-DGC invia notifica della revoca all'interessato». Il provvedimento «verrà annullato automaticamente a seguito dell'emissione della certificazione verde di guarigione dalla positività che l'ha generata». «Questione di salute pubblica». Nel decreto si sottolinea anche l'obiettivo di «allineare i sistemi regionali che hanno comunicato l'evento sanitario», mettendo a disposizione di Regioni e Province autonome «la lista delle certificazioni dei propri assistiti revocate». Il Dpcm verrà firmato dal premier Draghi e dai ministri Speranza, Franco e Colao subito dopo il via libera del Garante della Privacy, che però ricorda di aver «segnalato più volte, nei mesi scorsi, i profili critici derivanti da un mancato aggiornamento del certificato verde». L'ultima con una comunicazione, indirizzata a governo e Parlamento lo scorso 11 novembre (esattamente un mese fa), in cui il Garante Pasquale Stanzione scriveva: «Il Green Pass è efficace, a fini epidemiologici, nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità; ciò è reso possibile dal costante aggiornamento, mediante la piattaforma nazionale DGC, dei certificati in base alle risultanze diagnostiche eventualmente sopravvenute». Messaggio chiaro, inviato al ministro della Salute Speranza e a quello per i Rapporti con il Parlamento D'Incà, che però non ha portato a provvedimenti immediati. Ora dallo staff di Stanzione fanno filtrare più di una perplessità di fronte alla richiesta del ministero, sia per la tempistica (in forte ritardo), sia nel merito del parere da formulare: «Questa non è una questione di privacy, ma di salute pubblica», è il ragionamento. Insomma, il via libera del Garante non è poi così necessario e, forse, serve solo a giustificare in parte la lentezza con cui si è affrontato il problema».
SCIOPERO CONFERMATO (E DEPOTENZIATO)
È stato confermato da Cgil e Uil (la Cisl non aderisce) lo sciopero del 16 dicembre contro il governo Draghi, anche se ci saranno deroghe nei servizi pubblici essenziali. Enrico Marro per il Corriere.
«Sciopero generale confermato da Cgil e Uil per giovedì 16 dicembre, ma depotenziato dopo l'intervento della commissione di Garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali, che ha censurato l'iniziativa in alcuni settori, riscontrando una violazione delle regole. Secondo l'Autorità presieduta da Giuseppe Santoro Passarelli, in alcuni comparti, non viene rispettato l'intervallo minimo tra uno sciopero e l'altro mentre in altri va osservata la tregua prevista a ridosso del periodo natalizio. Cgil e Uil, dopo aver confermato che mobilitazione generale si terrà il 16 hanno assicurato che il pieno rispetto delle regole. Di fatto nel pubblico impiego lo sciopero è dimezzato. Diversi settori non si fermeranno, oltre la sanità che i due sindacati avevano già esonerato dalla protesta, in considerazione dell'emergenza Covid. I servizi ambientali non avrebbero potuto scioperare il 16 perché avevano già in programma un fermo generale per il 13 dicembre, che però è stato revocato in extremis dopo l'intesa appena raggiunta sul rinnovo del contratto. Anche il personale della scuola non incrocerà le braccia giovedì, ma semplicemente perché lo ha fatto ieri (anche qui senza la Cisl). Nel settore postale lo sciopero il 16 dicembre, afferma il Garante, è impedito dal fatto che in quello stesso giorno scade il termine per il pagamento dell'Imu. Nei trasporti i sindacati confermano di aver rispettato il termine di legge del preavviso di 10 giorni. La tregua per le festività in questo settore decorre inoltre dal 17 dicembre, ma l'Autorità sugli scioperi afferma che in diversi comparti, dalle ferrovie ai voli ai traghetti, lo sciopero generale non rispetta la necessaria «rarefazione oggettiva», cioè l'intervallo di 10 giorni che deve trascorrere tra due scioperi. Sono infatti già previsti fermi nei trasporti pubblici locali prima del 16 in diverse città (Venezia, Chieti, Messina) e in alcune ferrovie regionali (Trenord in Lombardia). Per il settore cargo-aereo (merci) Linate e Malpensa. A non lavorare saranno quindi soprattutto i lavoratori del settore privato, contro la manovra del governo che Cgil e Uil giudicano insufficiente e iniqua. Lo sciopero viene bocciato dal presidente della Confindustria, Carlo Bonomi: «Solo una manifestazione identitaria, è sbagliato». Secca la replica del leader Cgil, Maurizio Landini: «Non credo che Bonomi in vita sua abbia mai avuto il problema di doversi battere per migliorare la condizione sua e degli altri». Ma il presidente di Confindustria boccia anche la proposta del governo sul taglio dell'Irpef e rilancia la sua di ridurre i contributi previdenziali: i lavoratori, dice, avrebbero un vantaggio sul netto in busta paga maggiore. «A 19mila euro di reddito corrisponderebbe uno sgravio di 408 euro annui rispetto ai 391 della proposta del governo. A 24mila euro di reddito 515 euro contro 302. A 28mila euro 601 euro invece di 330. E a 35mila euro il lavoratore guadagnerebbe 751 euro in più l'anno, rispetto ai 385 euro della proposta del governo». Cresce intanto la preoccupazione sull'inflazione, che appunto erode il potere d'acquisto. Molti ritengono che le risorse in più stanziate finora dal governo, in particolare per contrastare il caro-bollette, siano insufficienti. Ma il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, assicura che l'esecutivo troverà altre risorse se necessario. Forza Italia apre però un altro fronte: «Il rinvio selettivo delle cartelle esattoriali 2022 è dirimente», dice Antonio Tajani».
INCUBO INFLAZIONE SULLA RIPRESA DEL DOPO COVID
L’inflazione è al massimo dal 1982: il costo della vita balza al 6,8% negli Stati Uniti, ma il dato in linea con le attese non spaventa le Borse. Il mercato pensa che la Federal Reserve americana mercoledì accelererà la riduzione degli stimoli monetari. Attesa per giovedì anche la decisione della Bce. Il punto di Marco Valsania per Il Sole 24 Ore.
