La Versione di Banfi

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Non è un vaccino per poveri

alessandrobanfi.substack.com

Non è un vaccino per poveri

I Paesi ricchi restano egoisti? Sulla sospensione dei brevetti l'Europa frena, ma Draghi dice: si è aperta una porta. Il Papa insiste. L'Italia riapre: piazze piene, meno dosi. Mattarella sulle Br

Alessandro Banfi
May 9, 2021
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Non è un vaccino per poveri

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Un processo su cui insistere, una strada da non abbandonare. Mario Draghi è stato molto chiaro: l’iniziativa di Biden sulla sospensione dei vaccini “ha aperto una porta”. Ha messo i grandi della terra di fronte alle loro responsabilità. E incalza le case farmaceutiche che “hanno avuto delle sovvenzioni governative imponenti” a dare qualcosa in cambio. Il dato di realtà è che milioni di persone muoiono in Paesi che non hanno il vaccino e non hanno risorse economiche. L’Europa e le aziende del farmaco hanno molte remore a sospendere i brevetti ma qualcosa andrà fatto: “Decideremo”, ha detto. Il Papa batte da un anno, e non solo dopo la posizione coraggiosa presa da Biden, su questo concetto, che ieri è tornato a ribadire: “Le differenze sociali ed economiche a livello planetario rischiano di segnare l'ordine della distribuzione dei vaccini anti-Covid. Con i poveri sempre ultimi e il diritto alla salute per tutti, affermato in linea di principio, svuotato nella sua reale valenza”. La Stampa intervista il fondatore di Medici senza frontiere, Kouchner, che sembra riecheggiare: “La sospensione dei brevetti non sarà la soluzione ma una delle soluzioni, che spinge l’Europa a non essere egoista”.

Intanto in Italia si parla delle riaperture. La giornata di ieri, fra manifestazioni sportive e politiche, ha segnato un clamoroso ritorno agli assembramenti nelle piazze. In sicurezza? Così dicono gli organizzatori. Guai a criticare la festa degli interisti, la tappa del Giro d’Italia o la manifestazione sul DDL Zan… Una cosa è sicura: c’è stata tanta gente in giro e sono stati fatti pochi vaccini. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina solo 327 mila 670 somministrazioni, dopo tre giorni sopra i 500 mila. Non va bene, oggi è domenica e andrà peggio. Alcuni esperti dicono: i dati degli ospedali e del calo dei ricoveri sono più importanti di quelli sul contagio. Il sottosegretario Sileri lo conferma al Fatto. Vedremo se cambieranno davvero i parametri.

La politica oggi sembra riposare. Due letture da fare sul Corriere: il manifesto europeista dei 5 Stelle di Giuseppe Conte e un’intervistone, promozionale dell’autobiografia scritta per la Rizzoli, a Giorgia Meloni. I veleni del Csm tengono sempre alta l’attenzione dei quotidiani. Ieri il pm Paolo Storari ha difeso se stesso e Davigo, che hanno ottenuto un primo risultato: l’inchiesta sulla fuga di notizie sarà spostata a Brescia.

Oggi, 9 maggio, è l’anniversario del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani ed è anche, per questo, già da qualche anno, la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo. C’è una bella e lunga intervista del direttore di Repubblica al presidente Mattarella su questo tema. Nota bene per i lettori della Versione: so di aver lasciato stralci molto lunghi dell’intervista, m per me è un contributo importante ad un dibattito cruciale per fare i conti col passato. Chi non è interessato passi al capitolo successivo.

In Afghanistan l’Isis ha ucciso in un attentato 50 studentesse che erano in una scuola di Kabul. 100 anni fa in questo stesso giorno, il 9 maggio del 1921, nasceva un’altra studentessa che ha pagato con la vita l’affermazione della libertà e la sua fede cattolica: Sophie Scholl. Devo a mio padre, che me ne ha parlato quando ero un bambino, se per me è ancora vivo il ricordo della testimonianza dei ragazzi della Rosa Bianca, incarcerati e giustiziati brutalmente dal nazismo. Chi non conosce la loro vicenda, vada a leggersi qualcosa sulle rete, ne vale la pena. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Avvenire insiste, sulla scorta dell’intervento del Papa: Il vaccino giusto. Per il Quotidiano Nazionale, l’Italia sposa la linea Ue: Draghi sfida gli Usa: dateci i vaccini. La Stampa mette insieme le riaperture delle residenze per anziani con le divergenze fra Merkel e Biden: Dopo 7 mesi riaprono le RSA. Scontro Ue-Usa sui vaccini. Sulla fine dei divieti ancora il Corriere della Sera: Draghi: verso altre aperture. Che per il Messaggero si possono tradurre in un virgolettato da attribuire al nostro Premier: «Fuori casa fino a mezzanotte». La stessa linea del Mattino: Il coprifuoco a mezzanotte. Ristoranti al chiuso, si parte. Il Secolo XIX dà al Capo del governo un colore manzoniano: Liguria, è febbre da turismo. Draghi: apriamo con giudizio. Adelante Draghi. Per Libero gli scienziati non la pensano allo stesso modo: Duello fra virologi. Il Giornale di Sallusti mette in evidenza ancora i veleni fra toghe: Davigo mollato da tutti. Mentre per La Verità la metafora è quella della macellazione bovina: Il grande mattatoio della giustizia. A proposito di sangue, purtroppo non metaforico, il Manifesto mette in primo piano una foto degli scontri a Gerusalemme per il Ramadan: Senza quartiere. Sul versante economico, il Fatto prosegue nelle critiche al Pnrr: 50 mld alle imprese e ospedali dimezzati. Mentre Il Sole 24 Ore, con un’intervista al Ministro Brunetta, dà una buona notizia sul fronte dei dipendenti pubblici: Pa, arriva il decreto taglia tempi. La Repubblica dedica l’apertura della prima pagina ad un’eccezionale intervista col Capo dello Stato nella Giornata che ricorda le vittime del terrorismo: Mattarella: fare piena luce sugli anni di piombo.

