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Morte di un politico serio
Ondata di omaggi al valore di David Sassoli, scomparso prematuramente. Corsa al Colle: Mr B. in pressing. Spiraglio Mattarella. Russi e americani si parlano, senza accordo. Il Papa e la cancel culture
Omicron galoppa. Siamo a più di 220 mila contagi in Italia. Ci sono anche polemiche sul bollettino dei dati, che secondo l’infettivologo Bassetti potrebbe essere reso noto ogni settimana e non ogni giorno. Benissimo. Il fatto è che purtroppo non serve a negare che in questo periodo ci sono in media 80 morti al giorno di persone non vaccinate e che hanno contratto il virus. Come se ogni giorno cadesse un aereo. Possiamo far finta di niente, possiamo mettere la testa sotto la sabbia, ma non è una soluzione. Diverso invece modificare la burocrazia farraginosa del circuito tamponi, quarantene, reclusioni in casa… Gli asintomatici e i vaccinati dovrebbero essere liberati da queste pastoie. Ha ragione Brambilla su QN. Ma attenzione, il Covid non è ancora una semplice influenza. Lo spiega bene l’esperta di Biden intervistata dal Corriere. Del resto, anche Massimo Cacciari fa la terza dose. E sono sicuro che molti direttori e conduttori che accarezzano il pelo ai No Vax sui loro giornali e in tv sono poi super vaccinati. Muoiono i poveracci che gli hanno creduto.
David Sassoli è scomparso prematuramente, provocando un’ondata di dolore e una manifestazione di stima senza precedenti in Europa (muore da Presidente del Parlamento europeo) e in Italia. Ho incrociato David tante volte come collega e poi come politico, siamo della stessa generazione. È sempre stato un cattolico democratico coerente con la lezione ricevuta dai suoi maestri, come Bachelet e Giuntella: una persona seria, uno che avremmo voluto come Presidente della Repubblica. Il cardinal Matteo Zuppi, suo compagno di liceo al Virgilio di Roma, celebrerà i funerali. Sui social forsennati No Vax anche questa volta si sono dimostrati sciacalli (era successo anche l’altro giorno con Silvia Tortora), esultando per la morte del politico vaccinato. Leonardo Sciascia diceva che il nostro Paese è “irredimibile”. A volte penso avesse ragione.
Nella corsa al Quirinale, Silvio Berlusconi è alla plancia di comando di Villa Grande. Fa chiamare i grandi elettori uno ad uno, al telefono. È convinto di essere eletto. Intanto slittano i tempi delle varie riunioni di partito: la Direzione del Pd sarà solo sabato, anche il centro destra prende tempo. Matteo Salvini dà un’altra picconata al governo Draghi, proponendo un rimpasto. Mentre sia la Stampa che Libero ipotizzano uno spiraglio per il Mattarella bis.
Nuova riunione oggi Nato-Russia con i colloqui che proseguono fra Mosca e Washington sull’Ucraina. Non c’è accordo, ma il dialogo continua. Medici senza frontiere conferma le violenze libiche sui migranti. Polito sul Corriere commenta la coraggiosa posizione di papa Francesco contro la “cancel culture”.
Potete iniziare (bene) il nuovo anno ascoltando il mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it, grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. Sono dieci puntate di circa venti minuti in cui dieci persone raccontano se stesse e il motivo per cui sono state premiate dal Capo dello Stato per i loro meriti civili o sociali. Potete ascoltarle camminando, lavando i piatti, guidando la macchina (con bluetooth o cuffiette). La voce ha tutta la potenza estetica di un incontro intimo, ravvicinato e spesso profondo. Ci sono giovanissimi, come Mattia-Spiderman che fa visita ai bambini in Oncologia, quarantenni come Ciro che resiste dentro Gomorra dando nuove possibilità ai giovani del quartiere più difficile di Napoli ed anziani come il novantenne Nonno Chef, instancabile con i senza tetto, che ci ha lasciato le sue parole, prima di scomparire. In questa serie ci sono tante donne, che ho imparato ad ammirare e che stimo dal profondo del cuore: Chiara che ha mosso migliaia di giovani, Nicoletta che è una vera cuoca combattente, Rosalba che contende lo spazio alla camorra dalla sua scuola di Scampia, Tiziana che ama, e riscatta con l’impegno, la sua gente nei casermoni di Tor Bella Monaca, Rebecca che si è ripresa Roma cominciando a ripulire l’isolato di casa sua, Anna che ha messo su un’impresa sociale di moda con le eccedenze dei grandi marchi e i lavoratori disabili e suor Gabriella che guida una rete internazionale contro la tratta e lo sfruttamento delle ragazze. Sono, come ha detto il Presidente Sergio Mattarella nel messaggio di fine d’anno, “il volto autentico dell’Italia: quello laborioso, creativo, solidale”. Cercate questa cover…
… e troverete Le Vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo potrete trovare tutti gli episodi:
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LE PRIME PAGINE
Pandemia e Quirinale, con il doveroso omaggio a David Sassoli, sulle prime pagine di oggi. Il Corriere della Sera sul virus: Omicron corre, divisi sui dati. Avvenire sceglie l’abbreviazione per la variante: Convivere con O. Il Fatto torna sulla conferenza stampa di lunedì per smentire Locatelli: “Al Cts mai discusso di obbligo e scuola”. Il Giornale tematizza la polemica sui numeri: I conteggi non tornano. Quotidiano Nazionale esalta la linea di Madrid: Ha ragione la Spagna, basta tamponi. Il Manifesto sceglie il gioco di parole: Scuola in assenza. Il Mattino dà voce ai medici di famiglia: «Positivi, Green pass in tilt». La Stampa torna ad intervistare il Ministro Bianchi: “Ora vacciniamo i ragazzi nelle scuole”. La Verità è contro la linea di Draghi e Speranza: Con queste regole finiamo dritti in lockdown di fatto. Della corsa al Colle si occupano il Domani: I piani del Pd e Cinque Stelle per costruire il Mattarella bis. La Repubblica che vede il Cav lanciatissimo: Berlusconi a caccia di voti. E Libero che confida nel bis: Spiraglio Mattarella. Di economia trattano Il Messaggero: «Centro-Sud, aiuti strutturali». E Il Sole 24 Ore che resta sull’incubo inflazione: Pasta, in arrivo rincari del 38%.
OMICRON, CONTAGI IN ITALIA A QUOTA 220MILA
La situazione di Omicron in Italia. Adriana Logroscino per il Corriere.
«Il virus continua a correre raggiungendo altri 220 mila italiani, il doppio del giorno prima, il numero più alto di sempre. E provocando 294 morti in 24 ore. Mai così tanti da maggio. Una corsa che, secondo l'Oms, non si arresterà prima di aver contagiato un europeo su due nel giro di 6-8 settimane. Colpa della variante Omicron. Così contagiosa da far pensare che la contromossa non possa essere prevedere una quarta dose, comunque non ancora ipotizzata, avverte l'Ema. Piuttosto lavorare a vaccini nuovi, capaci di «un alto impatto sulla prevenzione dell'infezione e della trasmissione, oltre che sulla prevenzione di malattie severe e morte». Il bollettino Mentre anche nel Cts si ragiona sull'opportunità di far diventare settimanale il monitoraggio del ministero della Salute, relativo a nuovi positivi, ricoverati e vittime, si tocca quindi il record assoluto di 220.532 contagi in 24 ore. Rilevati da un'attività di test anche quella da record: 1.375.514 tamponi. Aumentano anche i decessi, 294, e i ricoveri. Pressione sugli ospedali In rianimazione i malati di Covid sono ora 1.677 e occupano il 17% dei letti totali in Italia: due terzi di loro sono no vax e 268 sono under 19. I pediatri lanciano l'allarme per l'aumento di bambini (sotto i 3 anni) e ragazzi (tra 16 e 19 anni) ricoverati in terapia intensiva. Nei reparti ordinari, poi, sono complessivamente 17.067 i pazienti Covid, e occupano il 26% dei letti. A rischio arancione La situazione è piuttosto differenziata a livello territoriale. Il tasso di occupazione nelle intensive è in crescita in 6 regioni, in provincia di Trento raggiunge il 30%. Sulla base dei dati raccolti dall'Agenas, sono almeno cinque quelle che potrebbero a breve passare in zona arancione. Tra queste c'è il Friuli-Venezia Giulia (23% dei letti occupati in terapia intensiva, 28% in area medica) per il quale lo stesso presidente Massimiliano Fedriga pronostica un cambio di colore già lunedì. Anche Liguria (20% e 39%), Valle d'Aosta (18% e 46%), Piemonte (22% e 32%) e Calabria (18% e 36%) sono a rischio. Sotto osservazione la Campania che ieri ha fatto registrare il boom di casi, più di 30 mila in 24 ore, e ha il 25% dei posti letto in area medica già occupati. Il caso Lombardia Ma preoccupano anche i numeri della Lombardia che ha il 16% dei posti in rianimazione e il 28% di quelli negli altri reparti occupati da pazienti Covid. E anche ieri aveva il maggior numero di nuovi positivi: 45.555. La direzione verso la zona arancione è imboccata, ammette il governatore Attilio Fontana. La Regione intanto ha disposto, da venerdì, la riapertura dell'ospedale Covid in Fiera. È la terza volta da quando è iniziata la pandemia. Gli scienziati In piena quarta ondata, si prova a riflettere sulla prospettiva. La previsione dell'Oms, basata sull'attuale trasmissione di Omicron, è di un contagio generalizzato. Spiega Hans Kluge, direttore di Oms Europa: «I dati delle ultime settimane confermano l'alta trasmissibilità della variante, che può contagiare anche vaccinati e guariti». È tuttavia ancora presto per considerare il Covid endemico, avverte il capo delle situazioni di emergenza di Oms Europa, Catherine Smallwood. Le Regioni: semplificare Ma una lettura di prospettiva dei dati viene chiesta con insistenza anche dai governatori. «Siamo in pandemia burocratica dei cittadini in balia di regole complicate per uscire dall'isolamento, che cambiano continuamente - protesta Giovanni Toti, presidente della Liguria - non si può continuare a questo ritmo. Il governo decida di tamponare solo i sintomatici o saremo travolti non dai malati, ma dalle carte». Invoca «una semplificazione amministrativa nella gestione di una fase del tutto nuova» anche Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna».
