La Versione di Banfi

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Ma non sono esuli

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Ma non sono esuli

Appello della sorella di Carlà e di altri intellettuali in favore degli ex terroristi italiani. Record di vaccini sopra i 500mila. Veleni su Repubblica dal CSM. Conte e Letta alleati ma non troppo

Alessandro Banfi
Apr 30, 2021
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Ma non sono esuli

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Ci vuole verità, anche sola nella semplice accezione di chiamare le cose col loro nome. A volte sembra proprio che manchi, come nel dibattito sulla vicenda degli ex terroristi arrestati in Francia. Cesare Battisti quando era latitante in Francia negava di avere ucciso, come da sentenza in giudicato, in carcere lo ha ammesso. Ieri su Libération è stato pubblicato un appello per chiedere a Macron di “rispettare gli impegni” con gli italiani “esuli”. Che volgarité, come diceva Fiorello imitando Carlà, già moglie del presidente Sarkozy, e sorella di una fra i firmatari dell’appello. Non sono esuli. Fra i tanti commenti di oggi, molto interessanti Travaglio e il giurista Zagrebelsky. Chiamare le cose col proprio nome e riconoscere le responsabilità, proprie e degli altri, è una condizione essenziale per rieducazione, riparazione e riconciliazione, ricordate ieri dalla Cartabia e necessarie anche oggi.  

Ogni mattina segnalo i numeri dell’alba dei vaccini facendo così il calcolo sulle ultime 24 ore. Oggi è un giorno record. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di questa mattina sono state somministrate 531 mila 690 dosi. Il Corriere della Sera segnala lo sprint della Lombardia che ha preso un ritmo notevole, ieri 110 mila iniezioni in un giorno. Tre volte i dati del Lazio e del Veneto. Il Fatto dice che sono comunque “al ralenty” e QN la metà di quelli tedeschi. L’importante è che si continui a correre. Sul fronte riaperture interessante approfondimento di Goffredo Buccini per il Corriere sulla scuola: il 34 per cento dei ragazzi, soprattutto al Sud, penalizzati dall’assenza di computer o di rete per la DAD. Oggi potrebbero cambiare i colori di tre regioni: Val d’Aosta, in peggio, Sardegna e Puglia in meglio.

 Siamo tra i primi Paesi europei ad avere varato il Recovery Plan. Sembrava difficile arrivare in tempo e invece ora probabilmente diventa possibile avere i finanziamenti europei già a luglio, nella prima tranche. Polito ragiona su come cambia l’Europa e noi italiani in essa. Clamoroso focus sui veleni giudiziari fra Milano e il Csm e una funzionaria che ha fatto il “corvo” almeno con due giornali. Per la politica dialogo Conte-Letta che sembra bene avviato, accantonando le amministrative e un caso Durigon che agita la maggioranza.

Due importanti notizie dall’estero: ricompare in pubblico l’oppositore a Putin Navalny, molto dimagrito. Mentre il presidente Usa Bidenpresenta al Congresso il terzo capitolo del suo New New Deal in tre mesi: l’American Families Plan. Investimenti che sono sette volte il volume del Recovery europeo.

Da ultimo ma non ultimo: il Papa fissa nuove regole per chi vive e lavora in Vaticano. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Non c’è oggi un argomento che si impone da solo. Il Corriere della Sera fa il punto sulla campagna di vaccinazione: Vaccini, corsa delle regioni. Lo fa anche La Stampa ma per dire: «Il pass vaccinale non va, mette a rischio la privacy». Il Quotidiano Nazionale ammette l’accelerazione nelle somministrazioni ma ci paragona con Berlino: Noi 500 mila vaccini, Berlino il doppio. Addirittura per Il Fatto andiamo piano: Figliuolo smentito, vaccini al ralenty. Argomento diverso da tutti, ma oggi clamoroso, è quello scelto da Repubblica: Giustizia, i corvi del Csm. Storia brutta e complicata ma importante da capire. Il Sole 24 Ore ricorda che il Pnrr viene spedito a Bruxelles: Recovery, via libera al progetto Draghi. Decreto da 35 miliardi per investimenti. Per il Manifesto la scelta di Draghi non è davvero verde, altro che transizione: La finzione ecologica. Il Domani invita a guardare che cosa sta facendo il nuovo presidente Usa: Tassare le grandi multinazionali è possibile: chiedete a Joe Biden. Per il capitolo riaperture, Il Mattino vede: Un freno allo smart working così come Il Messaggero: Gli statali in ufficio da lunedì. A proposito di lavoratori, Libero anticipa uno dei temi di domani: Primo Maggio, la festa dei disoccupati. Ancora sugli arresti di Parigi, Il Giornale: Chi difende i terroristi e La Verità: Buoni con i terroristi, duri con chi si difende. Avvenire fa il titolo sulla decisione di Papa Francesco di mettere nuove regole interne in Vaticano: Pulizie di primavera.