«L'inflazione americana sfiora i massimi da quasi quarant' anni, accelerando la cavalcata sotto la spinta di una forte domanda e di crisi nelle catene di forniture: i prezzi al consumo a novembre sono aumentati dello 0,8% da ottobre e del 6,8% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. Uno scatto record dal 1982, quando il Paese era alle prese con le drammatiche crociate contro l'alta inflazione ereditata dagli anni Settanta. È stato anche, novembre, il sesto mese consecutivo portatore di impennate annuali dei prezzi superiori al 5% negli Stati Uniti. Il dato "core", depurato di componenti considerate più volatili quali energia e alimentari, è sua volta aumentato del 4,9%, il passo più rapido dal 1991. E un brusco incremento dal 4,6% riportato in ottobre, segno della crescente diffusione delle tensioni inflazionistiche nell'intera economia. La spirale dei prezzi non è bastata a scioccare i mercati, rimanendo sostanzialmente entro le attese degli investitori. A Wall Street gli indici Dow Jones, S&P 500 e Nasdaq hanno guadagnato frazioni di punto. Le piazze del Vecchio continente, alle prese anche con la recrudescenza della pandemia e con la nuova variante Omicron, hanno evidenziato incertezza, con indici nazionali generalmente in declino e il pan-europeo Stoxx 600 che ha archiviato un a flessione dello 0,3 per cento. Le pressioni inflazionistiche hanno però scosso la politica Usa. Joe Biden vede il successo della sua Casa Bianca e le prospettive dei democratici alle elezioni parlamentari di "Midterm" fra un anno legate a doppio filo al contenimento dello spettro di pericolosi incrementi dei prezzi e del loro impatto sociale. L'inflazione potrebbe oltretutto complicare il capitolo oggi centrale della sua agenda, di cui vuole l'approvazione entro Capodanno - un grande piano di spesa sociale e ambientale da quasi duemila miliardi - dando fiato a chi lo critica per potenziali ulteriori effetti sull'inflazione. Il Presidente ha risposto con un messaggio che ha cercato allo stesso tempo di ammettere la sfida e di offrire rassicurazioni: «I numeri odierni riflettono le pressioni affrontate dalle economie nel mondo mentre emergono dalla pandemia, con prezzi in salita», ha fatto sapere dalla Casa Bianca. «Ma sviluppi successivi ai dati indicano che gli aumenti di prezzi e costi stanno rallentando, anche se non quanto vorremmo», ha aggiunto. Il mese scorso impennate significative si sono verificate ad ampio raggio: dai prezzi delle auto (+31,4% annuale per i veicoli usati) alla benzina (+58,1%), dagli affitti (+3%) al mobilio (+6%). Sondaggi hanno riportato rincari anzitutto ai danni di piccole e medie aziende. Mentre i salari nonostante siano lievitati, non tengono il passo dei rincari: il potere d'acquisto delle paghe orarie, nell'ultimo anno, è scivolato di quasi il 2 per cento. Il crogiuolo di tensioni e preoccupazioni giocherà un ruolo da protagonista nei vertici delle banche centrali, americana e europea, alle quali è affidata la risposta più immediata. Sono convocati per la prossima settimana e gli operatori si aspettano più chiare indicazioni sulla rotta della politica monetaria non solo odierna ma per il 2022. La Federal Reserve statunitense, secondo molti analisti, alla riunione del 14 e 15 dicembre dovrebbe far scattare un'accelerazione della manovra di ritiro degli stimoli all'espansione. Il chairman Jerome Powell è fresco di nuova nomina alla guida della Fed da parte di Biden e di giudizi su un'economia americana robusta e un'inflazione non più gestibile soltanto come transitoria. Affiancato dai colleghi del Fomc, dovrebbe raddoppiare il ritmo di ritiro degli acquisti di asset, a 30 miliardi di dollari al mese da 15 miliardi. È una scelta che potrebbe avvicinare anche strette sui tassi d'interesse, azione ben più significativa e ampiamente ipotizzata al completamento del cosiddetto tapering a marzo: un iniziale rialzo del costo del denaro, dal livello attuale vicino alla zero, invece che a giugno potrebbero entrare in gioco fin da primavera. La Bce, da parte sua, giovedì prossimo è chiamata a offrire maggiori delucidazioni sul futuro dei propri soccorsi straordinari all'economia: Christine Lagarde ha indicato che l'istituto centrale non prorogherà ulteriormente il piano di acquisti pandemici Pepp da 60-80 miliardi di euro al mese in scadenza a marzo. Gli interrogativi, in un clima dove l'Europa per Lagarde può avere continua necessità di scelte accomodanti, riguardano tuttavia il rafforzamento di altri programmi di Qe nell'arsenale della Bce, quali lo App al momento da 20 miliardi al mese, per alleviare le ripercussioni del rientro delle misure anti-pandemia. A completare la settimana di fuoco per grandi banche centrali - e per i mercati che le aspettano al varco - arriverà sempre giovedì la riunione della Bank of England».
L’economista Mario Seminerio interviene sul Domani e dice: è finita l’illusione che fosse un rialzo temporaneo dei prezzi.
«Dopo aver trascorso gli ultimi mesi a parlare di «transitorietà», sulla scorta di quanto indicato dal presidente della Federal Reserve, Jay Powell, il presidente americano Joe Biden ora è preoccupato: alla vigilia della pubblicazione del dato ha emsso un inusuale comunicato per segnalare, tra le altre cose, che dopo la chiusura del periodo di rilevazione alcune pressioni sui prezzi si sono allentate, e che la tendenza al ridimensionamento sarà più evidente nei prossimi mesi. Poche cose sono corrosive per il consenso politico quanto l'inflazione, soprattutto alla pompa di benzina. Biden da mesi subisce le critiche di Larry Summers, già segretario al Tesoro di Bill Clinton, rettore di Harvard e alla guida del consiglio economico nazionale con Barack Obama, che da mesi segnala quelli che a suo giudizio sono errori di politica economica ma anche politici in senso stretto, alla base di una perturbazione inflazionistica che egli considera non temporanea. Primo fra tutti, aver ecceduto in erogazioni di emergenza che hanno alimentato la domanda prima dell'approvazione del piano di "infrastrutture sociali" che resta lontana. Powell ha alla fine ritirato il " meme" della transitorietà, mentre nella Fed è cresciuto l'orientamento ad accelerare il ritiro della parte di stimolo relativa agli acquisti di titoli di stato e obbligazioni ipotecarie, che potrebbe finire già al termine dell'inverno, per poi cedere il passo a rialzi dei tassi. Difficile sfuggire alla sensazione che tutta la gestione della vicenda sia caduta vittima di semplificazioni e imperativi politici. La contraddizione tra una politica monetaria fortemente espansiva, che ha deciso di assumere un ruolo quasi fiscale e "sociale", concorrendo a riassorbire la disoccupazione, e una realtà fatta di shock di offerta appariva destinata a creare emicranie alla politica e alla credibilità delle banche centrali. Così è stato. Da mesi assistiamo a dibattiti tra addetti ai lavori dove si cerca di dimostrare che, al netto di alcune componenti di spesa, i prezzi non salgono più di tanto. Alcuni economisti liberal sono impegnati ad analizzare la derivata seconda dei dati per dimostrare che la tendenza è alla decelerazione. Sin qui, è prevalsa la vulgata secondo cui i benefici delle erogazioni di Biden avrebbero protetto il potere d'acquisto degli strati sociali più poveri. Abbiamo assistito anche a un dibattito su Twitter tra Paul Krugman, sostenitore di tale tesi e Jason Furman, economista già alla guida del consiglio dei consiglieri economici di Obama, a ribattere che l'aumento di salari reali è frutto di una fallacia di composizione, perché circa 5 milioni di lavoratori, per lo più a bassa remunerazione, non sono più nelle liste degli occupati, e questo alzerebbe artificiosamente la media dei salari reali. Il lato europeo Sottigliezze da economisti a parte, anche in Eurozona la criticità si manifesta. La presidente della Bce Christine Lagarde cerca di barcamenarsi con la comunicazione di una materia che non padroneggia, mentre il suo governing council dibatte tra posizioni diversificate, con spifferi di una comunicazione cacofonica. Persino Isabel Schnabel, la tedesca nel board della Bce che ha sin qui rappresentato un'interessante discontinuità con la scuola ordoliberale del presidente dimissionario della Bundesbank Jens Weidmann e predecessori, ora segnala che la politica monetaria troppo lasca potrebbe produrre più problemi che benefici. Si discute anche su che fare alla scadenza dello stimolo pandemico, a marzo 2022. Proseguire con acquisti ordinari, ma per quanto e con quanto volume di fuoco? A ogni ipotesi di ridimensionamento del supporto della Bce, lo spread tra Btp e Bund si allarga. I mercati faticano a credere che il nostro paese riuscirà a reggersi da solo, in assenza di un compratore di ultima istanza così decisivo per il nostro debito pubblico. A questo quadro va aggiunta un'ulteriore considerazione: che accadrà se i prezzi dovessero smettere di aumentare ma non tornare da dove sono venuti, soprattutto per voci socialmente sensibili come l'energia? Da noi stiamo già vedendo crescenti quote di risorse pubbliche destinate a ridurre l'onere per i cittadini più fragili economicamente. Se questa situazione si rivelasse non transitoria, avremmo seri problemi di bilancio. Quando si inserisce un sussidio ai consumi energetici, toglierlo è politicamente proibitivo. Tutte variabili da tenere sotto osservazione, mentre ci rallegriamo per la vibrante ripresa del nostro Paese».
