La Versione di Banfi

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Omicron, il vaccino regge?

alessandrobanfi.substack.com

Omicron, il vaccino regge?

Le prime notizie scientifiche sono buone: dal Sudafrica all'Italia l'impressione è che il vaccino sia efficace con la variante. Oggi G7 straordinario. Attesa per i mercati. Boom di prime e terze dosi

Alessandro Banfi
Nov 29, 2021
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Omicron, il vaccino regge?

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Le notizie scientifiche sono un’altra cosa rispetto alle scommesse dei mercati. E gli scienziati sudafricani, che per primi hanno isolato la variante Omicron, sostengono che la nuova versione del virus si contagia rapidamente ma che provoca solo lievi sintomi. Non solo, sarebbe intercettata e tracciata dai test classici, come i tamponi molecolari. Solo quelli rapidi avrebbero un’inefficacia del 30 per cento. Il paziente zero italiano conferma dal suo isolamento: lui, che è vaccinato, ha pochi sintomi. Buone notizie dunque. Oggi alle 13,30 c’è un G7 straordinario dei Ministri della Salute, come ha annunciato Speranza. Lì si capirà di più. E nella giornata vedremo anche la reazione dei mercati finanziari, i più sensibili ad Omicron.

Sul fronte interno la buona notizia è la ripresa impetuosa delle vaccinazioni. Stamattina alle 6 sono arrivati gli ultimi dati: la settimana appena conclusa registra una media settimanale di 280 mila 127 somministrazioni al giorno. Un boom. Per trovare un dato migliore bisogna tornare indietro ai numeri della settimana dal 9 al 15 agosto. Prime e terze dosi hanno messo il turbo. Criticità invece sul fronte dei controlli che dovranno scattare dal 6 dicembre. La Lamorgese è in affanno, perché non si possono dirottare tutte le forze dell’ordine a controllare i green pass sui mezzi di trasporto. Intanto il Green Pass ha ampiamente superato lo scoglio delle urne in Svizzera, dove, primi al mondo, gli elettori erano chiamati ad un referendum: il 62% degli elvetici ha votato a favore. La vittoria dei sì è importante per il governo di Berna.

La variante Omicron sulla politica italiana spinge ancora perché Draghi resti fino al 2023. Torna a ripeterlo Berlusconi intervistato dal Corriere. Giuli su Libero nota giustamente che ormai è un coro, più o meno interessato, ma siamo sicuri che Draghi accetti? Oggi la base dei 5 Stelle vota sul tema del finanziamento pubblico. Mentre proprio i rappresentanti del Movimento vanno a Palazzo Chigi per il primo colloquio di un giro di consultazioni del premier sulla Legge di Bilancio.

Dall’estero notizie drammatiche sui bambini che muoiono di fame a Kabul. Possibile che l’Occidente, dopo il ritiro delle truppe, non si senta responsabile di questo disastro? Quirico racconta la “nuova” Siria dell’autocrate Assad. Buone notizie da Praga dove inizia il suo governo un premier cattolico, che ha battuto i populisti alle elezioni. Ieri è iniziato l’Avvento (a Milano è già cominciato) e il Papa, all’Angelus, invita i cristiani a non stare in poltrona.

È ancora disponibile on line il settimo episodio della serie Podcast Le Vite degli altri da me realizzata con Chora media, in collaborazione con Vita.it e con Fondazione Cariplo. Il titolo è: LA CUOCA COMBATTENTE. È la storia affascinante di una 50enne di Palermo, Nicoletta Cosentino, che è sopravvissuta a una relazione abusante, di cui si è liberata a fatica. Oggi Nicoletta accompagna altre donne sullo stesso percorso. Insieme a chi ha avuto una storia simile alla sua ha messo in piedi a Palermo un’impresa sociale che produce dolci, conserve e marmellate. Si sono chiamate “Le cuoche combattenti” e su ogni loro vasetto scrivono una frase, un motto che aiuti le altre a essere più consapevoli. Potete trovare i loro prodotti sul web (https://www.cuochecombattenti.com), grande idea per Natale. Cercate questa cover…

… e troverete Le Vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo e ascoltate il sesto episodio:

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Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

La dottoressa sudafricana Angelique Coetzee e il primo italiano contagiato da Omicron tengono banco nei titoli dei quotidiani odierni. Il Corriere della Sera riporta fra virgolette il parere di uno scienziato del Cts: «Variante, salvi col vaccino». La Repubblica racconta la scoperta della scienziata sudafricana: “Così ho scoperto Omicron”. La Stampa anticipa tutti: Omicron, Speranza annuncia “G7 straordinario sulla salute”. Ma è il Quotidiano Nazionale ad esplicitare l’ottimismo: Ora Omicron fa un po’ meno paura. Il Mattino riporta la testimonianza del dirigente contagiato che vive in Campania e dice: «Omicron, salvo per il vaccino». Il Messaggero conferma: «Il vaccino indebolisce Omicron». Il Sole 24 Ore prevede: Obbligo di vaccino più esteso in Europa. Il Domani torna sull’inchiesta penale di Bergamo su omissioni e ritardi del governo: Troppi errori e bugie: crolla la versione di Speranza. Il Giornale attacca la ministra degli Interni: La variante Lamorgese. Il Fatto è contro la vaccinazione ai piccoli: Bambini, lo dice pure Pfizer: “Pochi dati sulle miocarditi”. La Verità se la prende con un’esternazione di Mario Monti sui media: Vogliono controllare l’informazione per nascondere i loro errori sul Covid. Libero va sulla politica e nota: La grande alleanza contro Draghi al Colle.

SINTOMI LIEVI CON LA VARIANTE OMICRON

Due buone notizie. La prima arriva dal Sudafrica: la nuova variante dà sintomi lievi. La seconda giunge dalla Campania: il paziente zero italiano, vaccinato, sta bene. Resta la preoccupazione per l'alto livello di contagiosità di Omicron. Alessandro Farruggia per il Quotidiano Nazionale.

«Due indizi non fanno una prova, direbbe Agatha Christie. Ma il fatto che i sintomi dei malati della variante Omicron siano apparentemente lievi e che lo stesso contagiato italiano stia sostanzialmente bene sembrano prefigurare un quadro forse meno fosco di quello che si era temuto: la variante sudafricana (bis) è apparentemente più contagiosa, ma forse è meno aggressiva. E questo farebbe tirare un sospiro di sollievo. «La nuova variante Omicron del Coronavirus - ha detto in una serie di interviste la dottoressa Angelique Coetzee, presidente dell'associazione medici del Sudafrica, che ha isolato la nuova variante - provoca una malattia leggera, senza sintomi importanti. Può essere che sia altamente contagiosa ma sinora i casi che vediamo sono estremamente lievi. Sono però preoccupata per le persone anziane, più vulnerabili se affette da malattie cardiocircolatorie o diabete». E anche il presidente dell'Aifa, il virologo Giorgio Palù, frena: «Non ci sono ragioni scientifiche per questo allarme. Per ora abbiamo il sospetto che Omicron sia più contagioso. Un virus con tutte queste mutazioni potrebbe però essere anche meno virulento. Alcuni colleghi mi dicono che i positivi sono in prevalenza paucisintomatici». La prudenza del professor Palù è condivisa dal coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli, e dall'Oms. Ed è confermato dal 'paziente zero' italiano, un manager di Eni. Che fortunatamente aveva ricevuto le due dosi. «Sono soddisfatto di essermi vaccinato - ha detto al Gr Rai -, perché il vaccino nel nostro caso ha funzionato in maniera egregia. Considerati i sintomi blandi miei e della mia famiglia, che è stata contagiata e comprende persone tra gli 8 e gli 81 anni, posso dire che l'infezione si è manifestata solo in modo lieve». Il paziente, ha anche ricostruito la sua vicenda in una nota scritta. «Ho viaggiato nei giorni scorsi da Maputo, in Mozambico, a Roma - ha ricordato - avendo effettuato in anticipo all'imbarco il test PCR con esito negativo e avendo rispettato lungo tutto il tragitto le misure di distanziamento sociale». «Poi - ha proseguito - mi sono recato a San Donato Milanese per delle visite mediche aziendali, e contestualmente ho effettuato (il 16 novembre, ndr) un nuovo test PCR per l'imbarco per il volo di rientro a Maputo. Avendo avuto riscontro positivo di questo secondo test, ho viaggiato verso la mia residenza di Caserta evitando qualunque contatto con soggetti terzi per iniziare l'isolamento domiciliare previsto». «La situazione è sotto controllo», assicura l'Asl di Caserta: «Il paziente sta bene e così i sui cinque familiari (due figli, la mogli, la madre e la suocera) risultati positivi, ma con carica virale molto bassa». A scopo precauzionale sono state mese in isolamento le due classi delle elementari frequestate dai figli dell'uomo, ma dopo due serie di tamponi non sono emersi contagi. L'itinerario del dipendente Eni è stato ricostruito nei dettagli e si è deciso di sottoporre a test i 131 passeggeri del volo da Johannesbug sul quale era imbarcato. La Regione Lazio ha avviato ieri i test molecolari. Fermo restando il blocco dei voli da Sudafrica e Paesi limitrofi i viaggiatori provenieri da scali a rischio vengono monotorati e molti Paesi sono pronti a mosse ulteriori. «È una corsa contro il tempo» per capirne di più e adottare le contromisure giuste, sottolinea la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, mentre Londra, presidente di turno del G7, ha convocato per oggi una riunione d'emergenza dei ministri della Sanità».