PARIGI, GLI EX TERRORISTI AI DOMICILIARI

È rimasto un unico latitante fra gli ex terroristi italiani arrestati l’altro ieri e che da anni erano rifugiati a Parigi, nonostante le sentenze di condanne confermate dalla giustizia del nostro Paese. Gli altri sono quasi tutti ai domiciliari e comunque in libertà vigilata. Si interrompe la prescrizione ed è questo che conta, per le nostre autorità. Oggi ancora molti commenti. Ecco la riflessione di Marco Travaglio sul Fatto:   

«La verità su quei 12 assassini è scritta nelle sentenze definitive della Cassazione "in nome del popolo italiano": basta leggerle. Chi vuole aggiungere qualcosa vada dal giudice e lo faccia, ma senza altri sconti oltre a quelli previsti dal Codice: Battisti ha sempre negato qualunque delitto e poi, appena arrestato ed estradato ha confessato tutto. Dalla cella. "Vendetta" è quando la vittima rende pan per focaccia al colpevole; quando il colpevole viene processato secondo le norme e le garanzie dello Stato di diritto, si chiama "giustizia". La dottrina Mitterrand c'entra come i cavoli a merenda: per quanto assurda, prevedeva l'asilo a chi non si fosse macchiato di delitti di sangue e non avesse condanne definitive (oltre a rinnegare la lotta armata): due condizioni opposte a quelle dei 12 beccati o fuggiti l'altroieri. Dire che arrestarli oggi non ha senso perché sono cambiati è il classico nonsense. Ovvio che sono cambiati: nessuno resta uguale per 30 anni. Ma, se non fossero fuggiti 20 o 30 o 40 anni fa, avrebbero già scontato la pena e sarebbero fuori, visto il concetto elastico di "certezza della pena" vigente in Italia. È proprio perché a suo tempo si sottrassero alla giustizia e al carcere che finiscono dentro solo ora: colpa loro e di nessun altro. Comodo darsi alla latitanza, fare la bella vita protetti dai governi e dagli "intellettuali" amici, raccontare balle su libri e giornali, e poi, quando finalmente arriva il redde rationem, strillare "non siamo più quelli di una volta". Che cos' è, un macabro scherzo? Negli anni 70 in Italia, diversamente dal Sudafrica, non ci fu alcuna "guerra civile": c'erano terroristi rossi e neri (a volte coperti o infiltrati da apparati deviati dello Stato) che ammazzavano a sangue freddo politici, magistrati, forze dell'ordine, giornalisti, sindacalisti, operai, gente comune. Chi dovrebbe pacificarsi con loro: i morti ammazzati? Gli orfani e le vedove? Il perdono è una scelta individuale: chi vuole lo dà, chi non vuole non lo dà. Ma lo Stato non deve pacificarsi con nessuno perché non ha dichiarato guerra a nessuno. Furono i terroristi a dichiararla unilateralmente allo Stato e ai suoi servitori. L'unica soluzione politica è chiudere bene a chiave le celle, perché non scappino un'altra volta».

Da giurista Gustavo Zagrebelsky per Repubblica, scrive un bel commento che analizza diversi piani. Segnaliamo l’ultima parte in cui sembra riecheggiare il pensiero del filosofo Hegel.