“BASTA, FACCIAMO COME LA SPAGNA”
Michele Brambilla scrive un editoriale sul Quotidiano Nazionale, che rivela una grande stanchezza.
«È forse arrivato il momento di dire una serie di "basta". Basta al bollettino quotidiano con il numero dei contagi: non è il termometro che può indicare lo stato di salute di un Paese. Basta con i tamponi a raffica, fatti anche agli asintomatici. Basta con i tracciamenti di persone che non hanno nulla ma che forse, chissà, sono stati a contatto, o comunque vicini, o nella stessa città o provincia. Basta isolare persone che stanno benissimo. Basta con la Dad: non si possono costringere a casa migliaia di bambini (e i loro genitori) solo perché un loro compagno, o la mamma o il papà di un loro compagno, ha un tampone positivo, magari debolmente. Basta contare come «ricoverati Covid» coloro che sono stati ricoverati per tutt' altre patologie: ieri la Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) ha reso noti i risultati di un'indagine condotta negli ospedali di Bologna, Brescia, Genova, Roma, Avellino e Bari. Ebbene, il 34 per cento dei pazienti calcolati come Covid è stato ricoverato per tutt' altre patologie ed è risultato positivo al tampone al momento del pre-ricovero. Insomma sono stati ricoverati non per il virus, ma con il virus. Eppure quei numeri gonfiano le ansiogene statistiche ufficiali. Analogamente, basta contare come morti di Covid persone che non sono morte di Covid. Basta con bollettini che non distinguono, fra chi è in terapia intensiva, i vaccinati dai non vaccinati. Questo elenco di "basta" non viene da qualche matto negazionista, o da qualche troppo audace sostenitore del contagio collettivo per raggiungere l'immunità di gregge. È, al contrario, quanto ha in animo di fare il premier spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, che in un'intervista a El País ha detto che questa ondata va trattata come una normale influenza. E l'ha detto perché tutti i dati confermano che per chi è vaccinato con tre dosi il tasso di letalità è lo stesso di quello, appunto, di un'influenza stagionale. E qui viene da dire un ultimo "basta": alle resistenze dei No Vax. Dicono che il vaccino potrebbe forse, chissà, un giorno, dare sgradevoli conseguenze? Ebbene: chi si è vaccinato, questo rischio l'ha accettato; chi non si vaccina non pretenda di non correre quello di finire in terapia intensiva per il Covid. Ma soprattutto non pretenda di tenere in ostaggio chi si è vaccinato ed è vittima della burocrazia da loro provocata. Senza avere l'autorità né il potere di Sánchez, e molto più modestamente, questo giornale è da almeno due settimane che denuncia l'isteria collettiva che non ci fa capire che la situazione, oggi, non è quella di due anni fa. Basta, facciamo come la Spagna».
MA NON È ANCORA UN’INFLUENZA
Viviana Mazza sul Corriere della Sera intervista una ex consigliera del presidente Biden di origine italiana, Luciana Borio. Dice: «Tratteremo il virus come un'influenza ma è ancora presto».
«Luciana Borio è stata tra i 13 consiglieri di Joe Biden sul Covid durante la transizione alla Casa Bianca e, prima, ha lavorato per l'amministrazione Trump. Nata in Brasile in una famiglia siciliana, ex «chief scientist» della Food and Drug Administration (l'ente americano per il controllo di alimenti e farmaci), Borio scrive sul Journal of the American Medical Association che bisogna adottare una strategia che miri alla «nuova normalità» di convivere con il virus. «Il new normal arriverà. Quanto rapidamente dipende dalle azioni che intraprendiamo. Bisogna prepararsi al fatto che la situazione cambia costantemente in una pandemia e con essa la risposta».
Quanto è pericolosa Omicron? Possiamo trattare il virus come l'influenza?
«Prima o poi lo tratteremo come una normale influenza, ma ora è prematuro per due ragioni. Una è che, per lo meno negli Stati Uniti, abbiamo 7 milioni di persone immunocompromesse che pur essendo vaccinate restano vulnerabili. La seconda: 25 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni non sono vaccinati perché il vaccino non è ancora approvato per loro. Sono persone di cui dobbiamo preoccuparci. Finché non avremo vaccini per i bambini e medicine efficaci diffuse per curare coloro che, benché abbiano tentato di proteggersi, restano vulnerabili, non possiamo tornare davvero alla normalità».
I no vax vanno esclusi dal calcolo?
«Penso di sì. Quando c'è ampia disponibilità di vaccini come negli Stati Uniti, mi preoccupa meno questo gruppo: hanno fatto la loro scelta».
Dovremmo cambiare il modo in cui «contiamo» il Covid, concentrandoci su ricoveri e morti specificando se vaccinati o no, anziché sul numero di nuovi contagi giornalieri?
«Sì, sta diventando sempre più chiaro che dovremmo misurare ciò che conta di più, ossia se le persone si ammalano in modo grave, vengono ricoverate e muoiono anziché se hanno sintomi leggeri».
Alcuni esperti dicono però che contare i nuovi contagi dà una visione su come si evolverà l'epidemia.
«È un desiderio giusto, ma la verità è che molto difficile essere certi di quali siano i veri numeri, perché molte persone sono asintomatiche e la maggior parte dei contagiati non si sottopone a test (o se lo fa non dichiara i risultati). Stiamo misurando un numero che, oltre ad essere inaccurato, ha valore limitato».
Cosa pensa della decisione di ridurre le quarantene per contagiati asintomatici?
«Penso che sia una raccomandazione sensata. I vaccinati per la maggior parte sono ben protetti dalla malattia grave e sappiamo che la trasmissibilità del virus da chi è contagiato si riduce ogni giorno che passa: dopo 5 giorni il rischio è molto più basso rispetto al primo. Se tornano al lavoro con mascherine adeguate e sono asintomatici, il rischio di trasmissione è minimo. E negli ospedali c'è bisogno urgente di personale».
È un calcolo di costi e benefici, per evitare il collasso del sistema.
«C'è sempre un calcolo. Ridurremmo gli incidenti stradali abbassando al minimo la velocità consentita, ma avrebbe un costo».
(…) Chi ha fatto la terza dose dovrebbe godere di maggiori libertà rispetto agli altri?
«Sta diventando comune quella che chiamiamo disinibizione comportamentale. I vaccinati si sentono più protetti di quanto non lo siano davvero e adottano comportamenti che non adotterebbero altrimenti. Ci sono momenti in cui il livello è basso nella comunità ed è ragionevole dire "mi sono conquistato la libertà, sono protetto, voglio vivere normalmente", ma non è il momento ora, con la grave epidemia che sta colpendo il sistema sanitario. In crisi come questa bisogna usare tutti gli strumenti: vaccini, mascherine al chiuso, limitare le interazioni. Non sarà così per sempre, ma è così adesso».
OMAGGIO A DAVID SASSOLI, PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO
Un grande omaggio e un sentito cordoglio per la scomparsa di David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo, politico italiano serio e molto amato. L’Europa e l’Italia sono in lutto per la sua morte prematura e improvvisa. La cronaca da Bruxelles di Francesca Basso per il Corriere.
«Bandiera dell'Unione a mezz' asta nelle istituzioni di Bruxelles e in Europa in segno di lutto per la scomparsa di David Sassoli. Il presidente del Parlamento Ue, 65 anni, si è spento all'1.15 di ieri nel Centro di riferimento oncologico di Aviano, dove era ricoverato dal 26 dicembre per una «grave complicanza dovuta a una disfunzione del sistema immunitario». L'Italia e l'Europa si sono commosse per la perdita di un leader da tutti descritto come un costruttore di ponti, capace di superare le divisioni e impegnato nella difesa della democrazia europea. «La sua morte apre un vuoto nelle file di coloro che hanno creduto e costruito un'Europa di pace», è stato il commiato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il premier Mario Draghi, partecipando alle commemorazioni alla Camera e al Senato, ha ricordato «la sua rara capacità di combinare idealismo e mediazione». Alla famiglia è arrivato anche il cordoglio di papa Francesco, che ha sottolineato che Sassoli si è «prodigato per il bene comune». Cordoglio anche dai presidenti della Commissione Ue Ursula von der Leyen e del Consiglio europeo Charles Michel, dal premier francese Charles Michel e quello spagnolo Pedro Sanchez, dal cancelliere tedesco, Olaf Scholz, dal primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki. Espressioni d'affetto anche dalla presidente della Bce, Christine Lagarde e dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, dal commissario all'Economia Paolo Gentiloni e dagli altri commissari Ue, che oggi riuniti in seminario osserveranno un minuto di silenzio. Unanime il cordoglio del mondo politico italiano. Ieri a Bruxelles in centinaia, tra europarlamentari e funzionari, si sono riuniti sull'Esplanade di fronte alla sede del Parlamento Ue su invito di Iratxe Garcia, presidente del gruppo socialista S&D di cui Sassoli faceva parte. È stato osservato un minuto di silenzio, poi un lungo commovente applauso. La camera ardente sarà aperta in Campidoglio domani dalle ore 10 alle 18, i funerali di Stato si terranno il giorno dopo nella Basilica di S. Maria degli Angeli in piazza della Repubblica. Lunedì alla plenaria di Strasburgo l'ex premier Enrico Letta, leader del Pd, terrà il discorso ufficiale per commemorare l'amico e collega di partito.».
