La Versione di Banfi

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"Naufragio di civiltà"

alessandrobanfi.substack.com

"Naufragio di civiltà"

Duro atto d'accusa all'Europa di Papa Francesco, in visita al campo profughi di Lesbo. Da oggi scatta il Super Green pass. Corsa al Colle: Conte entra fra gli elettori? Tensione Usa-Cina su Taiwan

Alessandro Banfi
Dec 6, 2021
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"Naufragio di civiltà"

alessandrobanfi.substack.com

Da oggi scatta il Super Green pass. Il Viminale ieri ha pubblicato le cosiddette FAQ, domande e risposte che chiariscono le nuove norme. Il rebus di stamattina, già dalle prime ore, riguarda i controlli soprattutto sui trasporti pubblici. In particolare per i ragazzi, che sono meno vaccinati, e che non hanno avuto finora grandi obblighi di Green pass. Scatterà solo dal 15 dicembre invece l’obbligo vaccinale per personale scolastico, sanitario e delle forze dell’ordine. Il Quotidiano Nazionale pubblica una serie di foto di tifosi allo stadio e di folle nelle vie dello shopping tutti senza mascherina, nessun controllo per loro nella domenica pre natalizia. Una cosa è certa però: anche le nuove norme hanno spinto molta gente a vaccinarsi, riaccendendo i numeri della campagna di Figliuolo oltre ogni previsione. Ieri, che era domenica, 303 mila 999 nuove somministrazioni. Fra di loro anche tante prime dosi.

Il Papa ha visitato il campo profughi di Lesbo in Grecia. È stata l’occasione per un discorso importante sui migranti rivolto all’Occidente. “Fermiamo questo naufragio di civiltà” ha detto rivolto soprattutto ai responsabili dell’Europa. In assenza di Avvenire, Il Fatto stamattina pubblica gran parte del suo drammatico intervento. Sulla Stampa Francesca Sforza disegna la nuova mappa dei tanti campi profughi al confine della Fortezza Europa. Le “altre Lesbo” della vergogna: “È qui, su queste porzioni di terra dimenticata che Francesco ha indicato il luogo del naufragio della civiltà”.

La corsa al Quirinale. Due novità importanti oggi: Letta vuole candidare Conte alle suppletive del seggio lasciato libero dal neo sindaco Gualtieri. In questo modo il capo dei 5 Stelle potrebbe entrare in Parlamento fra gli elettori del nuovo capo dello Stato, guidando i suoi. Sempre il segretario del Pd smentisce le notizie comparse ieri: dice che non ha ancora scelto per il Colle. E noi gli crediamo.  

Dall’estero: tensione fra Usa e Cina per Taiwan, alla vigilia della videoconferenza Biden-Putin, che dovrebbe disinnescare la polveriera dell’Ucraina. Il Pentagono ha molti fronti aperti. In Francia primo comizio del populista Zemmour che deve battere nella corsa alle presidenziali la candidata Valérie Pécresse appena lanciata dai gollisti.

È sempre disponibile un episodio da non perdere nel mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it, grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. È intitolato: LA CITTÀ TORNA MIA. Racconta la storia di Rebecca Spitzmiller, un’americana diventata italiana e romana al 100 per cento, che ha creato dal nulla un’associazione oggi diffusa in tutta Italia. Si chiama Retake ed è un’esperienza di recupero della città dal degrado e dalla sporcizia. Lei, Rebecca, ha cominciato dal muro del suo palazzo a Roma. E ora l'associazione può contare sull'aiuto di diverse persone nelle principali città italiane. Nell'ottobre di sette anni fa ha fondato Retake insieme ad altri. Da allora offre la possibilità di diventare volontari del bello e insieme responsabili del proprio ambiente. Cercate questa cover…

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Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Nuove norme anti Covid in vigore da oggi. Ecco il Corriere della Sera, che elenca: Green pass, tutte le misure. Il Fatto è critico: SuperPass, il buco degli hotel. Regioni in ritirata sui controlli. Ma è quasi un coro di scetticismo. Il Giornale nota: Allarme del Viminale: difficile fare i controlli. Il Quotidiano Nazionale concorda: Super Green Pass, è già caos controlli. Il Messaggero: Trasporti, il nodo delle multe. La Verità  concentra oggi le sue critiche sugli hotel: Un altro giro di apartheid manda il turismo a picco. La Stampa resta sul tema pandemia ma sottolinea la dichiarazione dell’esperto Guido Rasi: “Covid più severo con i bambini”. Essendo lunedì, molte aperture anche sull’economia. La Repubblica anticipa una decisione della Commissione di Bruxelles prevista per mercoledì che potrebbe impegnare gli Stati membri: La svolta europea sui rider: «Devono essere assunti». Libero nota che l’inflazione fa salire anche l’assegno di previdenza: Miracolo, aumentano le pensioni. Il Sole 24 Ore ha buone notizie dal versante fisco: Così Irpef più leggera per i pensionati. Mentre sul Mattino il Ministro Giovannini rassicura sui grandi lavori per il Sud: «Pnrr, le opere non slittano». Sulla corsa al Quirinale, l’unico titolo è del Domani che mette a tema i desideri del Ministro della cultura: L’ultima ambizione di Dario Franceschini.  Considerazione sconfortante: non essendoci in edicola né Manifesto né Avvenire, nessun giornale oggi fa il titolo di apertura sul viaggio del Papa al campo profughi di Lesbo.

IL PRIMO GIORNO CON IL SUPER GREEN PASS

Primo giorno con le nuove norme anti Covid, ecco che cosa cambia da oggi. Tutte le regole su Green pass normale e rafforzato messe in fila da Guerzoni e Sarzanini per il Corriere della Sera.

«Debutta oggi il decreto del super green pass, che sarà in vigore fino al 15 gennaio e punta a rendere più sicure - senza lockdown - le vacanze del secondo Natale con il Covid. La filosofia del presidente del Consiglio Mario Draghi è mantenere aperte tutte le attività anche se i dati dovessero peggiorare, ma impedire ai non vaccinati di frequentare i luoghi dove il rischio è maggiore. Non tutti i nodi però sono sciolti. Il più intricato riguarda i ragazzi sopra i 12 anni che per salire su autobus e metropolitane, magari per andare a scuola, devono avere almeno un tampone negativo. Palazzo Chigi ha messo nero su bianco le faq con le risposte ai dubbi degli italiani e la soluzione del rebus ancora non c'è: nella tabella delle attività consentite la prima voce è il trasporto pubblico e per chi non ha il green pass ci sono tre «no», in zona bianca, gialla e arancione, senza distinzione di età. Si parla di una possibile deroga per i ragazzi fino all'inizio delle vacanze e di tamponi gratis, ma nulla è deciso. E dal 15 dicembre scatta il vaccino obbligatorio per il personale della scuola, le forze dell'ordine, i militari e i lavoratori esterni delle Rsa.

