La Versione di Banfi

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Necessaria la terza dose

alessandrobanfi.substack.com

Necessaria la terza dose

Importanti dati dell'Iss: per arginare il contagio non bastano le prime due dosi, che pure salvano la vita. Bollette più care anche in gennaio. Iniziativa di Salvini per il Colle. Socci e il Papa

Alessandro Banfi
Dec 12, 2021
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Necessaria la terza dose

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Stamattina sono importanti i dati dell’Istituto superiore di Sanità perché ci fanno capire che cosa accadrà nelle prossime settimane e che tipo di rischi correremo. Li mette in fila il Corriere e si può sintetizzare così il loro contenuto: dopo 5 mesi la protezione del vaccino al contagio scende molto, mentre resta alta la protezione dalle conseguenze peggiori della malattia. Il che significa che le terze dosi, ma già gli studi israeliani lo avevano dimostrato, e i booster sono fondamentali per arginare la circolazione del virus. Quanto a Omicron (ancora poco diffusa in Italia) per ora sappiamo che si diffonde con grande velocità ma che i sintomi sarebbero più lievi. Ultimo dato cruciale: il virus corre fra i minori. E chi è attento alla scuola sa che negli ultimi giorni, i casi lì si moltiplicano. Per ora il governo non vuole prendere nuove misure. La parola d'ordine è tranquillizzare e smentire come «prematuro» qualsiasi genere di misura allo studio. Draghi sembra intenzionato ad andare avanti il più possibile senza ulteriori divieti e tantomeno chiusure, contagi permettendo.

Semmai i problemi dell’esecutivo riguardano lo scontro con i sindacati sul fisco e il rincaro delle bollette, che si prevede forte ancora a gennaio. Avvenire giustamente sottolinea che le prossime tre settimane sono quelle decisive per il destino di Mario Draghi. Bombardieri della Uil oggi lancia un segnale: se convocati prima, i sindacati possono valutare di sospendere l’agitazione del 16. Vedremo.

Nella corsa al Colle, Matteo Salvini lancia un’iniziativa annunciando di voler parlare con tutti i segretari di partito per trovare una soluzione comune. Sembra in questo incoraggiato dall’altro Matteo, Renzi, che ha chiesto ieri alla “destra” una “proposta complessiva”. Sarebbe la prima volta, nella storia delle elezioni del Presidente, che la Lega e il centro destra riescano ad incidere. Miracolo di Italia viva?

Dall’estero: clamorosa rivelazione di un vero e proprio piano per il colpo di Stato dei trumpiani, il 6 gennaio, nel sistema democratico americano. Un testimone oculare racconta ad Avvenire, a distanza di un anno, una efferata strage di civili ad Axum in territorio tigrino.

Due notizie che riguardano il Vaticano. Andrea Purgatori ha raccolto una testimonianza dell’ex giudice, a suo tempo titolare dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, secondo la quale il Vaticano attraverso due misteriosi emissari aprì una trattativa sul ritrovamento del cadavere della ragazza. Ripensamento di Antonio Socci sulla figura di papa Francesco in un lungo articolo su Libero. Una testimonianza importante.

È disponibile un nuovo episodio da non perdere del mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it, grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. È intitolato: LA SCUOLA DI VITA. Protagonista è Rosalba Rotondo, Preside dell’istituto intitolato a Ilaria Alpi e Carlo Levi, elementari e medie nel cuore del quartiere Scampia di Napoli. La scuola conta 1300 studenti di cui 300 di etnia Rom. Un esempio di vera integrazione, premiato anche in Europa. Un piccolo miracolo dove la cultura e l’istruzione contendono ogni giorno il terreno al degrado e alla criminalità. Rosalba interpreta tutto questo in modo vitale, vulcanico, quasi esplosivo. Così facendo, porta la sfida nel cuore dei ragazzi, nelle famiglie, fin nei campi rom di Giugliano. Un racconto da non perdere. Cercate questa cover…

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Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Il Corriere della Sera mette in fila i dati dell’Istituto Superiore di Sanità: Vaccini, ecco tutti i numeri. Il Fatto è pessimista: Ingorgo di terze dosi e paura per i bambini. Quotidiano Nazionale registra il riaccendersi della pandemia nelle classi: Ci risiamo: scuola nel caso per il Covid. Il Mattino ne fa una questione di età: Nuovo balzo dei contagi il virus corre fra i ragazzi. Il Messaggero conferma: Aumenta il contagio tra i bimbi. La Stampa sottolinea l’intenzione di uscire da uno status eccezionale: “Basta con lo stato di emergenza”. Il Sole 24 Ore avverte: Bonus casa, pressing a tutto campo. Il Domani è più esplicito: I Cinque stelle peggiorano ancora il grande spreco del Superbonus. Per una volta La Repubblica usa il termine ondata non per il virus: L’ondata del caro bollette. La Verità accusa Bruxelles: La Ue ci aumenta pure le bollette. Libero aggiunge altri rincari: Aumenta pure l’acqua. Il Giornale indica nel richiamo all’ambientalismo la giustificazione di nuove imposte: La truffa delle eco-tasse. Il Manifesto mette in primo piano l’inquietante piano dei trumpiani per uno stato d’emergenza il 6 gennaio: Golpe in casa. Avvenire nota che le prossime tre settimane sono quelle dirimenti per Supermario: Venti giorni decisivi, stress test a Draghi.

TUTTI I NUMERI DELL’ISS

Scende l’efficacia vaccinale sui contagi già dopo cinque mesi, ma resta alta la protezione contro la gravità della malattia. Si sa ancora poco di Omicron, ma finora sembra dare sinotmi più lievi. Tutte le cifre che contano nella cronaca del Corriere della Sera.