«Pretendere che chi ha commesso gravi delitti non se ne possa andare come se niente fosse e, invece, si ponga davanti alle sue proprie responsabilità è perfino un omaggio alla sua umanità, un riconoscimento del valore delle sue azioni: un valore negativo, certo, ma pur sempre un valore. È come dirgli: tu sei qualcosa per me, non un trascurabile fuscello che se ne va via dimenticato. Da questo punto di vista, si è parlato da parte di grandi filosofi non di "dovere", ma di "diritto di subire la pena", come elemento della dignità umana. Sembra un paradosso, una contraddizione. Ma non lo è. È, anzi, il presupposto e la condizione perché possa aprirsi una prospettiva nuova della giustizia penale, la prospettiva della riconciliazione, della ricomposizione. Proprio nella nostra materia sono state avviate iniziative, pare con successo, di confronto tra terroristi e vittime del terrorismo. Il fine di questa giustizia non sta nei buoni sentimenti o nel perdono a basso costo. Sta, invece, nel tentativo di rammendare un tessuto lacerato dal delitto, un tentativo che presuppone non l'oblio ma, al contrario, l'assunzione delle proprie responsabilità. Questo, però, è solo uno spunto che merita d'essere coltivato».

APPELLO FRANCESE PER GLI “ESULI ITALIANI”

Se c’è una cosa che dà l’idea di un passato che non vuol passare e di quanto sia necessario per tutti fare i conti col passato, chiamando le cose con il proprio nome, è l’appello comparso su Libération in favore degli “esuli italiani”, li chiamano proprio così “esuli”. Stefano Montefiori sul Corriere.    

«Presidente Macron, rispetti l'impegno della Francia nei confronti degli esuli italiani», è il titolo del testo. Tra i firmatari ci sono importanti nomi del mondo intellettuale francese, che già si erano schierati a favore di Battisti e compagni: i cineasti Jean-Luc Godard e Costa-Gavras, la scrittrice Annie Ernaux, l'attrice e regista Valeria Bruni-Tedeschi, come si è detto, più nuovi protagonisti della letteratura come Edouard Louis o Éric Vuillard, prix Goncourt 2017. Due giorni fa, nel commentare la svolta di Emmanuel Macron, fonti dell'Eliseo hanno evocato una specie di inizio di mea culpa francese, calando l'arresto dei dieci in una prospettiva storica: «Si tratta di una presa di coscienza da parte della Francia, dopo anni di tentennamenti e anche di una certa compiacenza, della realtà storica dell'Italia, cioè il trauma costituito da attentati, omicidi, rapimenti. Questo bisognava riconoscerlo». Ma, fuori dall'Eliseo, il caso Battisti - che in carcere in Italia ha poi riconosciuto quattro omicidi in Francia sempre negati, ammettendo di fatto di avere ingannato i suoi amici francesi - sembra passato invano. I firmatari del nuovo appello a Macron ricordano la dottrina Mitterrand, che garantiva accoglienza in Francia a chi abbandonava la lotta armata, e soprattutto il suo contesto: la «strategia della tensione ancora vivace in Italia» e «i giuristi francesi spesso perplessi rispetto alle leggi speciali alla base delle procedure italiane». Tornano i soliti argomenti di chi dipingeva l'Italia degli anni di piombo come una specie di dittatura sudamericana, con gli scappati in Francia avvolti dalla stessa considerazione dovuta ai perseguitati di Pinochet. Il nuovo appello a Macron sottolinea che quegli italiani hanno deposto le armi e in Francia si sono rifatti una vita. «C'è chi adesso in Italia li strumentalizza per obiettivi di politica interna che non ci riguardano - si legge ancora -. La loro campagna equivale ad accusare decine di funzionari dei nostri servizi amministrativi, polizia e giustizia di avere, per quarant' anni, protetto degli assassini». Per i firmatari, «tenere in maggior conto il punto di vista dei nostri partner europei non deve portarci alla confusione storica e all'abbandono dei meccanismi fondamentali della giustizia». Seguono citazione dell'Orestea di Eschilo - «Vuoi passare per giusto piuttosto che agire con giustizia» - e l'accusa definitiva a Macron, quella di «fare quel che avrebbe fatto al suo posto un rappresentante del Rassemblement National», il partito di Marine Le Pen».