Tre livelli Nello schema di permessi e divieti pubblicato sul sito del governo i cittadini sono divisi in tre fasce. Chi non ha il green pass, perché non vaccinato e perché non fa il tampone. Chi possiede il certificato base, che si ottiene con la prima dose di vaccino, con la guarigione dal Covid (scaduta dopo i sei mesi) e con un tampone negativo, che dura 48 ore per l'antigenico e 72 per il molecolare. Il terzo livello è quello di chi può fare tutto perché ha il green pass rafforzato. Lo ottiene chi è vaccinato con doppia dose da meno di nove mesi e chi è guarito da non più di sei.

Bar e ristoranti In zona bianca e gialla il caffè al bar è consentito a tutti. Ma in arancione chi non è immunizzato o possiede il green pass base non potrà prendere il caffè al bancone, cosa invece permessa con il super certificato. In zona arancione chi non ha il rafforzato non può sedersi ai tavoli di bar e ristoranti, neppure all'aperto.

Il lavoro Per i lavoratori del settore pubblico e privato - tranne quelli che hanno l'obbligo vaccinale - serve almeno il pass base e la stessa regola vale per le mense, in tutte le zone di rischio.

Autobus e metro Senza green pass si può prendere il taxi, ma non si può salire su autobus, metropolitane e treni regionali.

Ragazzi over 12 Per risolvere il problema degli studenti, cui è richiesto il green bass per bus e treni regionali, ci sono diverse ipotesi, tra cui i tamponi gratis: almeno per i 15 giorni che decorrono tra prima dose di vaccino e rilascio del certificato.

Spostamenti Con la propria auto ci si può spostare liberamente, anche se non si è vaccinati, nelle regioni bianche e gialle, mentre in quelle arancioni se non si ha il green pass ci si può muovere verso altri comuni o verso altre regioni «solo per necessità, salute o per servizi non sospesi ma non disponibili nel proprio comune».

Deroga piccoli comuni Torna la deroga in zona arancione per chi vive in comuni «di massimo 5.000 abitanti». Anche i no vax possono spostarsi «verso altri comuni entro i 30 chilometri eccetto il capoluogo di provincia».

Piste da sci aperte Le piste da sci resteranno aperte anche per le feste di Natale e Capodanno, tranne che in eventuali zone rosse. In zona bianca, gialla e arancione senza green pass non si sale su funivie, seggiovie e cabinovie coperte, mentre in zona bianca e gialla si possono prendere skilift e seggiovie aperte, che in arancione sono permesse solo a chi ha il pass rafforzato.

Centri commerciali Senza super green pass non si può andare al centro commerciale nei fine settimana in zona arancione, se non per entrare in negozi alimentari, edicole, farmacie, librerie e tabacchi.

Cinema e teatri Solo vaccinati o guariti, in tutte le zone di rischio, possono frequentare cinema, teatri, sale da concerto.

Musei, stadi, discoteche Per musei e mostre in zona bianca e gialla bisogna avere il pass base, che però in zona arancione non basta. Stadi e palazzetti sono chiusi sempre a chi non è vaccinato o ha solo il tampone. E in tutte le discoteche si entra solo col rafforzato.

Feste e nozze Tutte le feste «conseguenti a cerimonie civili e religiose» sono vietate ai non vaccinati sempre e permesse a chi ha il green pass base, ma in zona arancione si entra solo col super. Tutti gli altri tipi di feste in tutte le zone sono permessi solo col rafforzato. I centri benessere al chiuso sono vietati sempre senza green pass e, in zona arancione, anche a chi ha il certificato da tampone. Idem per i parchi di divertimento e per i centri culturali al chiuso.

Alberghi Green pass obbligatorio anche negli alberghi. In zona bianca, gialla e arancione chi non è vaccinato o guarito dal coronavirus non può entrare, serve almeno il lasciapassare base. E con il solo tampone negativo è anche vietato frequentare il ristorante al chiuso dell'hotel che non sia riservato in via esclusiva ai clienti della struttura».

I lettori della Versione ne sono stati informati per tempo. C’è stato, negli ultimi giorni, un boom delle vaccinazioni. “Una cambiamento dei comportamenti”. La cronaca di Fabio Savelli sul Corriere della Sera.

«Sta andando meglio degli obiettivi fissati dalla struttura commissariale. Significa che i target comunicati alle Regioni in questi giorni di dicembre dallo staff di Francesco Figliuolo erano troppo prudenziali. Quello che sta succedendo è un cambiamento dei comportamenti innescati da una psicologia collettiva che porta ad un'inaspettata - almeno in queste proporzioni - corsa alle terze dosi, visto l'aumento dei contagi dettati da un indice di trasmissibilità sopra la soglia epidemica. Assistiamo dunque a un divario medio di quasi 80 mila somministrazioni al giorno tra le ambizioni del governo e la realtà. Un dato trascinato dagli studi sulla discesa della copertura vaccinale dopo cinque mesi dalla seconda dose e da una rinnovata apprensione per la crescita delle ospedalizzazioni, anche se in minima parte di vaccinati. Tra il primo e il 3 dicembre l'obiettivo era di 400 mila punture al giorno. E invece il primo del mese ne sono state fatte 454.567, il 2 dicembre 480.126, il 3 dicembre 501.136, comprendendo anche le seconde dosi. Sabato 4 dicembre l'asticella era fissata a 350 mila e la macchina delle Regioni ha raggiunto quota 442.824. Ieri dovevano esserne fatte 300 mila, le proiezioni che arrivano da gran parte delle regioni - in testa Veneto, Lazio e Lombardia - registrano un superamento nonostante il giorno festivo. L'effetto è determinato da un boom delle dosi booster oltre a una crescita delle prime dosi che segnala quanti stiano aderendo alla campagna nonostante le diffidenze».

IL REBUS CONTROLLI, IERI FOLLA SENZA MASCHERINE

Il virus corre, ma pochi hanno la mascherina. Il Quotidiano Nazionale pubblica una serie di istantanee della giornata di ieri: negli stadi e nelle vie dello shopping tantissime le persone senza i dispositivi di protezione. Perché i controlli non ci sono? Giulia Prosperetti.