Giovanni Bachelet, intervistato da Luca Liverani per Avvenire, racconta l’amico David. Gli anni Settanta a Roma, alla scoperta del cattolicesimo democratico, alternativo agli estremismi di destra e sinistra. Studenti liceali del Virgilio, con il cardinal Zuppi che celebrerà i funerali a Roma, studiavano Maritain, Mounier e la Gaudium et spes...
«Una persona seria, ma che non si prendeva troppo sul serio. David ha sempre avuto la dote di saper sorridere. Negli anni 70, ragazzi appassionati di po-litica, non abbiamo mai pensato di fare male a qualcuno in nome dei nostri ideali. Più che nonviolenza, senso del limite, umiltà. E David portava allegria anche nelle nostre 'imprese politiche', quasi sempre in perdita». Giovanni Bachelet ricorda l'amico presidente del Parlamento Europeo bevendo un caffé alla macchinetta dell'Istituto di Fisica della Sapienza, dove insegna. La stessa università dove le Br assassinarono suo padre Vittorio. E racconta il David adolescente che si appassiona con lui al cattolicesimo democratico. Quando avete cominciato a condividere la passione politica, per lei culminata nell'elezione alla Camera nel 2008?
Molto presto, anni 70. Paolo Giuntella, allora universitario, aveva reclutato David e altri liceali in un circolo politico culturale inventato da lui che in origine si chiamò 'Gruppo panchina' perché ci vedevamo a via Monte Zebio, sotto casa sua. Oggi si direbbe 'cattolici democratici', ma allora non si usava. In un mondo di maoisti, 'gruppettari' o cattocomunisti, noi studiavamo Maritain, Mounier, la Gaudium et spes. Giuntella ci faceva leggere libri, fare relazioni su temi tra politica, Costituzione, impegno sociale, fede cristiana. Attirando anche diversi non cristiani. Fu un raro caso di piccola, locale egemonia culturale cattolico- conciliare, non marxista ma nemmeno anticomunista.
Quale fu l'esordio di Sassoli militante?
Nel 1975, durante l'Anno Santo, all'incontro per i militari si annunciò pure il generale Videla, quello che l'anno successivo avrebbe guidato il colpo di stato in Argentina, ma già allora faceva cose terribili. Con David andammo a distribuire volantini per una veglia di preghiera 'per la pace e contro le torture in Sud America ', tra radicali ed extraparlamentari. Arrivò la Polizia e con David finimmo tutti in stato di fermo al commissariato di piazza Cavour, per uscire solo all'una di notte.
Ci fu anche la stagione dell'attivismo per un rinnovamento della Dc?
Nel 1976 si votava per le comunali e le politiche. Al consiglio capitolino si candidò Giuntella e mio padre. Dico una cattiveria: li candidarono perché la Dc sapeva di perdere. Vinse il Pci, sindaco Argan. Mio padre fu eletto, anche Silvia Costa, Giuntella no. Con David ci divertimmo tra manifesti e santini elettorali.
Al congresso tifavate per Zaccagnini?
Non eravamo iscritti alla Dc, Giuntella ci chiamava montoneros moroteos. Ma quando Zaccagnini vinse contro Forlani, con David, come veri tifosi, andammo per Roma suonando il clacson. Molte risate, molto entusiasmo: Zaccagnini rappresentò una speranza di rinnovamento, che poi si fermò. Alle politiche Dc e Pci andarono bene e Moro avviò la strategia del dialogo. Che per alcuni ne ha segnato il destino. L'omicidio di Moro nel '78 fu come un colpo di stato. Come per Kennedy. Con David corremmo a Piazza del Gesù, ma ci toccò fare da servizio d'ordine, contro la strumentalizzazione di un gruppo, non di democristiani, che gridava: 'Pena di morte!'. David e altri li invitarono, gentilmente, ad andare altrove. Non erano quelli gli slogan di Moro».
La scomparsa di Sassoli non ha solo creato un sincero affollarsi di ricordi e omaggi (oggi sui giornali parlano di lui in tanti, da Veltroni, a Gentiloni, a Prodi), anticipato già da ieri mattina sui social. Purtroppo c’è stata anche questa volta, la barbarie dei messaggi No Vax. Jacopo Jacoboni per La Stampa.
«Ogni tanto una buonissima notizia», «non ne moriranno mai abbastanza per vendicare le persone assassinate per mano di quelli come lui che hanno partecipato al truffacovid». Non riportiamo senza fatica queste frasi - e altre orribili come queste scritte ieri in diversi luoghi della rete, neanche troppo nascoste, contro David Sassoli persino da morto, in canali Telegram, pagine Facebook, account Twitter, in una esplosione allucinante di follia e violenza No Vax. Sappiamo bene che l'universo No Vax e No Green Pass resta vario, e certamente non monolitico né fatto tutto di violenze, come anche sappiamo che può far discutere la scelta di raccontarne le frange più violente, ma lo schifo che si prova non può più esser taciuto. Va combattuto politicamente e culturalmente. L'arma non può che essere il racconto e la testimonianza del giornalismo: raccontare le loro reti, i loro canali, i processi di viralizzazione organizzata che mettono in moto. È così che hanno inquinato l'Italia, e non da oggi. A volte ripulendosi poi in politica, con lo stesso meccanismo con cui il riciclaggio finanziario ripulisce i soldi sporchi. Conta anche relativamente poco fare i nomi, che spesso sono scoperti e neanche nascosti dietro l'anonimato (nulla del resto è davvero anonimo in Internet, a volerlo perseguire). C'è un post pubblicato dalla pagina Facebook di uno dei promotori della «Rete nazionale Basta dittatura», che è tra l'altro uno degli organizzatori di diversi eventi No Vax. Altre frasi terrificanti appaiono su canali come «No green pass», su Telegram. C'è l'hashtag twitter #nessunacorrelazione, con tweet che si domandano se Sassoli sia morto per la terza dose del vaccino (cosa ovviamente falsa): «Avrà esagerato col booster». Siamo oltre l'umano, e fuori dalla sfera della dignità. Le chat stanno lì, facilmente rintracciabili. Come erano rintracciabili, del resto, altre reti che auspicarono la morte di Sergio Mattarella o esortarono a bruciare vivo Giorgio Napolitano, infinite campagne di aggressione online, a ricordarci che l'Italia di questi anni purtroppo è anche questo, non solo la vita e l'opera perbene di David Sassoli».
RINCARI E INFLAZIONE, LA PASTA A + 38 PER CENTO
Il Sole 24 ore stamattina dedica il titolo d’apertura ai rincari della pasta. Interpella produttori e distributori e scrive una cifra impressionante: l’aumento delle ultime settimane è del 38 per cento. Che cosa sta succedendo? L’analisi proposta dal giornale economico è di Donato Masciandaro.