TREGUA SUI BREVETTI, SCONTRO CON L’OLANDA SULL’EUROPA SOCIALE

Le cronache da Porto, dove si è svolto il vertice europeo su occupazione e sistema sociale, raccontano di un duro scontro fra l’Italia e l’Olanda. Francesca Basso sul Corriere:

«L’Olanda ha subito sbarrato la strada all'ipotesi avanzata da Draghi di accompagnare la Dichiarazione di Porto con «politiche di contorno parte delle quali sono state messe in atto nella pandemia, parte delle quali sono politiche fiscali e di bilancio». Il riferimento è al programma Sure, un inizio di sussidio alla disoccupazione a livello europeo, ha sottolineato Draghi, e «un piccolo passo verso la creazione di un mercato comune di lavoro». Abbastanza per mettere sulla difensiva il premier olandese Mark Rutte, che interrogato al termine del Consiglio, ha risposto che Sure è «una tantum». L'Olanda non è sola. In vista del summit di Porto undici Paesi (tra i quali i cosiddetti frugali) avevano presentato un documento per bloccare ogni eventuale trasferimento di competenze verso Bruxelles nelle politiche sociali. Draghi ha chiarito che Sure non era all'ordine del giorno e che la discussione su «queste decisioni, così come sulle politiche di bilancio, inizierà solo nel Consiglio europeo di giugno». Ma lo scontro con l'Olanda egli altri rigoristi rischia di essere durissimo. Le modifiche al patto di Stabilità, auspicate anche dal presidente del Parlamento Ue David Sassoli in uno dei suoi interventi a Porto, sono un tema politicamente esplosivo per molte opinioni pubbliche. Fronte comune, invece sui vaccini, benché i leader Ue abbiano posizioni articolate nei confronti della proposta Biden. Il premier spagnolo Pedro Sánchez sostiene la linea Draghi. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha ribadito che la liberalizzazione dei brevetti non è la soluzione per mettere i vaccini a disposizione di più persone. Davanti alla richiesta dell'India di rimuovere le protezioni dei brevetti sui vaccini, l'Ue ha spostato il focus: se servono dosi subito la soluzione è rimuovere gli ostacoli all'export. «L'Ue è farmacia del mondo ed è aperta per il mondo», ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.».

IL DIRITTO A SOGNARE VACCINI PER TUTTI

Il Papa insiste e in un videomessaggio, rivolto ai giovani radunati nell’incontro-concerto di Los Angeles denominato “Vax-Live”, torna a proporre il principio dei vaccini per tutti.

«Di fronte all'oscurità e all'incertezza provocate dalla pandemia, il vescovo di Roma ha invocato «cammini di guarigione e salvezza». Una guarigione, però, radicale, che penetri in profondità fino a sanare le radici della malattia: l'individualismo e le sue «varianti». Utilizzando un linguaggio che la pandemia ha reso drammaticamente familiare, Francesco ne indica alcune, particolarmente letali. Come «il nazionalismo chiuso, che impedisce, per esempio, un internazionalismo dei vaccini». O il mettere «le leggi del mercato o di proprietà intellettuale al di sopra delle leggi dell'amore e della salute dell'umanità». Da qui il forte appello del Papa affinché Dio infonda uno spirito di giustizia che «ci mobiliti per assicurare l'accesso universale al vaccino e la sospensione temporanea del diritto di proprietà intellettuale». Questione quest' ultima scottante dopo la svolta Usa a favore della sospensione delle licenze. Il tema, però, pur non formulato in modo così diretto, è da sempre al centro delle preoccupazioni di Francesco. Come ricorda Iacopo Scaramuzzi su Askanews, ben un anno fa, nel Regina Coeli del 3 maggio 2020, il Pontefice, in anticipo sulla politica e sulla scienza, aveva affermato: «È importante mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccine e trattamenti e garantire l'accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano ad ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie». Di nuovo, nell'ultimo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali aveva ribadito: «Le differenze sociali ed economiche a livello planetario rischiano di segnare l'ordine della distribuzione dei vaccini anti-Covid. Con i poveri sempre ultimi e il diritto alla salute per tutti, affermato in linea di principio, svuotato nella sua reale valenza». Concetto quest' ultimo su cui è tornato ieri, in un altro video- messaggio, rivolto alla quinta conferenza internazionale vaticana organizzata dal Pontificio consiglio per la cultura e la Cura Foundation: «Pensare e tenere al centro la persona umana esige anche una riflessione sui modelli di sistemi sanitari aperti a tutti i malati, senza alcuna disparità». Ritorna, dunque, il caposaldo su cui è costruita Fratelli tutti: la fraternità non può restare un'idea astratta. «L'inclusione o l'esclusione di chi soffre lungo la strada - scrive Francesco - definisce tutti i programmi politici, economici, sociali e religiosi».