«Nuove norme ma controlli (troppo) spesso inesistenti. Entra in vigore da oggi il cosiddetto Super Green pass, ma già le regole attualmente introdotte per contenere la quarta ondata di contagi appaiono ampiamente disattese. L'esempio più eclatante - come denunciato ieri dal QN - è rappresentato dagli stadi. Sabato scorso tra gli oltre 50mila spettatori assembrati sugli spalti dell'Olimpico per Roma-Inter non si vedevano mascherine. Scene simili si sono ripetute anche ieri a Torino, in occasione di Juve-Genoa, o al Dall'Ara di Bologna, teatro del match con la Fiorentina e, in generale, nella totalità delle partite di serie A recentemente disputate. Se la condizione per l'aumento dal 50% al 75% per le competizioni sportive negli impianti all'aperto stabilito dal governo con il decreto 'Capienze' dell'8 ottobre 2021 doveva essere il rigido rispetto delle regole, la missione si può dire fallita. Non è andata meglio con la stretta scattata nel fine settimana in diverse città in vista delle festività natalizie. Da Milano a Roma, passando per Torino, Venezia, Genova, Firenze e Cagliari, sempre più sindaci hanno deciso di seguire l'esempio di Bologna introducendo l'obbligo della mascherina all'aperto anche in zona bianca. Una misura non prevista dal governo ma che a livello comunale è stata ritenuta necessaria per far fronte alla grande affluenza di persone che, a partire dal primo weekend di dicembre, hanno affollato centri storici, mercatini, e vie dello shopping a caccia di regali di Natale. Tuttavia, nella giungla di ordinanze comunali che prevedono per i trasgressori multe da 400 a euro 3mila euro (con la possibilità di una riduzione del 30% se la sanzione amministrativa viene pagata entro 5 giorni), le nuove regole non sembrano, ad oggi, avere avuto un impatto. Nonostante l'annunciato incremento dei controlli in molti hanno disatteso l'obbligo. Nella Capitale, dove il neo sindaco Roberto Gualtieri dal 4 dicembre ha introdotto l'obbligo di passeggiare con naso e bocca regolarmente coperti in 22 strade, dal Tridente al quartiere 'Africano', la misura non ha sortito l'effetto sperato. Molte mascherine sul mento, al polso o in tasca, pronte a essere indossate al momento opportuno, o, in diversi casi, la totale ignoranza sul nuovo obbligo e sulle zone in cui è presente, e solo 2 sanzioni elevate ieri per le violazioni previste dalla normativa».

Tetragono avversario delle misure anti Covid resta Maurizio Belpietro che dedica anche oggi il suo editoriale sulla Verità alle critiche verso il Super Green Pass.  

«Nonostante il concorso indetto dal ministro Lamorgese per premiare i funzionari governativi che multano più no pass, è assai facile immaginare che i controlli siano limitati, a meno che si lasci liberi i delinquenti di delinquere per inseguire i non vaccinati (come è successo, causa carenza di agenti, sulla linea Varese-Milano: l'altro ieri due ragazze sono state violentate). E secondo, perché fermare un treno o un autobus per far scendere le persone sprovviste di green pass non sarà cosa facile, come non sarà una passeggiata rimborsare coloro che, prima dell'obbligo del certificato vaccinale, hanno sottoscritto un abbonamento per viaggiare tutto l'anno e dunque rivendicheranno il danno subito. Con l'avvicinarsi dell'ora X, qualcuno tuttavia pare aver cominciato a chiedersi che cosa accadrà e se non si sia sbagliato qualcosa. Prova ne sia che il governatore del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza Stato-Regioni, Massimiliano Fedriga, ha suggerito al governo di far slittare il super green pass di almeno un mese, per dare tempo a lavoratori e studenti di prenotare la puntura, ma da Palazzo Chigi hanno risposto picche. Ieri il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, ha aperto la porta a un ravvedimento operoso, lasciando intendere che si potrebbe acconsentire a un test gratis agli studenti, ma la disponibilità si limiterebbe ai ragazzi che abbiano ricevuto almeno la prima dose. Dunque, se non interverranno fatti nuovi, da oggi decine di migliaia di giovani rischiano di restare a piedi, a meno che non decidano di correre il pericolo di una multa e una denuncia salendo ugualmente su un mezzo pubblico.Il problema dei trasporti però non è la sola conseguenza del decreto che ha introdotto nei fatti un obbligo vaccinale. Il provvedimento riguarda infatti anche alberghi e ristoranti. Fino a ieri, ai minorenni non era richiesto alcun green pass, ma ora per soggiornare o mangiare in un locale, anche gli adolescenti ne devono essere in possesso, per lo meno di quello con tampone. Così, le famiglie che avevano deciso di aspettare prima di inoculare i figli, oggi si trovano a fare i conti con il divieto o con un test quotidiano. Spesso di tratta di nuclei con i genitori vaccinati e con i minori che non lo sono, perché fino a ieri in ristoranti e alberghi era consentito l'accesso. Ma ora, con il nuovo provvedimento, anche i ragazzi sono tenuti a esibire il certificato verde, sia sui mezzi che nei locali al chiuso, altrimenti devono restare fuori. Risultato, in vista delle festività natalizie, in alberghi e ristoranti stanno fioccando le disdette, perché non tutti riescono a prenotare per tempo la vaccinazione e le famiglie non si possono spaccare in due, cioè con papà e mamma in albergo e ristorante e i figli a casa senza cena. Non solo: visto che il green pass è necessario pure per prendere gli impianti di risalita, gli sciatori giornalieri sprovvisti del certificato sono costretti a restarsene a casa, con conseguente danno per una categoria, quella degli operatori turistici della montagna, che già lo scorso anno ha pagato duramente, costretta a chiudere pochi giorni prima della stagione, dopo aver fatto gli investimenti per sanificare le strutture ricettive. Ci si poteva pensare prima? Questo è ovvio. Ma se l'autorità sanitaria non è in grado nemmeno di pianificare terze e quarte dosi e di garantire le prenotazioni, difficilmente può assicurare indicazioni chiare sul resto. Certo che, se la vacanza diventa uno slalom tra i divieti, è meglio restare a casa».

IL VIAGGIO DEL PAPA: “NAUFRAGIO DI CIVILTÀ”

Tappa storica di Francesco nel suo viaggio in Grecia. Visita i rifugiati del campo profughi di Lesbo, rimesso a nuovo per il suo arrivo e dice, rivolgendosi all’Europa: "Fermiamo questo naufragio di civiltà". La cronaca di Paolo Rodari per Repubblica.