«L'inflazione 2022: sarà una malattia grave? La risposta dipende molto dalla politica monetaria, o meglio da quello che faranno e diranno le banche centrali nei prossimi mesi. A cominciare dalla più importante, la Federal Reserve, che finora non ha utilizzato l'unico vaccino che una banca centrale ha per ridurre i rischi che il suo Paese si ammali seriamente: la trasparenza. Partiamo da un fatto: la politica monetaria può influenzare l'accendersi dell'inflazione attraverso due meccanismi. Ci può essere un "effetto benzina": le scelte della banca centrale sono decisive nel determinare le aspettative delle imprese e delle famiglie. Tali aspettative, a loro volta, condizionano la formazione di salari e stipendi, che a loro volta incidono sui costi della produzione e della distribuzione dei beni e dei servizi, ed a cascata sui prezzi al consumo. In questo caso, l'effetto sull'inflazione tende ad essere permanente. Oppure ci può essere un "effetto paglia": quello che la banca centrale fa o dice influenza i mercati finanziari, incidendo sui prezzi e sui rendimenti delle attività finanziarie, la cui volatilità contribuisce all'incertezza macroeconomica, che può traslarsi anche sui prezzi al consumo. In questo caso è più probabile che l'effetto sull'inflazione sia temporaneo. Infine, l'effetto benzina e l'effetto paglia possono presentarsi indipendentemente o simultaneamente, rafforzandosi a vicenda. Negli ultimi due anni la condotta della banca centrale americana ha già causato l'effetto paglia, ed ora rischia di creare anche l'effetto benzina. Facciamo un passo indietro, all'estate del 2020. La Fed annunziava una nuova strategia di politica monetaria, che era basata su due assiomi. Primo Assioma: l'effetto benzina della politica è sempre meno probabile. La Fed osservava infatti come la tradizionale relazione tra scelte sui tassi e sulla liquidità, da un lato, e dinamica del mercato del lavoro, dall'altro lato, fosse sparita. Secondo Assioma: la priorità della politica monetaria doveva essere la massima occupazione. La principale conseguenza dei due assiomi è stata l'introduzione di una nuova stella polare per l'andamento dei prezzi: l'inflazione media. Ma già allora era presente un effetto paglia: la Federal Reserve non specificava né cosa significasse massima occupazione, e neanche inflazione media. Una politica monetaria ambigua crea incertezza: i mercati finanziari cercano di interpretare una banca centrale che, come l'oracolo di Delfi, dice, ma non spiega. Ed arriviamo al primo semestre del 2021. I prezzi al consumo statunitensi si surriscaldano, fino ad arrivare al sei per cento in ottobre. La Fed afferma che è una inflazione transitoria; i due Assiomi vengono confermati. Poi, all'improvviso, arriva la giravolta di fine anno. L'inflazione non è più transitoria, ma non diventa ancora permanente. E i due Assiomi? Né confermati, né smentiti. La nebbia aumenta. Perché se è ancora valido il Primo Assioma, una restrizione monetaria non avrebbe conseguenze rilevanti su crescita ed occupazione; quindi, una crescente preoccupazione sull'andamento dei prezzi, potrebbe essere trasformata senza ritardo in un aumento dei tassi. Ma se la Fed è preoccupata dell'inflazione, che ne è del Secondo Assioma? E evidente che l'ambiguità della politica monetaria è ulteriormente aumentata nelle ultime settimane. L'effetto paglia è sempre più rilevante. Di riflesso, aumenta il rischio che si inneschi anche l'effetto benzina. L'unico antidoto per minimizzare i rischi degli effetti paglia e benzina è la trasparenza: impegni espliciti e vincolanti su tassi e liquidità, presi dalla banca centrale come istituzione, e flessibili solo al variare della congiuntura. È la strada che sta percorrendo la Banca centrale europea, che può anch' essa migliorare. Qualche giorno fa, in Uruguay, la banca centrale ha non solo cambiato i tassi, ma ha anche annunziato le future modifiche per i prossimi due mesi. Vaccinarsi nell'interesse del Paese si può. Basta volerlo».
QUIRINALE 1. I 5 STELLE ARRIVANO DIVISI AL VOTO
I deputati 5 Stelle si spaccano su fiducia a Conte e Mattarella-bis. Matteo Pucciarelli per Repubblica.
«Stavolta l'imperativo era non avere brutte sorprese: dopo il polverone scatenato dalla proposta dei senatori del M5S di lanciare il Mattarella-bis rubando tempo e margini di trattativa a Giuseppe Conte - era lunedì della scorsa settimana - alla annunciata e attesa assemblea alla Camera di ieri sera i vertici hanno preso le contromisure. Nella riunione dei deputati infatti s' è visto un filotto di interventi molto simili che, di fatto, ha contestato il metodo dei colleghi del Senato e al contempo ha dato piena fiducia al presidente del Movimento. In fila, Francesco Berti («Hanno minato la stabilità del M5S», riferendosi ai senatori), Alessandro Melicchio («Il voto online ci indebolirebbe »), Luigi Gallo («Le voci fuori coro non devono disturbare una trattativa complessa»), Aldo Penna («I senatori non dovevano fare nomi»), Patrizia Terzoni («I senatori così bruciano i nomi»), Davide Zanichelli («Non si possono far votare gli iscritti ma spiegare loro come stanno le cose»), Sebastiano Cubeddu («Non c'è bisogno di fare nomi che non saranno eletti»), Filippo Scerra («Alla Camera siamo un gruppo maturo, non facciamo come al Senato»), Riccardo Tucci («Bisogna essere maturi senza fare trattative allargate»). Ma a difesa dei senatori ha parlato il capogruppo Davide Crippa: «Invece l'assemblea del Senato è stata importante, il nome di Sergio Mattarella è di garanzia». Sulla stessa linea Generoso Maraia, Francesca Ruggiero, Marco Bella, Davide Serritella e Marialuisa Faro. L'altro scoglio da evitare per Conte era ed è la richiesta di far votare gli iscritti, come avvenne nel 2013 e nel 2015 (avanzata ad esempio da Virginia Raggi). Più che altro perché considerato un ulteriore intralcio nel relazionarsi con gli altri partiti. In diversi hanno sottolineato l'impossibilità, a questo giro, di coinvolgere la base. Gettonatissimo, praticamente unamime fra gli interventi, il no a Silvio Berlusconi. Ma anche il nome di Giuliano Amato è stato bocciato da più persone. Dopodiché oggi è in programma l'appuntamento che farà da snodo centrale nelle trattative tra il M5S e gli altri partiti, cioè l'assemblea congiunta dei gruppi di Camera e Senato con la presenza di Giuseppe Conte. Per la prima volta la discussione attorno al Quirinale è l'oggetto dell'ordine del giorno, quindi alla fine dovrà uscire una indicazione di massima sul da farsi da qui al prossimo 24 gennaio. Finora si è andati avanti a singhiozzo, tra interviste sui giornali e riunioni separate, messaggi (anche poco cordiali) nelle varie chat, indiscrezioni e retroscena; dal tutto è emersa una spaccatura di fondo tra i vertici e un pezzo dei gruppi parlamentari, coi primi che - al di là delle mille rassicurazioni - potrebbero anche contemplare una scelta che porti a una fine anticipata della legislatura e con i secondi che invece temono più di tutto questa ipotesi. Perciò il tema del sempre molto evocato «coinvolgimento » nelle scelte di Conte è così sentito dai parlamentari, per "vigilare" - anche - che le sue mosse non portino al tutti a casa. «Eleggere Mario Draghi significa quasi certamente andare al voto», è ad esempio l'opinione dell'ex ministro Vincenzo Spadafora. Di certo però lo spettacolo andato in scena via Zoom ieri, cioè quello dei giovani deputati che bacchettano gli anziani senatori a piena difesa del presidente, fa prevedere un clima odierno surriscaldato».
QUIRINALE 2. SALVINI CHIEDE UN RIMPASTO ANTI DRAGHI
Mossa spregiudicata di Matteo Salvini che prosegue nella linea leghista di rottura del Governo. Il capo della Lega ha lanciato l’idea di un rimpasto. Mario Draghi ha deciso che non parlerà più, per evitare di alimentare i conflitti. Il retroscena di Tommaso Ciriaco per Repubblica.
«D'ora in avanti non si metterà più nelle condizioni di ricevere domande sul Quirinale, né di dover dare risposte in pubblico sul nome del prossimo Presidente della Repubblica. Mancano dodici giorni all'apertura delle urne per il Colle e Mario Draghi ha deciso: silenzio totale sulla questione, totale inabissamento per restare fuori dai radar. C'è un mondo dietro a questa scelta. Di certo pesa il passaggio pubblico per spiegare il decreto Covid. Il premier aveva scelto di organizzare la conferenza stampa per provare a cancellare l'aria di smobilitazione che si respira nel governo. Era necessario difenderne l'azione. Il passaggio, però, è costato una scelta controversa, come quella di non replicare a domande sul Quirinale, tanto da spingerlo a distinguere tra quesiti «accettabili» e non. Ha provato a schivare, scontrandosi però con un muro di interrogativi legittimamente sollevati dalla stampa. Il problema è che anche solo non rispondere rappresenta comunque una posizione. Genera interpretazioni pubbliche, lascia intendere la voglia di puntare al bersaglio del Colle e complica patti tra partiti. Determina conseguenze politiche. E così, la scelta maturata è ancora più radicale: scomparire dal dibattito pubblico - se non quello legato a misure di governo, ma possibilmente evitando passaggi come quello di lunedì - per evitare di intervenire sulla partita più delicata del Quirinale. Non per sempre, ovviamente, ma appunto per i prossimi dodici giorni. A spiegare questa ulteriore torsione c'è anche altro, però. Ad esempio la sensazione di dover difendere quello che esiste: un esecutivo nella pienezza delle sue funzioni. Draghi non ha rinunciato alle ambizioni quirinalizie, ma sente il peso del progressivo sfaldamento dell'area di governo, bombardata in particolare dalla Lega. Ieri Salvini ha di fatto chiesto un rimpasto: segnale evidente che la trattativa si complica. Anche perché il premier non accetterà che siano i partiti a dettar condizioni. Lascerà invece che siano i leader a litigare sul dossier Colle e stabilire il futuro del «nonno al servizio delle istituzioni». Anche, eventualmente, assumendosi la responsabilità di sprecare l'esperienza di questi mesi con un salto nel buio. Il premier è e resta preoccupato. Non solo perché rischia di frantumarsi l'unità nazionale. Ma perché i partiti, almeno fino ad ora, sembrano lontani da una soluzione. Se c'è un obiettivo di Draghi, è invece proprio quello di salvaguardare larghe intese, evitando uno scenario da "liberi tutti". Il centrodestra, in particolare, sembra avvitarsi. Silvio Berlusconi ha stroncato le ambizioni di Draghi - almeno per il momento - e di questo l'ex banchiere non può che prendere atto. Ma al vertice delle segreterie si ragiona già sul bivio dei prossimi giorni: se il Cavaliere dovesse decidere un'uscita di scena indolore e "pacifica", allora sarà possibile arrivare a una scelta condivisa. Se invece la sua candidatura dovesse restare in campo e bruciarsi soltanto nelle urne, spaccando la coalizione moderata, allora lo scenario del caos sarebbe lì, a un passo. E d'altra parte, le segreterie sembrano paralizzate. Ieri Draghi ha incrociato al Senato per pochi attimi Matteo Salvini. I due si sono lasciati con un generico "ci vediamo presto", per discutere del caro-bollette. Non sarà comunque il premier a chiedere incontri. Né con Salvini, né con altri leader: accetterà però di vederli, se sollecitato. L'ora delle trattative decisive scoccherà la prossima settimana. Nel frattempo si intravedono scogli già capaci di inceppare alcune delle soluzioni immaginate. Fonti di maggioranza riportano l'indiscrezione di un primo stop imposto al nome di Giuliano Amato da parte dei vertici del Movimento Cinque Stelle e della Lega, che non avrebbero gradito il presunto attivismo di alcuni suoi sponsor. Il rebus, insomma, sembra più intricato che mai. Tanto da consolidare nell'esecutivo la convinzione che la scelta, alla fine, si potrebbe ridurre a due opzioni: Draghi, oppure un bis del Presidente in carica».