«In Italia, chi non si vaccina ha un rischio di morire 16,6 volte maggiore rispetto a un vaccinato con terza dose; 11,1 volte maggiore di un vaccinato con due dosi (da meno di 5 mesi) e 6,9 volte superiore a quello di un vaccinato da più di 5 mesi che non ha ancora ricevuto la terza dose. Sono i numeri (aggiornati al 7 dicembre) indicati dal nuovo report settimanale sull'epidemia dell'Istituto superiore di Sanità (Iss). Dopo aver sottolineato l'aumento dell'incidenza settimanale, in tutte le fasce d'età (ma soprattutto, come vedremo, in quella scolare), la relazione si sofferma sull'efficacia vaccinale che, dopo cinque mesi dal completamento del ciclo vaccinale, risulta in forte diminuzione nel prevenire i contagi (dal 74% con ciclo completo entro 5 mesi, al 39,6% con ciclo completo oltre i 5 mesi). Rimane sempre alta, invece, la protezione nel prevenire i casi più severi di malattia: del 93% in chi è vaccinato da meno di 5 mesi, che cala all'84 per cento nei vaccinati con ciclo completo da oltre cinque mesi. Un focus sulla terza dose del rapporto chiarisce che il booster è in grado di ristabilire ottimi livelli di protezione: nel prevenire la diagnosi l'efficacia risale al 76,7% e nel prevenire i ricoveri risale al 93%. Da Delta a Omicron Questi valori sono relativi ai vaccini utilizzati nel contesto italiano, dove il virus prevalente è quello della variante Delta. Il ricorso alla terza dose, però, è giudicato una misura ancora più importante in previsione di un aumento dei casi di variante Omicron (per il momento sono ancora pochi nel nostro Paese, 26 confermati). La variante Omicron è giudicata «estremamente contagiosa»: in Sudafrica il tasso di aumento pro capite è molto più rapido di ogni altra delle ondate precedenti. Anche nel Regno Unito le previsioni vedono ormai un tempo di raddoppio di soli 3 giorni: i casi Omicron potrebbero raggiungere la parità con quelli Delta entro metà dicembre. Omicron comporterebbe anche (secondo il rapporto sulla situazione epidemiologica nel Paese, pubblicato venerdì da UK Health Security Agency ) un aumento del rischio di riprendere il Covid da 3 a 8 volte rispetto a quanto succedeva con Delta. Le reinfezioni sono segnalate anche in Sudafrica e nel resto del mondo con eventi da super diffusione. I livelli di copertura Il rapporto dal Regno Unito misura anche quanto Omicron possa aggirare la protezione dei vaccini nel mondo reale. Ebbene, la vaccinazione completa con due dosi di AstraZeneca dopo sei mesi è risultata di efficacia pari allo 0% nel bloccare i contagi e pari al 34% con due dosi di Pfizer. Un calo molto maggiore di quello visto con Delta. La buona notizia è che la terza dose (in questo caso data tramite somministrazione di Pfizer) riequilibra la situazione portando i vaccinati con AstraZeneca come ciclo primario a un'efficacia del 71% e quelli con tre dosi Pfizer al 76% (nel primo mese successivo all'inoculazione). Sebbene non sia il 95% offerto dalla terza dose con la Delta, è un valore considerato buono, soprattutto perché si sta ancora parlando di protezione verso i contagi. Tutti i vaccini in uso hanno sempre avuto valori di difesa contro i ricoveri e i decessi più alti di quelli riguardanti l'efficacia verso l'infezione. Ci si aspetta che per Omicron sarà lo stesso, anche se ancora non lo sappiamo. Una quota di perdita di capacità neutralizzante da parte dei vaccini nei confronti della variante Omicron, però, è stata misurata in laboratorio. Il rapporto inglese riepiloga le prime prove sulla capacità di «evasione immunitaria» di Omicron che vengono da 2 studi britannici e 3 internazionali su come si comportano gli anticorpi di persone completamente vaccinate (con Pfizer). Con Omicron si è osservata una riduzione di 20-40 volte nella neutralizzazione del virus (rispetto alle varianti precedenti di SARS-CoV-2) e di 10 volte rispetto alla variante Delta. Gli anticorpi non sono l'unico indicatore di protezione, però, e i risultati sono davvero preliminari. Meno grave? La buona notizia è che dal report britannico risulta che nel Paese non sono ancora segnalati ricoveri o decessi associati a Omicron. Invece in Sudafrica i ricoveri ospedalieri, di terapia intensiva e di pazienti in ventilazione nella provincia di Gauteng (la più colpita da Omicron) stanno mostrando un tasso di crescita molto più rapido della variante Delta, ma il tasso di mortalità è inferiore: il 4% dei pazienti Covid è morto, rispetto al 20% delle due ondate precedenti. Omicron sembra più mite, quindi, anche se la cautela è d'obbligo. Potrebbe esserlo solo apparenza: il denominatore per calcolare i casi gravi include anche le reinfezioni, che con Omicron sono maggiori. Allarme scuole In Italia la variante dominante, che caratterizza la quarta ondata, resta ancora la Delta, la cui prevalenza è oltre il 99%. Ciò che allarma ora riguarda - come detto all'inizio - soprattutto il contagio in età scolare: il report dell'Iss evidenzia infatti un forte aumento dell'incidenza nella fascia di età 6-11, che rappresenta all'incirca il 50% dei casi diagnosticati nell'intera popolazione tra 0-19 anni. Nei bambini da 0 a 9 anni l'incidenza ha raggiunto nell'ultima settimana valori superiori a 250 casi per 100.000 abitanti. I dati del giorno Ieri intanto sono stati 21.042 i nuovi casi di coronavirus segnalati in Italia (l'incremento giornaliero peggiore da aprile). Anche se l'Rt pari a 1,18 è in lieve diminuzione, la curva dei contagi è in crescita da 7 settimane. L'incidenza in Italia è a quota 176 casi ogni 100 mila abitanti. I tamponi totali (molecolari e antigenici) sono stati 38.805.999 e il tasso di positività è al 3,7%. I decessi sono stati 96 (venerdì 118), per un totale di 134.765 vittime da febbraio 2020. Dal 1° ottobre al 10 dicembre dello scorso anno in Italia ci sono stati 26.700 morti. Nello stesso periodo del 2021, con i vaccini, i decessi sono stati 3.800, l'86% in meno. I posti letto occupati nei reparti Covid ordinari sono +56, per un totale di 6.539 ricoverati. I posti letto occupati in terapia intensiva (TI) sono +2. Il tasso di ospedalizzazione (nella fascia 80+) per i non vaccinati è circa 6-7 volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo. E il tasso di ricoveri in terapia intensiva dei non vaccinati è dalle 6 alle 9 volte più alto di quello dei vaccinati con ciclo completo. La media nazionale di posti letto occupati in terapia intensiva è all'8,5%, negli altri reparti al 9,9%.».

I NO VAX NON HANNO DUBBI

Aldo Grasso sul Corriere nota la contraddizione logica dei talebani No Vax: non hanno dubbi sulle loro strampalate certezze. E ci fanno la lezione in nome del dubbio.

«Ci sono due specie di testardi: quelli che non dubitano di niente e quelli che dubitano di tutto. Tra gli effetti collaterali della pandemia, si registra la nascita della «Commissione dubbio e precauzione». Bene. Ne fanno parte, tra gli altri, il giurista Ugo Mattei, i filosofi Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, il mediologo Carlo Freccero, l'autoproclamato primate metropolita ortodosso Alessandro Meluzzi, quello dei talk. Ecco le precauzioni: «Gli avversari che abbiamo di fronte non sono spiritualmente, moralmente e intellettualmente vivi. Sono dei morti». Ok, tutto a posto, non servono precauzioni. E i dubbi? Con i vaccini si starebbe facendo «una sperimentazione mondiale, con molti pazienti che rischiano di finire nell'Ade». La vaccinazione sarebbe «legata al desiderio dell'alta finanza di accelerare il movimento verso l'euro digitale e la moneta mondiale». E via di questo passo, senza ombra di dubbio. La libertà (anche di pensiero) non è mai a disposizione, bisogna disporsi verso di essa sapendo che non esiste quella assoluta; per questo è necessario darsi limiti, tracciare confini, eleggere mete, personali e comuni. Per il bene di tutti. Il vero dubitatore si strugge con il solo scopo di cercare il vero, il negatore invece vive per una cattiva causa. O anche, come direbbe Celentano, per 125 milioni di caz...te».

Il virologo Lorenzo Pregliasco è andato in piazza a Milano in mezzo ai manifestanti No Vax. Per discutere con loro e capirne le ragioni. Il racconto è di Andrea Siravo e Monica Serra su La Stampa.