VIMINALE: SI DIMETTE IL PREFETTO DELL’IMMIGRAZIONE
In un blitz contro il caporalato è stata coinvolta la moglie del prefetto Michele Di Bari: secondo l’accusa sottopagava i braccianti. Immediate le dimissioni del responsabile dell’immigrazione al Viminale. Tatiana Bellizzi per Repubblica.
«C'è anche Rosalba Livrerio Bisceglia, 55 anni di Manfredonia, moglie del prefetto Michele di Bari - l'ormai ex capo del Dipartimento per libertà civile e immigrazione del ministero dell'Interno - tra le 16 persone coinvolte nel blitz anticaporalato eseguito ieri dai Carabinieri nel Foggiano. I due presunti caporali, un ganese ed un senegalese di 35 e 33 anni, sono finiti in carcere, tre agli arresti domiciliari. Per i rimanenti undici è stato imposto l'obbligo di firma. Tra questi anche la moglie di Di Bari. Lo stesso non appena appresa la notizia dell'indagine ha rassegnato le dimissioni dall'incarico ministeriale. Dieci inoltre le aziende agricole del territorio affidate all'amministrazione giudiziaria. I braccianti, quasi tutti africani, venivano reclutati tra gli extracomunitari del ghetto di Borgo Mezzanone. Chi ha condotto le indagini sostiene che i lavoratori venivano pagati 5,70 euro l'ora, ben al di sotto dei salari previsti dal contratto nazionale. I titolari delle aziende contattavano personalmente i due presunti caporali per reperire braccianti da impiegare nella raccolta di pomodori, uva o olive. Un'abitudine mutuata anche da Rosalba Bisceglia. Ad incastrarla un'intercettazione tra lei ed il ganese. «Porta da Nico tutti i documenti. Devi portare prima perché devo fare ingaggi e poi il giorno dopo iniziate a lavorare», si legge nell'ordinanza del Gip. I braccianti erano costretti a versare ai due caporali 5 euro per il trasporto e 5 per l'intermediazione. Inoltre molti dei lavoratori si recavano sui campi in sella alla propria bicicletta o stipati in furgoni e mezzi di fortuna fatiscenti. Vivevano in pessime condizioni igieniche ed erano sottoposti ad un forte stress emotivo. I caporali non li perdevano mai di vista durante la giornata lavorativa».
EMERGENZA PROFUGHI NELLA GIORNATA DEI DIRITTI
Dall’Afghanistan alla Polonia-Bielorussia, passando per la Manica: sono i profughi al centro della Giornata internazionale per i diritti umani. Luca Liverani per Avvenire.
«Il dramma dell'Afghanistan è già scomparso dall'attenzione di giornali e opinione pubblica. Quello al confine tra Bielorussia e Polonia si consuma comunque nell'indifferenza sostanziale delle istituzioni europee, bloccate da ricatti politici e diplomatici. Lo stesso nel Mediterraneo, sulla Manica, alle Baleari. Sulle frontiere dell'Ue bambini, donne e uomini soffrono e muoiono. Nella Giornata internazionale per i diritti umani le organizzazioni della campagna #IoAccolgo rilanciano 10 proposte per un patto Europeo per i diritti e l'accoglienza. Allo stesso tempo chiedono agli Enti locali di votare una mozione che chiede a Bruxelles di cambiare le politiche su diritto di asilo e accoglienza. E #IoAccolgo aderisce anche all'iniziativa lanciata da Avvenire invitando a esporre alla finestra una lanterna verde in solidarietà coi migranti che tentano di attraversare la frontiera orientale dell'Ue. A rilanciare i 10 punti del Patto europeo, presentate il 22 giugno 2021 per fermare la strage nel Mediterraneo e promuovere ingressi sicuri e legali, è il cartello #IoAccolgo, formato da 44 organizzazioni laiche e cristiane. Assieme ad Acli, Caritas, Centro Astalli, Cnca, Sant' Egidio, Focsiv, Migrantes, Federazione chiese evangeliche, Gruppo Abele ci sono sigle come Actionaid, Aoi, Arci, Finanza Etica, InterSos, Legambiente, Cgil, Uil, Save the Children, Msf, Forum Terzo settore. Nel decalogo «Per un nuovo Patto Europeo per i Diritti e l'Accoglienza», #IoAccolgo chiede dunque di: 1) «Promuovere canali d'ingresso legali per chi cerca lavoro»; 2) «Avvicinare la protezione ai rifugiati e non invece esternalizzare il diritto d'asilo»; 3) «Promuovere un programma di ricerca e salvataggio europeo e chiudere la stagione della criminalizzazione delle Ong»; 4) «Garantire l'accesso al diritto d'asilo e il rispetto del principio del non-refoulement (non respingimento, ndr) alle frontiere, «largamente violato» e «in modo violento» soprattutto alle frontiere «greco- turca, croato-bosniaca, polacco-bielorussa». Al punto 5 si chiede di «Cancellare le procedure accelerate e di frontiera, non rispettose del diritto ad un esame pieno ed equo delle domande di asilo »; al 6 di «promuovere forme di cooperazione con i Paesi terzi per garantire accessi legali a chi intende emigrare, rendendo trasparenti i finanziamenti e fornendo un reale contributo allo sviluppo sostenibile locale»; al 7 di «riformare il Sistema Europeo d'Asilo, cancellando il concetto di Paese di primo approdo e garantendo standard uguali in tutta l'Ue; all'8 di «garantire la libertà di soggiorno all'interno dell'Ue dei titolari di Protezione Internazionale; al 9 di «garantire il pieno diritto al ricorso per i richiedenti protezione che hanno ottenuto un esito negativo; al 10 di «attuare una profonda riforma del sistema europeo di accoglienza per i richiedenti asilo e chiudere la stagione di «campi » e hotspot ». La Campagna #IoAccolgo, poi, chiama all'azione la galassia degli enti locali. E propone a consigli comunali e regionali di votare un mozione, per una richiesta «dal basso» di cambiamento delle politiche europee sul diritto di asilo. Il testo ricorda la crisi dell'Afghanistran e l'evacuazione gestita dal governo italiano di 5mila persone (altri 1.200 arriveranno grazie ai corridoi umanitari organizzati da ministeri dell'Interno, Esteri, Cei, Sant' Egidio, Fcei e Arci, ndr), così come l'emergenza tra Polonia e Bielorussia. E chiede agli enti locali di sostenere il «Decalogo per l'accoglienza», comunicando l'adesione alla Presidenza del consiglio dei ministri e ai ministri degli Esteri e dell'Interno».