Francesco Verderami sul Corriere racconta gli interna corporis del centro destra.
«Salvini ha le orecchie che gli pulsano. C'è Berlusconi che gli dice di voler «dare ai miei nipoti un nonno presidente della Repubblica». C'è Letta che lo invita a scaricare il Cavaliere e gli propone un patto per scegliere insieme ai grillini un candidato comune di suo gradimento al Quirinale. C'è Renzi che gli sussurra di puntare su Draghi per formare, dopo, un governo dei segretari. È dura la vita per chi vuol essere il king maker del presidente della Repubblica e sa di giocarsi praticamente tutto in questa prova. Un passo falso e addio. E il leader della Lega, che si è dato come priorità la compattezza della coalizione, non deve fronteggiare solo gli avversari. Deve fare i conti anche con gli alleati. Perché i centristi di Coraggio Italia sono pronti a presentare un documento sull'identikit del loro candidato ideale al Colle, dal quale emergerà che il profilo non è quello di Berlusconi, mentre i sovranisti di Fratelli d'Italia lo pungolano chiedendogli come fa a stare al governo con chi pone veti al fondatore del centrodestra. Nel marasma generale, i suoi sherpa gli raccontano che un senatore del Pd va in giro per palazzo Madama sponsorizzando la candidatura di Casini. Che poi è più o meno quanto fa da settimane a Montecitorio la grillina Grande, considerata vicinissima a Di Maio, cioè al ministro degli Esteri che a Natale ha inviato una bottiglia di champagne all'ex presidente della Camera. «Luigi? Lui non punta su Draghi?», si interroga Salvini disorientato. Tanto basta per convincerlo ulteriormente che è utile prendere tempo. La proposta del «tavolo tra i leader» aveva e ha (anche) questa funzione. E dato che slitta il vertice del Pd, è bene rimandare anche il vertice dell'alleanza. Ma quando anche il segretario dem pareva esser stato persuaso da un dirigente di centrodestra - che consiglia di «non aver fretta» - la Meloni ha deciso di mettere fretta, sostenendo che non si può offrire al Paese lo spettacolo dei giochi politici sul Colle, dato che fuori dal Palazzo infuria la pandemia. Il Covid è la variabile indipendente che Salvini è costretto a inserire in un'equazione già complicata. Perché il virus, per il suo fattore numerico oggi indecifrabile, avrà un'incidenza politica nelle votazioni per il Quirinale. In più ci sono una serie di incognite, a cominciare dalla decisione di Berlusconi. Ora, è chiaro che il leader della Lega deve mostrarsi allineato con il Cavaliere. Perciò attende che l'alleato sciolga la riserva. Almeno su questo è d'accordo con la Meloni, con la quale ieri si è sentito dopo tanto tempo. E i due convengono che il presidente di Forza Italia dispone di un'altra arma che potrebbe usare: se capisse di non avere i numeri per diventare capo dello Stato, potrebbe lanciare lui un nome. «È escluso che faccia un endorsement per un esponente del centrodestra. O c'è lui o non c'è nessuno», avvisa uno dei capi dell'alleanza: «E visto quello che dice in privato su Amato e Casini, restano solo Draghi e Mattarella». Ecco perché Salvini non usa parole definitive sul presidente della Repubblica e sul premier. Per questo motivo ieri i dirigenti della Lega scommettevano sui due, che vengono definiti «le uscite di emergenza». Che il capo del Carroccio non si fidi di Draghi è noto ai suoi deputati, tra i quali circola una battuta: «Se andasse al Quirinale, poi non ci inviterebbe nemmeno per la festa del 2 giugno». Che la Meloni non si fidi completamente degli alleati è altrettanto noto, vista la condizione che ha posto all'ultima riunione: «Se stiamo uniti su Berlusconi, dovremo muoverci insieme anche su altre ipotesi». Il centrodestra avrà pure la golden share sul Quirinale, ma se sbaglia mossa non esisterà più dopo la quarta votazione. È l'incubo di Salvini».
QUIRINALE 3. SPIRAGLIO PER UN MATTARELLA BIS?
Annalisa Cuzzocrea per La Stampa sostiene che Pd e Movimento 5 Stelle stanno tentando di convincere Salvini affinché faccia un appello pubblico a Mattarella perché accetti un secondo mandato.
«C'era un'aria rarefatta e grave alla Camera durante la commemorazione del presidente del Parlamento europeo David Sassoli. «È tempo di unire le voci, di fonderle insieme», ha detto Enrico Letta citando David Maria Turoldo. Chi gli stava accanto, ha pensato che quel richiamo, quelle parole, non fossero un caso. La scelta del prossimo presidente della Repubblica ha bisogno di gravità e unità. Per questo il segretario dem è convinto, e lo ripeterà aprendo la direzione di sabato, che debba essere il più larga possibile. Per la stessa ragione, un pezzo di centrosinistra continua a essere convinto che in questa fase la soluzione migliore sia - ancora - la permanenza al Colle di Sergio Mattarella. Il capo dello Stato ha fatto smentire a più riprese la sola possibilità. Eppure c'è un piano - trasversale - che va in quella direzione. Con uno schema nuovo: il tentativo di convincere Matteo Salvini a farsi portavoce dell'appello. Non è dal centrosinistra che deve levarsi la prima voce. Anche per questo hanno dato fastidio le uscite dei senatori M5S e dei giovani turchi dem. A fare il primo passo, a dire a Mattarella «resta», dovrebbe essere proprio il leader della Lega. Cercando di portarsi dietro il centrodestra o quanto meno Silvio Berlusconi, una volta certificato che non ha i numeri per prevalere, nonostante gli strenui tentativi delle ultime settimane. Di quest' eventualità Letta ha parlato nelle ultime ore con un ex segretario centrista. E ieri sera, a Di Martedì, ha detto chiaro che certo, se la persona che unisce tutti fosse Mattarella «sarebbe il massimo». Ripetendo a microfoni spenti, ma con un sorriso, «non credo si convinca». Lo stesso scenario - la destra che si convince a fare un appello per la stabilità del quadro - è stato presentato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, in un in un giro di incontri con rappresentanti diplomatici europei, facendo capire che è qualcosa di più di un desiderio. Spiega un ministro: «Dopo quello che Berlusconi ha fatto trapelare durante la conferenza stampa di Draghi, anche per lui la mossa più onorevole potrebbe essere andare su Mattarella, certificando l'impossibilità per questo Parlamento di eleggere un nuovo capo dello Stato». Insomma, quello di Salvini non dovrebbe essere per forza un parricidio, anche se il segretario leghista risulterebbe colui che dà le carte, il king maker dell'elezione più importante di tutte: in una parola, il leader della coalizione. Giorgia Meloni continua a dire, lo ha fatto anche ieri sera a Rete4, che lei su quella strada non è disposta ad andare. «Non si sente garantita da Mattarella», spiega chi ci ha parlato. E quindi ripete: «La conferma del presidente della Repubblica uscente non può diventare una prassi, ma conosco i miei polli: so che cercheranno anche stavolta di usare i dati, la pandemia, i contagi, per dire "fermi tutti non si deve muovere niente", perché non si devono muovere loro». Fratelli d'Italia però ha un drappello di 37 deputati e 21 senatori. Se il resto dei 1009 grandi elettori fossero uniti potrebbe essere ininfluente anche per le intenzioni di Mattarella. Almeno questo è quello che spera chi lavora a questo scenario, nel timore che non ci sia un piano B accettabile. Che cioè la via per Draghi si sia fatta troppo stretta. Nonostante perfino ai ministri sia ormai arrivata la sensazione netta che la volontà del presidente del Consiglio sia quella di cambiare ruolo e scena, dopo questi mesi alla guida di un governo complicato dalla stessa ampiezza della sua maggioranza. Si telefonano, i ministri, chiedendosi: «Allora, hai mandato i curriculum? Pronto al trasloco?». Si sentono in bilico, anche se i numeri che hanno scambiato con il ministro della Salute, Roberto Speranza, fanno davvero pensare che congelare il quadro attuale sia l'unica via possibile. «Se alla fine della settimana prossima ci saranno 150 positivi tra i parlamentari e 300mila a livello nazionale - dice uno dei giocatori di questa sciarada - ci saranno tutti i presupposti per invocare Mattarella e l'unità nazionale». A quel punto starà a Salvini decidere. I pontieri di questi giorni freddi non sono troppo ottimisti. Speravano nell'appoggio dei governatori leghisti del Nord, ma per ora, facendo il punto tra di loro, Zaia, Fontana, Fedriga si sono detti: «Mandiamo Draghi. Al governo non rimangono più tanti mesi davanti e il presidente del Consiglio ha dimostrato di saper dialogare con noi». Quanto a Silvio Berlusconi: «Non è che siamo noi a dirlo, non ha i numeri davvero. Ed è escluso che li trovi». C'è poi un altro elemento che, sempre secondo un ministro, potrebbe spingere verso la stabilità: «Chiedere a Mattarella, come avevamo pensato fin dal primo momento, di restare fino alla fine dell'emergenza, darebbe a tutti, per primo a Draghi, la speranza di poter ritentare tra un anno e mezzo. Quando il quadro sarà più stabile. Il premier avrebbe il tempo di finire il lavoro. Salvini e il centrodestra possono sperare di avere numeri migliori dopo le prossime politiche». Sono tutti ragionamenti che vivono in Parlamento e nelle segreterie di partito e che non hanno ancora nemmeno sfiorato il Quirinale, che ha reagito con forza davanti a molto meno. E sono ipotesi che, comunque vada, prevedono un terremoto nel centrodestra. «La Lega potrebbe mollare Berlusconi - prevede Giorgio Mulè, deputato forzista al fianco dell'ex Cavaliere in questa battaglia - ma non prima di avergli dato una prova d'amore alla quarta votazione. Altrimenti va a finire male. Ma che il fronte possa incrinarsi è possibile, ci sono già tutti i segnali».