«Poco tempo fa tutto era diverso. I bambini giocavano nel fango, fra cumuli di spazzatura. Intorno un odore acre di fogna. C'erano pochi container, la maggior parte dei richiedenti asilo abitava in luride tende. Quando arrivava il maestrale molte di queste volavano via. Soltanto un mese fa ne sono state messe a disposizione di nuove. La corrente elettrica mancava in alcune parti del campo. Ovunque c'erano freddo e rassegnazione. Poi l'annuncio della visita di Papa Francesco. E il «Reception and Identification Centre» di Mytilene - il campo di Mavrovouni a Lesbo che ha sostituito quello di Moria, poco distante, distrutto da un incendio nel settembre 2020 - come per magia viene tirato a lucido. Fra lo stupore degli ospiti le autorità si danno da fare. Ma tutti sanno che probabilmente non durerà a lungo. E lo sa anche Francesco. Arrivato ieri mattina a bordo di una utilitaria bianca dopo un volo da Atene dice: «Cinque anni sono passati dalla visita compiuta qui con i cari Fratelli Bartolomeo e Ieronymos », ma «dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria poco è cambiato». Il fatto che nulla sia cambiato avrebbero voluto raccontarlo al Papa direttamente gli stessi richiedenti asilo. «Purtroppo non è stato loro concesso», spiega Elona Aliko, 36 anni, italo-albanese, oggi volontaria a Lesbo per Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace dell'associazione comunità Papa Giovanni XXIII. Che continua: «Hanno potuto soltanto salutare Francesco velocemente, sorridergli e nulla più». Appena scende dalla macchina il Papa viene fatto entrare in un tendone bianco. Lo seguono soltanto alcuni rifugiati mentre più lontano, fra i container, i bambini continuano a correre come se nulla fosse, fra panni stesi ad asciugare, bidoni dell'acqua e gatti affamati. Il mare, limpidissimo, è a pochi passi. Nessuno vi è attratto. In quelle acque centinaia di persone hanno perso la vita. «Il mare sta diventando un freddo cimitero senza lapidi», dice Francesco guardando negli occhi i pochi rifugiati seduti innanzi a lui. E ancora: «Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro». Secondo l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, a Lesbo ci sono 2.487 rifugiati e richiedenti asilo. In 2.144 vivono a Mavrovouni. La maggior parte è giunta dall'Afghanistan. Altri dalla Somalia e dalla Repubblica democratica del Congo. I bambini sono il 27 per cento, tre su quattro hanno meno di dodici anni, l'8 per cento è qui da solo. Tre di loro sono seduti ai bordi del mare. Guardano verso la Turchia, sulle coste nelle quali nel 2015 venne depositato il corpo senza vita di Alan Kurdi: «Troviamo il coraggio di vergognarci davanti ai volti dei bambini», dice Francesco. Che poi insiste con un appello non nuovo nel suo pontificato: «Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà». Quattro ragazzi afghani seguono il discorso del Papa da uno degli ultimi container, in fondo al campo. Sorridono e dicono: «Non ci dimenticate. È dura dover restare qui. Usciamo soltanto raramente quando ci concedono il permesso di poterlo fare». Racconta Elona Aliko: «Una volta alla settimana accogliamo fuori dal campo coloro che hanno il permesso di uscire. Li aiutiamo nelle loro necessità. Quando serve li accompagniamo in ospedale perché capita che senza di noi non ricevano le cure a cui hanno diritto. Poi non rientriamo nel campo insieme a loro. Siamo contro i campi chiusi». Così anche il Papa: «Non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza». Ed «è triste sentir proporre, come soluzioni, l'impiego di fondi comuni per costruire muri, fili spinati. Siamo nell'epoca dei muri, dei fili spinati». Come a Lampedusa nel 2013, la visita del Papa a Lesbo assume toni quasi penitenziali. Una citazione è per lo scrittore di origini ebraiche Elie Wiesel, testimone della Shoah, che il 10 dicembre 1986, nel discorso di accettazione del Premio Nobel per la pace, disse: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti». Chiede il Papa che sia superata «la paralisi della paura, l'indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini!». Alza per qualche minuto lo sguardo, poi lo riabbassa e domanda: «Perché non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? ». «Vanno affrontate le cause remote», insiste. «Occorrono azioni concertate».

In assenza dell’Avvenire dalle edicole, è il Fatto di Marco Travaglio stamattina a pubblicare gran parte del discorso pronunciato da papa Francesco a Lesbo sui migranti. Eccolo.

«Sorelle, fratelli, sono nuovamente qui per incontrarvi. Sono qui per dirvi che vi sono vicino, e dirlo col cuore. Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime. (…) Sì, è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti. La pandemia ci ha colpiti globalmente, ci ha fatti sentire tutti sulla stessa barca, ci ha fatto provare che cosa significa avere le stesse paure. Abbiamo capito che le grandi questioni vanno affrontate insieme, perché al mondo d'oggi le soluzioni frammentate sono inadeguate. Ma mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici, tutto sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni. Eppure ci sono in gioco persone, vite umane! C'è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l'avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi - la storia lo insegna - portano a conseguenze disastrose. (…) È un'illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro. La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi! Prego Dio di ridestarci dalla dimenticanza per chi soffre, di scuoterci dall'individualismo che esclude, di svegliare i cuori sordi ai bisogni del prossimo. E prego anche l'uomo, ogni uomo: superiamo la paralisi della paura, l'indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini! Contrastiamo alla radice il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa. (…) È triste sentir proporre, come soluzioni, l'impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Siamo nell'epoca dei muri e dei fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza. È invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. (…) In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. Piuttosto che parteggiare sulle idee, può essere d'aiuto partire dalla realtà: fermarsi, dilatare lo sguardo, immergerlo nei problemi della maggioranza dell'umanità, di tante popolazioni vittime di emergenze umanitarie che non hanno creato ma soltanto subito, spesso dopo lunghe storie di sfruttamento ancora in corso. È facile trascinare l'opinione pubblica istillando la paura dell'altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? Perché non si parla di questo? Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi (…). Se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: "Quale mondo volete darci?" Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d'acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo "mare dei ricordi" si trasformi nel "mare della dimenticanza". Fratelli e sorelle, vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà! (…) E invece si offende Dio, disprezzando l'uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell'indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede invece compassione e misericordia - non dimentichiamo che questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza -. La fede esorta all'ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37) e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo (cfr vv. 31-46). Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. (…) Preghiamo la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli. Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E amare teneramente».