La Fondazione Fatto Quotidiano aiuta l’opera dei volontari per i migranti sul confine Italia-Francia: “Fermare il naufragio di civiltà”. Cinzia Monteverdi.
«"Fermiamo il naufragio di civiltà"; "Finisca il rimbalzo di responsabilità"; "Paura e cinico disinteresse uccidono. È tragico che in Europa qualcuno la consideri una questione che non lo riguardi"; "Chiusure e nazionalismi portano a conseguenze disastrose". Sono anche parole come queste, quelle di un grande uomo che si chiama Francesco, il nostro Papa, esempio di cristianità sia per i laici sia per i cattolici, a spingerci con la Fondazione del Fatto Quotidiano ad affrontare un nuovo progetto. Siamo stati contattati dalla Croce Rossa Italiana di Val Susa perché la aiutassimo ad assistere i migranti. Dal 2017 la Valle di Susa, naturale corridoio di collegamento tra l'Italia e la Francia, vede il transito di migliaia di persone migranti che tentano di valicare le Alpi in cerca di un futuro migliore; provengono dalla rotta mediterranea o dalla via dei Balcani. Nel compiere questo viaggio si espongono a grandi rischi, specie nel periodo invernale: rischiano di morire di stenti e di freddo. Il lavoro dei volontari della Croce Rossa Italiana è fondamentale. Hanno l'obiettivo di proteggere i migranti fornendo ogni giorno e ogni notte aiuto materiale (con coperte termiche e bevande calde), informazioni, possibilità di un ricovero notturno o di un intervento in caso di emergenza. Spesso si ritrovano ad assistere intere famiglie con bambini piccoli. E anche in questo caso - come per gli altri progetti che ha in corso la Fondazione, e per i quali in poco tempo abbiamo raggiunto i risultati sperati - vogliamo sottolineare il lavoro meraviglioso dei volontari. Che anche in Valle di Susa ogni giorno, ventiquattr' ore su ventiquattro, assistono persone nel tratto più difficile del loro percorso verso una vita migliore. Al già citato "rimbalzo di responsabilità" di cui parla Papa Francesco aggiungerei l'aggettivo "schifoso". Il pianeta Terra non è di nessuno, non abbiamo la proprietà della vita degli altri né il diritto di negare la salvezza, il sogno di scappare da ingiustizie, soprusi e stenti. Dovrebbe sorprendere, anche se ormai purtroppo non sorprende più, l'atteggiamento di certi politici che inneggiano alla vita facendo battaglie contro l'aborto o contro l'eutanasia, per poi invocare la chiusura dei porti e continuare a sostenere che queste persone devono essere aiutate "là", "a casa loro". Parlando di un "là" che nemmeno conoscono, e dove non resisterebbero nemmeno un giorno se ci vivessero. Mai che nessuno di loro abbia spiegato come si tradurrebbe, in concreto e nell'immediato, questo fantomatico aiuto "là". Perché si parla di immediatezza quando l'aiuto deve salvare vite umane; non di anni di riflessioni sulle politiche internazionali. Vengono poi spesso strumentalizzati coloro che delinquono e che sono presenti, come è naturale che sia, all'interno di questi flussi migratori che non sono avulsi dalle realtà che viviamo. Ogni volta che uno straniero commette un atto di violenza, un reato, dal più piccolo al più grande, lo si esibisce, per le strategie politiche del caso, a riprova di una necessaria chiusura dei porti e delle frontiere. E si confonde così, appositamente, il caso singolo con il tutto. E non si pensa mai abbastanza al fatto che se queste persone sono disposte ad attraversare mari in tempesta con imbarcazioni di fortuna, o Alpi innevate con temperature impossibili come in Valle di Susa, significa che sono pronti alla morte pur di non rimanere in quel "là" che è così lontano da non riguardarci. Danno fastidio a tutti i violenti, così come il degrado di alcune città dove si riuniscono gruppi di persone che sempre più spesso provengono da quel "là" e che si ritrovano a vivere accatastando sporcizia o molestando chi passa. Sì, danno fastidio a tutti. È inutile trincerarsi nel falso buonismo. Però è necessario distinguere. E fissare delle priorità. La prima: salvare la vita delle persone. Non si può reputare un merito l'essere nati in una determinata parte del mondo; è solo dovuto al caso di un seme e di un ovulo che hanno determinato la nostra nascita in un luogo rispetto a un altro. Ci penso sempre a questa cosa. È stata una gran botta di culo non nascere sotto le bombe, o in Paesi torturati da ingiustizie politiche, o da dittature politiche e religiose. Con il pensiero che le persone disperate vadano aiutate tutte, che siano cittadini italiani o cittadini del mondo, abbiamo deciso di aiutare la Croce Rossa in Val Susa. La Fondazione contribuirà direttamente con una donazione. Ma, in aggiunta, partiamo proprio oggi con la raccolta fondi per la fornitura di kit di assistenza con cibo autoriscaldanti e coperte termiche. Non c'è tempo da perdere. Non si può rimanere indifferenti di fronte a famiglie intere che si tengono per mano affrontando a piedi le Alpi».