Anche su Libero Fausto Carioti vede uno “spiraglio” per un bis di Mattarella. Ma legato all’emergenza virus.
«Di candidati condivisi al momento non c'è l'ombra e i candidati di parte, quelli che sulla carta già avrebbero grossi problemi per arrivare a 505 voti (il quorum in vigore dal quarto scrutinio) con l'aula piena, dovrebbero rinunciare in partenza ai loro sogni qualora ci fossero trenta o quaranta assenti. Lo stesso Roberto Fico, presidente di Montecitorio, d'intesa con la numero uno del Senato, Maria Elisabetta Casellati, potrebbe decidere di far trascorrere qualche giorno tra una votazione e l'altra, sperando che nel frattempo i numeri dei contagiati scendano. I tempi, così, si allungherebbero ulteriormente. Mai, sinora, si è arrivati alla scadenza naturale del mandato di un capo dello Stato senza che il suo successore fosse già stato eletto. Sarebbe quindi la prima volta, destinata a "fare precedente". L'intenzione di Mattarella era quella di mandare un segnale chiaro all'assemblea e ai partiti impantanati: avrebbe terminato comunque il proprio incarico il 3 febbraio, lasciando che la Casellati, seconda carica dello Stato, svolgesse il ruolo di presidente della repubblica facente funzioni. Era pure pronto a lasciare gli appartamenti del Quirinale prima del previsto: per fare sanificare gli ambienti, ma anche per ribadire, con quel semplice gesto, che lui non ha alcuna intenzione di fare il bis. Come invece continua a chiedergli una parte dei parlamentari (del Pd, del M5S e non solo) e come vorrebbero molti dei governi alleati dell'Italia, dove l'ipotesi più gradita è proprio la conferma di Mattarella sul Colle e di Mario Draghi a palazzo Chigi. Le intenzioni del capo dello Stato, racconta chi gli ha parlato, non sono cambiate: resta contrario al secondo mandato per ragioni personali (è stanco) ed istituzionali (dopo quello di Napolitano, il suo sarebbe il secondo bis consecutivo: l'eccezione che diventa regola). In assenza di un successore già eletto, però, i suoi prossimi passi potrebbero essere diversi da quelli previsti. Niente uscita di scena il 3 febbraio, e dunque nessun trasloco anticipato nel nuovo appartamento ai Parioli, bensì prorogatio: anziché fare posto alla Casellati, Mattarella resterebbe in carica sino all'inizio del mandato del suo successore. Come ha scritto il giurista Giovanni Guzzetta sul Riformista, «entrambe le soluzioni sono costituzionalmente ineccepibili. La questione è solo nelle mani dell'interessato». Il quale ne sta parlando con i propri consulenti. Valutazioni da fare in punta di diritto, ma che non possono ignorare l'aspetto sanitario: si può stare, in piena epidemia, con una guida "pro tempore" e non rodata al Quirinale? E siccome la tirannia dello status quo ha una forza innegabile, è scontato che i supporter della permanenza di Mattarella sul Colle, in caso di proroga del mandato, avrebbero nuovi argomenti per caldeggiare la soluzione più semplice: lasciare tutto così com' è, eleggendo per la seconda volta l'attuale inquilino, che nemmeno se n'è andato. È il sogno di molti piddini. L'ala sinistra di Matteo Orfini, ma anche riformisti come Stefano Ceccanti, hanno già detto che sarebbe la soluzione perfetta, e alla fine potrebbe essere abbracciata pure da Enrico Letta, sinora incapace di trovare una strategia in grado di contrastare Silvio Berlusconi. Il quale, raccontano al Nazareno, mette paura anche se dovesse fare un passo indietro. Infatti, qualora il Cavaliere volesse portare comunque al Quirinale un esponente di Forza Italia, ne avrebbe almeno uno in grado di prendere consensi nel Pd: è la Casellati, che trasferendosi sul Colle lascerebbe libera la presidenza del Senato, alla quale aspira il piddino Luigi Zanda, vicino a Dario Franceschini. Il loro gruppo non voterebbe per Berlusconi, ma potrebbe farlo per la sua candidata, provocando sconquassi nel Pd. Motivo in più, ragionano trai democratici, per tenere in piedi la candidatura di Mattarella. Come ha fatto ieri sera Letta, dicendo che il Mattarella bis «sarebbe il massimo, ovviamente». E pazienza se il capo dello Stato ripete di non voler sentirne parlare».
Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera fa il punto sulla strategia del Pd che ha fatto slittare a sabato la Direzione.
«Sabato Enrico Letta chiederà alla Direzione e ai parlamentari del Pd un mandato in bianco per trattare, insieme alle presidenti dei gruppi Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, sul Quirinale. Nella riunione, che non si terrà più domani, visto che per il 13 è prevista la camera ardente di David Sassoli, deputati e senatori dem, che temono si possa scivolare verso le elezioni e non si fidano del tutto che questo non sia in fondo l'obiettivo del segretario, porranno un unico vincolo: «L'esigenza della continuità della legislatura». Nella segreteria di ieri, dedicata per gran parte alla commemorazione di Sassoli, Letta ha spiegato che c'è la «necessità di individuare una personalità super partes, nel tempo più rapido possibile, anche per evitare il rischio di una nuova fase dell'antipolitica». Intervistato da Giovanni Floris su La7, a DiMartedì , è più esplicito sull'identikit: «Un candidato con le caratteristiche di Mattarella». E al giornalista che gli chiede se possa essere lo stesso Mattarella risponde: «Sarebbe il massimo». Una frase che entusiasma i parlamentari dem che tifano per un bis dell'attuale capo dello Stato. «A me pare l'unica soluzione seria per non creare confusione in un momento delicatissimo», ribadisce Matteo Orfini. E a Mattarella pensano anche, tra gli altri, Walter Verini, Stefano Ceccanti e Andrea Romano. E anche Veltroni non ha escluso del tutto la possibilità di un bis in caso di stallo. Ma nella trasmissione Letta non va oltre. Anzi sottolinea: «Sarebbe la soluzione migliore, ma il presidente ha detto più volte di no e bisogna essere rispettosi della sua volontà». Il segretario dem, però, al momento, è preoccupato per la candidatura di Berlusconi, che, rivela, «ha chiamato anche dei parlamentari del Pd»: «Così blocca tutto e impedisce il dialogo. Se lui non fa un passo indietro noi non ci sediamo al tavolo con gli altri. Del resto, il centrodestra non ha il pallino, non c'è un partito dominante. Perciò bisogna dialogare per raggiungere un accordo largo e anche per siglare un nuovo patto di governo fino al 2023, con una maggioranza ampia perché non credo che si possa fare una maggioranza Ursula». Comunque Pd, Cinque Stelle e Leu meditano di disertare la quarta votazione, quella in cui non c'è più bisogno della maggioranza dei due terzi, nel caso in cui il leader di Forza Italia insista nella sua candidatura: «Non lo escludo», ammette Letta. Il leader dem comunque non farà nomi nemmeno in Direzione, ma chi ci ha parlato in questi giorni sa che il segretario è sempre dell'idea che «se spuntasse la candidatura di Draghi, il Pd dovrebbe sostenerla e non potrebbe certo mettersi di traverso». Ma in questo caso, «bisognerà trovare una soluzione di governo efficace, perché non ci possiamo permettere un mese di crisi al buio». E il segretario del Partito democratico è convinto che anche Giuseppe Conte, con cui ha un'interlocuzione costante, possa posizionarsi alla fine su Draghi. L'importante, comunque, per Letta è «preservare il presidente del Consiglio e tutelarlo», qualsiasi sia l'incarico che ricoprirà: «In questo momento l'Italia ha una carta fondamentale che si chiama Draghi, se ce la giochiamo, se salta Draghi per un motivo o per l'altro è un disastro per il Paese».