Gian Micalessin scrive un editoriale del Giornale, testata solitamente poco sensibile alla crisi umanitaria dei migranti, in cui si dà ragione al Papa sugli errori della politica europea:

«È vero, a volte le parole di Francesco sui migranti sono sembrate troppo ruvide o troppo allineate con quelle di chi difende un'accoglienza indiscriminata. A Lesbo, però, il suo affondo sul «naufragio della civiltà europea» non poteva essere più giustificato. Molti dei migranti prigionieri di quell'isola arrivano da Afghanistan, Somalia e Congo. Paesi dove al comune denominatore della guerra s' aggiunge la violenza jihadista o quella tribale. Lì non approdano i turisti da barcone arrivati sulle coste italiane con animali domestici al guinzaglio. Lì si fugge da guerre e persecuzioni che garantiscono l'accoglienza riconosciuta dalla Convenzione di Ginevra. Ma Bruxelles preferisce scaricare sulla Grecia la detenzione di quell'umanità disperata. E allora fa bene Papa Francesco a sferzare l'Europa, ingiungendole di vergognarsi «davanti ai volti dei bambini». Dietro all'indecenza di quei campi c'è la mancata riforma di un Trattato di Dublino diventato la miglior legittimazione dell'egoismo europeo. Bloccando irregolari e richiedenti asilo nelle nazioni di primo arrivo - quindi nei Paesi rivieraschi come Grecia, Italia e Spagna - ed escludendo meccanismi di ripartizione o rimpatrio quel trattato legittima gli obbrobri di Lesbo e trasforma donne, uomini e bambini in carcerati senza processo. Grazie a quei campi l'Europa può fingere di non sapere. O mostrarsi candidamente stupita quando il traffico d'uomini fiorisce fin dentro i suoi confini, trasferendo naufragi e stragi dal Mediterraneo alla Manica. Ma l'inerzia di un'Europa incapace di operare nei Paesi d'origine dei migranti e garantire corridoi umanitari a chi ha diritto all'asilo è un altro regalo ai trafficanti di uomini. La stessa inerzia le impedisce azioni politiche capaci di facilitare il ritorno a casa di milioni di rifugiati. Pensiamo ai siriani in fuga. Oggi nel loro Paese il conflitto è praticamente finito. Un negoziato politico con Damasco capace di garantire il finanziamento della ricostruzione in cambio di riforme democratiche faciliterebbe il loro ritorno e disinnescherebbe l'arma di chi li usa per ricattarci. Ma anche in questo caso l'Europa non muove un dito, permettendo che l'esodo continui. «Il mare - lamentava ieri il Papa - sta diventando un freddo cimitero senza lapidi». E Bruxelles, aggiungiamo noi, continua a guardare dall'altra parte».

Francesca Sforza sulla Stampa disegna una mappa inquietante: quella dei tanti campi profughi ai margini del nostro continente. Le “altre Lesbo” dell'Unione, ai confini della “Fortezza Europa”. Bruxelles non ha una strategia unitaria e migliaia di persone restano bloccate dai vari interessi nazionali.

«Dall'Afghanistan si sale su verso l'Uzbekistan fino ad arrivare in Bielorussia e in Polonia. Da lì si scende poi verso Sud lungo la rotta balcanica o costeggiando il Mar nero e attraverso la Bulgaria si arriva a Lesbo. Finisce Lesbo e a Est preme già la Turchia, con la spinta migratoria che le arriva dalla Siria e dal Libano fino alla Libia. Lungo tutta questa tratta i campi profughi sono disseminati come sassi: Lipa in Bosnia Erzegovina, Bruzgi in Bielorussia, Kuznica in Polonia, Harmanli in Bulgaria, Moria in Grecia, e poi ancora Calais, Ceuta, Melilla. Non sono tutti, perché la loro conformazione e geografia cambia e si modifica a seconda dei flussi, dei movimenti, delle emergenze, talvolta anche del tempo. Alcuni hanno una capacità di migliaia di persone, altri solo qualche centinaio. Non c'è un censimento affidabile, nelle frontiere bucate che dall'Asia Centrale vanno in Europa, prima a Est, poi a Sud. In ciascuno di questi luoghi i profughi arrivano per sfuggire alle guerre, alla povertà, alla mancanza di prospettive, sempre più spesso anche a climi che per colpa della crisi ambientale si sono fatti invivibili. Sognano un futuro in Europa e finiscono qui, in queste risacche di immondizia e cattiveria, che ogni tanto chiudono perché si incendiano o vengano devastati e rinascono più in là, tali e quali, spesso anche peggio. È su queste porzioni di terra dimenticata che Francesco ha indicato il luogo del naufragio della civiltà. Come si fa, da europei, a non sentirsi chiamati in causa? Bruxelles ne è consapevole, e ammette i suoi limiti. Il primo - e più grande - è legato alla scansione dei tempi della politica di ciascun Stato membro. Le democrazie rappresentative sono ingranaggi fragili e complessi: quando si trovano di fronte a scadenze elettorali, faticano a imporre una visione in cui l'arrivo di rifugiati e profughi costituisca un'opportunità, e non viceversa una iattura. Non solo perché anni di martellamento sovranista hanno lasciato il segno, ma anche perché la pandemia e la globalizzazione hanno aumentato le diseguaglianze, rendendo più ardua una narrazione aperta al multiculturalismo e all'iniezione di forze nuove (in società tra l'altro eccessivamente anziane come le nostre). Come spiegano fonti diplomatiche, la mossa di Mario Draghi di mettere la migrazione tra i temi del Consiglio (all'incontro di giugno, poi ribadito al consiglio europeo di ottobre) ha almeno contribuito a chiarire alcune posizioni. Ad esempio che sarà praticamente impossibile trovare un accordo per la redistribuzione dei migranti che arrivano via mare. Non ci sarà, in altre parole, nessuna redistribuzione. Su questo i Paesi del Nord non cederanno, per il semplice motivo che se lo facessero, metterebbero in moto il cosiddetto "pull factor", ovvero un incentivo a considerare i loro territori aperti senza condizioni a chiunque voglia stabilirvisi. Ciò che si potrà invece tentare di fare, viste le proporzioni del fenomeno, che ormai non interessa più solo il Mediterraneo, ma tutto il fianco a Est dell'Europa, è quello di rafforzare la dimensione esterna dell'Unione Europea. Che significa? In pratica significa mettere in piedi un sistema di programmi finanziari forti con i Paesi di transito, che non vengano però gestiti a livello bilaterale (come accaduto fino a oggi), ma appunto a livello comunitario. Come spiegano fonti diplomatiche, l'idea di accordi di riammissione (che poi sono rimpatri) che siano però vincolati a delle condizioni ( ma si preferisce usare la parola "incentivi") mette d'accordo sia i Paesi di primo arrivo, sia quelli di arrivo secondario. Un conto, in altre parole, è la Francia che negozia con Tunisi per gestire i flussi, un altro è se la Commissione negozia con Tunisi, magari anche con il sostegno dei ministri italiano e spagnolo, per ampliare l'impegno dell'Europa e aumentare, di conseguenza, la sua capacità di fare leva sul Paese di origine. Il limite di questa prospettiva è che, qualora si riuscisse ad attuare, contribuirebbe (forse) a sistemare le cose per il futuro. Non per il passato, e dunque neanche per il presente, che di quel passato è immobile propaggine. Col risultato che i campi profughi continuerebbero a rimanere ferite aperte alle porte dell'Europa, senza nessuna possibilità di essere curate, almeno nei termini di tempo utile per cambiare un'esistenza, delle milioni che la stanno sognando, tra quei fili spinati».