QUIRINALE 1. PAROLA D’ORDINE “LARGO CONSENSO”
La corsa al Quirinale. Manca un mese e una settimana alla prima convocazione dei 1009 grandi elettori e già sono molti gli interventi e gli articoli. Francesco Verderami sul Corriere si occupa del “largo consenso”, da Letta a Meloni, che potrebbe segnare l’elezione del nuovo Capo dello Stato.
«Il proposito di eleggere il prossimo capo dello Stato con un «consenso largo» è l'indicazione di un metodo - auspicato da Enrico Letta e Giorgia Meloni - che va salutato con favore. Perché se si realizzasse riunirebbe idealmente il Paese attorno al suo garante: sarebbe la forma più alta di unità nazionale, specie in un contesto di emergenza come quello attuale. L'idea anticipata dal segretario democratico a Venanzio Postiglione per il Corriere, e poi condivisa con la presidente di Fratelli d'Italia alla festa di Atreju, non è solo la dimostrazione che i partiti stanno già preparandosi alla corsa per il Colle. È soprattutto il primo e positivo passo verso la ricerca di un accordo capace di unire da un estremo all'altro gli schieramenti politici, che al momento sono divisi persino al loro interno. La volontà di trovare una convergenza tra le forze di maggioranza e il partito di opposizione per ora è una enunciazione di principio. Poi costerà fatica arrivare in fondo. Ma bisogna dar credito al disegno, tralasciando le polemiche e le speculazioni: il fatto che il Pd non abbia oggi i voti per far da solo come in passato, per esempio; o che la mossa serva a sbarrare il passo a manovre centriste o a candidature ritenute insidiose. (…) Ed è evidente che l'obiettivo si raggiungerebbe soltanto su una figura autorevole, nella quale le forze politiche e il Paese potrebbero riconoscersi per prestigio e competenza. In fondo sono queste le doti che si richiedono a un capo dello Stato, per di più in un contesto difficile a livello nazionale ed internazionale: con l'Italia che deve ancora uscire dalla pandemia e consolidare la ripresa; con l'Occidente impegnato a fronteggiare l'espansionismo economico e militare della Cina; e con l'Europa chiamata a dare segni di vita e di unità nella prova di revisione del patto di Stabilità. Immaginare che la partita per il Colle possa trasformarsi in una resa dei conti tra fazioni, o che il voto sul capo dello Stato possa essere un'anticipazione della sfida per Palazzo Chigi, significherebbe non tener conto della realtà delle cose. Perché offrirsi al Paese con una lunga sequenza di votazioni andate a vuoto, con giorni trascorsi a contare schede bianche o a raccontare di candidati senza quorum, vorrebbe dire screditare ciò che resta - e resta veramente poco - dell'immagine della politica. E porterebbe alla deflagrazione del sistema, che nessuno può permettersi. La formula del «consenso largo» è la prova che i partiti hanno (forse) capito il rischio che corrono e fanno correre alle istituzioni. Lo s' intuisce dal modo in cui anche Matteo Salvini si appresta a un giro di colloqui per arrivare a un tavolo comune, dove discutere e cercare una convergenza. Cade così il paravento dietro il quale finora le forze politiche si erano nascoste, la tesi cioè che il tema del Quirinale si sarebbe affrontato solo dopo il varo della Finanziaria. Manca poco tempo all'appuntamento e i nodi da sciogliere sono numerosi. Il metodo proposto per la scelta del futuro presidente della Repubblica potrebbe inoltre agevolare la discussione su una nuova legge elettorale, che andrebbe adeguata alla nuova stagione del bipolarismo frammentato. E potrebbe consentire di cambiare - in vista della prossima legislatura - i regolamenti di Camera e Senato che non sono stati ancora adeguati al taglio dei parlamentari. La verità è che i partiti sono stati finora colpevolmente inadempienti e non hanno approfittato della «safety car», cioè del governo di larghe intese, per risistemarsi in pista in attesa di riprendere la competizione. Ma non c'è dubbio che tutta l'attenzione - e non da oggi - fosse concentrata sul rebus Quirinale: a fronte di un Parlamento balcanizzato, la chiave del «consenso largo» potrebbe garantirne la soluzione in modo rapido. Ecco l'esame di maturità per le forze politiche».
Andrea Marcenaro sulla prima pagina del Foglio ironizza sul tema del “campo largo”, diventato velocemente luogo comune politico giornalistico.
«La proposta di Enrico Letta per quello che alcuni si ostinano a definire centrosinistra, Campo Largo non si può chiamare. Questo per i motivi magistralmente spiegati da Paolo Mieli sul Corriere della Sera: la linea più a destra del prato, che con Renzi e Calenda in effetti di centro sarebbe, è chiamata di destra, planimetria a parte, in omaggio ai contorcimenti della storia della sinistra. Figuriamoci perciò di una sinistra che vuole andare da sinistra a destra senza dirlo al centro. Campo Lungo non si può chiamare. Perché sarebbe necessario un fiato che i protagonisti sanno da soli di non avere. Campo Stretto non si può chiamare per il rispetto minimo dovuto ai 5 Stelle, convocati apposta per allargarlo. Dando per scontate le oneste intenzioni di un leader probo come Enrico Letta, Camposanto, magari? ».
QUIRINALE 2. “BERLUSCONI È UN CANDIDATO VERO”
Matteo Salvini è stato ospite di Giorgia Meloni alla festa di Atreju. Nella cronaca di Giuseppe Alberto Falci per il Corriere, la battuta chiave: “Berlusconi è un candidato vero”.