«Quando lo ha riconosciuto, gli si è avvicinato un fedelissimo No vax della piazza milanese. Un anziano con un grosso crocefisso di cartone in mano: «Andrai all'inferno e finirai male! Pentiti dei tuoi peccati e delle menzogne che hai raccontato». Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi, che ieri per la prima volta ha deciso di partecipare a una manifestazione No green pass «per sentire il rumore della piazza e capire le sue ragioni», non si è scomposto. Sorridendo (sotto la mascherina) ha risposto: «Mi spiace, credo che ci sia la libertà di esserci, di capire, di ascoltare, di confrontarsi». La sua presenza, con due bodyguard e una troupe televisiva, tutto sommato non è stata contestata dai quattrocento militanti che alle tre del pomeriggio si sono riuniti all'Arco della Pace per la manifestazione «The new Human World - Contro il nuovo ordine mondiale», organizzata dall'associazione «La Genesi», con tanti big negazionisti annunciati, tra i quali alla fine non si sono presentati il leader dei portuali di Trieste, Stefano Puzzer e la deputata Sara Cunial. Per primo sul palco ha preso la parola Francesco Maria Fioretti, già presidente della prima sezione della Cassazione, che se l'è presa col presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e con la Chiesa, puntando il dito contro l'«involuzione autoritaria di tutti gli Stati che sta mettendo in gioco la democrazia» e sostenendo, assieme ad altri ospiti che sono intervenuti, tesi deliranti del tipo: «I vaccini sono fatti con feti vivi abortivi», «Violano un comandamento: non uccidere», «Disegnate una svastica sui ristoranti che chiedono il Green Pass», «Opponetevi a questo sistema globale che vi ha sottomesso come ai tempi di Hitler», per citarne qualcuna. Nel frattempo tra la folla si aggirava il virologo Pregliasco: «Chi mi ha riconosciuto mi guardava perplesso: qualcuno mi ha avvicinato, quasi tutti con modi gentili» racconta dopo non essere riuscito ad applicare la «politica della persuasione» predicata da alcuni esponenti del governo. «Chi viene qui tutti i sabati è radicalizzato, non sente ragioni, mi considera parte di un sistema che "mente", "nasconde i dati" e attraverso il Green Pass "vuole dividere per controllare", sottovalutando di fatto i rischi che corre a non fare il vaccino. Ho provato a parlare con loro, ma sono troppo arrabbiati e spaventati: non mi sembra ci siano grandi speranze, anche se ritengo sia giusto provarci». Alle 18, quando la manifestazione è finita, le ultime decine di No vax presenti si sono allontanate dall'Arco della Pace. Tutto si è svolto in ordine, senza momenti di tensione con la polizia, senza tentativi di azzardare un corteo. Intanto, in piazza Duomo, per la prima volta dal 24 luglio, il sabato pomeriggio, tra turisti e passanti, è tornato la normalità. Neanche un No pass è stato identificato dagli agenti».

STATO D’EMERGENZA. IL PIANO DEL GOVERNO

Il presidente del Consiglio Mario Draghi lo ha detto da tempo: vuole portare il Paese fuori dallo stato d’emergenza. Tommaso Ciriaco per Repubblica.

«Spostare sotto la Protezione civile la struttura commissariale, con pieni poteri in campo amministrativo e nella gestione dei contratti. Avvalersi del Comando operativo di vertice interforze (Covi) - al cui vertice sarà nominato entro la fine dell'anno proprio il generale Francesco Figliuolo - per le operazioni sul campo utili a fronteggiare il Covid. Ecco come Palazzo Chigi pensa di ridisegnare la gestione della pandemia, nel caso in cui non dovesse essere rinnovato lo stato d'emergenza. Attraverso una legge ad hoc, da varare nelle prossime settimane. Una mossa che servirebbe a lasciare in piedi l'architettura a cui finora è stata delegata la lotta al virus, trovando però ospitalità sotto il dipartimento guidato da Fabrizio Curcio. Dall'emergenza alla convivenza: è da questa filosofia che muove Mario Draghi. Il premier non si sbilancia pubblicamente, ma ritiene che sia giunto il tempo di chiudere una fase e di aprirne un'altra. Vuole spiegarlo al Paese. Molto dipenderà ovviamente dagli ultimi dati sulla pandemia a disposizione, quelli che saranno raccolti nei prossimi giorni. Se possibile, però, si sancirà un principio: misure anche straordinarie vanno comunque ricondotte all'ordinario. Per questo, Palazzo Chigi studia da giorni uno scenario alternativo alla proroga dell'emergenza. E immagina una legge ad hoc che conservi le strutture, riportandole però nell'alveo della "normalità". Nelle ultime ore i vertici del governo hanno valutato tutte le possibili soluzioni. Manca ancora la decisione definitiva, che sarà presa probabilmente in settimana. Il capo della Protezione civile Curcio è stato già allertato e si è riservato qualche giorno per studiare il dossier. Vuole dare risposta ad alcune domande: può la sua struttura assorbire quella commissariale? Esistono competenze adeguate e forze sufficienti per svolgere questo nuovo compito? E ancora: a chi affidare le campagne vaccinali, che proseguiranno anche nel medio periodo? È probabile che la risposta sia positiva. Un ruolo di peso, poi, dovrebbe rivestirlo anche il ministero della Salute. Per gli interventi sul campo, invece, potrebbe entrare in gioco il Comando operativo interforze. Non è una scelta casuale. Entro la fine dell'anno il consiglio dei ministri darà il via libera al decreto di nomina di Figliuolo alla guida del Covi, su impulso del ministro della Difesa Lorenzo Guerini. La struttura, che risponde allo Stato maggiore della Difesa, coordina tutti gli interventi delle forze armate, dalle missioni internazionali all'operazione "Strade sicure". Nella gestione dell'emergenza ha già avuto un ruolo centrale, dalla organizzazione di alcuni centri per effettuare test sul Covid all'allestimento degli ospedali da campo, dalla logistica per alcune aree dedicate alle vaccinazioni all'azione delle task force con medici militari. Non è detto, però, che la nuova era possa aprirsi dal primo gennaio. La pandemia morde e i tempi sono stretti. Per questo, esiste già un piano B. Passerebbe dalla proroga di un mese (o al massimo due mesi) dello stato d'emergenza, in modo da dare il tempo - soprattutto alla Protezione civile - di organizzarsi. Una fase ibrida, di transizione. Che si chiuderebbe il 31 gennaio 2022, o al più tardi a fine febbraio. Nel primo caso, si completerebbe il ciclo del periodo emergenziale, che può avere la durata massima di due anni: iniziato il 31 gennaio 2020, sotto il governo Conte, lo stato d'emergenza può essere sancito per 12 mesi e prorogato altri 12 al massimo. Oltre, occorrerebbe un nuovo intervento legislativo. L'eventuale svolta porta con sé anche questioni di carattere giuridico e costituzionale. È sostenibile, ad esempio, mantenere il sistema delle fasce regionali a colori, senza l'ombrello dello stato d'emergenza? E sarebbe possibile decretare zone rosse, se necessario? Di certo, l'esecutivo è convinto che non si possa rinunciare a queste armi. Tutti approfondimenti tecnici che gli uffici di governo stanno svolgendo da giorni. I ragionamenti di carattere politico, poi, corrono paralleli. Non è un mistero che Pd e Forza Italia preferirebbero prorogare lo stato d'emergenza. Ieri è venuto allo scoperto Enrico Letta: «Se stiamo meglio degli altri Paesi europei, è perché siamo stati seri nelle misure emergenziali. Se il governo proporrà un'estensione dello stato di emergenza, la sosterremo senza ambiguità». Quel che è certo è che Draghi ha voglia di chiudere una fase e aprirne una nuova. Che però, a ben guardare, non si concilia del tutto con i pessimi dati del contagio delle ultime ore. Per questo, nei prossimi dieci giorni l'esecutivo valuterà anche eventuali nuove misure. Tra queste, l'estensione del meccanismo del 2G (che esclude i tamponi dal Super Green Pass) ai trasporti pubblici locali, ad aerei e treni a lunga percorrenza. E, forse, ai negozi al dettaglio».

NUOVI RINCARI DELLE BOLLETTE

Bollette: prevista una nuova stangata a gennaio. Il dossier sulle tariffe del primo trimestre 2022 è già sul tavolo del Tesoro. I soldi già previsti nella legge di Bilancio non bastano a "sterilizzare" i rincari di luce e gas in arrivo nei mesi invernali. Luca Pagni per Repubblica.