SPERANZA ANNUNCIA: OGGI G7 SU OMICRON

Annalisa Cuzzocrea per La Stampa raggiunge il ministro della saluta Roberto Speranza che conferma: oggi alle 13,30 ci sarà una riunione straordinaria del G7 su Omicron.

«Dice Roberto Speranza che l’Italia, da sola, non basta. E che se una cosa l’abbiamo finalmente imparata, in questa disperata e continua lotta contro un virus che muta forma e bersagli, è che l’azione comune – a livello europeo, prima, mondiale, subito dopo – è irrinunciabile. Alle 13. 30 i ministri della Salute dei Paesi del G7, quindi Italia, Francia, Germania, Canada, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito, si riuniranno per esaminare tutti gli aspetti della variante Omicron. La sua pervasività, la sua forza, le misure da prendere per contrastarla. Subito dopo ci saranno nuove riunioni a livello europeo. «È la prima volta che c’è un coordinamento del genere a livello di Unione europea – fa notare Speranza – stiamo imparando che se chiude un solo Paese, non serve a nulla. L’Italia è stata la prima a fermare i voli dal Sudafrica di fronte alla minaccia di Omicron, ma Stella Kyriakides, la commissaria europea per la Sicurezza alimentare e la Salute pubblica, ha invitato tutti a fare lo stesso con l’appoggio della presidente von der Leyen». Nessuno, né a Roma né a Bruxelles, si illude che basti questo a fermare il Covid-19. «Quello che stiamo facendo – continua il ministro – è comprare tempo. L’effetto è quello di rallentare la variante in modo che i nostri scienziati possano studiarla». Cosa serve sapere, è presto detto: «Innanzi tutto dobbiamo scoprire se Omicron è davvero più veloce e se finirà per sopravanzare la Delta». Poi, «viste le tante mutazioni della proteina Spike, bisogna capire se Omicron indebolisce la protezione data dai vaccini. La nostra opinione, finora, è che i vaccini dovrebbero comunque reggere, ma per avere certezze occorre ancora un po’ di tempo».

SUPER GREEN PASS, IL PIANO DEI CONTROLLI

Intanto il Super Green Pass entrerà in vigore tra una settimana. Il Viminale sta mettendo a punto il piano di controlli che scatterà dal 6 dicembre. Giuliano Foschini per Repubblica.

«Non meno di tre milioni di controlli nel corso del mese. La collaborazione delle polizie locali e probabilmente dell'Esercito, accanto a carabinieri, poliziotti e finanzieri. E l'utilizzo dei controllori locali, sui trasporti soprattutto, anche quelli gestiti dai comuni. Il Viminale prepara il grande piano dei controlli per il Super Green Pass che partirà dal 6 dicembre. Oggi ci sarà un primo incontro con i prefetti, incontro che diventerà un appuntamento fisso: ogni settimana, in ogni città capoluogo, si terrà il Comitato per l'ordine e la sicurezza nel quale le istituzioni dovranno fare un punto sul numero dei controlli e sulle misure da prendere. La linea del governo è chiara: i contatti sono destinati a salire ma, in tutti i modi, vanno evitate le chiusure. Perché questo possa essere possibile - se da un lato si stringeranno fortemente le corde nei confronti dei non vaccinati - dall'altro bisognerà prendere tutte le misure di sicurezza possibili. Controlli a tappeto, quindi, compatibilmente con le donne e gli uomini a disposizione. E misure anche sanitarie: ieri Repubblica ha anticipato come Speranza abbia lanciato un incoraggiamento ai sindaci per seguire la strada di Roma e Milano e obbligare le mascherine all'aperto. In queste ore all'interno dell'Anci se n'è parlato molto e la strada è tracciata: lo faranno quasi tutti, «anche perché - ragionano dall'Associazione dei Comuni - al momento già esiste l'obbligo in caso di assembramenti, come nel caso dello shopping natalizio». Ma sono pronti a scommettere che prima di Natale arriverà un obbligo nazionale. Dunque, mascherine anche all'aperto per tutti. E controlli, nonostante la coperta corta. A disposizione ci sono poco più di 300mila uomini (94.000 poliziotti, 104 mila carabinieri, 57 mila finanzieri e 64 mila vigili urbani), per l'intera pubblica sicurezza. Troppo pochi. Per questo le strade sono due: l'utilizzo dell'Esercito. E sfruttare la collaborazione dei controllori del trasporto, che dipendono sia da Comuni sia da quello che resta delle Province. Il dialogo è già aperto e nei giorni prossimi arriverà il via libera. Saranno loro sui mezzi a chiedere il Green Pass. E loro a poter chiedere anche il documento per incrociare i dati. Non è una questione marginale. La grande paura è quella dell'invasione dei Green Pass falsi, come hanno documentato le indagini delle ultime settimane: si tratta di certificati veri ma appartenenti ad altre persone che vengono recuperate dai pirati o sulla Rete (da chi incautamente pubblica il proprio codice a barre) o attraverso altri sotterfugi. È stata per esempio scoperta una copisteria che plastificava Green Pass e che, prima di riconsegnarli al cliente, ne faceva una copia da mettere su Telegram. È necessario quindi controllare le identità delle persone. Ma il passaggio è molto delicato: uno dei grandi argomenti dei No Pass è proprio quello della privacy. «Ma c'è anche altro - ragiona una fonte vicina al dossier - In molti temono di essere tracciati negli acquisti e negli spostamenti, per motivi fiscali. Ma è un falso problema: la privacy è comunque garantita, quei dati non possono essere utilizzati per altro che non sia il controllo e il tracciamento sanitario «C'è l'intento di fare il massimo», ha detto ieri la ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, alla festa del Foglio a Firenze. «Abbiamo controllato 28 milioni di persone e 3 milioni di esercizi commerciali. È un momento difficile che richiede uno sforzo straordinario».

Un primo positivo risultato del Super Green pass è la corsa a immunizzarsi. Venerdì ci sono state 340 mila somministrazioni. Lunghe code per il vaccino ieri all'ospedale San Giovanni Addolorata di Roma. Francesco Grignetti su La Stampa:

«C'è un numero che fa rabbrividire: con gli ultimi 12.932 positivi ai test Covid, sono oltre cinque milioni gli italiani che si sono ammalati di Covid dall'inizio della pandemia. In tutto, i morti sono stati 133.674 e ieri si contavano 47 nuove vittime. È la fotografia più aggiornata del Covid-19. Una catastrofe. Ma poteva andare peggio se non si fossero vaccinate così tante persone. E lascia ben sperare la ripresa impetuosa delle somministrazioni. Venerdì ci sono state 340mila somministrazioni, di cui 294mila erano i richiami della terza dose e 28 mila le prime iniezioni. Sabato, oltre 240 mila terze e 28 mila prime. È corsa alla terza dose, insomma. Così come c'è una notevole ripresa anche delle prime iniezioni. Evidentemente fa paura la variante Omicron che si affaccia anche da noi. E poi c'è un effetto da super Green Pass, che sta smuovendo l'area degli indecisi. «Non può essere un caso se all'avvicinarsi dell'entrata in vigore del decreto - spiegano gli esperti - c'è stata questa impennata di prime somministrazioni che non si vedeva da tempo. Evidentemente molti si sono stancati di fare due tamponi a settimana, e poi c'è chi viaggia, per lavoro. Se deve necessariamente andare in albergo e al ristorante, con il tampone non avrebbe più potuto andare avanti». Riparte la corsa ai vaccini, insomma. E succede in maniera trasversale. In Liguria, per dire, c'è stato un boom di prime dosi rispetto alla settimana precedente. «Dal 21 al 27 novembre ne sono state somministrate 6.390, mentre nella settimana precedente erano state 3. 821. Un dato su cui influisce l'annuncio dell'introduzione del super Green Pass», annota il Governatore, Giovanni Toti. Accade anche nel Lazio, dove sabato ci sono state oltre 4 mila somministrazioni di vaccino a chi finora non aveva fatto nemmeno una dose. «È una spinta importante. Bisogna mantenere la calma: nessun allarmismo, vaccinarsi, mantenere il distanziamento e, li dove ci sono assembramenti, utilizzare la mascherina anche all'aperto. Il dato dei casi positivi è stabile rispetto alla scorsa settimana. Sembra indicare un inizio di rallentamento della curva», dichiara l'assessore regionale alla Sanità, Alessio D'Amato. Anche il ministro della Salute Roberto Speranza pare fiducioso: «Venerdì abbiamo avuto il dato più alto di terze dosi, con 294mila somministrazioni. Confidiamo che cresca ancora». Si sono viste di nuovo le file davanti ai pochi hub aperti. Ma si sta correndo ai ripari. Il piano di vaccinazioni per gli adulti sta andando così bene, infatti, che tutte le Regioni hanno in programma di riaprire molti hub vaccinali. Tanti grandi centri vaccinali erano stati chiusi a fine estate, quando il numero delle iniezioni era sceso di molto e il personale sanitario serviva altrove. Era quando ancora non si parlava di terza dose, tantomeno nella fascia di età tra i 18 e i 60 anni. Invece nel giro di qualche settimana la campagna del richiamo è diventata impetuosa. Gli italiani hanno visto quel che sta accadendo appena al di là delle frontiere, dove troppo pochi si sono immunizzati, e ora si stanno prenotando in massa. Di conseguenza, il sistema delle farmacie e dei medici di famiglia - che funziona egregiamente per la vaccinazione anti-influenzale - a questo punto non può più bastare. Vedremo presto all'opera gli hub un po' dappertutto. E nei frigoriferi ci sono dosi di vaccino a sufficienza per i prossimi mesi. Almeno 16 milioni di dosi sono pronte ad essere scongelate e iniettate. In complesso sono 45 milioni 616.490 le persone che hanno completato il ciclo vaccinale (84,46% della popolazione over 12) e 5 milioni 880.271 quelle che hanno fatto pure il richiamo. Ma forse il numero più importante è che 47 milioni 134.392 sono quelli che hanno fatto almeno la prima iniezione, pari all'87,27% della popolazione. Ci avviciniamo dunque alla soglia del 90% di vaccinati con almeno una dose».