I COLORI DELL’ULTIMO VENERDÌ DI APRILE

Come tutti i venerdì, anche oggi aggiornamento dei dati epidemiologici e possibili cambi di colore nelle Regioni. Non ci dovrebbero essere grandi cambiamenti. Tranne che per Val d’Aosta, Sardegna e Puglia. La cronaca del Corriere della Sera.  

«Dopo il primo week end in giallo dall'entrata in vigore del decreto riaperture, altre regioni cambiano fascia di colore. Arriva oggi il nuovo monitoraggio che indica il livello di rischio delle varie aree e intanto Palazzo Chigi ha aggiornato le faq (domande frequenti) che chiariscono alcuni aspetti del decreto in vigore. Per oggi è fissata la cabina di regia che fornirà indicazioni al ministro della Salute, Roberto Speranza, per le ordinanze che scatteranno lunedì 3. La Valle d'Aosta - unica regione italiana al livello massimo di rischio nella mappa europea dell'Ecdc - potrebbe tornare in rosso dopo appena 7 giorni di arancione. «I contagi superano di poco il limite di 250 casi ogni 100mila abitanti. Tutti gli altri indici, a partire dall'Rt, migliorano» rivendica il presidente Erik Lavevaz. La Sardegna, invece, già pregusta l'arancione: «L'Rt è 0,81 e con i numeri che abbiamo, se confermati dalla cabina di regia, ci andremo sicuramente» spiega l'assessore della Sanità Mario Nieddu. È ancora aperta, invece, la partita della Puglia che vuole la fascia gialla».

IL PNRR ARRIVA IN TEMPO A BRUXELLES

Draghi è soddisfatto. Il Governo ha approvato la versione finale del nostro Recovery. Il Pnrr arriva in tempo a Bruxelles, per una volta non siamo in ritardo e non siamo gli ultimi in Europa.

«Il governo ha approvato la versione finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che sarà inviato alla Commissione europea entro oggi. Via libera anche al decreto legge che istituisce il Fondo complementare al Recovery per le infrastrutture, fondo da 30,6 miliardi. Ieri i primi cinque Paesi della Ue ad inviare i loro Pnrr alla Commissione, sono stati Germania, Grecia, Francia, Portogallo e Slovacchia. A Bruxelles ne arriveranno molti altri entro oggi, compreso quello italiano. Il Consiglio dei ministri si è svolto in due fasi: è stato sospeso per dare modo alle Regioni e agli enti locali di prendere visione dello schema del Fondo complementare da 30 miliardi, su cui esprimeranno un parere formale la prossima settimana. In Conferenza unificata è stato il ministro dell'Economia Daniele Franco a presentare lo schema di decreto sul Fondo complementare. Mario Draghi alla fine della riunione del governo era molto soddisfatto: «È un ottimo passo avanti, dobbiamo essere tutti soddisfatti, anche del rapporto con il Parlamento e le regioni». Già a luglio la Commissione europea potrebbe autorizzare l'Italia alla spesa della prima tranche dei fondi del Recovery, circa 25 miliardi di euro. (…) Soddisfazione per l'approvazione del Pnrr sia da parte di Regioni ed enti locali sia da parte dei ministri. Antonio Decaro, presidente dell'Anci, sprona l'esecutivo sulle semplificazioni amministrative, oggetto di un prossimo decreto legge a maggio: «Dobbiamo cambiare i criteri per le assegnazioni delle risorse, vanno accelerate le procedure di autorizzazione con termini perentori, e se uno non si esprime c'è il silenzio assenzo». Mentre Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna, rimarca il passaggio in questo modo: «Complessivamente è un piano Marshall, un'occasione storica formidabile per il nostro Paese: non la possiamo perdere». Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, enfatizza dopo l'approvazione la posta per il Sud, «circa 100 miliardi, per permettere a tutti gli italiani di avere le stesse opportunità». Per Mara Carfagna, ministro per il Sud, c'è «l'orgoglio di essere entrati nel gruppo di testa dei Paesi europei, di averlo fatto in appena dieci settimane di lavoro intensissimo».

Proprio sulla nuova posizione dell’Italia in Europa e sulla nuova Europa, ragiona Antonio Polito sul Corriere della Sera, titolo Il dovere di pesare in Europa.