«È in arrivo una nuova stangata per le bollette dell'energia. E se il governo vuole andare incontro a cittadini e piccole imprese dovrà stanziare almeno altri 3 miliardi, oltre ai 3,8 già messi da parte nelle ultime settimane. Gli allarmi lanciati nelle ultime settimane da esperti, industriali e associazioni dei consumatori si concretizzeranno negli ultimi giorni dell'anno, quando verranno comunicati gli aggiornamenti per le tariffe di elettricità e gas naturale, in vigore per il periodo gennaio- marzo 2022. Per il sesto trimestre consecutivo, aumentano i costi delle bollette e saranno rincari da record. Le cifre sono già da qualche giorno sul tavolo del governo, dopo una serie di incontri con i vertici dell'Arera, l'Authority che per legge predispone le revisioni trimestrali delle tariffe. Per le famiglie e per le piccole imprese, l'energia elettrica aumenterà tra il 20 e il 25% rispetto ai tre mesi precedenti, mentre ancora più pesante sarà la crescita per il gas naturale, in un intervallo previsto tra il 35 e il 40%. Ecco spiegato il motivo per cui il governo, già da tempo, sta "mettendo da parte" una provvista finanziaria da utilizzare per sterilizzare almeno una parte degli aumenti previsti. Un primo provvedimento, inserito già nella prima bozza della legge di Bilancio, ha stanziato 2 miliardi di euro. Mentre il consiglio dei ministri di pochi giorni fa, ha deliberato risorse aggiuntive per altri 1,8 miliardi. Tutti soldi che andranno in particolare alle famiglie maggiormente in difficoltà. Ma questo non risolve altri due problemi sostanziali legati agli aumenti di fine anno. Non sono ancora previsti interventi in favore delle imprese; ma soprattutto i fondi finora accantonati non sono sufficienti per una riduzione significativa della spesa a carico dei consumatori. La tabella con le cifre e le proiezioni di quanto manca per arrivare a ridurre almeno della metà (se non oltre) gli aumenti in arrivo è sulla scrivania del ministro dell'Economia Daniele Franco. Mancano all'appello almeno altri 3 miliardi, ma non è detto che debbano per forza di cose essere ragrannellati togliendoli da altre voce di bilancio. Ma andiamo con ordine. Come mai la bolletta energetica aumenterà ancora? Perché la ripresa dopo i lockdown ha portato a un'improvvisa corsa dei prezzi delle materie prime. Il petrolio ha quasi raddoppiato il valore del barile da inizio anno. Ma il vero fenomeno riguarda il prezzo del metano: oltre agli usi industriali e per il riscaldamento domestico, il gas naturale sta sostituendo ovunque nel mondo le centrali a carbone. Oltre a essere considerato il combustibile che accompagnerà le rinnovabili verso la transizione ecologica dei prossimi anni. Da qui il motivo che ha spinto i prezzi a salire del 400% da inizio anno. E come mai l'aumento del gas per il prossimo trimestre è molto più elevato rispetto all'elettricità? Perché si va verso il periodo più freddo dell'anno e si presume che aumenti la domanda di materia prima da utilizzare per il riscaldamento di case e uffici. Non a caso, il prezzo del gas sul mercato olandese, il più importante punto di scambio in Europa, è tornato a salire da un mese a questa parte, a un passo dal record storico di inizio ottobre. Ma il premier Mario Draghi e i suo ministri devono trovare il modo di traguardare il momento più difficile dell'anno, con nuovi aumenti che vanno ad aggiungersi a quelli già avvenuti nel terzo e quarto trimestre dall'anno. La fine del tunnel si intravede: gli esperti di materie prime prevedono che i prezzi cominceranno a calare con il secondo trimestre dell'anno, per poi scendere più velocemente nella seconda parte del 2022. Ma servono almeno altri 3 miliardi. Una delle ipotesi di cui si è parlato negli incontri tra tecnici di Authority e ministeri prevederebbe la possibilità di cancellare l'Iva che pesa sulle bollette. In questo modo, ci sarebbe un aiuto consistente anche in favore delle imprese, in particolare le più energivore. Anche per rispondere alle critiche del presidente di Confindustria Carlo Bonomi che ieri ha dichiarato che a suo avviso il «governo non sta sottovalutando l'inflazione ma tutta una serie di aumenti che generano inflazione», come le materie prime».

QUIRINALE. L’INIZIATIVA DI SALVINI

La corsa al Quirinale. Incoraggiati da Matteo Renzi, i leader del centro destra si sentono i veri protagonisti delle trattative per il Colle. Così Matteo Salvini ha deciso di lanciare un’iniziativa, da domani contatterà tutti gli altri segretari per parlare del dopo Mattarella. Marco Cremonesi per il Corriere della Sera.

«Tutti insieme, forse. Tutti nella stessa direzione, se possibile, in vista della vetta del Colle. Matteo Salvini ieri lo ha ribadito: «Sediamoci intorno a un tavolo e parliamone». Le buone intenzioni riguardo a un presidente della Repubblica scelto nella massima condivisione possibile è un luogo comune della retorica politica. Però, è vero che Matteo Salvini avrebbe in effetti tutto l'interesse a un'elezione che non lo faccia apparire in fuorigioco. E così, ieri è arrivato l'annuncio: a partire da domani, chiamerà «tutti i segretari di partito, dal più piccolo al più grande». Sempre domani, è previsto «su insistenza della Lega, un confronto di maggioranza anche per discutere del rinvio delle cartelle esattoriali». Senza nascondere il significato particolare che ha l'elezione per il suo partito (e per lui stesso): «La Lega ha l'onore di guidare un centrodestra che per la prima volta ha le carte giuste per essere protagonista della scelta di un presidente della Repubblica che finalmente non abbia la tessera del Pd in tasca». Ancora più esplicito: «Da noi si passa». L'avviso c'è: «Se qualcuno ha la spocchia di sedersi al tavolo dicendo "eh, però non può essere di centrodestra, non può essere sovranista o populista", io dico: il presidente della Repubblica è di tutti, non c'è un articolo 1-bis della Costituzione che dice che il Pd ha diritto imperituro di scelta del presidente. Stavolta i numeri sono in mano nostra, se non facciamo degli errori». Ma al di là dell'altolà, è vero però che il leader della Lega non ha più voglia di stare dalla parte dei "cattivi". Di certo, non fino all'elezione del nuovo capo dello Stato. Perché è in quell'occasione che si vedrà chi ha saputo tessere il suo filo. Lo prova il fatto che non sia la prima volta che il leader leghista parla di una possibile condivisione ampia. Addirittura, un paio di mesi fa, durante uno dei suoi incontri con il presidente del Consiglio Mario Draghi, aveva proposto una sorta di caminetto con tutti i segretari di partito e lo stesso Draghi. Una proposta che non era andata a buon fine, così come non ha avuto seguito quella analoga del segretario Pd Enrico Letta che pure aveva come obiettivo quello di sminare la strada alla manovra e solo in controluce quello di costruire l'elezione del presidente della Repubblica. Chi la pensa come Salvini è «l'altro Matteo», Renzi: «Stavolta o la destra si incarica di fare una proposta complessiva oppure, se non lo fa, dal 20 gennaio in poi si devono cercare le ragioni migliori per cercare tutti insieme un arbitro». È esattamente quel che pensa Salvini. In più, il segretario leghista quando dà per scontato che la Lega abbia «l'onore di guidare il centrodestra», pensa proprio al ruolo suo e della Lega nell'aver conquistato, negli ultimi anni, quelle Regioni che oggi aumentano il numero dei grandi elettori di centrodestra. Detto questo, se le telefonate di Salvini partiranno da domani, già negli ultimi giorni ci sono stati dei franchi scambi di opinione con gli altri leader. Con Giorgia Meloni al festival di Atreju, certamente. Ma anche con Giuseppe Conte, incrociato a margine dell'assemblea del Cna dei giorni scorsi. Un incontro che Salvini, con i suoi, un po' a sorpresa ha definito «affettuoso». Va detto che lo stesso ex premier è assolutamente consapevole della posta in gioco nell'elezione del capo dello Stato. E infatti sta studiando l'ipotesi di formare un tavolo di lavoro permanente per il Colle, una sorta di cabina di regia che includa tutte le diverse anime dei Cinque Stelle. Si tratterebbe di una mossa che ha anche l'intento di compattare il Movimento in vista di una scelta delicata. Ma c'è davvero un uomo per il Colle a cui la Lega sta pensando? Vietato chiederlo: «Soltanto se sfumassero quelle che per noi sono le principali opzioni - spiega un leghista di peso - E cioè Silvio Berlusconi e Mario Draghi».