La Stampa ha raggiunto a Parigi Bernardo Kouchner, uno dei fondatori di Medici senza frontiere negli anni Settanta, ministro con Mitterrand e Sarkozy.

«Oggi, a 81 anni, dal suo appartamento parigino, osserva la pandemia con gli occhi esperti di chi, alla fine, è prima di tutto un medico: il «french doctor», come lo chiamavano in tutto il mondo. Cosa pensa dell'idea di sospendere i brevetti dei vaccini del Covid? È la soluzione per renderli accessibili da parte dei Paesi più poveri? «Non è la soluzione ma una delle soluzioni. Ed è l'inizio probabile di una nuova coscienza nell'ambito della salute pubblica. Si tratterà di un principio difficile da applicare e il processo sarà lungo, perché bisognerà realizzare campagne di vaccinazione universale nei Paesi più poveri, che hanno strutture sanitarie fragili o quasi inesistenti. Quello è un ostacolo che non si supera semplicemente con lo stop ai brevetti Ma l'idea di una condivisione internazionale dei vaccini è importante. E si devono condividere anche le misure di precauzione e i «gesti barriera», che non vanno abbandonati con la scusa dei vaccini. Nasce una politica di salute pubblica mondiale». In Europa, Italia e Francia hanno aperto, ma la Germania si oppone. «No, anche la Germania sarà favorevole. Le ultime dichiarazioni di Angela Merkel a Porto sono state al riguardo più sfumate. La Cancelliera è una persona con i piedi per terra. E l'idea è buona, è un sogno necessario, anche la Merkel lo sa». Diciamo che per l'Italia e la Francia sarebbe più facile rinunciare ai brevetti, perché non hanno concepito vaccini anti-Covid, rispetto agli Usa, la Germania e il Regno Unito. «Forse, in ogni caso la situazione non è la stessa. L'Italia è un Paese sviluppato e che ha migliorato sensibilmente la sua sanità pubblica. Ma non ha un gruppo farmaceutico come quello francese Sanofi, né un laboratorio della potenza dell'istituto Pasteur. Noi in Francia sì e abbiamo comunque fallito, con due campioni di questo calibro. Al di là di tutto, comunque, lo stop ai brevetti è un sogno necessario. E ora bisogna aiutare i Paesi più poveri a migliorare le loro infrastrutture sanitarie».

“SI RIAPRE CON GIUDIZIO”, GUARDANDO I NUMERI DEGLI OSPEDALI

Ai margini del vertice europeo Mario Draghi ha parlato delle riaperture nel nostro Paese. Bisogna procedere ma con la giusta prudenza:

«Io voglio riaprire, voglio che le persone tornino fuori a lavorare, a divertirsi, a stare insieme. Ma bisogna farlo in sicurezza, calcolando bene il rischio che si corre. Quindi noi ora stiamo esaminando i dati, che sono abbastanza incoraggianti. Per quanto riguarda le vaccinazioni, il 90% di coloro che han più di 80 anni e più di 90 ha ricevuto almeno una dose, quasi il 70% di quelli che hanno più di 70 anni hanno ricevuto anch' essi una dose. C'era un momento - non so se vi ricordate - non tanto tempo fa, in cui quelli che avevano più di 70 anni erano praticamente una delle classi meno vaccinate che ci fossero in Italia. Questo è molto importante». (…) Mario Draghi ritorna alle questioni che più riguardano gli italiani: «Dal 26 aprile al 7 maggio il numero di ricoveri ordinari in terapia intensiva è calato di oltre il 20%, il tasso di positività è sceso dal 5,8 al 3,2, le vittime sono tante ancora, ma sono in forte diminuzione, se l'andamento dovesse continuare in questa direzione, chiaramente la Cabina di regia procederà ad altre riaperture. È importante essere graduali anche per capire quali riaperture hanno più effetto sui contagi e quali meno. Farle sì, ma con la testa, dunque essere prudenti». Ma alla riaperture e all'avvicinarsi della stagione turistica, il premier abbina un altro argomento, quello del passaporto vaccinale unico per tutti i Paesi dell'Unione, uno strumento che a giudizio di Draghi va messo a punto quanto prima: «È stato chiesto con molta enfasi da parte nostra, che la Commissione e il Parlamento europeo procedano con la massima rapidità alla definizione del Green certificate per avere un modello europeo, perché se ogni Paese ha il suo certificato e attua misure diverse, per quanto riguarda il turismo ci sarà una gran confusione. E con la ripartenza del turismo bisogna considerare anche che gli aeroporti diventano dei luoghi a cui guardare con molta attenzione perché sono ovviamente luoghi dove i contagi possono succedere. Quindi bisogna rinforzare i controlli».

Il Fatto intervista il sottosegretario 5 Stelle Pierpaolo Sileri. È giusto continuare a considerare il tasso di contagio, l’Rt, come primo dato per la valutazione delle riaperture?  Non ha forse ragione chi sostiene che ci vogliono nuovi parametri?