«L'ultima volta di Matteo Salvini ad Atreju era il 20 settembre del 2019, un mese dopo la fine del governo gialloverde. Insomma, un'era politica fa. La Lega veleggiava attorno al 30 per cento, Fratelli d'Italia era l'azionista di minoranza della coalizione di centrodestra, e un esecutivo a guida Mario Draghi rientrava negli scenari fantapolitici. Due anni e tre mesi dopo, Salvini ritorna alla kermesse di Fratelli d'Italia, il Natale dei conservatori, in un venerdì sera di pioggia battente. Giorgia Meloni fa gli onori di casa, e lo accoglie nel dietro le quinte. Prima del fischio di inizio dell'intervista che verrà condotta dal giornalista Giovanni Minoli, i due chiacchierano per diversi minuti davanti a un caffè. Avranno parlato del Quirinale o del governo Draghi? «Giorgia, ti devo fare i complimenti per Atreju» esordisce Salvini. E la padrona di casa: «Matteo, ti ringrazio. Potevi portare anche tua figlia, c'è una bellissima pista di pattinaggio sul ghiaccio». I due ridono, scherzano, e forse iniziano a mettere a terra la strategia per il Quirinale e per le prossime elezioni politiche. Sala strapiena, prime file composte dai quadri di FdI: Ignazio La Russa, Daniela Santanchè, Francesco Lollobrigida, Adolfo Urso, Augusta Montaruli. Fabio Rampelli resta in piedi e confida: «Per Matteo l'accoglienza è sempre positiva». C'è anche Vincenzo Sofo, ex europarlamentare della Lega, oggi con Meloni, accompagnato dalla moglie Marion Maréchal Le Pen, nipote di Marine. Si rivede Enrico Michetti, lesto a precisare: «Non rilascio dichiarazioni». «Seduti, seduti, vi presento un leader al quale siamo molto legati. Diamo un grande benvenuto a Matteo Salvini» annuncia Meloni. L'ex ministro dell'Interno fa una sorta di inchino verso la platea, abbraccia Meloni e poi si accomoda. La curiosità dei militanti è tale che dal fondo della sala si leva un brusio: «Vediamo cosa dirà sul governo Draghi». Si comincia con i giorni della fine dell'esecutivo con i 5 Stelle. È vero che propose via sms a Luigi Di Maio di fare il premier? «Con Di Maio non ho familiarità, non gli mando messaggi e non ci vado a mangiare la pizza... Non capisco perché si sia incattivito nei miei confronti, io non gli ho fatto nulla». Lungo applauso. Sembra essere un affondo contro Giancarlo Giorgetti che solo qualche settimana fa è stata avvistato in una nota pizzeria della Capitale con il ministro degli Esteri. Non è così, minimizzano dalla Lega. In mattinata Salvini e Giorgetti si sono incontrati all'assemblea della Cna e da quel consesso il numero due della Lega ha affermato: «La regola che mi sono data è: stai sulla bicicletta, pedala e guarda il manubrio perché quando in una gara ciclistica inizi a guardarti indietro di sicuro ti prendono». Ma tant' è. Ad Atreju Salvini dice di sentirsi a casa. Minuto dopo minuto cresce l'apprezzamento di chi è presente in sala nei confronti del leader leghista. Scalda il pubblico quando afferma: «Io entrerei in un governo Meloni e lei farebbe la stessa cosa. Così come entrerei in un governo con Forza Italia». Annuncia che firmerà «sicuramente» la petizione sul presidenzialismo promossa da Giorgia Meloni. E poi c'è il nodo dei nodi, la grande partita del Quirinale. «Io spero che il presidente della Repubblica possa essere scelto con la partecipazione di tutti, partendo dall'unità del centrodestra. Io mi impegnerò per coinvolgere tutti». Segue quest' altra frase che piacerà molto al Cavaliere. «Berlusconi è un candidato vero. Noi del centrodestra abbiamo tanti difetti ma se diciamo una cosa, la facciamo. Il centrodestra deve avere la determinazione ad avere l'onore e l'onere di eleggere il presidente della Repubblica, che non deve avere la tessera del Pd. Questo è il regalo di Natale che facciamo agli italiani». E se il successore di Sergio Mattarella fosse donna? «Ma Berlusconi si chiama Silvio e non Silvia. Se Berlusconi fa scelte diverse, allora abbiamo diverse donne con i requisiti». Perplesso il pubblico quando tra le righe Salvini difende Draghi: «Non ha difetti e se ne ha sono irrilevanti». Risate in sala. E quando finisce tutto Salvini si dice «molto contento e soddisfatto». E alla fine c'è stato chi ha voluto fare un selfie con lui».
QUIRINALE 3. DRAGHI AL COLLE E IL DEBITO
Bruno Vespa scrive l’editoriale del Quotidiano Nazionale, in cui sostiene che Mario Draghi può continuare a garantire il debito “buono” dell’Italia anche dalla Presidenza della Repubblica. Non deve per forza restare a Palazzo Chigi.
«Alcuni soldati giapponesi nascosti nella giungla del Palazzo non si rassegnano all'idea che il mandato presidenziale di Sergio Mattarella cessi irrevocabilmente al più tardi il 3 febbraio, giorno in cui - nella deprecabile assenza di un successore - sarà Elisabetta Casellati a esercitarne le funzioni come presidente del Senato. Resistono d'altra parte, anche nel Parlamento della Repubblica, persone convinte che la Terra sia piatta e chi immagina che il vaccino uccida. Si fa sempre più strada, tuttavia, l'idea che nella seconda metà di gennaio si debba scegliere un nuovo capo dello Stato. A questo punto la pressione si trasferisce da Mattarella a Draghi perché rinunci alla tentazione di candidarsi. Pressione curiosa, perché finora il presidente del Consiglio si è limitato a sfiorare l'argomento - essendo impossibile farne a meno - solo in conversazioni rigorosamente private perché è noto che al Quirinale non ci si candidi, ma si sia candidati. La preoccupazione è duplice. Da un lato il timore che caduto il governo per la promozione del suo capo, si vada alle elezioni anticipate come accadrebbe in un Paese normale. Ma questo significherebbe consegnare alla povertà molti deputati e senatori, soprattutto 5 Stelle, che staranno maledicendo la sciagurata decisione di avere imposto la riduzione di un terzo dei parlamentari. Dall'altro la preoccupazione che senza Draghi il Paese vada allo sbando, avendo egli dato in pegno all'Europa la propria credibilità perché i miliardi del Piano di Ripresa vengano spesi nel migliore dei modi possibili. E qui il campo si divide ancora in due: quello di chi (come l'autore di questo articolo) ritiene che il trasferimento al Quirinale del firmatario non faccia scadere la garanzia del pegno di credibilità del nuovo sistema Italia e chi invece vede la sciagura dietro l'angolo. Sia come sia, ancora l'altra sera alla festa di Atreju, Enrico Letta ha ripetuto a Giorgia Meloni che il capo dello Stato va scelto insieme. Galateo istituzionale o timore che il centrodestra possa fare da solo, visto che per la prima volta ha la maggioranza relativa dei Grandi elettori e che nelle Camere ci sia una sterminata platea di Franza/o Spagna/purché se magna pronti a votare chiunque in cambio di chissà che cosa? Questa seconda ipotesi non è peregrina, se non altro perché Matteo Renzi ha un pacchetto di voti con il quale può costruire o scassare qualunque gioco. C'è chi ha visto maliziosamente nella proposta di Letta il tentativo di scongiurare l'elezione di Berlusconi, che per il Pd sarebbe infinitamente più perniciosa del Covid. Se la maggioranza di governo chiedesse a Draghi - unita - di candidarsi, l'elezione potrebbe avvenire al primo turno. Altrimenti, il destino del Quirinale starebbe in grembo a Giove».
GLI INGLESI RIBALTANO IL VERDETTO SU ASSANGE
Clamoroso ribaltone della giustizia inglese: Julian Assange rischia ora di essere estradato negli Usa. Giuseppe Sarcina per il Corriere.