È UN CORO: “DRAGHI DEVE RESTARE”

Tanta politica sui giornali del lunedì. Alessandro Giuli su Libero analizza la “grande alleanza contro Draghi al Colle”. Si amplia il fronte di chi vuole lasciare il premier al governo. Letta, Di Maio, Berlusconi e Calenda dicono in coro: Draghi resti dov' è. Industriali e banchieri applaudono. Ma siamo sicuri che Supermario è d’accordo?

«È scattata "l'operazione omicron": una specie di tacito e trasversale patto congegnato nel retropalco politico-mediatico e finanziario per imbullonare Mario Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023 per via della recrudescenza pandemica (variante sudafricana) e della necessità di colmare le perduranti lacune del Pnrr. Non che il progetto manchi di una sua ragionevolezza; ma da ieri somiglia più a una camicia di forza cucita sulle misure del riluttante premier e di Sergio Mattarella, che pure non vede l'ora di tornare un privato cittadino. (…) In verità, man mano che ci si avvicina alla scadenza naturale del settennato, i gruppi d'interesse più eterogenei tendono a coagularsi in nome della salute pubblica e delle convenienze di bottega. Com' è naturale che sia e come sanno bene i peones delle due Camere che si renderebbero disponibili a qualsiasi alchimia pur di non accorciare le aspettative di vita del proprio stipendio da parlamentare. Quanto al diretto interessato, da settimane sta facendo trapelare la volontà di disincagliarsi da un compito che considera (considerava?) ormai assolto, nell'attesa di scavallare le feste natalizie e raccogliere l'alloro quirinalizio sulla scia di un consenso politico bipartisan e di una larghissima popolarità fra i cittadini. Dopotutto, si ragiona nell'entourage dell'ex banchiere centrale, se il timore più diffuso è quello delle urne anticipate, è bene notare che sarebbe complicato perfino per ego carismatico come il suo stabilire l'immediato scioglimento delle Camere che l'avessero appena eletto al Colle. Sicché tanto varrebbe concordare per Palazzo Chigi un nome alternativo che garantisca una continuità d'indirizzo puntellata dalla medesima maggioranza. Fermo restando che, da qui al 2023, l'Italia sarà comunque impegnata in una lunghissima campagna elettorale che costringerà il governo a sobbalzare fra le montagne russe e avrà invece nel Quirinale un indispensabile centro riequilibratorio delle tensioni. Perché dunque rischiare di disperdere il capitale umano e professionale rappresentato da Draghi inchiodandolo al governo? E con il rischio che sia lui, nell'arco di pochi mesi, ad alzare bandiera bianca, ghigliottinare la legislatura declinante e rimettere il mandato nelle mani di un capo dello Stato meno "gesuitico" o comunque più debole in Italia e all'estero?».

Tommaso Ciriaco su Repubblica sottolinea che però Enrico Letta alla Festa del Foglio si è detto contrario ad elezioni anticipate:

«Ci mancava pure il voto anticipato, a complicare il grande gioco per il Colle. Arma di pressione per decidere l'inquilino del Quirinale, spaventapasseri per scacciare i "corvi tiratori" nel segreto dell'urna. A scatenare il panico è bastata una frase di Enrico Letta, giorni fa, subito dopo aver incontrato il premier: «Quando Draghi avrà finito il suo compito, servirà un Pd unito nelle sue scelte». Parla del voto anticipato, il segretario dem? Ci punta, dopo aver scelto l'ex banchiere per il Colle? «Noi non vogliamo andare a votare», ha messo in chiaro ieri parlando alla festa del Foglio. E hanno detto lo stesso un po' tutti, almeno alle latitudini della maggioranza Ursula. Perché "la-fine-anticipata-della-legislatura" - pronunciata così, tutta d'un fiato, per esorcizzare lo spettro - diventa l'incognita da evitare. Evocarla, anzi, punta a congelare gli attuali assetti istituzionali. O comunque a favorire la stabilità. Se ne discute parecchio. Ieri, per dire, è stata la ministra Mara Carfagna - draghiana e "giannilettiana" - a scacciare la prospettiva come un incubo: «Non bisogna utilizzare il Quirinale per arrivare al voto anticipato. Chi coltiva il pensiero? Magari il Pd - ha detto alla festa del Foglio - per ottenere gruppi parlamentari più gestibili. Forse il Movimento, per consolidare la nuova leadership. Salvini e Meloni, poi, ci pensano per altri motivi». Democratici e grillini hanno subito negato decisamente. I sovranisti, invece, un po' glissano e un po' ci sperano. Carfagna, comunque, è ovviamente governista. «Le elezioni nel 2022 affonderebbero il Pnrr. Questo governo è nato per fronteggiare la pandemia e ricostruire l'economia. I passi avanti vanno consolidati nel 2022. Serve un contesto di salvezza nazionale». "Salvezza nazionale" richiama la tesi di Draghi a Palazzo Chigi e Sergio Mattarella al Colle, con un bis. Oppure, in alternativa, spinge l'ex banchiere al Quirinale e lascia aperta la necessità di un accordo per un premier condiviso. Assomigliano ai due schemi cari a Letta. Dice infatti il dem che «sarebbe incredibilmente contraddittorio che la maggioranza che elegge il Capo dello Stato possa essere più piccola di quella che sostiene Draghi». E dunque, ancora: rielezione di Mattarella e Draghi a Chigi fino al 2023? Il segretario del Pd, a dire il vero, non dice esplicitamente che l'attuale presidente del Consiglio debba guidare l'esecutivo di tutti, ma si limita a chiedere che il governo di unità nazionale resti in carica: «Noi non vogliamo andare a votare in questo momento di pandemia. Una maggioranza così larga è l'occasione per mettere mano alle riforme istituzionali», come il finanziamento dei partiti e uno stop al trasformismo parlamentare. E quindi Letta lascia aperta anche l'altra opzione: Draghi al Quirinale e un patto largo - ma largo fino a Salvini o che si ferma a Berlusconi? - che garantisca la legislatura. Si parla di Pnrr, ovvio che molti pensino al Commissario europeo Paolo Gentiloni. L'incastro, quest' ultimo in particolare, resta a dir poco complesso. Soprattutto se Silvio Berlusconi continua a puntare per sé al Colle, e a ribadire - sostenuto sul punto da Matteo Renzi e Carlo Calenda - la necessità di Draghi inchiodato a Palazzo Chigi: «Saremo i primi a collaborare lealmente all'attività di questo esecutivo che deve rimanere in carica fino al 2023, quando usciremo dall'emergenza». Stabilità e niente voto, dunque. È la "tesi Ursula". Ed è anche quello che i sovranisti vogliono evitare. È una gara a chi è più radicale nel chiedere il voto, quella tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. E se la prima è disposta a sostenere Draghi al Quirinale proprio per avvicinare le elezioni, il secondo è costretto a inseguire. Tanto di quanto accadrà dipenderà ovviamente dalla tenuta del Movimento. E di Giuseppe Conte. L'ex premier, mai entusiasta di Draghi, ora dice di tifare per la stabilità. E fa dire al suo vice, Mario Turco, che la legislatura deve arrivare a compimento. Meglio lasciare l'attuale premier al suo posto, è la linea: «Formare un nuovo esecutivo significa rallentare tutte le attività in atto». È la linea di Luigi Di Maio, almeno oggi. Secondo il ministro degli Esteri, «l'Italia non può permettersi di perdere Draghi. Anche perché il 2022, al di là delle scelte sul Quirinale, è l'anno del dibattito sul nuovo Patto di stabilità». In casa cinquestelle la battaglia, semmai, si gioca sul nome del capo dello Stato. Ed è lì che forse Conte e Di Maio potrebbero scontrarsi. «Spero che la strategia si faccia tutti insieme - manda a dire il titolare della Farnesina al capo dei 5S - e ascoltando i gruppi parlamentari. Io sosterrò la linea della leadership, ma la leadership deve ascoltare i parlamentari». Grande rebus, poche certezze. Una soltanto, granitica: pandemia e Recovery non si potranno ignorare».

Paola Di Caro sul Corriere della Sera intervista Silvio Berlusconi, che chiede a Draghi di restare a Palazzo Chigi.