OGGI CONSIGLIO NATO-RUSSIA
Dopo Ginevra, i russi alzano la voce ma dietro le quinte si vuole trattare. Proseguono i colloqui sull'Ucraina tra Washington e Mosca. Paolo Valentino per il Corriere della Sera.
«Il giorno dopo, seguendo un tradizionale copione da Guerra Fredda, Mosca prova l'effetto doccia gelata. «Non vediamo alcuna significativa ragione per essere ottimisti», dice il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, che però definisce i colloqui di Ginevra «aperti, completi e diretti». Ma l'uomo di Putin non mette neppure alcuna ipoteca sul futuro: «Ci sono ancora diversi round di incontri davanti a noi e questo ci permetterà sicuramente di farci un quadro più chiaro di dove siamo con gli americani. Al momento nessuna conclusione è possibile». Peskov si riferisce ai due appuntamenti ancora in agenda: quello odierno a Bruxelles nel Consiglio Nato-Russia, che non si riunisce dal 2019, e quello di venerdì a Vienna, nel quadro dell'Osce, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. «Il lavoro continua, non c'è ragione di preoccuparsi», ha chiosato la sua collega Maria Zakharova, star mediatica del Mid, il ministero degli Esteri russo. Com' è andata veramente, qui sul Lemano? Entrambi i duellanti avevano un obiettivo. Ed entrambi lo hanno raggiunto. Per gli Stati Uniti si trattava di uscire dall'angolo nel quale li avevano costretti le proposte-ultimatum di Putin, a cominciare dalla richiesta di chiudere per sempre le porte della Nato all'Ucraina. Obiettivo raggiunto: Washington ha fissato i paletti di cosa sia negoziabile e cosa no. Di più, fatto non marginale, ha scongiurato ogni rischio di frattura con gli alleati, assenti a Ginevra, dicendo chiaramente che «nulla che riguardi l'Europa potrà essere deciso senza l'Europa». Ma anche Vladimir Putin può reclamare un successo non da poco. La sua diplomazia aggressiva e gonfia di retorica, con corollario di minaccia militare, gli è valsa un posto a tavola. Mai dalla fine della Guerra Fredda, né con Bush padre, né con Clinton, né con Bush figlio e neppure con quell'imprevedibile di Trump, la Russia si è vista riservare tanta uvazhenie , il rispetto che per i russi è bisogno esistenziale. Mai da allora è stata presa così sul serio, in quanto avversario con cui trattare allo stesso livello. Che questo sia conseguenza della volontà americana di non regalare Mosca alla Cina, è poco importante. In fondo, a Ginevra si è visto un embrione di quel negoziato politico che non c'è mai stato tra vincitori e vinti della Guerra Fredda. Stati Uniti e Russia pensano entrambi, sia pure in modo diametralmente opposto, alla sicurezza dell'Europa. Ma i colloqui non sono naufragati, anzi sembrano destinati a proseguire oltre la settimana in corso. Ed è questa la buona notizia. La domanda se Putin accetterà la semplice verità che non si può negare il diritto di un Paese sovrano a scegliere la propria collocazione nel mondo, sia pur negoziando modi e forme, rimane tuttavia senza risposta. Qualcosa però si sta già muovendo. Anche grazie agli europei. Ieri, al termine di un incontro con gli inviati di Berlino e Parigi, il presidente ucraino, Volodymyr Zelenski, ha detto che è tempo di riprendere il cosiddetto «formato Normandia», il negoziato tra Russia, Ucraina, Germania e Francia che ha portato agli accordi di Minsk: «È ora di avere colloqui sostanziali per mettere fine al conflitto e siamo pronti a prendere le decisioni necessarie durante un nuovo vertice dei leader dei nostri quattro Paesi».
LIBIA, MSF CONFERMA LE VIOLENZE SUI MIGRANTI
Libia, Medici senza frontiere conferma le violenze sui migranti “accoltellati e bastonati”. Dopo la retata di domenica notte decine di persone ferite. Nello Scavo per Avvenire.
«Accoltellati, bastonati, trascinati per i capelli, ustionati, bambini strappati ai genitori. La violenza del rastrellamento di migranti a Tripoli è confermata dal team di 'Medici senza frontiere' che è riuscito a entrare nel campo di prigionia di Ain Zara, dove sono state condotte la gran parte delle persone catturate nella notte tra domenica e lunedì. Nelle stesse ore le autorità italiane hanno disposto il "fermo" per la nave umanitaria di Sos Mediterranee e Croce rossa internazionale. «Più di 600 persone, che protestavano pacificamente per ottenere protezione e per chiedere di essere evacuate dalla Libia, sono state arrestate e trasferite nel centro di detenzione di Ain Zara al sud di Tripoli. In questa struttura sono già trattenute centinaia di migranti e rifugiati in celle sovraffollate», ha raccontato Gabriele Ganci, capomissione di Msf in Libia. «Durante la visita settimanale nel centro, dove offriamo cure mediche e supporto psicologico, il team di Msf ha curato persone con ferite da taglio, segni di percosse e persone traumatizzate dagli arresti forzati». Tra loro anche genitori «che sono stati picchiati e separati dai loro figli durante l'evento». In totale i medici hanno curato 68 persone ferite durante l'arresto di massa. Per 7 di loro è stato necessario provvedere a un trasferimento in ospedale, mentre a 190 persone è stato offerto supporto psicologico. Le immagini della retata confermano la ricostruzione. Si vedono decine di uomini in divisa nera raggiungere l'accampamento spontaneo di migranti e trascinarli poi a forza. «Quanto accaduto dimo-stra, ancora una volta, come in Libia tutti i migranti siano soggetti a detenzioni casuali e arbitrarie, perfino chi chiede protezione e trattamenti in linea con il diritto umanitario», afferma Ellen van der Velden, direttore delle operazioni di Medici senza frontiere. «Ancora una volta, chiediamo alle autorità libiche di fermare gli arresti di massa e trovare alternative dignitose alla detenzione. Chiediamo anche all'Ue - è l'appello dell'organizzazione --di fermare ogni supporto al sistema senza fine di detenzione, abusi e violenze in Libia». Negli ultimi due mesi, alle équipe di Msf è stato concesso di raggiungere una volta alla settimana il centro di detenzione a bordo di cliniche mobili. Intanto in Italia dopo più di 11 ore di ispezione è scattato un nuovo fermo amministrativo per la Ocean Viking, la nave di Sos Méditerranée impegnata nella ricerca e soccorso dei migranti nel Mediterraneo. A bordo è presente un team medico della Federazione internazionale della Croce Rossa. La nave, rende noto la stessa Ong, è stata bloccata nel porto di Trapani, per una serie di carenze che sarebbero state rilevate nella parte di poppa, dove ci sono i container per offrire riparo ai naufraghi che dovevano essere registrati in modo diverso. «La certificazione di queste strutture come 'carico' è messa in discussione, ben due anni e mezzo dopo che tali strutture sono state installate in un cantiere professionale e certificate da tutti gli organismi di regolamentazione pertinenti - dice la Ong - 5.108 persone sono state salvate dal pericolo in mare dall'inizio delle operazioni di questa nave, e altrettante hanno trovato riparo e sicurezza all'interno di queste strutture». A bordo della Ocean. Intanto a pochi giorni dalla partenza da Trapani della nave Mare Jonio, è arrivata ai volontari di "Mediterranea" una nuova lettera dalla Santa Sede. L'ha firmata il cardinale Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per lo sviluppo umano integrale. «Il Santo Padre prega per la vostra missione, anche noi preghiamo per lui come sempre ci chiede. Insieme ai miei più sinceri auguri di un Santo Natale, estendo quelli di Papa Francesco a tutta la Mediterranea Saving Humans e a quanti insieme a voi collaborano alla missione di creazione di un mondo in cui possiamo davvero essere fratelli e sorelle tutti», si legge. In occasione del compleanno del pontefice era giunta al pontefice una lettera di don Mattia Ferrari, cappellano della piattaforma umanitaria. Pochi giorni dopo è giunta la risposta ufficiale da Czerny. «A nome del nostro Papa Francesco, vi ringrazio tanto per la vostra lettera del 13 dicembre e per le vostre notizie ». Dopo molti mesi «in cui siete dovuti stare fermi, vi ringrazio - ha scritto il cardinale - anche del vostro coraggio di ripartire con la Mare Jonio, per riprendere la missione in mare insieme alle altre organizzazioni della " civil fleet". Continuo a pregare per voi, come anche Papa Francesco vedete che continua a chiedere nei suoi interventi pubblici che si aprano vie legali e sicure di accesso alla protezione internazionale». Per il porporato «occorrere i nostri fratelli e sorelle migranti è il più alto servizio che potete offrire. Vi accompagniamo nelle vostre "spine", le critiche e le calunnie». Da qui un incoraggiamento: «Voi avete sperimentato in mezzo al mare che la fraternità universale può essere risanata con l'amore».
HONDURAS, OMICIDIO DI UN ATTIVISTA
Omicidio in Honduras. Un attivista è stato assassinato mentre andava in chiesa. Lucia Capuzzi per Avvenire.