«Sottosegretario Pier Paolo Sileri, le Regioni e la Lega vogliono riaprire tutto, ma dal 17 maggio rischiamo nuove zone arancioni perché Rt sale. Si cerca di modificare i parametri e c'è pure chi vorrebbe abolire i colori. Come la vede lei che è più aperturista di altri? «È vero, come dicono le Regioni, che Rt ha troppo peso. È giusto dare maggior peso ai dati degli ospedali. Il sistema dei colori per ora non si può togliere». I tecnici discutono di usare anche un indice Rt calcolato sui soli ricoverati. «Sì, esattamente».E il coprifuoco? I ristoranti al chiuso? Le palestre? «Credo che dal 15 maggio potranno riaprire. Attenzione: sono aperturista ma repressivo, più controlli e se sbagli chiudi. Il coprifuoco si può ritardare di due ore se l'incidenza è bassa: oggi siamo a 12 contagi a settimana ogni 10 mila abitanti, a 10 si può fare. Non lo toglierei. Ma inserirei un altro parametro: riaperture solo quando i vaccinati, almeno con la prima dose, superano da tre settimane i tre quarti degli over 60 e dei fragili». Il generale Figliuolo e il Cts dicono che il richiamo si può fare anche dopo 42 giorni, molti medici dicono di no. «Ero per ritardare la seconda dose, come Remuzzi e Bassetti, ma a gennaio, quando iniziava la terza ondata, non c'erano dosi a sufficienza ed era necessario accelerare sui più fragili. Ora i vaccini arrivano, non ha molto senso. Si può ritardare il richiamo solo per i soggetti in buona salute, magari nelle Regioni dove il virus circola di più, ma non per i pazienti oncologici e gli immunodepressi. Comunque deve valutare il medico caso per caso». 

MATTARELLA SUL TERRORISMO: FARE I CONTI COL PASSATO

Oggi nell'Aula del Senato si celebra il Giorno dedicato alla memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Data fissata il 9 maggio, a 43 anni dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. Il Presidente Sergio Mattarella ringrazia Macron, la giustizia italiana farà il suo corso con i latitanti fuggiti all’estero. E invita tutti gli italiani a fare i conti col passato recente del nostro Paese, segnato dal terrorismo rosso e da quello nero.   