«Siamo a un punto di svolta del lavoro del governo, tra nuove misure per fermare l'epidemia e la manovra da varare: il suo bilancio? «Di fronte all'emergenza creata dalla pandemia, siamo stati i primi a proporre la nascita di un governo aperto a tutte le forze vive della nazione. Si trattava di fronteggiare una situazione sanitaria molto grave e di far ripartire l'economia, sprofondata in una crisi altrettanto grave. Fino ad oggi, obiettivamente, ci stiamo riuscendo. Una volta tanto gli indicatori italiani, sia sanitari che economici, sono migliori di quelli di molti altri Paesi europei. Certo l'emergenza è tutt' altro che conclusa, la strada da fare è ancora lunga. L'affacciarsi di nuove varianti, per di più, può compromettere i buoni risultati ottenuti finora». È scattato l'allarme rosso proprio per la variante Omicron: come reagire? «Senza panico ma con grande rapidità e determinazione. In attesa che gli scienziati ci dicano qualcosa di più preciso su questa variante, ancora poco conosciuta, dobbiamo applicare con il massimo rigore gli strumenti che abbiamo. Quindi rispetto assoluto del distanziamento sociale, uso della mascherina in tutti i contesti affollati - anche all'aperto - e soprattutto vaccini: occorre accelerare il più possibile la somministrazione della "terza dose" e convincere a vaccinarsi coloro che - mettendo in pericolo sé stessi e gli altri - ancora non hanno provveduto. Fra l'altro la variante Omicron, che nasce in Paesi dove il vaccino è poco diffuso, ci conferma un'amara lezione: meno sono i vaccinati, più possibilità ha il virus di riprodursi e quindi di modificarsi. Occorre dunque che l'Europa e l'Occidente facciano un enorme sforzo per aiutare le campagne vaccinali nei Paesi più deboli». Cosa chiedete ancora al governo, lei e il suo partito? «Di continuare a lavorare con serietà, assicurando la stabilità e l'unità del Paese. Siamo persone responsabili e sappiamo che questo governo è sostenuto da forze politiche che in circostanze ordinarie sarebbero fra loro antagoniste. Non possiamo attenderci che realizzi tutto quello che farebbe un governo di centrodestra. Peraltro il governo ha attuato gran parte delle nostre proposte: è di questi giorni la riduzione dell'Irpef e dell'Irap, un segnale che considero molto positivo». È sempre convinto che il governo debba arrivare a fine legislatura? «Il governo deve rimanere in carica per tutto il tempo necessario, fino al 2023, fin quando saremo usciti dall'emergenza. Allora si potrà tornare alla naturale alternanza fra due schieramenti in competizione fra loro». Il suo sostegno al governo, si dice, è per avere strada libera al Quirinale... «Ho già avuto occasione di dire che non intendo occuparmi di Quirinale fino a quando il presidente Mattarella sarà in carica. Io per primo ho voluto l'attuale governo di emergenza in un momento d'emergenza per il Paese. Penso non si debba ridurre a piccole tattiche e a calcoli di convenienza la scelta del nuovo capo dello Stato e dell'operato del governo». Ma per Draghi che ruolo futuro immagina? «Sono convinto che Draghi sia una grande risorsa per la Nazione. Del resto sono stato io personalmente a volerlo governatore di Bankitalia e poi presidente della Bce. L'ottimo lavoro che ha svolto e che sta svolgendo conferma la bontà di quelle scelte. Dire oggi quale ruolo ricoprirà in futuro è decisamente prematuro, ma l'autorevolezza e l'esperienza di Draghi sono un patrimonio del quale l'Italia deve profittare».

PERCHÉ TUTTI VOGLIONO VOTARE?

Secondo Ugo Magri, che ne scrive sull’Huffington Post, serpeggia una voglia di elezioni anticipate che nasce “dalla mediocre speranza di cadere in piedi”. Voglia spesso non esplicitata, anzi ufficialmente spesso negata, ma presente.

«Serpeggia tra i leader una voglia di elezioni anticipate che non nasce, per assurdo, dall’ambizione di vincere e di governare, ma dalla più mediocre speranza di cadere in piedi. Nessuno ha la vittoria in tasca, nemmeno il centrodestra che sta avanti di 3-4 punti negli ultimi sondaggi ma dopo le Comunali ha smarrito un po’ delle sue certezze. Però tutti - ecco la novità - potrebbero accontentarsi di una sconfitta e, in qualche caso limite, addirittura desiderarla per motivi che pubblicamente non si possono confessare. Ad esempio, per evitare una batosta ancora più pesante se tornassimo alle urne tra un anno e mezzo; oppure per eleggere in Parlamento i propri amichetti senza farli attendere fino al 2023; o al limite per far fuori i rompiscatole interni. Vediamo situazione per situazione. Iniziamo da Matteo Salvini. Al Capitano votare subito conviene, comunque vada e perfino nel peggiore dei modi. Se il centrodestra dovesse farcela, lui potrebbe sperare nel contro-sorpasso della Lega sui Fratelli d’Italia che, sulla carta, è ancora plausibile; ma se Palazzo Chigi dovesse sfuggirgli, e la guida del governo toccasse a Giorgia Meloni, lui tornerebbe a fare il ministro, magari di nuovo all’Interno (in fondo non vede l’ora). Perfino nel caso di sconfitta elettorale Salvini avrebbe un grosso vantaggio, anzi due. Frenerebbe il declino del suo partito che, continuando di questo passo, tra un anno verrebbe a trovarsi intorno al 10 per cento dal 18 che vale oggi e dal 34 delle scorse elezioni europee. “Salvare il salvabile” è la nuova parola d’ordine salviniana. Inoltre Matteo farebbe un bel repulisti, regolerebbe i conti con chi dentro il partito ha osato sfidarlo purgando le liste dagli amici di Giancarlo Giorgetti oppure relegandoli in coda cosicché, nel caso di sconfitta, sarebbero i primi a venire trombati. Anche per Giorgia Meloni votare sarebbe un “win-win”. Nella migliore delle ipotesi diventerebbe la prima donna premier nella storia d’Italia; o in alternativa la prima a guidare l’opposizione che, in fondo, sembra più consono alla sua vera natura, alla sua indole protestataria. Ma perfino se restasse dietro a Salvini, Giorgia triplicherebbe i voti a confronto del 2018, idem la rappresentanza parlamentare. Sarebbe comunque un trionfo. A una sconfitta del genere chiunque metterebbe la firma. Scontato che la “ducetta” non veda l’ora. Quanto a Giuseppe Conte, la sua propensione a votare non è mai stata un mistero. Ultimamente ha rimescolato le carte per non urtare i gruppi parlamentari che desiderano le elezioni esattamente quanto i capponi le feste di Natale; ma si capisce che l’Avvocato del popolo tornerebbe alle urne per le stesse identiche ragioni del suo nemico Salvini. Arresterebbe l’agonia dei Cinque stelle, in tre anni più che dimezzati; espellerebbe dal Parlamento tutti gli antipatizzanti interni per inserire al loro posto gente più allineata. A questi due motivi, di per sé sufficienti, se ne aggiunge un terzo molto più personale: il mestiere del capo-popolo non fa per lui. Dicono che sia già pentito di averlo accettato. Conte intuisce che da una lunga campagna elettorale uscirebbe stremato, con la lingua fuori e l’immagine politicamente sgualcita come la sua pochette. Dunque non vede l’ora di farla finita votando subito, per male che possa andare. Infine Enrico Letta. Se ci fosse l’opportunità di votare, non sarebbe certo lui a mettersi di traverso. Volendo provare a vincere, gli converrebbe allearsi coi Cinque stelle fintanto che questi reggono (cioè ancora per poco, dunque deve fare in fretta). Giocando a perdere, invece, il Pd aumenterebbe la propria forza parlamentare. Guadagnerebbe un numero di seggi sufficiente a compensare il taglio degli onorevoli. In più Letta proverebbe l’impagabile soddisfazione di far sprofondare i renziani e mandare un “ciaone” allo statista di Rignano sull’Arno. A conti fatti, tutti pensano di guadagnarci e nessuno teme di lasciarci le penne. Ecco come mai più dicono di non volere le elezioni, e meno di loro ci si può fidare».

5 STELLE, SI VOTA SUL FINANZIAMENTO

Due notizie nella domenica pentastellata. Luigi Di Maio si ricrede ufficialmente sui gilet gialli: «In Francia voterei Macron» Aperta la consultazione in Rete sui fondi pubblici del 2 per mille. Emanuele Buzzi per il Corriere.