«A settembre va in pensione Angela Merkel, l'autista del bus, l'autrice e l'interprete del progetto europeo da sedici anni a questa parte. Macron, l'altro navigatore, tra un anno ha le elezioni. Non c'è più la Gran Bretagna. È dunque naturale che le grandi capitali si guardino intorno, cercando nuovi assetti e nuove alleanze. Ed è altrettanto naturale che in questo andirivieni Draghi abbia i tratti rassicuranti di un senior, potenziale perno di stabilità. Ma c'è di più. In tutta Europa, e in Germania in particolare, si guarda al laboratorio italiano come a un esperimento continentale sull'affidabilità di governo delle forze populiste e sovraniste. L'impegno diretto della Lega nella gestione del piano europeo, e perfino segnali minori come l'astensione in aula di Fratelli d'Italia, sono considerati novità rassicuranti, anche in vista di una possibile futura vittoria elettorale di queste forze in un Paese fondatore dell'Unione. Chi ha a cuore il progetto europeo sta insomma scommettendo sul successo del governo di unità nazionale, il che ci rende decisamente più forti. Nell'Europa retta dalle Regole, alcune decisamente «stupide» per usare un'antica espressione di Romano Prodi, eravamo condannati al fondo della classifica. Ma ora le regole sono sospese, e chissà per quanto, a causa della guerra contro la pandemia; e così la Politica si sta riprendendo la guida, come ai tempi della Guerra Fredda. L'austerità ci isolava, mentre l'interesse al «debito buono» ci accomuna. La Francia non ha meno bisogno di noi di cambiare il Patto di Stabilità, e cerca alleati per quando un homo novus, o piuttosto una donna nuova, prenderà possesso della Cancelleria a Berlino».

CONTE E LETTA INSIEME MA NON PER I SINDACI

Attraverso una riunione via zoom, Goffredo Bettini celebra l’unione fra Letta e Conte. Un “cammino comune”, che però mette fra parentesi la “tappa intermedia” delle amministrative di autunno. Giovanna Vitale su Repubblica:

«Le amministrative derubricate da «banco di prova» a «tappa intermedia», impossibile in pochi mesi fare miracoli. È Goffredo Bettini ad officiare su Zoom il debutto di «un cammino comune», spiega Letta interpretando Conte finito in blackout. «La convergenza fra Leu, M5S e Pd è avvenuta prima sull'azione di governo», sottolinea il segretario, «ora invece sarà anche di pensiero, sapendo che pur nelle differenze dovremo ricostruire il Paese, riprendere in mano la bussola e cominciare un viaggio insieme». Reso più agevole dalla inedita collocazione data al Movimento. Pur prendendola alla larga - «Destra e sinistra hanno perso le loro originarie connotazioni» - l'avvocato pugliese schiera infatti i 5 Stelle contro i sovranisti, anche a costo di deformare la realtà: «Con me i porti non sono mai stati chiusi», afferma l'ex premier, "dimenticando" i decreti Salvini approvati dall'esecutivo gialloverde. Un dettaglio da oscurare perché non in sintonia col nuovo corso. «Guardando alla dicotomia progresso e conservazione, il M5S può dirsi una forza di sinistra per la sua carica innovatrice», incalza Conte. «Se guardiamo ai principi egualitario e gerarchico, anche qui il M5S è di sinistra, avendo sempre messo in atto politiche anti-elitarie». Persino le vecchie parole d'ordine subiranno un upgrade: «Uno vale uno, ma uno non può valere l'altro», precisa il professore, «competenza e capacità contano». Non tutti, nel corpaccione stellato, sembrano però d'accordo. «Il rischio scissione non è remoto», avverte a sera la deputata Vita Martinciglio durante la riunione online con i capi-commissione 5S».