Andrea Fabozzi sul Manifesto interpreta la mossa in una sola chiave: anti Draghi.

«Nella sua ultra trentennale storia parlamentare, la Lega non ha mai partecipato a un'elezione del presidente della Repubblica, con l'eccezione del mandato breve del secondo Napolitano nel 2013. Sia nel caso del presidente eletto al primo scrutinio con la maggioranza dei due terzi (Ciampi nel 1999) sia negli altri casi (Scalfaro nel '92, Napolitano nel 2006 e Mattarella nel 2015), la Lega si è sempre chiamata fuori scegliendo di votare per candidati di bandiera (da Gianfranco Miglio a Vittorio Feltri). Questa volta, forte del secondo gruppo tra i prossimi grandi elettori - i suoi saranno oltre duecento - e di una leadership del centrodestra che tende ad auto attribuirsi, Matteo Salvini ha intenzione non solo di partecipare, ma di guidare il gioco. «La Lega ha l'onore di guidare un centrodestra che ha le carte giuste per essere protagonista della scelta del presidente», ha detto ieri. Annunciando che «da lunedì», domani, «chiamerò tutti i segretari dei partiti, dal più piccolo al più grande, per dire sediamoci intorno a un tavolo e parliamone». A INCORAGGIARLO c'è Matteo Renzi, che ospite della festa romana di Fratelli d'Italia ha sostenuto che «per la prima volta il centrodestra ha dei numeri in maggioranza, il 45% dei grandi elettori. Stavolta il ruolo di "king maker" tocca a voi». Non è esattamente così, perché quando si apriranno le votazioni per il presidente della Repubblica e i grandi elettori saranno 1.008 (oggi ci sono due seggi vacanti che saranno assegnati), centrodestra e centrosinistra partiranno affiancati: 443 a 440. Entrambi lontani dalle maggioranze richieste, sia quella dei due terzi nelle prime tre votazioni (672) sia la maggioranza assoluta sufficiente dalla quarta (505). È vero che il centrodestra può avere un margine di manovra maggiore rispetto al centrosinistra nel «territorio di caccia» dei gruppi misti, 123 voti tra camera e senato. Ma Renzi consegnando l'iniziativa a Salvini e alla destra vuole soprattutto toglierla al centrosinistra e a Letta. Svincolando i «suoi» 43 grandi elettori di Italia viva da quel campo. A CIRCA UN MESE dall'inizio delle votazioni per il presidente, la mossa Renzi-Salvini è una risposta alle prime iniziative del segretario del Pd. Letta non sfugge più l'argomento Quirinale e un po' alla volta sta disegnando il profilo del suo candidato: quello dell'attuale presidente del Consiglio. «Sono sicuro che il nostro Paese avrà a fine gennaio un presidente o una presidente eletto a larga maggioranza e rapidamente dalle camere riunite in seduta comune». Elezione rapida entro fine gennaio significa elezione con la maggioranza dei due terzi, esito oggi immaginabile solo a vantaggio di Mario Draghi. Letta sa bene qual è il principale - forse l'unico - ostacolo per questa soluzione: la paura che i parlamentari grandi elettori hanno dello scioglimento anticipato della legislatura in conseguenza della fine del governo Draghi. E infatti accompagna la sua "previsione" sul Quirinale con una certezza sulle elezioni: «Le prossime politiche ci saranno nel 2023, non prima». RASSICURAZIONI che ovviamente non bastano a chi si oppone allo schema Draghi, che ha il suo precedente più prossimo nell'elezione al primo turno di Carlo Azeglio Ciampi (non parlamentare ed ex governatore della Banca d'Italia anche lui). Infatti Renzi profetizza che una decisione a larga maggioranza «sarà difficile» e tenta Salvini (che tutta questa voglia di votare non ha) spingendolo ad avanzare una proposta di centrodestra che allontanerebbe la scelta di Draghi. Il leader di Italia viva sa che puntando sulla paura del voto anticipato si può vincere facile, lo ha già fatto due volte in questa legislatura in occasione delle crisi dei due governi Conte. «Ho l'impressione che tanti leader vogliano votare nel 2022», ha quindi ripetuto ieri dal palco di Fratelli d'Italia. Nel frattempo tra i parlamentari 5 Stelle si diffondeva il panico per una frase in tv buttata lì da uno dei nuovi vicepresidenti di Conte: «Il M5S è pronto alle elezioni politiche». Rendendo sempre più evidente che la strada per mandare Draghi al Quirinale non può non passare per un accordo che dia garanzie sul nuovo governo e sul prosieguo della legislatura».

TRUMP E IL PIANO PER UN GOLPE

Dall’estero la notizia più clamorosa è la svolta dell’inchiesta sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio. La presidenza Trump avrebbe elaborato per l’occasione il piano di un vero e proprio golpe del Presidente uscente. Giuseppe Sarcina sul Corriere.

«Il colonnello in pensione Phil Waldron oggi gestisce una «distilleria e birreria» a Dripping Springs, un sobborgo di Austin, in Texas. Nel suo curriculum, pubblicato su Linkedin, si definisce un «esperto di analisi in materia di intelligence, di Difesa, di Aviazione militare, di munizioni e di pianificazione strategica». Lo scorso inverno, nel mezzo dell'offensiva trumpiana per rovesciare l'esito delle elezioni, Waldron mette a punto un progetto che viene inviato, non sappiamo ancora da chi, a Mark Meadows, l'allora capo dello Staff della Casa Bianca. Meadows ha consegnato il documento di 38 pagine alla Commissione della Camera che indaga sull'assalto a Capitol Hill, precisando di «non averne fatto niente, di non averlo mai portato a conoscenza del presidente». Il «piano», titolato «Election Fraud, Foreign Interference & Options for 6 January», è semplicemente grottesco. Waldron immagina che il presidente dichiari lo «stato di emergenza nazionale», in modo da ritardare la certificazione dei risultati. Trump avrebbe dovuto rivolgersi al Paese, sostenendo che hacker cinesi e venezuelani avessero manomesso i server elettorali nella maggioranza degli Stati. Non solo. Il presidente avrebbe dovuto denunciare le interferenze nel voto di agenti segreti, con basi in Germania, Spagna e Gran Bretagna. Un pasticcio delirante con una conclusione «golpista»: il voto andava annullato. Le rivelazioni, pubblicate dal New York Times , cadono in un momento complicato per Trump. La Corte federale di Washington ha appena respinto il suo ricorso: le carte della Casa Bianca sul 6 gennaio andranno consegnate al Congresso. E ora il presidente della Commissione parlamentare, il democratico Bennie Thompson, vuole partire dalla domanda inevitabile: quali erano i legami tra Waldron e la Casa Bianca? Come è possibile che una figura apparentemente periferica avesse accesso al collaboratore più stretto del presidente? Per cercare una risposta bisogna tornare a quei giorni tra dicembre e gennaio, frugando negli archivi dei giornali locali. Viene fuori allora che Waldron era una presenza fissa nella compagnia di giro allestita da Rudolph Giuliani per delegittimare il risultato delle urne. C'era di tutto: avvocati totalmente screditati come Sidney Powell, imprenditori devoti a Trump come Mike Lindell, quello di «My Pillow», outsider improbabili come l'ex colonnello-birraio. Nel dicembre 2020, Waldron partecipò a diverse riunioni in Arizona, uno degli Stati al centro delle contestazioni trumpiane. Erano come dei «consigli di guerra» organizzati da Giuliani con le figure di riferimento locali del partito repubblicano. In questo caso Karen Fann e Rusty Bowers, rispettivamente presidente del Senato e Speaker della Camera in Arizona. Come sappiamo tutti gli sforzi finirono nel nulla. I ricorsi giuridici furono respinti dai tribunali e, in ultima istanza, anche dalla Corte Suprema. Ma il 6 gennaio, sul palco del comizio prima dei tumulti, ritroviamo Giuliani, mentre le schede di Waldron erano già arrivate a Meadows. L'ex capo dello Staff ha preso le distanze dalle teorie di Waldron, ma si rifiuta di comparire come testimone davanti alla Commissione di inchiesta. Se non cambierà idea in fretta, sarà incriminato, come è già successo per Steve Bannon, l'ex stratega di Trump».