«Gli orizzonti politici del Movimento che si incrociano in una domenica d'autunno: i vertici danno via libera alle votazioni online su questioni economiche (la destinazione del denaro raccolto con le restituzioni e l'adesione al due per mille) e Luigi Di Maio fa un «mea culpa» - già anticipato nella sua biografia - sul passato barricadero. Il ministro degli Esteri - che nel 2019 si era schierato al fianco dei gilet gialli e che prima ancora aveva attaccato Emmanuel Macron accusandolo di aver lavorato «più per le lobby che per i cittadini» - ora sostiene: «In Francia voterei per lui». Di Maio, ospite alla festa del Foglio , sposa la nuova stagione pentastellata e spiega: «Non ho nessun problema a mettere nero su bianco i miei errori del passato. Il Trattato del Quirinale è una grandissima opportunità per l'Italia e la Francia ma anche per l'Europa, ad esempio sul tema dei migranti». Il responsabile della Farnesina traccia anche la via dei Cinque Stelle in vista delle prossime Politiche: «Il M5S se avrà la forza di uno scatto di reni sicuramente avrà anche l'opportunità di raggiungere e mirare a un 20%, che è oggi la soglia dove c'è la prima forza politica». E spiega:«Credo che il M5S possa essere la prima forza politica dell'alleanza in questa coalizione progressista. Però ha bisogno in questo momento di capire che può interpretare la spinta ecologista presente nell'opinione pubblica». Uno strappo che segna l'evoluzione del Movimento. Uno strappo che fa il paio con la votazione che da oggi a mezzogiorno fino a domani vedrà impegnati gli iscritti. I militanti saranno chiamati a scegliere la destinazione di una parte delle restituzioni di deputati e senatori. I fondi - quattro milioni di euro raccolti in questa legislatura - saranno suddivisivi a seconda dei clic ricevuti tra Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze); Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche); Emergency; Gruppo Abele; Lega del Filo d'Oro; Medici senza frontiere; Nove Onlus-Emergenza Afghanistan. Il vero quesito della giornata, però, sarà sull'iscrizione del Movimento al registro dei partiti che permette l'accesso al due per mille. La decisione divide la base. Alcuni volti storici hanno fatto trapelare il loro «no» alla svolta. C'è chi come il senatore Vincenzo Presutto si schiera pubblicamente contro: «Non sono d'accordo. Non ci sono fondi pubblici che possano valere un cambio di rotta così radicale». Nel post che lancia la votazione la parola partito non compare nemmeno (si parla di «registro nazionale D.L. 149/2013»), come per sminare le tensioni interne. Proprio per non sovrapporre le questioni, i Cinque Stelle hanno preferito dividere le votazioni economiche - più dirimenti - da quelle politiche. Gli attivisti saranno chiamati a un tour de force di consultazioni. Due sono i voti sui fondi accantonati dagli eletti. La somma delle restituzioni, infatti, è stata suddivisa in due parti uguali (da 4 milioni ciascuna): la prima al voto oggi verrà destinata come annunciato a progetti nazionali e internazionali, la seconda a progetti locali. In settimana invece ci sarà un'altra consultazione per decidere ratificare le scelte del presidente Giuseppe Conte: ossia i vicepresidenti e (probabilmente) le nomine per i comitati tematici. E tra i vicepresidenti fa un passo avanti Michele Gubitosa. Il deputato campano dopo gli applausi strappati agli Stati generali dei consulenti del lavoro, visto il suo appeal con un pubblico moderato e di centrodestra, viene dato in ascesa nel borsino interno al Movimento. «Nelle prossime settimane ci attendono sfide difficili - commenta un pentastellato -. Quello che stiamo costruendo ora, la strada che prendiamo adesso ci servirà per essere più solidi al momento del confronto con le altre forze politiche». Ma il Movimento, prima ancora dei suoi parlamentari, ora dovrà convincere i suoi militanti».

MANOVRA DI BILANCIO, VIA ALLE CONSULTAZIONI

Parte oggi pomeriggio il giro di consultazioni di Mario Draghi per arrivare all’approvazione della Legge di Bilancio. Il primo appuntamento è coi 5 Stelle. La cronaca de La Stampa

«Per scongiurare l'assalto alla diligenza, il premier Mario Draghi tenta una nuova intesa sulla manovra con una maggioranza sempre più divisa, sperando di mettere al sicuro la legge di bilancio da imboscate e blitz quando inizieranno le votazioni. Oggi comincia il giro di incontri del presidente del Consiglio con i capigruppo parlamentari e i capi delegazione: alle 17,30 tocca al Movimento 5 stelle, poi gli altri partiti si alterneranno a Palazzo Chigi tra domani e mercoledì. Sempre oggi, alle 17, scade il termine per la presentazione degli emendamenti in commissione Bilancio al Senato, mentre alle 19 è convocato anche un altro tavolo: quello al Mef tra il ministro Daniele Franco e i sindacati su tasse e pensioni. La tregua, dopo l'intesa sul fisco, è durata poco ed è il centrodestra a rialzare la posta. Silvio Berlusconi annuncia che Forza Italia chiederà a Draghi «di mantenere i bonus edilizi e di estenderli alle case monofamiliari e agli impianti sportivi». Il Cavaliere auspica inoltre «il differimento delle cartelle esattoriali e degli altri adempimenti fiscali al 2022 e l'estensione del taglio dell'Irap, che abbiamo sempre definito "imposta rapina", alle aziende», oltre che agli autonomi. Matteo Salvini fa infuriare i 5 stelle perché torna a spingere per spostare parte dei fondi del reddito di cittadinanza (un capitolo da 9 miliardi l'anno) su un intervento contro il caro-bollette. Fumo negli occhi per i pentastellati che ribadiranno al premier e al ministro dell'Economia che il patto sul reddito di cittadinanza non si tocca, altrimenti rischia di saltare tutto l'impianto della legge di bilancio. Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera, definisce «una porcheria lo scambio tra reddito e bollette». Il Movimento non sta a guardare il gioco al rilancio di Salvini. Il Superbonus è una delle priorità. Come ha detto Laura Castelli a questo giornale, il tetto Isee a 25 mila euro per le ristrutturazioni delle villette è una misura «sbagliatissima» che i 5 stelle proveranno a togliere. Viste le premesse, Draghi ascolterà le esigenze dei partiti assicurando la massima attenzione dell'esecutivo, ma le risorse sono esigue e il parlamento avrà a disposizione solo 600 milioni per cambiare la manovra. O meglio, queste coperture extra saranno nelle mani del Senato, chiamato al via libera entro il 18-20 dicembre. Alla Camera si punta ad un'approvazione lampo senza modifiche per chiudere la pratica in modo ordinato e possibilmente con un po' di anticipo rispetto alla deadline del 31. Al di là delle tempistiche, Draghi auspica che in commissione non si formino maggioranze alternative che mandino sotto il governo nelle votazioni, come successo con il decreto capienze. Il governo considera i saldi immutabili e pure l'impianto della finanziaria va garantito per evitare il caos».

NUOVE REGOLE PER DIVENTARE INSEGNANTI

Ennesima riforma delle regole per l’ingresso dei nuovi docenti. L’abilitazione dei prof cambierebbe, secondo il progetto dei ministri Bianchi e Messa, con l’obbligo di 60 crediti, 36 per i precari e 24 di tirocinio. Perplesse le università. Claudio Tucci e Eugenio Bruno per il Sole 24 Ore.

«La scuola resta un mondo a parte. A memoria non c'è un'altra professione che abbia cambiato le regole d'accesso per sei volte in 20 anni. Ed è quello che sta invece per succedere agli aspiranti insegnanti. Dopo Ssis, Tfa, Pas, laurea abilitante per infanzia/primaria e Fit sta per toccare ai 60 crediti formativi obbligatori (di cui 24 per tirocinio) da conseguire insieme al titolo terziario. O in parallelo. Dopodiché per salire in cattedra bisognerà comunque superare il concorso e completare l'anno di prova. A prevederlo è un progetto a doppia firma Patrizio Bianchi (Istruzione)-Cristina Messa (Università) che dovrebbe vedere la luce entro l'anno in un altro decreto Pnrr-Scuola sulle altre riforme previste dalla Missione 4 del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il progetto per ora è stato solo raccontato a voce. E punta a legare la formazione iniziale dei docenti all'abilitazione attraverso l'innesto, nel percorso di laurea, o "a fianco", di 60 Cfu. A ogni modo, 36 Cfu saranno legati a contenuti psico-pedagogici-didattici, mentre i restanti 24 Cfu sono di tirocinio. Per i precari non abilitati, oggi in cattedra con le supplenze, si pensa a un riconoscimento del servizio svolto, con uno "sconto" da 60 a 36 crediti (in pratica si elimina il tirocinio). Nelle intenzioni del governo toccherà a ciascuna università, in autonomia, distribuire lo svolgimento dei 60 Cfu integrati con le discipline di base e caratterizzanti dei corsi di studio sia durante le lauree triennali sia magistrali (sia soltanto magistrali) usufruendo degli spazi di flessibilità previsti dall'attuale ordinamento. Anche se un'altra strada - caldeggiata soprattutto dal Pd - porta al conseguimento dei crediti in parallelo utilizzando dei centri di ateneo sul modello dei "Cla" linguistici. Che ci sia bisogno di mettere ordine al sistema lo dicono i numeri. Nelle Gps, le graduatorie provinciali per le supplenze, ci sono oltre 600mila non abilitati (i docenti di ruolo, tra posti comuni e sostegno, sono circa 850mila) e si contano oltre 120 classi di concorso. A ciò si aggiunga il fallimento di tutte le recenti politiche per la formazione e la selezione dei docenti, che hanno un'età media elevata: nella secondaria il numero di professori over50 è del 62%, praticamente due su tre. Con la messa a disposizione (Mad), poi, sono ormai anni che accede all'insegnamento personale non abilitato. Senza contare il canale "alternativo" dell'abilitazione all'estero, da far poi riconoscere in Italia, andando, ad esempio, in Romania e Spagna. L'idea dell'esecutivo è quella di rendere tutte le lauree abilitanti (come avviene oggi per Scienze della formazione primaria), seguendo un percorso già avviato con le prime lauree abilitanti in ambito sanitario e non solo, recentemente varate dal Parlamento. Ci sarà un periodo di tempo per consentire agli atenei di adeguarsi alle nuove disposizioni. Per Valentina Aprea, storica responsabile scuola di Forza Italia, «siamo di fronte a una grande rivoluzione che garantisce qualità e competenze ai docenti del futuro. La sfida ora è qualificare i crediti». Sulla stessa lunghezza d'onda, il capogruppo Iv in commissione Cultura della Camera, Gabriele Toccafondi: «Sono anni che manca un percorso formativo abilitante all'insegnamento, a danno di migliaia di giovani. Adesso avanti con lauree abilitanti e concorsi ordinari annuali». Di diverso avviso il mondo accademico. Per il presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun), Antonio Vicino, «l'anno di tirocinio va fatto una volta vinto il concorso durante anno di formazione e prova». Altrimenti, spiega, si penalizzano gli studenti. A suo giudizio, «se i 60 Cfu vanno conseguiti in parallelo con la magistrale, che da sola prevede 120 Cfu, i ragazzi devono iscriversi ai moduli aggiuntivi, con un esborso economico maggiore e rallentando di almeno un anno il conseguimento della laurea. E se poi non vincono il concorso?», chiede Vicino. Ma anche se si sceglie di inserire i crediti nel corso di studi la sostanza non cambia perché - conclude - si sottrae spazio alle discipline e comunque ci perdono i ragazzi».