CORVI E VELENI FRA MILANO E IL CSM

La storia è complicata e anche difficile da sintetizzare. Alla fine del 2019 un avvocato siciliano, Piero Amara, riempie sette verbali rilasciando dichiarazioni a due Pm della Procura di Milano, contenenti denunce e accuse riguardo ad una loggia massonica segreta “Ungheria” in cui sarebbe coinvolto lo stesso Giuseppe Conte, allora a Palazzo Chigi. Uno dei due pm milanesi porta le carte al CSM a Roma, da Piercamillo Davigo. Un gesto “irrituale” secondo la ricostruzione di Repubblica ma “non un illecito”, bensì un tentativo di “autotutela”. Davigo tiene le carte per sé, fino alla fine del suo incarico nel CSM. Alla fine del 2020 la Procura di Milano invia le carte scaturite dai verbali dell’avvocato Amara alle altre Procure competenti, ma intanto c’è un “corvo”, poi identificato in una funzionaria che lavorava con Davigo, che spedisce le carte ai giornali: sicuramente a Il Fatto e alla Repubblica. Carte anonime, non controfirmate, un dossieraggio. Conte non è più a Palazzo Chigi, ha lasciato il posto a Draghi. Ecco come Liana Milella racconta in prima persona su Repubblica la storia. È stata lei la destinataria del dossier:

«In quarant' anni di lavoro non mi era mai capitato che una fonte, per di più anonima, mi "regalasse" dei verbali. Chiedendomi prima al telefono se volevo riceverli, per scoprire poi le sorprese che contenevano. Per questo, quel 24 febbraio intorno alle 11, quando sul mio cellulare compare uno "sconosciuto", resto sorpresa. È una voce di donna. Ne intuisco un vago accento nordico. Non esito. Sì, rispondo dando il mio indirizzo di casa, «mi mandi pure il materiale, lo leggerò con interesse, e valuterò». La fonte è prodiga, mi garantisce che il primo sarà solo un invio parziale. Perché di «carte da far tremare il Paese» ce ne potranno essere altre. Ecco. Comincia così la storia dell'invio, per posta ordinaria, dei verbali di Piero Amara. E due giorni dopo la busta compare nella mia cassetta delle lettere. Sono proprio dei verbali. Nei quali, con la procura di Milano nel dicembre 2019, parla l'avvocato Piero Amara. Sono tre. Il primo del 6 dicembre. Gli altri due dello stesso giorno, la mattina e il pomeriggio del 14. Li sfoglio. E noto subito un'anomalia che mi mette in allarme. Perché questi verbali non sono firmati in calce, come dovrebbero essere, dai pm che li hanno raccolti. Cominciano i dubbi. I perché insistenti sulla fonte che li ha inviati. Scorro il contenuto. Mi saltano subito all'occhio nomi importanti, a partire da quello di Giuseppe Conte. Ma ce ne sono altri di spicco. Molti li conosco. Si parla di una loggia, e sono tante le persone coinvolte. Leggo e rileggo. E mi chiedo: perché questa fonte ha scelto proprio me come destinataria? Mi occupo di giustizia è vero, di Csm anche, ma non seguo da molto tempo inchieste giudiziarie sul campo. C'è una lettera che accompagna i verbali. Poco meno di una pagina. Il contenuto è simile a quello della telefonata. Mi si dice che leggendo "scoprirò un nuovo mondo che ci tengono a mantenere segreto, anche ad ALTI e ALTISSIMI LIVELLI". Il maiuscolo non è casuale. "CANE NON MORDE CANE (come dice Palamara) CHE FORSE, E ANZI TOLGO FORSE, HA RAGIONE". Chi invia le carte lamenta che siano state tenute "in un cassetto chiuso a chiave già da più di un anno". Si cita il procuratore di Milano Greco. E anche il Pg della Cassazione Salvi che sarebbe "a conoscenza". Segue la promessa di altri verbali e una sorta di sfida: "Immagino che non potrà pubblicare questa roba scottante". M' interrogo: ma questa "roba" è vera? Lo è in tutto? Lo è in parte? Non lo è affatto? E poi. Rendere pubbliche queste pagine - se davvero dovessero rivelare delle verità - equivarrebbe a distruggere un'indagine. Rifletto sul che fare. Far finta di non aver ricevuto nulla? Indagare? Chiamare le persone citate per sapere se sì, davvero fanno parte di una loggia massonica? Raccoglierei solo smentite. Ma - se l'indagine fosse già in corso, e questo non posso saperlo - contribuirei a distruggerla. Faccio l'unica cosa che, in quei minuti, sento di dover fare. Una denuncia. Per aver ricevuto atti apparentemente giudiziari. In una forma che mi appare anomala e che potrebbe nascondere un depistaggio. È un passo che mi costa fatica e tormento interiore perché so bene che le fonti sono sacre. Ma lo sono se appartengono alla categoria delle fonti trasparenti. Mi stringo nelle spalle, e vado in procura. Racconto i fatti. Dopo essermi convinta che c'è un solo modo per garantire un'indagine, tenerla riservata. Chi ha inviato i verbali, promettendo di inviarne ancora, non ha lavorato per la giustizia, ma contro la giustizia».