AXUM, CI FU UNA STRAGE DI CIVILI

La guerra in Etiopia. Il professore tigrino dell'Università di Macallè, Gebremeskel Kassa Taffere, ora rifugiato in Olanda, conferma le stime iniziali della strage del novembre 2020 ad Axum. L'Onu parla invece di 110 morti. Dice ad Avvenire: «I comandanti di Asmara avevano un accordo con il governo federale per prendersi le proprietà che trovavano sul loro cammino, Ho visto per strada le vittime: adulti e ragazzi».

«Centinaia di morti insepolti, in strada, lasciati in pasto alle iene dopo essere stati uccisi senza pietà. Poco più di un anno fa ad Axum avveniva la peggiore strage di civili inermi della guerra oscurata. Il 28 novembre 2020 le truppe eritree iniziavano il massacro a sangue freddo di pellegrini, giunti nella città santa dei cristiani ortodossi per una festa religiosa, e di cittadini maschi, presi casa per casa, per ritorsione contro un attacco delle forze tigrine. E poi gli stupri di massa e le distruzioni. Tutto smentito dalle autorità etiopi per mancanza, a detta loro, di testimoni, poi da quelle eritree, per le quali i testimoni erano tutti membri del Tplf, il nemico. I rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch hanno ricostruito i fatti nel gennaio 2021, ma lo scorso 4 novembre una indagine dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani e della commissione etiope ha ridimensionato in sostanza il numero di vittime a 110 unità. Ora un nuovo testimone conferma la gravità dell'eccidio e fa i nomi dei responsabili. Aveva già rilasciato dichiarazioni alla Bbc la primavera scorsa, ora ha accettato di parlare con Avvenire per «riconoscenza verso il Papa, che ha più volte chiesto di pregare per la pace in Etiopia». Gebremeskel Kassa Taffere, 34 anni, è tigrino, docente di archeologia e turismo all'università di Macallè, ma era membro del partito della Prosperità del premier Abiy e alto dirigente dell'amministrazione ad interim insediata dal governo centrale una volta cacciato il Tplf, partito del fronte popolare di liberazione del Tigrai. «Ero capo dello staff e portavoce del presidente dell'amministrazione ad interim - spiega dall'Olanda dove è dovuto fuggire e chiedere asilo lo scorso settembre - . Il 29 novembre mi trovavo a Scirè e ho sentito degli scontri ad Axum. L'ho raggiunta subito, ma le truppe eritree mi hanno fermato alla periferia. Dal 28 gli eritrei avevano iniziato a uccidere centinaia di persone per strada o cercandole porta per porta. Non avevano ancora finito. Ho immediatamente avvisato le autorità federali, che negavano perfino la presenza degli eritrei. Dopo 24 ore di trattative il 30 novembre 2020 sono riuscito a entrare, primo funzionario governativo di alto livello, a negoziare la fine degli omicidi di massa, degli stupri e dei saccheggi». Chi era il suo interlocutore? «Chiesi al generale etiope Yeshambel Ferede di fermare stragi e saccheggi, ma lui mi rispose che non poteva. I comandanti eritrei avevano un accordo con il governo federale per prendersi tutte le proprietà che trovavano sul loro cammino». Quanti sono stati i morti ad Axum? «Ho visto per le strade centinaia di vittime, soprattutto maschi adulti e ragazzi. Era stato impedito ai parenti di seppellirle. Appena sono riuscito a ottenere la autorizzazione dai comandanti eritrei ho mobilitato la comunità e sono stati sepolti tra 800 e 1.000 cadaveri in due giorni». Chi sono i comandanti eritrei responsabili della strage? «I loro nomi di battaglia sono: R' Esi Mrak, Wedi Moke e il colonnello Tewolde, capo dell'intelligence per il fronte sud. Ma il peggior criminale è Wedi Halibay capo del comando eritreo a Adua e Axum. I capi del comando militare etiope che non sono voluti intervenire sono i generali Abebaw Taddesse e Yeshambel Ferede. Una commissione indipendente deve indagare su di loro». Eravate a conoscenza della presenza eritrea in Tigrai? «Tutti sapevano che Abiy, Afewerki e la dirigenza dello stato regionale Amhara stavano preparando la guerra». Dunque era nota l'intenzione del premier di intervenire militarmente? «Si. Dieci giorni prima dell'inizio della guerra ho partecipato a un meeting con circa 400 membri del partito della Prosperità e funzionari di grado elevato dell'amministrazione cittadina di Addis Abeba. Il premier Abiy intervenne in video dicendo che il Tigrai non sarebbe più stato un problema e che avrebbe condotto un'operazione militare vittoriosa in cinque giorni al massimo». Anche lei ha accusato Addis Abeba di aver condotto un genocidio in Tigrai. In base a quali fatti? «Oltre alle stragi di civili come quella di Axum e il bombardamento dell'aviazione del mercato di Togoga, vicino a Macallè, gli stupri di massa compiuti da eritrei, Amhara ed esercito federale e che hanno colpito donne di ogni età, perfino bambine. E la carestia provocata intenzionalmente con il blocco degli aiuti e la distruzione dei raccolti e delle strutture sanitarie. Oggi ci sono oltre due milioni di sfollati in una guerra che ha l'obiettivo di umiliare e sottomettere un popolo».

IN CALIFORNIA IL GRANDE INGORGO DELLE MERCI

L’ingorgo californiano delle merci mette in crisi il sistema dei consumi e degli acquisti nel dopo pandemia. Alberto Simoni per La Stampa.

