"Non era un golpe"
Prigozhin si rifà vivo con un audio in cui ritratta. Putin parla ai russi: non ci dividiamo. Il mondo non vuole interferire, gli ucraini avanzano sul Dnepr. Meloni litiga sulla cannabis. Molise a FI
48 ore per elaborare il quasi golpe. Ieri sera il presidente Vladimir Putin ha parlato brevemente alla nazione, dicendo quello che forse avrebbe dovuto dire il primo giorno. Il tentativo di insurrezione è fallito, la Russia non si dividerà. Rivolgendosi poi ai combattenti di Wagner (definiti in gran parte “patrioti”) ha offerto loro tre vie d’uscita: tornare alle proprie case senza armi, arruolarsi nell’esercito regolare russo oppure riparare in Bielorussia. Anche il capo della rivolta Evgenij Prigozhin ha parlato, ma solo attraverso un messaggio audio di 11 minuti: volevo salvare la milizia, ha detto, non fare un golpe. Una conclusione quasi farsesca.
La preoccupazione del mondo ora, preoccupazione che accomuna anzitutto Usa e Cina, è quella di chiarire bene che si tratta di affari interni alla Federazione Russa e che nessuno vuole interferire. L’ultimo rischio è infatti quello di essere additati come ispiratori di un golpe, che poi è fallito. Del resto qualcosa di simile era accaduto poco tempo fa in Turchia e qui la situazione è resa incandescente dalla guerra e dal numero di testate nucleari nella disponibilità del Cremlino.
Dal fronte bellico, a proposito, la notizia è che la controffensiva ucraina sembra aver ripreso vigore. A Kherson, le truppe di Kiev hanno riconquistato il fronte sinistro del fiume Dnepr, un traguardo impensabile anche solo una settimana fa. Presto per dire che il contrattacco questa volta riuscirà, ma Volodymyr Zelensky ha visitato le truppe per incoraggiare il pressing militare in un momento in cui la Russia appare fortemente indebolita. Ma c’è chi continua a pensare che la soluzione non sarà militare. Per ora è confermato ed anzi pare imminente il viaggio dell’inviato speciale del Papa, il cardinal Matteo Zuppi, a Mosca: dovrebbe incontrare il patriarca Kirill. Ne parla Paolo Ciani, deputato di Demos, in un’intervista al Fatto.
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