«Ora Julian Assange rischia davvero di essere estradato negli Stati Uniti. Ieri l'Alta corte di Londra ha accolto il ricorso presentato nel gennaio del 2021 dall'Amministrazione uscente di Donald Trump e confermato, con forza, dal governo Biden. Gli americani assicurano che il fondatore di Wikileaks, 50 anni, non sarà detenuto in un carcere di massima sicurezza; sarà sorvegliato per evitare che possa suicidarsi; potrà scontare «l'eventuale pena» nel suo paese d'origine, l'Australia. I giudici britannici hanno considerato «sufficienti» queste garanzie e hanno quindi ribaltato la sentenza di primo grado, emessa il 4 gennaio 2021, che invece, aveva respinto la richiesta di estradizione temendo «serie conseguenze per la salute psico-fisica dell'imputato». Stella Moris, fidanzata e avvocata di Assange, annuncia che porterà il caso fino alla Corte Suprema britannica. Stella ha parlato all'esterno delle Royal Courts of Justice di Londra, circondata da attivisti che chiedono la scarcerazione di Julian, detenuto nella prigione di Belmarsh dal 2019 per essersi rifugiato nell'ambasciata dell'Ecuador, sfuggendo così alla magistratura svedese che lo accusava di violenza carnale. Il caso, nel frattempo, è stato archiviato per mancanza di prove. A Washington, invece, c'è da registrare solo la laconica dichiarazione di Wyn Hornbuckle, portavoce del Dipartimento di Giustizia: «È una notizia che ci fa piacere». E certamente colpisce ascoltare le proteste di organizzazioni come «Amnesty International», di politici da tutto il mondo, di decine di associazioni per la difesa del giornalismo, proprio nel giorno in cui Joe Biden chiude il «Summit for Democracy», dove ha promesso 450 milioni di dollari per sostenere «la libera stampa» e «il rispetto dei diritti umani» a livello internazionale. Il ministro della Giustizia, Merrick Garland, ha preparato 18 capi di imputazione. L'accusa principale è incardinata sulla violazione dell'Espionage Act, una legge varata nel 1917: vieta la diffusione di notizie riservate che potrebbero danneggiare gli Stati Uniti o favorire una nazione avversaria. Nel 2010 Assange pubblicò su Wikileaks migliaia di documenti sottratti dai server federali da Chelsea Manning, ex analista dell'esercito Usa. I files contenevano informazioni «sensibili» sulle guerre in Afghanistan e in Iraq. Secondo il dipartimento di Giustizia quelle notizie avrebbero messo in pericolo informatori o agenti dei servizi segreti americani. Assange, inoltre, è accusato di aver aiutato Manning ad hackerare i computer e di aver cospirato con la Russia. Da Mosca accorre in sua difesa Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri: «Verdetto vergognoso». Per Biden si apre un altro fronte complicato. Sulla carta Julian rischia fino a 175 anni di carcere, ma è opinione diffusa che la pena potrebbe fermarsi a 5-6 anni di reclusione. Ma il dossier Assange innescherebbe un altro scontro politico-culturale. Alle esigenze della sicurezza si contrappone l'altro pilastro dell'identità americana: la libertà di espressione tutelata dal Primo Emendamento alla Costituzione».
BIDEN E IL SUMMIT DELLE DEMOCRAZIE
Nel summit delle democrazie voluto da Biden, l’appello del Presidente Usa è rivolto a difendere le donne e il diritto di voto. Paolo Mastrolilli per La Repubblica.
«Siamo al punto di dover salvaguardare il diritto di voto, cioè la pietra angolare della democrazia, la partecipazione delle donne ad un sistema che punta ancora spudoratamente ad escluderle, e l'uso delle tecnologie per far avanzare gli interessi delle persone invece di reprimerle. Se ha ragione Biden, che ha lanciato questi allarmi nel discorso conclusivo del Summit for Democracy, la situazione è davvero drammatica, perché non si tratta di migliorare ma rifondare. Il capo della Casa Bianca ha detto che il vertice è servito a «puntare la luce sul problema della libertà dei media, e lo status delle donne e le ragazze, che sono investimenti necessari per il successo della democrazia ». Magari aveva in mente la Corte Suprema degli Stati Uniti, che sta valutando se cancellare la sentenza Roe Vs. Wade che aveva legalizzato l'aborto, e proprio ieri ha dato il permesso alle cliniche di fare causa contro la legge approvata in Texas allo scopo di rendere impossibili le interruzioni di gravidanza, però lasciandola in vigore. Ma non è solo questo. In America le donne continuano a guadagnare circa 70 centesimi per ogni dollaro incassato dai colleghi uomini a parità di ruolo, e restano minoranza nelle cariche politiche, così come nelle stanze dei ceo. Per non parlare dell'accesso all'istruzione, al lavoro, o gli abusi che il movimento # MeToo ha messo in evidenza. Joan Konner, prima preside della Journalism School alla Columbia University, soleva dire che «non è una questione di femminismo, ma di buon senso. Le donne sono oltre la metà della popolazione mondiale: quale squadra sportiva lascerebbe metà dei suoi giocatori in panchina, solo per un pregiudizio?». Finché tutto il mondo non lo capirà, non solo le democrazie non potranno funzionare al meglio, ma tutte le società cammineranno con un piede legato. Biden poi ha impegnato gli Usa a «rafforzare la democrazia, per provare che funziona nell'interesse della gente e mantiene le promesse americane». Perciò ha chiesto di riaffermare il Freedom to vote act , perché «il sacro diritto di voto è la soglia della libertà per la democrazia. Senza nulla è possibile». Probabilmente aveva in mente l'emergenza in corso negli Stati Uniti, dove dopo l'assalto al Congresso del 6 gennaio scorso, i repubblicani in declino demografico sono impegnati in una campagna scientifica per limitare il più possibile l'accesso alle urne dei loro avversari, ossia le minoranze che diventano maggioranze, e contestare o rovesciare i risultati non graditi. Se però uno ci aggiunge le campagne lanciate dalle autocrazie per condizionare le elezioni nell'intero mondo occidentale, Italia inclusa, e le pressioni che sovranisti e populisti fanno un po' ovunque, anche con le violenze di strada viste nelle manifestazioni no vax, si capisce come siamo davvero arrivati a un banco di prova epocale per il sistema che ci ha consentito di prosperare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi. L'allarme riguarda anche la tecnologia, che offre opportunità straordinarie ma viene usata anche per reprimere. E ovviamente la pandemia, e la necessità di uscirne con un'economia più inclusiva togliendo argomenti a populisti, sovranisti e autocrati: «Sappiamo quanto sarà duro il lavoro, ma siamo pronti alla sfida. Ci rivedremo l'anno prossimo per misurare i risultati».
I PRIMI PASSI DI SCHOLZ: MESSAGGIO A PUTIN
Le visite del nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz a Macron e alla Ue. Avvertimento a Putin: la Germania e l'Ue non tollereranno la violazione dei confini ucraini. Giovanni Maria del Re per Avvenire da Bruxelles.