QUIRINALE 1. IL CORRIERE SUL BIS

Lettere al direttore del Corriere dedicate alla polemica sul Disegno di legge costituzionale presentato da alcuni senatori per vietare un secondo mandato dello stesso Presidente della Repubblica. Luciano Fontana risponde ad un lettore e solidarizza con Mattarella, titolo: “No a calcoli di bottega sulla scelta del presidente”. La bottega una volta era un Bottegone…

«Caro direttore i senatori del Pd Parrini, Zanda e Bressa hanno depositato una proposta di legge costituzionale, di cui nessuno sentiva l'esigenza, che vieta la rieleggibilità del presidente della Repubblica. Sembra tuttavia che il vero obiettivo non sia di impedire in futuro che un presidente possa essere rieletto come successe con Napolitano. L'obiettivo sarebbe invece quello di convincere Mattarella, che ha più volte ripetuto di non voler essere rieletto, ad accettare, se la situazione politica lo richiedesse sulla base degli interessi del Pd, un secondo mandato presidenziale. Si chiede di modificare la Costituzione per evitare la rielezione di un presidente della Repubblica proprio per riuscire a ottenere il consenso di Mattarella a essere rieletto. Se così stessero le cose, sarebbe sbagliato parlare di istituzionalizzazione dell'ipocrisia? Pietro Volpi

Risponde il direttore Luciano Fontana:

Caro signor Volpi, non c'è alcun dubbio: si può dire che siamo al trionfo dell'ipocrisia. Nella politica italiana vince sempre la tattica, la visione di corto respiro, l'interesse immediato da far prevalere per mettere nell'angolo l'avversario di turno. Pensi a come vengano sfornate costantemente leggi elettorali. Ci sono sempre dietro calcoli di bottega su come si potrebbe vincere più agevolmente o perlomeno impedire a qualcun altro di farlo. In linea di principio stabilire la norma della non rieleggibilità del presidente dopo sette anni può essere giusto. Sette anni sono un periodo molto lungo della vita politica di un Paese. Ma farlo con il secondo fine di convincere Mattarella a restare è solo un escamotage. Il capo dello Stato ha infatti fatto sapere subito cosa ne pensava. Tutti questi movimenti mi sembrano soltanto tentativi a vuoto per non affrontare la questione vera. I partiti che compongono questa larghissima maggioranza dovrebbero, coinvolgendo anche l'opposizione, sedersi intorno a un tavolo e stabilire che insieme cercheranno un nome per il Quirinale con caratteristiche chiare: una personalità che rappresenti l'unità del Paese, abbia autorevolezza e prestigio sul piano internazionale, dia fiducia a ognuno di noi. Ogni altra strada porta allo scontro, alla lotta di fazioni che coinvolgerebbe la massima istituzione del Paese in un momento molto delicato. È questo che vogliono i partiti? Spero proprio di no».

QUIRINALE 2. LETTA: “NON HO SCELTO”

Ieri il Manifesto (ripreso dalla nostra Versione) aveva dato come fatta la scelta di Enrico Letta per Mario Draghi al Colle. Fra le tante opinioni pubblicate oggi, spicca la precisazione del segretario del Pd in un articolo di Giuseppe Alberto Falci sul Corriere.  

«Ormai tutto ruota attorno alla partita del Quirinale. Impazza il totonomi ma nemmeno i parlamentari più esperti sono in grado di sbilanciarsi. Allo stesso tempo c'è chi come Romano Prodi, incalzato da Lucia Annunziata a Mezz' ora in più , preferisce tenersi a debita distanza da un match che lo ha visto protagonista nel 2013. «Io ero già prima fuori corsa. La mia maestra elementare mi ha insegnato a contare. Non è cosa, si dice. C'è l'età, c'è che sto benissimo così, ci sono tantissime ragioni. E poi c'è il realismo: se un uomo politico ha un minimo di saggezza deve rendersi conto delle situazioni». Al Nazareno si preferisce tenere la bocca cucita. Taglia corto Enrico Letta: «Leggo retroscena sui giornali su quel che penserei o farei sul Quirinale. Oggi che avrei scelto Draghi, ieri che avrei incontrato Giorgia Meloni, ieri l'altro... Non c'è nulla di vero. Come già detto, dopo la legge di Bilancio a gennaio affronteremo insieme la scelta del Quirinale». Tutto, insomma, sembra essere congelato almeno fino all'approvazione della manovra finanziaria, un passaggio delicato soprattutto per il numero considerevole di emendamenti presentati dalle forze di maggioranza. Da Forza Italia si pronuncia Mariastella Gelmini: «Non deve essere uno scontro, una corrida, ma deve essere una prova di maturità per tutte le forze politiche». La ministra azzurra esclude il bis di Mattarella: «Bisogna rispettare il suo punto di vista». Dopodiché Gelmini, nel corso di un'intervista a SkyTg24, commenta un sondaggio sulla corsa al Colle che vede Silvio Berlusconi secondo dietro Draghi. «Non mi sorprende un consenso così ampio fra gli elettori, anche perché è apprezzato da coloro che in passato lo hanno fortemente osteggiato». Carlo Cottarelli non solo si augura una donna al Colle ma fa il tifo per la Guardasigilli Cartabia. Infine, ecco Gianfranco Rotondi, il forzista nostalgico della Dc è convinto sia arrivato il momento di un presidente della Repubblica di centrodestra: «Io sono un integralista di Berlusconi, non vedo altra figura all'infuori del Cavaliere. Nelle prime tre votazioni scheda bianca, poi dalla quarta ballottaggio fra Berlusconi e uno della sinistra...».

QUIRINALE 3. ANCHE CONTE FRA GLI ELETTORI?

In controluce la vera notizia di oggi nella corsa al Quirinale riguarda Giuseppe Conte. Letta vorrebbe che si presentasse alle elezioni suppletive nel seggio Roma 1, lasciato libero dal neo sindaco Gualtieri. Elezioni fissate il 16 e 17 gennaio, giusto poco prima della convocazione dei 1007 elettori per il rinnovo del Presidente (18 gennaio). Conte verrebbe presentato dai 5 Stelle e sostenuto dal Pd ed entrerebbe così anche fisicamente nel gruppo parlamentare del Movimento, per tanti un po’ “allo sbando”. Wanda Marra sul Fatto.