IL CONTRATTO DEL GOVERNO TEDESCO

Che cosa cambia con la Coalizione Semaforo del nuovo governo tedesco? Nel programma ci sono politica sociale (salario minimo, pensioni, casa) e grandi investimenti per la transizione verde sul fronte interno, ma sulle future regole fiscali Ue c'è molta ambiguità. Alessandro Bonetti sul Fatto.

«La Germania è pronta ad avere un nuovo governo. Verdi, socialdemocratici e liberali hanno firmato il patto di coalizione (KoalitionsVertrag), un accordo che segna l'inizio ufficiale dell'inedita alleanza "semaforo" e che potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro dell'Europa. Dopo 16 anni di Merkel, insomma, si apre una nuova stagione: il prossimo cancelliere sarà Olaf Scholz , della Spd, partito che non esprimeva il capo del governo dal 2005. Il ministero più conteso, quello delle Finanze, andrà al rigorista Christian Lindner (i liberali di Fdp), mentre Robert Habeck (Verdi) avrà il megadicastero all'Economia e al Clima. "Lo stile dell'accordo e delle trattative è incoraggiante: niente fughe di notizie e i tempi sono stati rispettati, significa che c'è fiducia e mi dà la sicurezza che questo governo lavorerà in modo efficace", dice al Fatto Max Krahé , direttore di ricerca di Dezernat Zukunft, giovane think tank tedesco che ha fornito molti spunti ai lavori preparatori. Nelle 178 pagine dell'accordo non ci sono molti numeri, se lo confrontiamo con quello dell'ultimo governo Merkel: "È il segno di un cambiamento in Germania - spiega Krahé - L'accordo del vecchio governo conteneva un rigido impegno sullo Schwarze Null, il pareggio di bilancio: per questo bisognava quantificare tutto. Ora lo Schwarze Null non c'è più. Certo, dato che nel patto non ci sono numeri precisi su tutto, non sappiamo ancora in che direzione potrà andare questo cambiamento". Per arrivare alla versione definitiva ci sono voluti due mesi di difficili trattative in cui si è dovuta conciliare la necessità di fare grandi investimenti nel Paese senza derogare al cosiddetto "freno del debito", una regola costituzionale che restringe la possibilità per il governo di spendere in deficit: nonostante i Verdi lo avessero criticato in passato, il patto di coalizione non lo mette in discussione. Qualche innovazione c'è comunque, una positiva anche per l'Italia. Ad esempio, l'accordo apre a una revisione della stima dell'output gap - una misura di quanto l'economia è lontana dal pieno utilizzo delle risorse - affermando che saranno tenute in conto "le lezioni apprese negli ultimi dieci anni". Per Krahé questo punto dell'intesa "è un primo passo, ma è già molto incoraggiante": negli ultimi anni, infatti, le stime errate dell'output gap hanno spinto i governi a fare austerità nei momenti sbagliati, danneggiando l'economia e i lavoratori. Ora il campione della rigidità di bilancio, Berlino, pare aprire a modifiche. Sulle politiche sociali, sono previsti molti interventi. Il salario minimo salirà da 9,6 a 12 euro. C'è un chiaro impegno a salvaguardare il sistema pensionistico: le pensioni non saranno ridotte e l'età pensionabile non sarà aumentata. Tuttavia, come fa notare Max Krahé, "resta aperta la questione di come rendere il sistema sostenibile a lungo termine, dato che la società tedesca sta invecchiando". E ancora: il nuovo esecutivo s' impegna a sostenere la costruzione di 100mila nuove case e a un più rigido controllo sui prezzi degli affitti. Ovviamente, data la presenza dei Verdi, c'è particolare attenzione anche sul clima: l'accordo alza dal 65% all'80% l'obiettivo di elettricità prodotta da rinnovabili e accorcia i tempi "ideali" (dal 2038 al 2030) per l'abbandono del carbone. Ai partner europei, però, interessa soprattutto l'atteggiamento verso le regole fiscali comuni. È qui che le interpretazioni divergono: non tutti leggono il nuovo accordo allo stesso modo. Krahé, ad esempio, si dice "positivamente sorpreso, perché l'accordo apre la porta a un'evoluzione del Patto di Stabilità. Le nuove regole dovranno incoraggiare la crescita, la sostenibilità fiscale e gli investimenti verdi, oltre a essere più semplici. Il prossimo passo sarà costruire fiducia per le negoziazioni". Condivide l'ottimismo anche Lucas Guttenberg , vicedirettore del Delors Centre, che twitta: "Tutto sommato, ci sono buone notizie per l'Eurozona. È un buon inizio". Non la vede così, invece, Vitor Constancio . L'ex vicepresidente della Bce sottolinea sui social che sulla flessibilità di bilancio sono stati fatti passi insufficienti. È ancora più drastico Wolfgang Munchau , già editorialista del Financial Times, oggi animatore di Eurointelligence: l'accordo "rifiuta categoricamente il rinnovo del Recovery Fund" e "gli eurobond sono più lontani che mai". È chiaro che il contratto di governo si presta a varie interpretazioni. Anzi, su alcuni dossier l'ambiguità è stata forse necessaria proprio per arrivare a un'intesa. Ma qualche cambiamento c'è e non si può ignorare. I tedeschi vogliono riconvertire il loro sistema produttivo. Concederanno di farlo agli altri Paesi? Questo è il vero dilemma.».

REPUBBLICA CECA, UN PREMIER EUROPEISTA

Petr Fiala, europeista, è il nuovo premier ceco. Cattolico, figlio di ebrei deportati nei lager, ha battuto il tycoon populista Babis. Andrea Tarquini su Repubblica.

«Cattolico praticante in un Paese, la Cechia, dove solo il 10 per cento della popolazione professa una religione. Figlio di una famiglia ebraica che durante l'occupazione nazista fu tutta deportata nei Lager. Petr Fiala, 57 anni, è il primo capo dell'esecutivo di Praga a provenire dal mondo accademico e non dalla politica. Nominato premier ieri dal presidente Milo Zeman - che ha svolto le sue funzioni nella spettrale cerimonia sfidando cirrosi e Covid, separato da lui da una barriera di plexiglass per non contagiarlo - Fiala è un personaggio atipico nel Paese centroeuropeo. Quasi come un Dubek o un Havel di centrodestra, è il primo leader dopo di loro a non edulcorare la situazione, dicendo anzi che «il cambio di governo arriva nel mezzo della peggiore crisi del Paese, tra Covid, problemi economici e debito alle stelle». La prontezza nelle battute non gli manca: battendo il tycoon populista Andrej Babi ha detto: «Sono come James Bond contro la Spectre». E sul passato: «Nell'89 conobbi la libertà e mia moglie, le amo entrambe». Dopo una vita da docente e rettore è divenuto capo dell'Ods, il partito conservatore democratico, filo- occidentale e non euroscettico ma diciamo europessimista dell'ex capo dello Stato Václav Klaus. Autore di diversi libri, ultimo La nostra vita ai tempi del Covid, è il contrario del predecessore populista Babi, tycoon innamorato del lusso: vive infatti nel modo più semplice, parla a bassa voce, veste da gentleman. Alle elezioni dell'8 e del 9 novembre gli è riuscito il miracolo: unire le eterogenee forze democratiche e filo-occidentali e conquistare una solida maggioranza di 108 seggi su 200, contro i soli 72 di Babi e una ventina di neonazisti. Con la sua capacità di mediazione, ha creato Spolu (Insieme), un'alleanza eterogenea ma solida tra Ods, democristiani, Pirati (una specie di Verdi cechi) e sindaci democratici e filo-occidentali. Fiala si è formato con il rigore del padre, che tornato dal Lager si iscrisse al Partito comunista ma strappò la tessera dopo l'invasione russa dell'Ungheria. Gli manca il carisma che fu di leader diversissimi come Dubcek, Havel e Babi. Ma secondo Stanislav Balík, decano di Scienze politiche dell'Università Masaryk di cui Fiala fu rettore, «formando la nuova coalizione ha già mostrato che può farcela». Battezzatosi a 22 anni quando sotto il comunismo essere cristiani costava persecuzione, prigioni dure e carriere distrutte, fu attivissimo nel dissenso, poi i vari partiti democratici gli affidarono il compito di ricostruire le gloriose strutture accademiche ceche e slovacche disastrate dalla dittatura comunista, sotto cui Babi aveva cominciato ad arricchirsi illegalmente. Con la lista del governo già pronta (il presidente vuole nominare singolarmente ogni ministro entro il 13 dicembre, è contrario al pirata Jan Lipavský ma Fiala non rinuncerà ad alcun ministro), arriverà al potere un team assortito, con diversi Pirati e sindaci democratici come vicepremier o in ministeri-chiave. E sulla linea di Fiala. Specie il ministro degli Esteri Lipavský. Deciso come il premier a indagare su investimenti e attività cinesi e russe, a rendere la Cechia sempre più filo-atlantica, europea e amica di Taiwan e ad allentare i legami con gli autocrati ungheresi e polacchi del gruppo Visegrád e ad appoggiare ovunque nel mondo, come Havel, le lotte per i diritti umani».  