IL CASO DURIGON AGITA LA MAGGIORANZA

Una battuta rubata, ma registrata in video, da un cronista di Fanpage.it mette nei guai il sottosegretario leghista Claudio Durigon: “Quello che fa indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi”. A chi si riferiva? Brutta storia. La cronaca di Repubblica.  

«Una chiacchierata lunga, sofferta. Claudio Durigon si è sfogato con Matteo Salvini. Mostrandosi "provato" dal clamore suscitato da quelle parole rese in libertà, fra l'urgenza di liberarsi di un interlocutore e il millantato credito. Queste, almeno, sarebbero le molle che hanno spinto il sottosegretario all'Economia a lasciarsi andare, intercettato, a quella frase sicura sull'esito delle inchieste sul Carroccio: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi», si vanta in una conversazione intercettata e riportata da Fanpage.it. Il riferimento è a un non precisato generale della Guardia di Finanza: non si comprende di chi parli Durigon, qualcuno ipotizza che il parlamentare di Latina si produca in un generico accenno alle nomine dei vertici delle Forze armate fatte dal governo gialloverde. L'inchiesta su cui si esprime sarebbe quella sull'acquisto di un capannone di Lombardia Film Commission, che vede coinvolti alcuni contabili vicini alla Lega, sfociata in un processo. Quel che è certo è che il sottosegretario, dopo aver parlato con Matteo Salvini, annuncia querele (dieci) e che il leader non perde un minuto a difenderlo pubblicamente: «Vicenda surreale, i 5Stelle vogliono coprire i problemi di Grillo». Un fendente che è in realtà una risposta agli attacchi che, per tutto il giorno, i pentastellati avevano rivolto a Durigon». 

100 GIORNI DI BIDEN, UN NUOVO NEW DEAL

Primo discorso davanti al Congresso del presidente Biden, che dopo i primi 100 giorni di Presidenza rilancia il suo programma. Investimenti che ammontano a sette volte il Recovery Fund europeo. Giuseppe Sarcina sul Corriere.

«La «sfida centrale del XXI secolo» è con la Cina. Ieri, nel suo primo discorso davanti al Congresso, Joe Biden ha spiegato il progetto per cambiare l'economia e la società americane. Sullo scranno più alto dell'aula, per la prima volta nella storia c'erano due donne: la Speaker della Camera Nancy Pelosi e la vice presidente Kamala Harris, nelle vesti di presidente del Senato. Biden mette in campo 6.000 miliardi di risorse pubbliche, tra investimenti e agevolazioni fiscali, compresi i 1.900 anti Covid già approvati. Vuole aumentare le tasse sui più ricchi e tenere insieme lavori poco qualificati ed eccellenza tecnologica. Opere pubbliche, energie rinnovabili, welfare all'europea, e un tocco di protezionismo dall'eco trumpiana: «Buy American».

Per Federico Rampini di Repubblica è la famiglia al centro del nuovo programma di Biden:

 «Non saranno gli autocrati a conquistare il futuro, sarà l'America». Joe Biden celebra i primi 100 giorni di governo lanciando un nuovo ambizioso programma di riforme, il terzo capitolo del suo New New Deal in tre mesi: American Families Plan. «Più istruzione gratuita per tutti, università inclusa. Più assistenza alle famiglie con figli, e asili nido». Si aggiunge al piano per la modernizzazione delle infrastrutture e le energie rinnovabili. Un terzo di queste manovre è già realizzato (1.900 miliardi), se le altre due passeranno al Congresso il volume di spesa pubblica aggiuntiva raggiungerà 6.000 miliardi di dollari, 20% del Pil (oltre 7 volte il Recovery Fund europeo), uno sforzo finanziario senza precedenti dalla II guerra mondiale. «Ma pagheranno solo le imprese e i ricchi», garantisce il presidente. La campagna vaccinazioni aiuta la formidabile ripresa economica in atto: +6,4% del Pil. Con 220 milioni di vaccinazioni nei primi 100 giorni, più di metà della popolazione ha ricevuto almeno una dose e ora sono disponibili per tutti».