«Il dovere morale è di «non dimenticare» e di fare luce sugli angoli ancora bui di ciò che avvenne perché «la completa verità sugli anni di piombo è un'esigenza fondamentale per la Repubblica». E per il sistema Paese c'è un'eredità importante da valorizzare: il "patto di cittadinanza" che si impose sui terroristi e di cui anche oggi c'è bisogno per unirsi e risollevarsi dopo la pandemia. Sul recente arresto in Francia di dieci latitanti degli anni di piombo, responsabili di atti di sangue, Mattarella ringrazia il presidente Emmanuel Macron ed auspica che «altri Paesi stranieri ne seguano l'esempio», consentendo alla giustizia italiana di fare il proprio corso nei confronti di tutti i latitanti fuggiti all'estero. Che cosa sono stati gli anni di piombo per il nostro Paese? «Sono stati anni molto sofferti, in cui la tenuta istituzionale e sociale del nostro Paese, è stata messa a dura prova. Oltre quattrocento le vittime in Italia, di cui circa centosessanta per stragi. Cittadini inermi colpiti con violenza cieca, oltre cento gli uomini in divisa che hanno pagato con la morte la fedeltà alla Repubblica. Magistrati, docenti, operai, dirigenti d'azienda, studenti, giornalisti, uomini politici, sindacalisti. Nessuna categoria manca all'appello di una stagione in cui il terrorismo, di varia matrice, ha preteso di travolgere la vita delle persone inseguendo progetti sanguinari. La scia lasciata dagli assassini ci porta sino ai primi anni 2000». (…) Che cosa assimilava e che cosa distingueva il terrorismo rosso e nero? «L'obiettivo del terrorismo rosso era di approfondire i solchi e le contrapposizioni nella società e nella politica, per spingere, compiendo attentati, il proletariato a fare la rivoluzione, cercando di delegittimare i partiti della sinistra tradizionale, accusati di essersi "imborghesiti".Il terrorismo nero, accanto a suggestioni nostalgiche di improbabili restaurazioni, è stato spesso strumento, più o meno consapevole, di trame oscure, che avevano l'obiettivo politico di rovesciare l'asse politico del Paese interrompendo il percorso democratico, provocando una reazione alle stragi che conducesse a un regime autoritario, così come era avvenuto in Grecia. Ricordiamo sempre il contesto, a neppure venticinque anni dalla fine del secondo conflitto mondiale». La lotta armata si giovò di un humus culturale di ostilità per le istituzioni. Come rileggere opinioni e scelte di chi allora decise di restare in una zona grigia nello scontro con lo Stato? Quanto era grande l'area dell'indifferenza, del "né con lo Stato né con le Br"? «Vi furono, palesemente, posizioni inaccettabili di alcuni intellettuali dell'epoca, che favorirono la diffusione del mito della "Resistenza tradita", a somiglianza di D'Annunzio che contribuì ad aprire la strada al Fascismo, con lo slogan della "Vittoria mutilata". Il dibattito tra gli intellettuali dell'epoca, in realtà, non fu sempre così manicheo: in qualcuno prevalevano le sfumature, i distinguo, rispetto alle posizioni nette. Oggi non si può neanche ipotizzare l'idea dell'equiparazione tra lo Stato e le Brigate Rosse, senza avvertire incredulità e sdegno, ma neppure allora era legittimo farlo. Quasi ogni giorno, in vili agguati, venivano gambizzate o uccise persone inermi. Ed è bene ricordare che il terrorismo uccideva sovente gli uomini migliori, fautori del dialogo, volti al confronto, al superamento delle contrapposizioni, alla coesione: servitori della Repubblica e della comunità nazionale, non feroci aguzzini dediti alla repressione del popolo come sostenevano nelle farneticanti rivendicazioni». (…) Casalegno e Tobagi uccisi, Montanelli ferito: perché i terroristi bersagliavano la stampa? «La libera stampa, il diritto di critica, il dissenso sono i cardini delle democrazie liberali. Il giornalismo è prima di tutto testimonianza civile. Nella visione folle dei terroristi, i giornalisti costituivano un pericoloso ostacolo sulla loro strada. Per questo andavano intimiditi per ridurli al silenzio». L'Italia è stato il Paese dell'Occidente più sfidato dal terrorismo ideologico (non fondato su rivendicazioni autonomiste come i baschi in Spagna o i nordirlandesi in Gran Bretagna). Si aspettava questa capacità di resistenza, questa difesa della democrazia nonostante le zone grigie? «Non ho mai nutrito dubbi. Il terrorismo imponeva una scelta tra la vita e i portatori di morte, e non vi è stata esitazione nella risposta da parte del popolo italiano, rafforzando una fedeltà laica e civile ai valori della Costituzione, un patto di cittadinanza che trova radice nella Resistenza e nella lotta di Liberazione. Il tentativo di spacciare l'assassinio come strumento di lotta politica ha visto reagire senza esitazioni le istituzioni democratiche, i partiti e le forze sociali. Si pensi al ruolo del sindacato nelle fabbriche, soprattutto dopo l'assassinio a Genova di Guido Rossa. L'inammissibile proposito di negare le proprie responsabilità personali con l'appello a non distinguibili responsabilità collettive, è andato deluso, evidenziando la sua inconsistenza. Sono stati condannati coloro che hanno commesso reati, ferendo e assassinando, non gli appartenenti al circolo della critica. Non furono solo "anni di piombo". Il terrorismo non è riuscito a realizzare l'ambizione di rappresentare una cesura, uno spartiacque nella storia d'Italia. Il disegno cinico - non esente da collegamenti a reti eversive internazionali - di destabilizzare la giovane democrazia è stato isolato e cancellato. La comunità nazionale ha saputo rispondere allargando gli spazi di partecipazione, aprendo alle nuove generazioni: dallo Statuto dei lavoratori al riconoscimento dell'obiezione di coscienza, agli organi democratici nella scuola, alla maggiore età a diciotto anni. Nelle sedi istituzionali i partiti politici seppero elaborare una risposta unitaria. L'esperienza della solidarietà nazionale dimostrò la capacità della Repubblica di sapersi unire, oltre i tradizionali confini di maggioranza e opposizione, contro un nemico che intendeva travolgere le libere istituzioni che gli italiani si erano dati. È la statura della nostra democrazia, è la Repubblica ad avere prevalso contro l'eversione che aveva nel popolo il proprio nemico». Come giudica la recente decisione della Francia di ordinare l'arresto di dieci terroristi rossi condannati per fatti di sangue? «La lotta al terrorismo è indivisibile e impegna tutte le democrazie, insieme. Era una decisione che lo Stato italiano - attraverso i diversi governi che si sono succeduti negli anni - chiedeva da tempo. Ringrazio il Presidente Macron: con la sua decisione ha confermato amicizia per l'Italia e manifestato rispetto per la nostra democrazia. Mi auguro che possa avvenire lo stesso per quanti si sono sottratti alla giustizia italiana e vivono la loro latitanza in altri Paesi». (…) Sugli anni di piombo è stata fatta piena luce o ci sono ancora angoli bui? «Come ha ricordato il Presidente Napolitano in occasione della Giornata della Memoria nel 2012 "non brancoliamo nel buio di un'Italia dei misteri: ci troviamo dinanzi a limiti da rimuovere e a problemi di giustizia e di verità ancora da risolvere, ma in un'Italia che ha svelato gravissime insidie via via liberandosene... individuandone e sanzionandone a centinaia gli sciagurati attori...". Desidero riaffermare la riconoscenza per il coraggio di giudici e di giurie popolari di cittadini che non avevano ceduto alle minacce. Ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità, non pienamente chiarite. Mi ha colpito molto il dialogo di qualche giorno fa tra la vedova e il figlio del commissario Calabresi che si sono detti persino pronti - insieme ad altri familiari delle vittime - a rinunciare al loro titolo ad avere giustizia, dopo tanti anni, in cambio della piena verità da parte degli assassini dei loro cari. L'esigenza di completa verità è molto sentita dai familiari. Ma è anche un'esigenza fondamentale per la Repubblica. Il trascorrere del tempo non colloca quanto avvenuto tra gli eventi ormai esausti, consumati, da derubricare. Cos' è il terrorismo? L'orrore dell'attacco vile alla vita delle persone, aggressione violenta alle idee, intimidazione contro le libertà dei cittadini, violenza contro il diritto di professare la propria fede. Penso alla vita del piccolo Stefano Gaj Taché, ucciso, a due anni, alla Sinagoga di Roma. Ho voluto ricordarlo nel mio discorso di insediamento, sei anni fa, perché quel delitto suscita congiuntamente tanti motivi di orrore: disprezzo per la vita, antisemitismo, violenza contro la libertà religiosa. La Repubblica sa che sarebbe un errore pensare che si tratti di questioni ed esperienze relegate a un passato, più o meno remoto. Quei morti, quei feriti ci parlano di come difesa della libertà e della democrazia, affermazione dei diritti delle persone, siano un'impresa mai pienamente compiuta, sempre sottoposta a insidie da prevenire e contrastare. Custodiamo la memoria di tante vite spezzate e dobbiamo interrogarci con rigore su come sia stato possibile che accadesse».