«Nel suo tour europeo da neo cancelliere, prima a Parigi dal presidente Emmanuel Macron, poi a Bruxelles per incontrare i vertici Ue, Olaf Scholz parla chiaro. «La Germania, l'Unione Europea e molti altri - afferma, parlando a fianco della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen - reagirebbero certamente se ci fosse una violazione del confine». Parole analoghe anche poche ore prima a Parigi con Macron. Anche se è evidente che Berlino vuole evitare il peggio. «È chiaro - aggiunge Scholz - che il nostro compito è prevenire » una tale violazione. Anche il presidente francese sottolinea che Ue e Usa «non vogliono vedere un'escalation nella regione». Tuttavia il messaggio a Vladimir Putin è chiaro: «Qualsiasi aggressione - dice Von der Leyen - avrà un prezzo», in caso di attacco è chiaro che l'Ue «valuterà nuove sanzioni». Scholz vuole comunque mostrare che tutto avviene nel consesso europeo. «Con il presidente Macron - dice a Parigi - abbiamo discusso di come rafforzare l'Ue e la sovranità europea». «Lavoriamo - ribadisce anche dopo l'incontro con Von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel - per un'Europa forte e sovrana». Ovviamente Bruxelles accoglie a braccia aperte il neo cancelliere. Von der Leyen e Michel parlano di «segnale forte» che Scholz sia venuto subito a Bruxelles, del resto, sottolinea la presidente della Commissione, «abbiamo aspettative positive sul nuovo governo tedesco, perché tutti e tre i partiti che lo compongono sono fortemente pro-europei». Non è mancato però anche un «tradizionale» richiamo al consolidamento dei conti pubblici. Certo, spiega Scholz, «si tratta di mantenere questa crescita che è stata generata dal piano di rilancio», ma «dobbiamo al contempo lavorare alla solidità delle nostre finanze. Non è contraddittorio. Per me sono le due facce di uno stesso sforzo». Anche la nuova Berlino di Scholz, come quella di Merkel, insomma, sembra non voler grossi cambiamenti al Patto di stabilità. Mentre Macron, che avrà la presidenza di turno Ue dal primo gennaio, insiste: il Patto si dovrà «ripensare».
CONTRORDINE IN CINA: “FATE 3 FIGLI”
Xi Jinping ha rovesciato la politica del figlio unico di Deng Xiaoping. Ora la spinta del regime è perché si abbiano tre figli. Lorenzo Lamperti da Taipei per La Stampa.
«La parola chiave è sempre la stessa: pianificazione. Ma se prima era volta a ridurre le nascite, presto potrebbe essere volta ad aumentarle. La Cina osserva i dati demografici, in declino prima del previsto, e teme di diventare vecchia prima di diventare ricca. Dopo che nel 2015 è stata abbandonata la politica del figlio unico, c'è chi propone all'esecutivo di introdurre un obbligo al contrario: quello di avere tre figli. La richiesta arriva da un editoriale pubblicato sul media di stato China Reports Network, nel quale si propone che i membri del Partito comunista «si assumano la responsabilità e l'obbligo a sostenere la crescita della popolazione». Nessuno di loro «dovrebbe utilizzare delle scuse, oggettive o personali, per non sposarsi o avere figli. E nemmeno per averne solo uno o due». Un obbligo che, se introdotto, riguarderebbe una popolazione superiore di oltre a un terzo a quella dell'Italia, visto che gli iscritti al Partito sono 95 milioni. L'articolo è stato rimosso dal web diversi giorni dopo la pubblicazione, ma quando ormai era diventato virale con diversi milioni di visualizzazioni e commenti sui social media cinesi. Negli scorsi mesi è stata annunciata la politica del terzo figlio, dopo che i dati del censimento decennale del 2020 hanno mostrato un rallentamento della crescita della popolazione. Il dato annuo dello 0,53% è il più basso dal primo censimento del 1953. Nel 2020 sono state registrate 8,52 nascite ogni mille persone, minimo storico dal 1978, vale a dire dall'anno prima dell'introduzione della politica del figlio unico di Deng Xiaoping. Allora Pechino era convinta che la sovrappopolazione fosse un pericolo per crescita e benessere. Quasi mezzo milione di funzionari furono destinati alla pianificazione familiare e molti di loro operano ancora nello stesso dipartimento: anche per questo il governo non ha per ora proceduto a eliminare tutti i vincoli sulle nascite, limitandosi ad alzarne il tetto. La strategia del figlio unico veniva rivendicata fino a un decennio fa in tutti i consessi internazionali per i suoi «risultati benefici» anche nel campo del contrasto al cambiamento climatico. Meno persone e meno emissioni, si diceva. In realtà, il modello ha anche creato un profondo squilibrio demografico: oggi in Cina ci sono 30 milioni di uomini in più delle donne, soprattutto nelle zone rurali. Ma ora il trend demografico allarma Xi Jinping. I dati parziali provinciali sulle nascite mostrano nel 2021 forti riduzioni rispetto a un 2020 già molto basso. Secondo il demografo He Yafu, la popolazione cinese potrebbe raggiungere il proprio picco già quest' anno, in netto anticipo rispetto alla previsione ufficiale del 2027, orizzonte oltre il quale avrebbe dovuto cominciare la discesa. Un recente studio della Xian Jiaotong University sostiene che la popolazione cinese potrebbe dimezzarsi entro il 2045, rivedendo drasticamente al ribasso le proiezioni delle Nazioni Unite. Lancet prevede invece il dimezzamento entro il 2100. Ma la tendenza sembra ormai inarrestabile e può avere un profondo impatto economico. La forza lavoro è diminuita quasi del 7% in un decennio, mentre gli over 60 sono in costante aumento. Ciò comporta una riduzione della manodopera qualificata e l'aumento dei salari. Per non parlare della crescita del carico su sanità e welfare. Non a caso si parla di una possibile riforma delle pensioni. Pechino sta provando a ridurre le conseguenze del calo demografico col passaggio da un modello basato sulla produzione a basso costo a una società di consumi. Ma il calo della natalità rischia di avvenire prima che la transizione sia completata e quando ancora diversi segmenti della società vivono appena al di sopra della soglia di povertà. E alzare il tetto sulle nascite non basta senza interventi strutturali. L'urbanizzazione e l'aumento del costo della vita hanno reso più difficile per i giovani cinesi creare una famiglia e fare figli. I cambiamenti culturali degli ultimi decenni hanno portato a un crollo dei matrimoni, che avvengono in età sempre più avanzata, e a un picco dei divorzi. Il governo ha appena deciso di abbassare i costi delle nozze, mentre cerca di alzare i sussidi familiari. Allo stesso tempo interviene abolendo la vasectomia in diversi ospedali pubblici, mentre la comunità Lgbt+ è percepita come un ostacolo alla politica di sostegno demografico. Il Partito ha deciso che servono più figli. Ma potrebbe non vederne venire alla luce quanti ne vorrebbe».
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