RICOMPARE NAVALNY, SEMBRA UNO SCHELETRO

È ricomparso in video, durante un’udienza giudiziaria, Aleksey Navalny, l’oppositore di Putin, ingiustamente detenuto. Fabrizio Dragosei sul Corriere riferisce delle sue condizioni.

«Magrissimo, con la testa rasata come tutti i reclusi, ma sempre più deciso a continuare la battaglia contro «il re nudo e ladro», come ha definito ieri in tribunale il presidente russo. Aleksey Navalny si sta riprendendo molto lentamente dopo 24 giorni di sciopero della fame e due mesi di dolori lancinanti alla schiena, a una gamba e a una mano. Ma non ha perso la verve che lo ha reso l'oppositore più scomodo e popolare. È apparso davanti ai giudici in teleconferenza dal carcere per l'ennesima e prevista sconfitta, l'appello contro la condanna per diffamazione nei confronti di un veterano di guerra. Ha approfittato di una pausa per rivolgersi alla moglie Yulia, chiamandola dolcemente con un vezzeggiativo: «Yuliasha, se mi senti alzati in piedi, così ti posso vedere». Poi ha raccontato di sé, confermando quello che tutti potevano vedere sullo schermo: «Mi sono guardato, sembro uno scheletro. Ieri mi hanno portato alla sauna per farmi lavare, in modo che oggi potessi sembrare decente. Sono come quando ero in terza media». Il blogger, che è alto 1,88m, ha detto di pesare 72 chili, due meno di quando la moglie lo aveva visto l'ultima volta (gli avvocati aggiungono che da gennaio ha perso 22 chili). (…) Durante l'udienza Navalny si è rivolto direttamente alla corte attaccando frontalmente Putin: «Il vostro re è nudo e non solo per un bambino», ha detto con fermezza citando la famosa fiaba. «Il re nudo e ladro vuole continuare a governare fino alla fine Se rimarrà, dopo un decennio perso, verrà una decade rubata». E le autorità rispondono con estrema risoluzione, senza badare alle reazioni internazionali. I suoi avvocati hanno scoperto ieri che c'è un'altra denuncia della Procura, oltre a quella per «attività estremista» che comporta fino a 10 anni di carcere. Vogliono che sia incriminato per aver creato «una associazione pubblica legata alla violenza sui cittadini». Si tratta dell'articolo 239 del codice che negli ultimi 12 anni è stato richiamato solo in 14 casi, quasi unicamente riguardanti capi di sette religiose. È possibile una condanna a 4 anni».

“RICHIAMO ALLA COERENZA COL VANGELO”

L’Avvenire le chiama Pulizie di primavera. Sono le nuove regole imposte da papa Francesco a chi lavora in Vaticano. La sintesi in prima pagina:

«Nuova legge nel segno della trasparenza e della continuità con le recenti riforme. Nella normativa promulgata ieri si stabilisce che i dirigenti e gli amministrativi in servizio negli organismi vaticani (quindi anche i cardinali) dichiarino di non avere condanne o indagini per corruzione, frode, terrorismo, riciclaggio, sfruttamento di minori, evasione fiscale. Gli stessi dovranno poi attestare di non avere beni nei paradisi fiscali e di non investire in aziende che operano contro la Dottrina della Chiesa. Viene inoltre proibito a tutti i dipendenti vaticani accettare regali del valore superiore a 40 euro. Il vescovo presidente dell'Apsa, Nunzio Galantino: «È un richiamo alla coerenza con il Vangelo, ma in fatto di trasparenza amministrativa il Vaticano non è all'anno zero», né che sia un regno di malfattori».

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana  https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera. Oggi c’è anche la Versione del Venerdì, il commento delle cinque.

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