Angelo Picariello su Avvenire ricorda la lezione di Aldo Moro:

«Accade sovente ai martiri che il loro sangue versato produca nel tempo frutti più grandi e duraturi di quelli che con la loro eliminazione si intendeva impedire. Basta solo coglierli, per non vanificare quel sacrificio. Capita invece che a 43 anni dalla sua scomparsa Aldo Moro venga ancora associato quasi esclusivamente ai misteri, ai buchi neri, che hanno contrassegnato la torbida vicenda del suo rapimento e del suo assassinio per mano brigatista, come se si trattasse di alimentare un inesauribile filone di romanzi gialli, trascurando di illuminare l'insegnamento più che mai attuale di questo padre costituente e statista. «Se noi vogliamo essere ancora presenti, ebbene dobbiamo essere per le cose che nascono, anche se hanno contorni incerti, e non per le cose che muoiono, anche se vistose e in apparenza utilissime», disse Moro in un discorso spesso evocato al Congresso della Dc del giugno 1969. Dopo 30 anni di cosiddette Seconda e Terza Repubblica a inseguire vistose quanto effimere leadership, naufragate quasi sempre sul vizio dell'autoreferenzialità e della ricerca della sterile contrapposizione, è utile riconsiderare ciò che Moro ci ha lasciato e la sua idea di “solidarietà nazionale”».

INCHIESTA SULLE COPIACCE DEI VERBALI DA ROMA A BRESCIA

Primo round a favore della coppia degli indagati Paolo Storari e Piercamillo Davigo. Il Pm di Milano, interrogato dai colleghi di Roma, ha confermato che diede a Davigo le “copiacce” dei verbali dell’avvocato Amara. Ma a Milano, non a Roma, come aveva scritto Greco nella prima relazione. Dunque i giudici della capitale si libereranno presto della patata bollente dell’inchiesta sulla fuga di notizie delle carte. Ferrarella e Bianconi sul Corriere.   

«Ai colleghi di Roma che hanno nel fascicolo una relazione del procuratore Greco in cui si afferma che Storari riferì che la consegna a Davigo degli interrogatori dove Amara parla della fantomatica loggia massonica coperta Ungheria (luogo in cui politici, magistrati, avvocati, vertici delle forze dell'ordine e professionisti pianificavano nomine e strategie) avvenne a Roma nell'aprile di un anno fa, l'interessato ha invece ribadito ciò che aveva già testimoniato Davigo mercoledì scorso: l'incontro si svolse a Milano, in pieno lockdown anti-Covid, quando il Csm era chiuso e l'ex consigliere non aveva motivo per andare nella capitale. L'indicazione contenuta nella relazione di Greco sarebbe dunque stata frutto di un suo errore di comprensione, che ha radicato per due settimane la competenza dell'indagine sulla violazione del segreto nella Procura sbagliata. All'inizio della prossima settimana il procuratore di Brescia Francesco Prete andrà nella capitale per una riunione di coordinamento con il collega Prestipino, e all'esito della riunione è assai probabile che il fascicolo venga trasmesso per competenza a Brescia, città dove vengono giudicati gli ipotetici reati commessi da magistrati milanesi nel loro distretto. Dopo aver ricevuto l'indicazione precisa sul luogo della consegna, i pm di Roma si sono limitati a raccogliere solo una generale ricostruzione anticipata da Storari sul movente del proprio gesto, vale a dire le ragioni per cui riteneva inerti il procuratore e gli aggiunti Laura Pedio e Fabio Di Pasquale rispetto alla necessità di verificare le dichiarazioni di Amara. Ma il pm milanese ha voluto specificare che è stato lo stesso Davigo a rassicurarlo sulla possibilità di consegnargli i verbali senza violare alcuna regola o legge, giacché i consiglieri del Csm possono consultare e ricevere anche atti segreti. Una garanzia alla quale aggiunse che poi avrebbe pensato lui a muovere i passi giusti all'interno dell'organo di autogoverno. In effetti Davigo parlò delle dichiarazioni di Amara sulla loggia «Ungheria» al vicepresidente David Ermini, al procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, al primo presidente Pietro Curzio e ad altri consiglieri, ma senza atti formali».

Maurizio Belpietro si occupa della deposizione di Paolo Storari nell’editoriale su La Verità e si concentra sulla motivazione addotta dal pm di Milano per la sua condotta, ora oggetto di indagine: “tatto istituzionale”.