MORIRE DI FAME A KABUL

Kabul, la fame che uccide i bambini. In Afghanistan la denutrizione è endemica. I talebani, dopo aver «cacciato» americani e alleati, non riescono a far fronte a un Paese impoverito e in preda alla disperazione. Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera.

«I volti dei neonati che muoiono di fame sembrano quelli dei vecchi. Pelle rugosa, occhi semichiusi, pochi capelli sul cranio ormai ben visibile. Una volta le loro foto venivano dalle carestie africane, erano l'immagine simbolo della disperazione nel Continente Nero. Le più recenti però sono quelle dei bambini afghani, piccole vittime innocenti del collasso del loro Paese dopo il ritiro della coalizione a guida americana lo scorso agosto e il ritorno del regime talebano. Guardiamo quelle che ci giungono dalla clinica di Herat, dove opera l'organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere. C'è il piccolo Jawad, nato un mese e mezzo fa e ricoverato già da nove giorni. Pesa solo un chilo e mezzo, talmente debole che polmonite e setticemia lo stanno devastando. Nel letto vicino si trova Farzana, 8 mesi, pesa poco più di tre chili, la mamma è troppo malnutrita per poterla allattare. Il padre faceva il macellaio, ma a causa della crisi economica la gente non compra più carne, così mancano i soldi per acquistare il latte in polvere per la figlia. Poco lontano ecco Imran, tre anni, un'altra vittima della mancanza di cibo. È affetto da gravi disfunzioni neurologiche, gli mancano le energie per camminare. «La fame aggrava ogni patologia. Ci sono al momento 75 piccoli ricoverati le cui malattie dipendono sostanzialmente da insufficienza di nutrimento. Le mamme non hanno latte e i bambini diventano troppo deboli per poterlo succhiare. Ne muore almeno uno al giorno», spiegano i medici. La base italiana Avviene ad Herat, dove sino alla fine dello scorso giugno era acquartierato il contingente militare italiano. «La situazione è disperata e peggiora di giorno in giorno», ci segnalano i collaboratori locali. In effetti, però, l'intero Afghanistan è precipitato in una crisi economica, sanitaria e umanitaria gravissima. Mancano contanti, le banche sono chiuse, non vengono quasi più pagati gli stipendi da agosto, chi può scappa all'estero (in genere i professionisti, tra cui medici, ingegneri, professori), la popolazione non ha soldi per comprare da mangiare e combustibile per riscaldarsi, l'energia elettrica arriva a singhiozzo. In poche parole: il collasso. A farne le spese, come quasi sempre nelle situazioni più gravi, sono i bambini, i più piccoli. Vittime impotenti, che non hanno scelto nulla, non sanno cosa siano i talebani, gli hazara, i pashtun, gli uzbeki, i tagiki o i soldati stranieri, ma restano semplicemente alla mercé del fato. Un recente rapporto-appello delle Nazioni Unite denuncia in toni allarmati che lo scenario afghano sta diventando «uno dei peggiori al mondo». Su una popolazione che probabilmente tocca i 35 milioni (mancano censimenti precisi), almeno 22,8 milioni sono «a rischio malnutrizione». A detta del World Food Program: «Circa 3,2 milioni di bambini sotto i 5 anni d'età soffrono già di malnutrizione acuta e un milione potrebbe presto perdere la vita». Ai primi di ottobre i mercati popolari di Kabul erano già stracolmi di mobili e casalinghi che la gente svendeva pur di raccogliere i soldi per comprare cibo. Ora però l'organizzazione umanitaria Save the Children denuncia la crescita del «mercato dei bambini». Sono registrati casi di minori venduti per 500 dollari. In passato la tratta degli innocenti andava ad arricchire i lugubri guadagni dei trafficanti di organi. Le spose bambine Particolarmente richieste sono le bambine, date in spose ancora prima della pubertà. La Reuters segnala la vicenda di una famiglia che ha venduto le due figlie di meno di 10 anni per 3.000 dollari. Un altro motivo di allarme sono i parti in casa. Specie nelle zone rurali, scarseggia il carburante anche per portare le partorienti alle cliniche, dove ormai mancano medicinali e personale. Una situazione destinata a fare salire i decessi al momento del parto, sia delle donne che dei figli. Il governo talebano prende le distanze, chiede la fine dell'embargo internazionale, l'accesso agli oltre 9 miliardi di dollari dei fondi dello Stato chiusi nelle banche americane e il ritorno degli aiuti umanitari dall'estero. «Lavoriamo giorno e notte per cercare di risolvere i problemi. Presto arriveranno gli stipendi degli impiegati statali», ha reso noto tre giorni fa il premier talebano, Mohammed Hassan Akhund. Ma l'impasse resta palese. La comunità internazionale non ha ancora trovato il modo di inviare aiuti senza legittimare i talebani e rafforzare indirettamente il loro regime. Occorre si trovi presto un sistema: i bambini continuano a morire».

SIRIA, IL RITORNO DI ASSAD

La Siria è nelle mani di Assad, che alle elezioni dello scorso maggio (vinte con il 95,19% dei voti) si è assicurato altri 7 anni di potere, ed ora è stato reintegrato nell’Interpol. Domenico Quirico per la Stampa.