«Nevica e fa freddo ad Anchorage, la capitale dell'Alaska. Ma nel negozio di articoli sportivi del signor Sue Westfield sono ancora esposte le biciclette per la passeggiate estive. Una signora si aggira cercando un cappotto e l'abbigliamento invernale. Lo scorso anno il lockdown aveva tenuto le persone in casa, nessuna occasione di sciare e pochissimi momenti da trascorrere fuori con gli amici. I cappotti non servivano. Nessuno li ha ordinati, i magazzini non sono stati riforniti e quest' anno la merce non arriva. Ferma in qualche container sulle grandi navi che solcano il Pacifico dall'Asia alla costa Ovest degli Stati Uniti. La storia dell'Alaska nasce quindi migliaia di chilometri più a Sud, nei porti di Long Beach e Los Angeles. Qui si è formato lì il collo di bottiglia che sta strangolando la catena di approvvigionamento, svuotando gli scaffali dei centri commerciali Usa (trovare una stampante a BestBuy è un'impresa) e impedendo a piccole (soprattutto) e grandi aziende di produrre e assemblare i loro beni da immettere sul mercato. Sono decine le navi da trasporto in attesa di ormeggiare o arrivare alla banchina. Ad oggi nel porto di Los Angeles ci sono 30 imbarcazioni, sessanta stanno attendendo a qualche decina di miglia di poter attraccare. Migliaia navigano in mare aperto. Il porto sta faticosamente smaltendo «il lavoro». A fine novembre il traffico a Long Beach e Los Angeles era in tilt: 86 navi in coda, sovraccarichi di lavoro per smaltire il processo di scarico delle merci. La Casa Bianca e le autorità hanno tentato di favorire il decongestionamento aumentando l'orario entro il quale i camion potevano essere caricati e partire lungo le freeway del Paese. La misura ha avuto un impatto minimo. Le compagnie di shipping e le autorità portuali si sono allora coordinate per evitare il congestionamento. Da qualche giorno le navi che partono dai porti asiatici entrano in una lista di attesa appena levano l'àncora così evitano di andare a intasare l'affaccio al porto. I tempi di viaggio da Shanghai a Los Angeles sono stati raddoppiati: «Oggi - ha spiegato Jim McKenna, general manager della Pacific Maritime Association - una nave carica impiega fra i 22 e i 24 giorni per superare l'Oceano, fino a qualche settimana fa il tempo era dimezzato». Da gennaio a settembre - quando l'imbuto creatosi in California è «esploso» - il porto di Los Angeles aveva scaricato 7,7 milioni di container, un volume del 21% più alto del periodo pre-pandemico. Anche i costi sono aumentati a dismisura: se fino al 2019 un container costava circa 2mila dollari, oggi per trasportare le proprie merci i trader devono staccare assegni sino a 24mila dollari. Senza avere la benché minima certezza che il tutto arrivi a destinazione nei tempi previsti. Il New York Times ha raccontato la storia di Joseph Norwood. È un cameriere, lavora a San Diego in un ristorante fronte mare e soffre di apnea notturna per la quale ha bisogno di un macchinario per respirare meglio. Ha atteso sei mesi perché il suo medico glielo consegnasse. Lo scorso anno è svenuto mentre guardava un film in casa. Respiro sempre più affannoso, per il 44enne Joseph la vita era diventata faticosa, anche una breve camminata era un'impresa. Ha dovuto abbandonare il lavoro e chiesto i sussidi per la disabilità. Poi la diagnosi: il suo respiro di notte si fermava 62 volte in un'ora e il livello di ossigeno scendeva a livelli di pericoli. Da qui la necessità di affidarsi al macchinario. E l'inizio di una nuova odissea chiusasi dopo una lunghissima attesa: «Il macchinario è arrivato a fine novembre, ho trascorso la migliore notte da tempo», ha commentato. La sua vicenda non è isolata. Un pilota dell'aviazione civile è stato messo a riposo dalla sua azienda finché non avrà il suo sostegno alla respirazione. Questi casi rivelano - ha spiegato Michael Farrell, general manager della ResMed che produce il congegno salva vita per chi soffre di apnea notturna - «una disparità di trattamento». I semiconduttori arrivano alle grandi aziende che producono macchine e prodotti hi tech, le più piccole si mettono in coda e aspettano. Farrell ha esplorato ogni via per riuscire a fare arrivare tutte le componenti necessarie ad assemblare i congegni salvavita ma è una corsa a ostacoli. La sua azienda oggi produce meno del 75% di quel che servirebbe e il braccio di ferro con i colossi dell'hi-tech è a senso unico: questi ultimi hanno investimenti in chip per tablet e smartphone che oscillano attorno ai 170 miliardi di dollari; l'automotive spende 49 miliardi, i congegni medici muovono circa 6,4 miliardi. Numeri che riflettono il peso che alcune aziende hanno rispetto ad altre anche nell'influenzare la logistica dello shipping. Bloccata nel collo di bottiglia californiano c'è ogni genere di cosa e le conseguenze dello stop non si sono ancora completamente manifestate. Nessuno fa previsioni sul ritorno alla normalità e i rallentamenti si protrarranno per diversi mesi, è la previsione di molti esperti. All'origine del disastro di questi mesi c'è la recessione del 2020 legata al Covid. In pieno lockdown le richieste di beni sono crollate, le aziende - ormai abituate alla rapidità dello shipping ben più vantaggiosa che mantenere enormi magazzini e scorte - avevano bloccato gli ordini. La ripresa della domanda (l'economia Usa cresce oltre il 6%) ha contribuito agli intasamenti con contraccolpi sulla vita di persone - come Joseph - e aziende: la American Airlines taglierà le rotte internazionali nel 2022 a causa dei ritardi da parte della Boeing delle consegne degli 787 Dreamliners. Mancano componenti per rafforzarne la sicurezza. A New York manca la crema di formaggio per i leggendari bagel. I grossisti sono rimasti senza scorte. Intanto i giganteschi container sono in balia delle onde al largo di Los Angeles. Con a bordo i pezzi della nostra globalizzazione».

CASO ORLANDI. RIVELAZIONI DI PURGATORI

Andrea Purgatori ha raccolto la testimonianza dell’ex magistrato Giancarlo Capaldo, che indagò nel 1983 sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e che oggi sostiene che iniziò una trattativa con due emissari vaticani per ritrovare il corpo della ragazza. Trattativa che però si arenò. L’inedita rivelazione è anticipata stamattina dal Corriere e sarà stasera trasmessa in una puntata di Atlantide su La7.