«Quando Amara racconta di un'associazione segreta, sono convinto che la magistratura abbia l'obbligo di aprire un'indagine e non di lasciar dormire per mesi o per anni un verbale in un cassetto. Allo stesso modo, tuttavia, pur comprendendo le perplessità di un pubblico ministero che si sente di rivelare reati gravissimi, ma non gli è consentito di indagare, non posso certo giustificare l'iniziativa di un magistrato che fotocopia il verbale e lo passa a un collega del Csm con la scusa del «tatto istituzionale». Se Storari si è sentito prevaricato da Francesco Greco, cioè dal Procuratore capo di Milano, aveva due strade, ovvero rivolgersi al Csm con un esposto o sollecitare l'avocazione del fascicolo da parte della Procura generale. Invece niente di tutto ciò è avvenuto, ma per «la delicatezza delle dichiarazioni che si ritiene siano oggetto di indagine» (ahahahahah) ha consegnato il verbale a Davigo. Il quale, anziché respingerlo, consigliando il collega di rivolgersi a chi ne aveva titolo, ha deciso di seguire le «vie informali», visto che quelle formali erano a sue dire precluse. Non so che cosa succederà all'ex pm di Mani pulite - immagino niente - ma se uno di noi seguisse le vie informali, sono certo che sarebbe prima indagato e poi condannato, con accuse che vanno dalla rivelazione di segreto istruttorio se non alla ricettazione. Alla fine di questa meravigliosa ricostruzione che tiene conto della «delicatezza delle dichiarazioni che si ritiene siano oggetto di indagine», ci rimane una domanda: alla fine ci sarà qualcuno che vorrà indagare su Amara, sulle coperture di cui ha goduto finora e sui soldi che in tutta allegria si gode alla faccia delle tante accuse che gli piovono sul capo? È una domanda priva di «tatto istituzionale?» Ahahahahahah! Dài, non fateci ridere».

CONTE: MANIFESTO DEI 5 STELLE CON 5 PUNTI EUROPEI

Giuseppe Conte pubblica sul Corriere un manifesto programmatico dei 5 Stelle, alla cui rifondazione sta lavorando da settimane, con cinque punti sull’Europa.  

«L'esperienza di governo sin qui maturata e il lavoro svolto dal Movimento 5 Stelle a Bruxelles mi spingono a formulare una proposta articolata su cinque punti, «cinque stelle europee»: salute, lavoro, economia, multilateralismo, democrazia partecipativa. 1. Un'Europa della salute per curare chi soffre e prevenire le minacce future. Dobbiamo rafforzare le competenze e gli strumenti dell'Ue in ambito sanitario. È interessante, ad esempio, il progetto di una nuova Agenzia europea per la ricerca biomedica avanzata, ma bisogna puntare più decisamente agli investimenti comuni e alla cooperazione nell'ambito della ricerca scientifica, anche in vista di una maggiore sicurezza alimentare, allargando le frontiere dell'innovazione, della telemedicina, della prevenzione. La salute deve essere tutelata nello stesso modo in ogni angolo dei nostri territori. (…). 2. Un'Europa sociale per rafforzare i diritti e sconfiggere le diseguaglianze. In Europa lo sfruttamento dei lavoratori più deboli, con taglio dei diritti e dei salari al fine di guadagnare competitività, è ancora una pratica molto diffusa. Nell'ultimo decennio i lavoratori sotto la soglia di povertà sono aumentati del 12% in Europa, e tale tendenza sta subendo una vertiginosa accelerazione a causa della pandemia. L'istituzione di un salario minimo europeo è solo il primo passo fondamentale per restituire dignità alle lavoratrici e ai lavoratori: puntiamo a realizzare un vero pilastro sociale europeo, ambizioso e vincolante, che renda strutturale il sostegno agli ammortizzatori sociali nazionali, sulla scorta di quanto realizzato con lo strumento Sure, al fine di riconciliare il diritto al lavoro con la tutela della qualità della vita. 3. Un'economia eco-sociale al servizio delle persone e dell'ambiente. L'Italia è stata protagonista della promozione del programma Next Generation Eu, fondato sull'emissione di debito comune. Questo programma va adesso incorporato, in modo strutturale e permanente, nell'architettura istituzionale europea. Dobbiamo superare le rigide regole del Fiscal Compact, introducendo lo scorporo degli investimenti nel green, nella ricerca, nell'istruzione e nella cultura dal pareggio di bilancio. Voltiamo pagina anche sul voto all'unanimità nelle politiche fiscali, in modo da pervenire a un bilancio pluriennale europeo all'altezza delle nostre ambizioni e a una fiscalità europea equa e giusta, che possa sanare le attuali asimmetrie che generano indebiti vantaggi competitivi. Solo così potremo riconciliare definitivamente economia ed ecologia. 4. Un'Europa multilaterale per proteggere le persone e promuovere i diritti fondamentali. L'Unione Europea deve dotarsi di strumenti più efficaci e assumere maggiori responsabilità nella politica estera, di sicurezza e di difesa comune per contribuire alla protezione dei diritti fondamentali, al mantenimento della pace e alla stabilità internazionale. Deve privilegiare l'azione multilaterale e la cooperazione euro-atlantica, ma deve essere in grado di poter agire, quando necessario, anche in via autonoma. Grazie a una efficace azione esterna e a un rinnovato slancio cooperativo, l'Europa deve poter affrontare e rimuovere le cause profonde che generano i fenomeni migratori nei Paesi di origine e di transito, dotandosi di un sistema di asilo comune, in modo da superare i meccanismi del regolamento di Dublino in senso genuinamente solidale. (…) 5. Un'Europa partecipata per un futuro trasparente e inclusivo. L'Europa deve rimettere al centro il concetto di cittadinanza attiva, aumentando le possibilità e l'incisività della partecipazione diretta nei propri processi decisionali. Vogliamo maggiore trasparenza nel procedimento legislativo e il potenziamento dell'attuale Iniziativa dei Cittadini Europei (Ice), in modo da trasformarla in una vera iniziativa legislativa europea popolare, con la quale i cittadini potranno avanzare proposte da calendarizzare obbligatoriamente in discussione per una prima lettura al Parlamento europeo. (…) Il futuro di un'Europa unita, democratica e solidale può e deve essere nelle nostre menti e nei nostri cuori. Dobbiamo costruirlo insieme».