«Mi chiama un amico siriano. Uno di quelli che definiamo fortunati: "i siriani della Merkel" che hanno ottenuto asilo in Germania, hanno approfittato del breve periodo in cui questi sventurati relitti della guerra siriana divennero popolari, ebbero diritto a un lampo della nostra compassione grazie a un bambino annegato nel mare greco. Di cui oggi facciamo perfino fatica a ricordare il nome. La sofferenza è silenziosa. So di cosa mi vuol parlare. Ho pensato a lui quando ho letto la notizia. Che l'Interpol, l'organizzazione internazionale delle polizie, ha reintegrato nei suoi meccanismi di scambio delle informazioni il regime di Bashar Assad. Dal 2012, pur non essendo stata formalmente espulsa, la polizia di uno Stato criminale del nostro tempo era stata di fatto scollegata. Eppure l'amico siriano dapprima non sembra volere parlare di questo trionfo del tiranno che dopo dieci anni sembra ormai onnipotente signore delle rovine e di un cimitero con mezzo milione di morti. Con i siriani ho imparato che la sofferenza diretta e brutale non desidera parole, almeno nel momento in cui viene provata ed è ancora viva. La sofferenza aperta è timida, riservata e silenziosa. Siamo noi che proviamo compassione, che viviamo la sofferenza in via indiretta, che abbiamo bisogno di esprimerci a parole. «Sai che più passa il tempo e più mi sembra di diventare pazzo? Delle volte la sera quando scende l'oscurità mi viene voglia di salire sul balcone come facevamo nel 2011 ad Aleppo e lanciare come sfida il "takbir", cominciare a gridare Allah akbar! E poi sentire i soldati che per sfogare la loro rabbia si mettevano a sparare. Mi fermo in tempo, ma un giorno non ci riuscirò e griderò fino a quando i miei bravi vicini tedeschi accenderanno le luci e spaventatissimi, pensando a qualche terrorista entrato nel palazzo, chiameranno la polizia... Sì, forse sono già pazzo». Nel parlamento mondiale Solo allora parliamo di Bashar riammesso, con i suoi sgherri e torturatori, nel parlamento mondiale dei poliziotti, sotto il simbolo della bilancia della giustizia in perfetto equilibrio. E immaginiamo come i "mukhabarat" delle innumerevoli polizie segrete siriane, gli sgherri del padre e del figlio, stiano festeggiando nelle loro caserme con annessa lugubre sala per gli interrogatori l'ennesimo atto di viltà ipocrita del mondo. E se la ridono delle assicurazioni della organizzazione che ha sede a Lione (la Francia, il Paese dei diritti umani...) perché il personale siriano «ha seguito dei corsi di addestramento» e comunque l'utilizzo dei dossier dovrà «seguire lo spirito della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo». Violenza legalizzata Gli sbirri addestrati da decenni di esercizio della violenza legalizzata staranno già accumulando pile di pratiche interessanti, immaginando come usare le "notizie rosse", gli avvisi di ricerca emessi dagli Stati membri dell'Interpol, per chiedere la estradizione dei "terroristi'', ovvero gli oppositori fuggiti; o per ostacolare i loro sforzi di ottenere lo status di rifugiati. Ci sarà molto lavoro nei prossimi anni, adesso che sono diventati interlocutori accettabili, colleghi delle polizie democratiche. Il peso di Emirati e Cina Ogni volta mi stupisco della precisione e dei dettagli con cui rievoca, uno a uno, i nomi, l'età e le azioni degli attivisti suoi compagni che i poliziotti di Bashar hanno torturato e ucciso, racconta con tono risoluto le vicende della morte di ciascuno. Vite brevi come un lampo. Delitti perfetti in cui gli assassini ora trionfano. Improvvisati e maldestri esploratori del ventunesimo secolo pensavamo di aver visto già tutto. Invece siamo solo all'inizio. Qualche mormorio a mezza voce, niente di rilevante, ha accolto la elezione alla guida di Interpol di un generale emiratino che voci multiple e attendibili accusano di torturare dissidenti e prigionieri. La riabilitazione poliziesca di Bashar, che è senza dubbio la riprova del peso che Emirati e Cina hanno ormai conquistato in questa delicatissima organizzazione, è passata invece sotto silenzio. Nessuno finora ha intonato l'eterna, inutile solfa: come è possibile nel terzo millennio che accadano ancora cose simili? Consumiamo la notizia e la gettiamo nella spazzatura. Di nuovo intrappolati Nel 2011 il senso della rivoluzione siriana era stato aver infranto il muro della paura. I genitori dei ragazzi scesi in strada erano assoggettati da decenni con la paura. Loro erano andati oltre. Dopo dieci anni sono di nuovo intrappolati in quella morsa di ferro, perfino coloro che pensavano con la fuga di essersi sottratti a quell'infernale subbuglio. L'intrattabile Bashar, unendo astuzia geopolitica e barili bomba, ha vinto, controlla il settanta per cento del territorio siriano, assedia, paziente, Idlib, ultima enclave ribelle e jihadista, ha cacciato via alcuni milioni di potenziali oppositori, quelli che non ha ucciso, ha superato il pericolo del cedimento interno, del finale alla Macbeth. E ora lavora per rientrare a testa alta nella buona società internazionale come se nulla fosse successo. Nessuno gli ha tolto il seggio alle Nazioni Unite. Ha compreso tutto: trionfa sempre l'omertà di combriccole semplicemente utilitarie, dei grandi assassini resta riverita memoria, delle vittime non ci importa nulla. Il loro anacronismo è dimostrato dal loro costante insuccesso. Verso un nuovo mandato Per dimostrare con inoppugnabile certezza che niente è cambiato e verificare le reazioni ha organizzato una rielezione per un quarto mandato e altri sette anni di potere. Copione scritto da lui, intangibile: due candidati finti e i sostenitori che andavano in giro tra le rovine delle città che lui ha metodicamente distrutto con i cartelli: scegliamo l'avvenire, scegliamo Bashar. Nell'elezione precedente si era accontentato dell'88 per cento, stavolta ha voluto il novanta. Come a dire: vedete? La Siria è mia. Un Paese in agonia Il Paese è in agonia strangolato dalle sanzioni, dalla mancanza di carburante mentre incombe l'inverno e dilagano affarismo e corruzione. I pescecani del clan Assad, passata la paura, hanno ripreso allegramente i vecchi metodi: rubare. È cambiato il capo mafia: ora dirige i traffici e il contrabbando Asma, una prima donna glamour e senza scrupoli. Tutto è in famiglia. Dal mondo sunnita gli arrivano segnali sempre più espliciti di distensione. I Paesi del Golfo gli fanno la corte perché vogliono che allenti i legami con i diavoli di Teheran, che per aiutarlo si sono svenati in questi dieci anni senza ricavare grandi frutti. Una delegazione saudita è venuta a Damasco in visita ufficiale per «parlare di sicurezza». I ricchi emiri fanno intravedere aiuti finanziari indispensabili per sopravvivere e pressioni su questa America atona, incolore perché lo riabiliti dal ruolo di canaglia. Bashar ci conosce, sa che basta attendere».

L’UMILIAZIONE DI GRETA AD EMPOLI

Nonostante il bla bla bla sulla Giornata contro la violenza sulle donne, ieri brutto episodio davanti allo stadio di Empoli, in diretta su Toscana Tv. La giornalista Greta Beccaglia è collegata live e deve chiedere commenti ai tifosi che stanno uscendo alla fine del match. Viene molestata in diretta. Maurizio Crosetti per Repubblica.

«Non te la prendere, è solo una manata sul sedere, che vuoi che sia, mica t' ha ammazzato. Greta Beccaglia, giornalista di Toscana Tv, era stata appena palpeggiata in diretta da un uomo dopo Empoli-Fiorentina, e l'unica cosa che si è sentita dire dal conduttore maschio in studio è stata: «Non te la prendere». Invece di chiudere il collegamento, di interrompere la trasmissione e chiamare la polizia, Greta è stata costretta a rimanere lì in mezzo ad altri schifosi e violenti, col suo microfono in mano, mentre i maschi la circondavano e le urlavano cose accompagnandole con gesti volgari. Si comincia così, e a volte si finisce al pronto soccorso, gonfie di botte, o al camposanto. Ma anche le parole non dette sono violenza. Anche la mancata difesa lo è. Anche non capire, anche non voler capire fino in fondo: quel fondo che abitiamo, ormai. Oltre la sacrosanta solidarietà, oltre l'indignazione vera per una molestia che non offende soltanto una donna, o tutte le donne, ma il genere umano, maschi naturalmente compresi, oltre l'inchiesta della magistratura che dovrà portare al riconoscimento e alla denuncia del molestatore, così bene inquadrato in primo piano, bisogna dire, anzi gridare cos' è davvero quella mano: è la sorella gemella della stessa mano, o forse è proprio la stessa mano, che si allarga in uno schiaffo sul viso di una donna, che si stringe a pugno e la colpisce, che le serra la gola e la soffoca, che impugna una lama e la accoltella. È la stessa mano che minaccia e intimidisce, che ricatta e offende, è l'identica voce. Non volerla sentire, non saperla ascoltare non è resa, non è silenzio: è complicità. Non fermare quella mano, che palpeggi o che uccida poco importa, significa esserle alleati. Abbiamo trascorso la settimana, anche se non basterebbe una vita da padri, fratelli, figli, mariti, compagni, fidanzati, amanti, genitori, nonni o nipoti delle nostre donne, ad applaudire le scarpe rosse e il segno scarlatto del rossetto sul volto per dire a tutte loro che, appunto, siamo con loro. Ma poi bastano pochi secondi di una terribile diretta televisiva per regredire di decenni sul piano umano, sociale e legale. Perché, sapete com' è, lo stadio è terra di nessuno, è la zona franca dove si possono insultare i morti, gli ebrei e i neri, dove è permesso ferire, rompere tutto, tirare le banane ai giocatori di colore e i motorini dalle gradinate (accadde qualche anno fa, ricorderete, a San Siro), tanto non succede mai niente. Impunità assoluta. Le molestie a Greta allo stadio "Castellani" di Empoli sono state accolte, dunque accettate, come una specie di atto goliardico, qualcosa che gli incorreggibili maschiacci non riescono proprio a evitare, una sorta di scherzo da bambinoni, la ragazza mica se la prenderà per così poco? Ma quel poco è moltissimo e riguarda tutti. Adesso, di una donna che stava facendo il suo mestiere in trincea (non occorre andare fino a Kabul) resta negli occhi un'immagine di solitudine nella barbarie. Ma se lasciamo sola Greta, se le diciamo di non prendersela, i barbari siamo noi».

IL PAPA: “NON STATE IN POLTRONA”

Inizio dell’Avvento ieri nell’Angelus di papa Francesco. La notizia dal Tempo di Roma.

«Papa Francesco dedica il primo Angelus dell'Avvento a una lunga riflessione sull'accidia «che rende tristi» e commenta: «È triste vedere cristiani in poltrona». L'accidia «è quella pigrizia che fa precipitare nella tristezza, che toglie il gusto di vivere e la voglia di fare. È uno spirito cattivo, negativo, che inchioda l'anima nel torpore, rubandole la gioia», spiega il Pontefice. E ancora: «Bisogna fare attenzione perché si può essere "cristiani addormentati", senza slancio spirituale, senza ardore nel pregare, senza entusiasmo per la missione, senza passione per il Vangelo. E questo porta a "sonnecchiare": a tirare avanti le cose per inerzia, a cadere nell'apatia, indifferenti a tutto tranne che a quello che ci fa comodo». Al contrario, la chiamata è a «risollevarci e alzare il capo perché proprio nei momenti in cui tutto sembra finito il Signore viene a salvarci; attenderlo con gioia anche nel cuore delle tribolazioni, nelle crisi della vita e nei drammi della storia». Ma «come si fa ad alzare il capo, a non farci assorbire dalle difficoltà, dalle sofferenze, dalle sconfitte?» Questa la risposta: «La vigilanza». Vigilare vuol dire «state attenti, non distraetevi, cioè restate svegli! Fate attenzioe perché si può essere cristiani addormentati, anestetizzati dalle mondanità. Che pregano come pappagalli, senza entusiasmo per la missione, che guardano sempre dietro, incapaci di guardare l'orizzonte».

Leggi qui tutti gli articoli di lunedì 29 novembre:

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Per chi vuole, ci vediamo poi dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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