«Nella primavera del 2012 due emissari di Papa Ratzinger, verosimilmente due alti prelati, diedero la disponibilità del Vaticano a far ritrovare alla famiglia Orlandi il corpo della quindicenne Emanuela, svanita nel nulla nel 1983, in cambio di un aiuto da parte della magistratura italiana a liberare la Chiesa dall'imbarazzo che aveva creato la scoperta della tomba del boss della Banda della Magliana, Enrico «Renatino» De Pedis, nella basilica di Sant' Apollinare (lo stesso complesso da cui era scomparsa Emanuela). Fu l'inizio di una trattativa che inspiegabilmente si arenò, mentre la Procura di Roma decideva l'archiviazione del caso che tra oscuri ricatti aveva coinvolto il segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli, la Banca Vaticana guidata dal discusso monsignor Paul Marcinkus, ed esponenti della potente organizzazione criminale della capitale. Lo rivela nella puntata di Atlantide in onda stasera su La7 l'ex procuratore Giancarlo Capaldo, all'epoca titolare dell'inchiesta, in una intervista esclusiva alla presenza di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e dell'avvocatessa della famiglia, Laura Sgrò. Non solo, Capaldo è pronto a svelare i nomi dei due emissari se verrà interrogato dalla magistratura vaticana o italiana. E in modo indiretto ma inequivocabile racconta che di quell'inizio di trattativa, avviata su richiesta del Vaticano con due incontri negli uffici della Procura, furono testimoni «altre persone» e di quei colloqui esisterebbe addirittura una registrazione. Insomma, a 38 anni dalla scomparsa della ragazza, ecco una svolta clamorosa che potrebbe portare alla riapertura delle indagini, visto che l'avvocatessa Sgrò ha chiesto formalmente alla magistratura vaticana e al Csm di ascoltare Capaldo. Tutto comincia nel 2012, sotto il papato di Benedetto XVI, cioè Joseph Ratzinger, con una segnalazione anonima che fa scoprire nella basilica di Sant' Apollinare, a due passi da Piazza Navona, una tomba in cui è sepolto «Renatino» De Pedis, carismatico boss della Banda della Magliana che aveva trasformato l'organizzazione in un «service» a disposizione dei poteri oscuri della politica, della finanza e della Chiesa e nel 1990 era stato ucciso da un killer in una stradina di Campo de' Fiori. «A quel punto - racconta Capaldo, che in quella fase è "reggente" della Procura - chiedono di conferire con me due personaggi del Vaticano, importanti in quel momento, per chiedere la riesumazione del corpo di De Pedis ed eliminare dalla basilica un cadavere troppo ingombrante» che getta discredito sulla Chiesa. Ed è allora che Capaldo spiega ai due emissari che anche la famiglia Orlandi ha diritto a ritrovare una sua pace, anche se passando dal dolore per la conferma della morte di Emanuela, cioè dal ritrovamento dei resti della ragazza. Gli emissari, continua Capaldo, «presero atto del mio punto di vista e si riservarono di sentire alcune persone più in alto nella gerarchia e di darmi una risposta. La risposta avvenne qualche settimana dopo e fu positiva. La disponibilità era quella di mettere a disposizione ogni loro conoscenza e indicazione per arrivare a questa conclusione». Ma ad un passo dalla possibile soluzione del giallo di Emanuela, accadono due eventi: «Io termino la mia reggenza perché a capo della Procura viene nominato Giuseppe Pignatone e dall'altra parte in Vaticano si iniziano una serie di grandi manovre o di scontri sotterranei, come è costume probabilmente in quel contesto, intorno a Papa Ratzinger. E sappiamo poi che Papa Ratzinger da lì a un anno neppure si dimetterà». Ma chi erano i due emissari del Papa? Capaldo su questo è rigido ma va oltre: «Se fossi convocato nell'ambito di un'attività giudiziaria seria direi chi sono queste persone, se erano presenti altri oltre a me e a queste due persone e se il colloquio è stato registrato. A queste tre domande io risponderò soltanto a chi ha il titolo per chiedermelo». Rivelazioni e parole pesantissime a cui Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, risponde così: «Sono contento di questa posizione che ha preso il dottor Capaldo dopo tanti anni, sono convinto che farà i passi giusti nelle sedi opportune e sono convinto che farà i nomi di queste persone perché così ci sarà finalmente qualcuno a fare giustizia per Emanuela». E per spingere in tempi brevi anche magistratura vaticana e italiana a fare i «passi giusti» l'avvocatessa Sgro' ha presentato una richiesta di interrogatorio di Capaldo al Promotore di Giustizia vaticano e al Consiglio superiore della magistratura una «Richiesta di accertamenti sulla condotta dei magistrati della Procura di Roma sul caso Emanuela Orlandi». Per la cronaca (e la storia) dopo quei due incontri la trattativa si arenò, la tomba di De Pedis fu aperta e i resti rimossi, il procuratore capo Pignatone avocò l'inchiesta su Emanuela e la archiviò. Subito dopo essere andato in pensione, papa Francesco lo ha nominato Presidente del Tribunale della Città del Vaticano».

SOCCI RITIRA LE CRITICHE AL PAPA

In un articolo per Libero titolato Dalla parte di Francesco, Antonio Socci fa, in parte, pubblica ammenda delle “dure critiche” rivolte al Papa e dice: ”Ora difendo Papa Bergoglio”. Una testimonianza importante.

«Domani è l’anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Jorge Mario Bergoglio che venerdì 17 dicembre compirà 85 anni. (…) Non so come in futuro verrà valutato questo pontificato. Ai posteri l'ardua sentenza. Chi scrive in passato non ha lesinato critiche (anche troppo dure, talora con poca carità). Anni fa mi vidi arrivare una lettera autografa del papa che mi ringraziava per il mio libro e, fra le altre cose, aggiungeva: «Anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore». Poi mi prometteva le sue preghiere, per me e per la mia famiglia «chiedendo al Signore di benedirvi e alla Madonna di custodirvi». Un gesto di paternità (anche verso mia figlia) che mi commosse e un gesto di umiltà per nulla scontato, che mi ha fatto riflettere e mi ha riempito di stupore: un papa che ringrazia personalmente per le critiche (dure) e si umilia davanti a un cane sciolto come me (che di certo non sono un santo) non può lasciare indifferenti. Si firmava mio «fratello e servitore nel Signore». L'UMILTÀ La Chiesa è davvero uno spettacolo per gli angeli. Bisognerebbe averla in dono quell'umiltà. Continuando a pregare per lui (come fa Benedetto XVI, che gli è vicino e prega costantemente per la sua missione: ho imparato da lui come va guardato papa Francesco) ho cercato di capire. Spazzando via tanti dettagli secondari bisogna riconoscere che la cifra originaria di questo papato è molto bella e delinea l'unico grande compito della Chiesa del III millennio cristiano. Si potrebbe sintetizzare così: Dio ha pietà di tutti e si è fatto uomo per venire a cercarci, uno per uno, per salvarci, pagando lui stesso sulla croce il riscatto per ognuno di noi, che pure non lo abbiamo meritato. Mi pare il movente profondo dell'attuale pontificato. L'ho trovato esposto in modo commovente in un sermone di avvento di Dietrich Bonhoeffer, un grande cristiano, simbolo dell'opposizione al nazismo, che fu impiccato, a 39 anni, per espresso ordine di Hitler, nel campo di concentramento di Flossenburg il 9 aprile 1945. Bonhoeffer partiva dal canto di gioia di Maria, il Magnificat. Dio ha scelto una ragazzina semplice e povera, di un popolo oppresso, ai margini di un Impero e ha fatto di lei la madre del Figlio, la Regina del cielo e della terra. Maria apparteneva all'immensa maggioranza dell'umanità la cui esistenza sembra essere invisibile al mondo, alla storia, ai potenti e ai sapienti. Gente comune la cui vita sembra irrilevante e inutile. Miliardi di esseri umani conoscono questo sentimento e non sanno che invece «Dio ama, elegge ed esalta ciò che è basso, insignificante e piccolo». Scegliendo Maria - dice Bonhoeffer - Dio mostra che «non si orienta secondo l'opinione e il punto di vista degli uomini... Dove il nostro intelletto si indigna, dove la nostra pietà si mantiene scrupolosamente a distanza, lì, proprio lì, Dio ama stare. Lì egli disorienta l'intelletto dei sapienti, lì scandalizza la nostra natura, lì vuole essere presente e nessuno può impedirglielo - e soltanto gli umili gli credono e gioiscono... Questo è infatti il miracolo dei miracoli, il fatto che Dio ama ciò che sta in basso: "Ha guardato l'umiltà della sua serva"». LO SCANDALO Bonhoeffer sottolinea lo scandalo di un Dio che nasce in una mangiatoia per animali: «Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi penetra dentro, sceglie una creatura umana come suo strumento e compie meraviglie lì dove uno meno se lo aspetta. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato o insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto. Dove gli uomini dicono: perduto, lì egli dice: trovato. Dove gli uomini dicono: "giudicato", lì egli dice "salvato". Dove gli uomini dicono: "No!", lì egli dice: "Sì!". Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosità il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di un amore ardente incomparabile. Dove gli uomini dicono: "Spregevole", lì Dio esclama: "Beato". Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima, lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia» (da Riconoscere Dio al centro della vita). DECISIONI DURE Se si ripercorre questo pontificato, in filigrana (sia pure fra errori e confusioni) si legge questo unico, struggente annuncio. Papa Francesco ha cercato di farlo capire anche prendendo decisioni dure com' è il recente decreto sui movimenti ecclesiali, alcuni dei quali si ritengono ingiustamente "decapitati" pur essendosi sempre professati "bergogliani". Non hanno capito che al papa non interessa avere tifosi, ma cristiani con il cuore ardente, che escano dalle sacrestie e portino a tutti l'abbraccio di quel Salvatore che ha pietà di loro. Soprattutto a chi è più lontano e "perduto"».

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