«Giuseppe Conte sta pensando seriamente ad accettare la candidatura al seggio Roma 1 (quello lasciato libero da Roberto Gualtieri) per un posto da deputato. Di correre per entrare in Parlamento glielo stanno chiedendo un po' tutti, dai big del Movimento a quelli del Pd. La decisione non è ancora presa, ma potrebbe arrivare nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore. Il tempo stringe: si vota il 16 e 17 gennaio, le candidature vanno presentate un mese prima. E per farlo, bisogna raccogliere le firme. Conte, fino ad ora, aveva sempre detto no alle proposte di candidarsi a un seggio per le suppletive: a Siena, dove poi è stato eletto Enrico Letta, e a Primavalle, dove è stato eletto Andrea Casu. Aveva promesso un tour per l'Italia in autunno e non gli sembrava il caso di farlo appena eletto, non potendo garantire una presenza costante. E poi, in assoluto, preferirebbe entrare in Parlamento per una legislatura intera. Ma la fase è importante e la situazione dei Cinque Stelle complicata. L'ex premier potrebbe arrivare alla Camera in tempo per partecipare a un appuntamento cruciale come l'elezione del Presidente della Repubblica, rinsaldando e galvanizzando con la sua presenza il gruppo dei Cinque Stelle a Montecitorio, che è piuttosto allo sbando. A costruire l'operazione insieme con lui è stato il segretario del Pd, Enrico Letta. Per il suo progetto di alleanza strutturale con M5s, la presenza di Conte in Parlamento sarebbe importante. Stanno lavorando per questo soprattutto Nicola Zingaretti, Roberto Gualtieri e Goffredo Bettini. Per il segretario del Pd è anche l'occasione di mettere un argine al Pd romano, che stava cercando di imporre un uomo suo (si è parlato di Enrico Gasbarra, in campo c'era però anche Cecilia D'Elia). In chiave interna preoccupa anche il potere crescente di Claudio Mancini (vicinissimo al neo sindaco di Roma). Portare Conte a Montecitorio viene considerato un colpo importante anche da Dario Franceschini. C'è chi vede la sua presenza attiva anche in questa partita come un ulteriore tentativo di soddisfare la sua ambizione per il Quirinale. "È incredibile il livello di sottomissione del Pd al Movimento Cinquestelle. Incredibile. Non esiste alcun Ulivo 2.0 ma semplicemente un patto di potere tra due classi dirigenti prive di coraggio, spinta ideale e coerenza. Contrasteremo questa scelta", tuona invece su Twitter Carlo Calenda, leader di Azione, che pensa alla candidatura dell'ex sindacalista Marco Bentivogli (non stimato affatto da Letta), ma anche alla propria. Non a caso i dem sanno che la mobilitazione dovrà essere capillare e importante, anche per neutralizzare le manovre interne dei filorenziani di "Base riformista". Intanto, ieri sera i Cinque Stelle hanno lanciato il voto sulla piattaforma per i coordinatori, che si terrà alla fine della settimana, fra giovedì e venerdì. Dovrebbero entrare con ruoli di vertice Alfonso Bonafede, Chiara Appendino, Fabio Massimo Castaldo. Gianluca Perilli. Anche questo un modo per Conte per completare la squadra strutturandola e organizzandola sui territori».

MATTARELLA LODA IL TERZO SETTORE. PASTICCIO IVA

Intanto il Presidente ancora in carica, Sergio Mattarella, si prende in questi giorni la libertà di intervenire sui temi a lui più cari. Ieri ha lodato il volontariato come straordinaria energia civile del Paese, in occasione della Giornata internazionale. Brutta storia però sui rincari Iva che riguardano il Terzo settore. La cronaca di Carlotta De Leo per il Corriere.

«Il volontariato è «una straordinaria energia civile che aiuta le comunità ad affrontare le sfide del tempo e le sue difficoltà». Proprio come è avvenuto in Italia nei giorni più duri dell'emergenza, quando «i volontari sono stati in prima fila, accanto a medici e infermieri, nel prestare cura ai malati, nel sostenere chi è rimasto solo, nel costruire connessioni laddove tanti rischiavano di venire esclusi». Lo ha detto il capo dello Stato, Sergio Mattarella, per celebrare la Giornata internazionale del volontariato. Per il presidente «il rispetto dei diritti e delle libertà della persona, nella solidarietà, è il patrimonio più prezioso che dobbiamo trasferire alle nuove generazioni: e a questo patrimonio i volontari contribuiscono con passione e ideali, con la forza della loro testimonianza». Il volontariato, ha sottolineato ancora, «rinsalda i legami tra le persone, è vicino a chi si trova nel bisogno, riduce i divari sociali, promuove l'accoglienza e la sostenibilità». Proprio in occasione della ricorrenza, i partiti fanno un passo indietro sulla modifica dell'Iva del Terzo settore decisa con il decreto fiscale che rischia di danneggiare le associazioni. E annunciano l'impegno a risolvere la questione. La scelta di passare dal regime di esclusione a quello di esenzione dell'Iva è stata presa per chiudere una procedura di infrazione Ue. Ma rischia di introdurre più costi e burocrazia per le associazioni. «Lavoreremo per questa revisione e per eliminare ogni aggravio per il mondo del Terzo settore», assicura il leader del M5S, Giuseppe Conte. E Matteo Salvini annuncia che proporrà «in Parlamento una soluzione per evitare nuovi costi a carico delle onlus». Anche il Pd è «al lavoro per cancellare la norma» dice la presidente dei senatori dem, Simona Malpezzi».

SCONTRO TRA USA E CINA SU TAIWAN

Non c’è solo la crisi ucraina (molto attesa la videoconferenza Biden Putin di domani) sui tavoli del Pentagono. Paolo Mastrolilli per Repubblica racconta lo scontro di queste ore su Taiwan.