«È stato ucciso con una raffica di proiettili alla schiena mentre si recava in chiesa per la celebrazione della Parola, di cui era ministro. È morto così a San Marcos Caiquín, nel dipartimento di Lempira, in Honduras, domenica sera, Pablo Isabel Hernández, leader indigeno del popolo Lenca, giornalista e attivista per i diritti umani. Era impegnato da sempre nella difesa della terra e della sua comunità, proprio come la premio Goldman Berta Cáceres, assassinata nel marzo 2016, anche lei della stessa etnia. Negli ultimi tempi, stava lavorando alla creazione di un'università per i nativi della sua zona. Come direttore della radio comunitaria Tenán, denunciava gli abusi delle autorità e non risparmiava critiche all'amministrazione locale. Hernández, in numerose, occasioni aveva segnalato minacce nei propri confronti. Nel febbraio 2021, l'emittente aveva subito un sabotaggio. Un mese dopo, aveva presentato l'ultima denuncia alle autorità. Il delitto è stato duramente condannato dalla Rete Iglesia y minería della Chiesa che ha rivolto un forte appello perché sia fatta giustizia. E ha chiesto alla neo-eletta presidentessa Xiomara Castro di attuare una serie di riforme per diminuire la violenza. Secondo Global Witness, l'Honduras è il Paese più pericoloso al mondo per i difensori dell'ambiente: dal 2010, ne sono stati assassinati 120. Solo l'anno scorso, ha rivelato Iglesia y minería, sono state registrate 208 aggressioni e dieci vittime. La quasi totalità degli omicidi è rimasta impunita».
DUBLINO, IL PUB SENZA GRANDI SPERANZE
Speculazione immobiliare a Dublino per uno storico bar, culla della musica celtica.
«Negli scorsi mesi a Dublino un contenzioso legale ha riguardato le sorti di uno dei simboli musicali della città: il pub Cobblestone nel quartiere Smithfield, sulla sponda nord del Liffey, a pochi passi dal centro della città. Il Cobblestone è uno dei pub (abbreviazione di public house) storici della capitale irlandese interamente dedicato alla musica tradizionale celtica. All'interno del locale si tengono sessioni di musica celtica, le cosiddette trad sessions, ogni giorno della settimana. Si tratta di esecuzioni di brani di repertorio tradizionale, solitamente eseguiti su violini, flauti, uillean pipes, chitarre, e talvolta cantati. È caratteristica delle sessioni di musica celtica l'assenza di palcoscenico (i suonatori si trovano di solito in un angolo del pub), che contribuisce a creare uno spazio comune tra musicisti e ascoltatori, e favorisce la partecipazione amatoriale di chiunque voglia quasi "fagocitare". A parte le critiche che sono state mosse a un simile colosso, che risulterebbe, a detta di molti, poco integrato nel quartiere in questione, il piano di costruzione ingloberebbe di fatto l'area retrostante del pub, uno spazio adibito a prove musicale, lezioni di musica e di canto. Tale progetto metterebbe a repentaglio il ruolo di centro di aggregazione sociale e di riferimento musicale svolto dal pub all'interno del quartiere e nella città di Dublino. Un episodio del genere è perfettamente in linea con il modello neoliberista di sviluppo urbano: la costruzione di un hotel di lusso in un'area molto centrale di Dublino rappresenta un investimento sicuro, che "riqualificherebbe" la zona in questione e contribuirebbe all'aumento del valore degli immobili in tutta l'area. A finanziare simili investimenti immobiliari sono spesso fondi internazionali alla ricerca di rendimenti sicuri. A farne le spese in termini di gentrificazione, depauperamento cultuaccompagnare la resident band con il proprio strumento. Qualsiasi guida turistica della città di Dublino segnala immancabilmente il Cobblestone come uno dei migliori (se non il miglior) pub della città per la musica tradizionale. Non sorprende perciò che recenti intimidazioni al futuro del pub abbiano generato un'ondata di proteste popolari. La principale minaccia è rappresentata dai piani immobiliari del costruttore Marron Estates: l'impresa edile intende costruire un hotel a 114 camere su nove piani che finirebbe per sovrastare, avvolgere, e rale, e omogeneizzazione del panorama urbano, sono spesso invece gli abitanti dell'area interessata. Poco prima di Natale era stato accolto con giubilo il rifiuto del piano di costruzione dell'hotel da parte del comune di Dublino. Tale risoluzione era stata preceduta da numerose proteste popolari patrocinate da cantanti e musicisti locali, che avevano portato centinaia di persone in strada a manifestare per la salvaguardia dello storico pub. Una petizione contro il progetto immobiliare aveva raccolto 25.000 firme. Tuttavia, Marron Estates ha appena fatto appello perché la decisione del comune di Dublino venga riconsiderata; occorrerà seguire gli sviluppi della questione legale nel corso del nuovo anno (la decisione è attesa ad Aprile 2022). Le proteste contro il progetto immobiliare in oggetto erano state motivate non solo dal radicamento del pub nella città e dalla sua simbolicità, ma anche dal contesto generale rappresentato dalla crisi immobiliare in cui imperversa ormai da anni la capitale irlandese».
IL PAPA E LA CANCEL CULTURE
Antonio Polito sul Corriere della Sera analizza gli ultimi discorsi del Papa contro il pensiero unico e la cancel culture.
«I più recenti discorsi di papa Francesco smentiscono ulteriormente, se mai ce ne fosse stato bisogno, le accuse di chi lo vorrebbe «cripto-comunista», o «globalista», se non addirittura propenso al relativismo culturale. E forse per questo sono passati per lo più sotto silenzio. «L'inverno demografico - ha detto per esempio all'Angelus il giorno di Santo Stefano - è contro le nostre famiglie, contro la Patria, contro il futuro»; dove quel riferimento alla Patria contesta l'illusione della accoglienza indiscriminata, e l'idea in fondo un po' razzista che immagina di poter usare la manodopera di un popolo in migrazione, quello africano, per risolvere i problemi di un popolo in declino demografico, quello italiano, in una sorta di nuova «società servile». Ma ancor più significativo è stato il durissimo attacco che il Pontefice ha mosso, davanti ai membri del corpo diplomatico in Vaticano, contro la cosiddetta «cancel culture», che negli Stati Uniti e nell'anglosfera dilaga come presunto strumento di affermazione dei diritti delle minoranze, bollata dall'Economist in quanto arma della «illiberal left». Il punto critico per Francesco è che quest' ansia di abbattere statue e monumenti, ostracizzare classici della letteratura e del teatro, censurare autori e registi, «rinnega il passato» nel nome di un «bene supremo indistinto e politicamente corretto». Un falso idolo, insomma, si potrebbe chiosare; con il rischio di una «colonizzazione ideologica che non lascia spazio alla libertà di espressione». F rancesco vede insomma un problema liberale che sembra sfuggire a molti liberal: e cioè che «si va elaborando un pensiero unico, pericoloso, costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l'ermeneutica dell'epoca, non l'ermeneutica di oggi». A qualcuno potrebbe apparire singolare questa concezione «storicistica» nel capo di una Chiesa che crede alla Provvidenza; ma da molto tempo il cattolicesimo ha fondato sul «libero arbitrio» la capacità dell'uomo di intervenire nella vicenda terrena, presupposto e spiegazione della diversità delle culture e delle epoche. La Provvidenza non cancella, al massimo converte. Il cristianesimo è così intimamente partecipe della «lunga durata» della storia in Europa, e delle sue innumerevoli contraddizioni e colpe, da aver imparato ad apprezzare i cambiamenti di significato che le azioni umane possono assumere attraverso i secoli. La rigidità della «cancel culture», non a caso nata invece in un mondo caratterizzato da una prospettiva storica molto più «corta», la cui data d'inizio è la scoperta di Colombo, probabilmente contesterebbe qui da noi anche il Colosseo, in fin dei conti un simbolo della crudeltà del mondo romano nei confronti dei «diversi», schiavi o cristiani che fossero. Ma la Chiesa ha invece «assorbito» quel monumento così fatale trasformandolo nel '600 in un luogo di culto e tempio, e nel '700 consacrando l'arena e proibendone la profanazione, al punto che ancora oggi essa è la destinazione finale della Via Crucis del Papa il Venerdì Santo. Qualche voce laica contro la «cancel culture», seppure con estrema prudenza visti i tratti da nuovo «maccartismo» che spesso assume, comincia a sollevarsi. Noam Chomsky, che pure è un radicale di sinistra come altri non ce n'è, ha dichiarato alla nostra Marilisa Palumbo sul 7 del Corriere che essa «è sbagliata come principio e suicida dal punto di vista tattico: è un regalo alla destra». La New York Review of Books , ha notato sempre sul Corriere Giovanni Berardinelli, ha criticato il libro di uno storico secondo il quale la stessa indipendenza americana sarebbe stata voluta nel 1776 per difendere il regime schiavista, e quindi anch' essa andrebbe ripudiata come una «libertà bianca», di conseguenza razzista. Nel 2020 è apparso un manifesto di centinaia di intellettuali contro la «cancel culture» che spesso, insieme con le idee o le statue, tenta di «cancellare» anche le persone, attraverso il linciaggio sui social e vere e proprie campagne virali di boicottaggio, appiccicando loro l'etichetta di misogino, omofobo, o transfobico, come è successo a Woody Allen, a Kevin Spacey, a J. K. Rowling. Naturalmente la «cancel culture» non è il male del nostro tempo, ma ne è una significativa manifestazione. È in ogni caso un pericolo per la libertà ben più serio di una campagna vaccinale o del green pass. E sorprende che in Italia debba essere il Papa ad accorgersene, nel sostanziale silenzio di tanti intellettuali laici e progressisti».
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