ESCE IL LIBRO DELLA MELONI: “IO SONO GIORGIA”

Operazione simpatia sul Corriere della Sera: Giorgia Meloni viene intervistata da Aldo Cazzullo a tutto campo in una doppia paginata. Poca politica, molta biografia. L’occasione è l’uscita, per l’appunto, del libro autobiografico, stampato dalla Rizzoli: Io sono Giorgia.

«Noi non siamo contro l'Europa. Siamo per un'Europa confederale, che decide le grandi cose, e sulle altre lascia libertà agli Stati. Oggi accade il contrario: l'Europa ci dice che possiamo mangiare i vermi; e sulla pandemia si va in ordine sparso». Perché non avete dato una mano a Draghi, invece di opporvi per sfruttare una rendita di posizione? «Io sto dando una mano a Draghi. A un governo l'opposizione serve». Vi sentite? «A volte sì. Abbiamo un buon rapporto. Su Erdogan e sull'estradizione dei terroristi mi è piaciuto». È il suo candidato al Quirinale? «Avrebbe il vantaggio che poi si va a votare. Ma penso anche ad altri nomi. Che non intendo bruciare». Di Berlusconi racconta che, quando lei lasciò il Pdl, lui le chiese: «Che cosa vuoi?». Come una persona convinta che tutto e tutti abbiano un prezzo. «Non credo che Berlusconi mi abbia mai davvero capita. E non so se volesse trattenermi, o mettermi alla prova, o liberarsi di un po' di ex An». Fini non esce male dal libro. «Mi ha voluta vicepresidente della Camera a 29 anni e ministro a 31. Io avevo con lui un buon rapporto, ma ci sono voluti dieci anni per ricostruire dopo quello che ha fatto». Perché l'ha fatto? «Non l'ho mai capito. A volte penso che forse non riusciva più a reggere questa vita. Una notte venne a una cena che avevamo organizzato da mesi: era nero. Non un sorriso, non una stretta di mano. Ci rimasi malissimo. Ma adesso capisco che certe volte, dopo quattro pranzi, due comizi, tre interventi tv, sei talmente stanco che hai voglia soltanto di dormire». Bossi? «Non ci siamo mai piaciuti particolarmente. Mi chiamava la Romanina». Come sono davvero i suoi rapporti con Salvini? «Altalenanti. Il nostro non è mai stato un rapporto che andasse oltre la politica. Ma in certi periodi ci parliamo spesso, e ci mandiamo WhatsApp per ridere di chi vuole farci litigare; in altri, ci sentiamo meno. Adesso è uno di questi periodi».

STRAGE DI STUDENTESSE A KABUL, L’OMBRA DELL’ISIS

Essere donne e voler studiare. Ecco la colpa delle vittime del primo attentato a Kabul dall’inizio del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan. I talebani attribuiscono la strage di massa, in cui sarebbero state uccise 50 ragazze, all’Isis. La cronaca del Corriere della Sera, di Marta Serafini:  

«Ero con la mia compagna di banco, stavamo uscendo da scuola, quando all'improvviso abbiamo sentito un'esplosione fortissima». Zahra ha 15 anni, un braccio rotto e una scheggia conficcata tra le ossa. «Tutti urlavano e c'era sangue ovunque, e non riuscivo a vedere nulla», ha spiegato all'Ap. Zahra è viva, la sua amica è morta. Brucia ancora Kabul, dove ieri un'autobomba e altre esplosioni - ma la dinamica è ancora tutta da accertare - hanno colpito la Syed Al-Shahda school, un liceo misto in cui i maschi studiano al mattino e le ragazze al pomeriggio, uccidendo oltre 50 persone, per lo più ragazze tra gli 11 e i 20 anni, e facendo almeno una cinquantina di feriti. Un attacco mirato contro le studentesse colpite alle 16 e 30 mentre uscivano dalle lezioni. È un attentato - l'ennesimo - contro la minoranza sciita, gli hazara, che insanguina la città a pochi giorni dai festeggiamenti per l'Eid e la fine del mese sacro del Ramadan. Non c'è pace nell'Afghanistan da cui hanno iniziato a smobilitare gli ultimi 2.500-3.500 soldati statunitensi che il presidente Joe Biden rivuole a casa entro l'11 settembre prossimo. «Non siamo stati noi. Questo attacco porta la firma dell'Isis», si è affrettato a dichiarare il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid. Non a caso proprio un anno fa l'Isis ha rivendicato un attentato nello stesso quartiere di Dasht-e-Barchi, contro la maternità gestita da Medici Senza Frontiere, costato la vita a 25 persone, comprese 16 madri di neonati. E, sebbene abbia perso terreno anche sul fronte afghano, lo Stato islamico di recente si è attribuito la paternità dell'omicidio di 4 giornaliste. Isis però non è l'unico a prendere di mira le donne. Sotto il regime dei talebani studiare, leggere e insegnare è costato la vita a tante giovani. Con il risultato che l'Afghanistan resta uno dei Paesi con il tasso di alfabetizzazione femminile tra i più bassi al mondo, con il 66% delle ragazzine tra i 12 e i 15 anni che non studia e un tasso di analfabetismo femminile che si aggira ancora tra l'84 e l'87%». 

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Non è un vaccino per poveri

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