«Dopo la Russia in Ucraina, la Cina a Taiwan. «Non voglio speculare, ma certamente sembrano le prove generali» di un'invasione, ha detto il capo del Pentagono Lloyd Austin, commentando le esercitazioni e i voli militari condotti da Pechino vicino allo spazio di Taipei. In questo modo ha aggiunto le minacce della Repubblica popolare nel Pacifico a quelle della Russia in Europa orientale, delineando la mappa delle sfide geopolitiche più pericolose e impellenti che toccano da vicino tutto il sistema delle alleanze occidentali, Italia inclusa. Austin non si è sbilanciato sulla possibilità che la Cina ordini davvero un attacco contro Taiwan, ma ha messo in guardia l'intera comunità internazionale: «Certamente sembra che stiano esplorando quali sono le loro vere capacità», allo scopo di prepararsi all'invasione, o comunque essere pronti a lanciarla in ogni momento. Può darsi che si tratti di una vera strategia per la riconquista dell'isola ribelle, anche se il presidente Xi ha detto di volerla riprendere in maniera non cruenta, oppure di uno strumento di pressione sul governo taiwanese e su quello degli Stati Uniti, per ottenere concessioni sulle sfere di influenza e gli interessi nazionali. Il capo del Pentagono, in ogni caso, ha risposto così: «L'America è una potenza del Pacifico. Non ha paura della competizione, e i cinesi non sono alti tre metri...». Quindi ha aggiunto: «Noi sosteniamo la capacità di Taiwan di difendersi, e non cerchiamo di costruire una versione asiatica della Nato o una coalizione anticinese». Rivolgendosi agli alleati, compresa l'Italia, ha poi detto che «non chiediamo di scegliere tra Usa e Repubblica popolare, ma lavoriamo per far avanzare un sistema internazionale che sia libero, stabile ed aperto». Quindi ha concluso: «Ci troviamo davanti a sfide formidabili. Una di queste, nell'area indo pacifica, è l'emergere di una Cina sempre più autocratica e assertiva. L'affronteremo con fiducia e risolutezza, non panico e pessimismo». Il problema è complesso perché delinea una strategia a tenaglia delle autocrazie contro le democrazie, convocate da Biden nel vertice di giovedì e venerdì. Austin ha rivelato che Pechino accelera il riarmo nucleare, e punta ad avere almeno mille testate entro il 2030 per essere competitiva contro Usa e Russia, non accettando di partecipare ai negoziati sulle armi atomiche per non limitare le capacità di sviluppo. Prendendo spunto dal recente test di un missile ipersonico, David Thompson, vice capo della US Space Force, ha ammonito che la Repubblica popolare sta costruendo le sue risorse militari nello spazio «al doppio della velocità» degli Usa. «Se non acceleriamo le nostre capacità, presto ci supereranno. Il 2030 non è una stima irragionevole», per il sorpasso. Gli Stati Uniti non vogliono affrontare la sfida da soli, parlano di una "deterrenza integrata", diversa da quella adottata contro l'Urss durante la Guerra Fredda. Per fronteggiare Pechino, Washington vuole creare un fronte comune con alleati e partner su diversi piani, militare, economico e commerciale. Quindi chiede che la tecnologia pubblica e privata occidentale corra più veloce dell'innovazione cinese, dall'intelligenza artificiale alle armi, perché questa è la vera chiave per conservare il vantaggio ancora esistente. Il discorso per ora riguarda Pechino, ma con modalità diverse andrà allargato anche a Mosca».

ZEMMOUR, IL COMIZIO DELLA “RICONQUISTA”

Il giornalista estremista Eric Zemmour, nel primo comizio da aspirante candidato alle presidenziali francesi, infiamma la piazza. Deve battere la concorrente gollista Valérie Pécresse, appena designata dalla destra moderata. Anais Ginori per Repubblica.

«Oggi comincia la riconquista del Paese più bello del mondo», promette Eric Zemmour durante il primo comizio da candidato alla presidenziali. Si chiamerà così il suo nuovo partito, Reconquête, e non sbaglia chi pensa alla "Reconquista" dei re cattolici nelle regioni della penisola iberica occupate dai musulmani. I militanti esultano quando una voce annuncia l'arrivo del neocandidato: «Ecco a voi il prossimo presidente della Repubblica». Bandiere tricolori che sventolano, poche mascherine sul viso, nessun Green Pass chiesto all'ingresso. "Libertà" è una delle parole più ripetute nei discorsi introduttivi, aspettando con la musica di Norah Jones l'arrivo di "Z", come lo chiamano i suoi fan che hanno la lettera maiuscola scolpita sulle magliette. Il palazzo delle Esposizioni di Villepinte, nord di Parigi, può contenere fino a 15mila persone, ed è quasi pieno. Si entra passando attraverso controlli a ogni incrocio, colonne di furgoncini della polizia, uscite dell'autostrada sbarrate. Un clima da assedio. Da giorni il tam tam della Rete prevedeva proteste violente. L'ambasciata americana ha diramato una nota di allerta. Quando Zemmour inizia finalmente a parlare, con un'ora e mezza di ritardo sul programma ufficiale, si sentono urla e tafferugli nella platea. Sono gruppi "antifa", antifascisti, infiltrati nel pubblico che gridano e mostrano slogan ostili. La sicurezza privata interviene in modo muscolare. I manifestanti vengono portati a forza all'esterno. All'inizio del raduno, i vigilantes hanno "esfiltrato" anche la troupe del programma tv Le Quotidien, insultato e minacciato dagli zemmouriani. Dentro Parigi, un corteo anti Zemmour sfila nel quartiere multietnico Barbès. Alla fine della giornata la prefettura annuncia una cinquantina di fermi. La tensione rischia di diventare una costante delle prossime tappe di Zemmour. «Non sono razzista», risponde dal palco. «Come potrei, io piccolo ebreo berbero arrivato dall'altro lato del Mediterraneo?», dice ricordando le origini ebree. Già condannato per incitazione all'odio razzista per le sue dichiarazioni su stranieri e Islam, lancia nel discorso: «Tendo la mano ai musulmani che vogliono diventare i nostri fratelli, molti lo sono già». Niente è casuale nel suo primo comizio, in un momento in cui i sondaggi sono in calo per il giornalista sessantenne. Il raduno è stato organizzato all'indomani dell'investitura della candidata dei Républicains, la governatrice dell'Ile-de-France, Valérie Pécresse. «Sarà come il suo mentore Jacques Chirac: bugiarda e demagogica», commenta Zemmour, che attacca anche Macron, descritto come ondivago, senza personalità, «un adolescente che ancora non sa chi è». Poi abbozza un programma economico liberista e illustra idee durissime sull'immigrazione: abolizione dello ius soli e dei sussidi agli extracomunitari, richieste di asilo delocalizzate solo nei consolati all'estero. Pur essendo lui giornalista da quarant' anni, firma del Figaro e vedette nella tv CNews , dice: «I giornalisti vogliono la mia morte sociale». «E i jihadisti vogliono la mia morte tout court», aggiunge a proposito della scorta che lo segue in ogni momento».

Leggi qui tutti gli articoli di lunedì 6 dicembre:

https://www.dropbox.com/s/bq5plv6cvan1pr0/Articoli%20La%20Versione%20del%206%20dicembre.pdf?dl=0

Per chi vuole, ci vediamo poi dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana  https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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