La Versione di Banfi

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Omicron, l'ombra della speculazione

alessandrobanfi.substack.com

Omicron, l'ombra della speculazione

Pareri discordanti fra gli scienziati sugli effetti della variante sudafricana. L'Ad di Moderna spinge per il suo nuovo vaccino. Scettici Ema ed Israele. Allarme carovita. Buon Natale salvo

Alessandro Banfi
Dec 1, 2021
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Omicron, l'ombra della speculazione

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A leggere le dichiarazioni di Stéphane Bancel, l’AD di Moderna, al giornale finanziario di Londra Financial Times si resta perplessi. Mentre l’Ema, gli scienziati israeliani e anche alcuni esperti della concorrente Pfizer sono convinti che per difendersi da Omicron possa bastare la terza dose, Bancel sostiene che il colosso farmaceutico è già pronto per un vaccino specifico ad hoc contro la variante sudafricana. L’ombra della speculazione e dell’interesse aleggiano dall’inizio su questa vicenda, nata “mediaticamente”, giova ricordarlo, sui mercati finanziari e non da un’analisi di laboratorio o da un articolo scientifico. E tuttavia l’allarme (unito alle terribili conseguenze dell’ondata dall’Est Europa) sta provocando conseguenze fino a ieri impensabili: dopo l’Austria, anche la Germania va verso l’obbligo vaccinale. In Inghilterra tutto è cambiato. Da noi c’è un’accelerazione decisa delle somministrazioni: 351 mila 363 nelle ultime 24 ore, moltissime anche le prime dosi.

Contrordine sulla scuola: Draghi ha fatto ritirare le norme per cui bastava un positivo per mettere tutta la classe in quarantena. Restano almeno tre gli infetti per passare in Dad. A rischiare il contagio in prima fila, in questa battaglia di principio draghiana, sono i prof, soprattutto quegli anziani che sono poi la maggioranza. Sindacati e genitori stanno con palazzo Chigi. Vedremo gli sviluppi.

Paradossalmente, a preoccupare più del Covid sono i dati dell’inflazione. Secondo i numeri dell’Istat il carovita non è mai stato così alto in Italia dal 2008: + 3,8%. Il boom dell'inflazione è provocato anche dai rincari energetici ma i timori sono che il fenomeno non sia così temporaneo come si sperava. Il governo è deciso ad intervenire sulle bollette, come chiesto dai partiti.

Corsa al Quirinale. Il Fatto di Travaglio raccoglie le firme contro Berlusconi al Colle, qualificato come “garante della prostituzione”. Ieri sera Enrico Letta ha avvertito, intervenendo a Cartabianca su Rai3: «Quella per il prossimo presidente della Repubblica sarà una elezione a larga maggioranza perché se così non fosse il governo cadrebbe immediatamente». Il Domani propone di rifare un Conclave, tutti chiusi finché non decidono il nuovo Presidente.

Dall’estero: sentenza choc a Francoforte, dove è stato condannato un terrorista dell’Isis per aver crocifisso una bambina di 5 anni yazida, morta poi di sete al sole, fra atroci sofferenze. Ne scrive Quirico sulla Stampa. Il giornalista populista Eric Zemmour scende in campo in Francia per le presidenziali, ce la farà a battere Marine Le Pen nel ruolo di sfidante di Macron?  

Cinque delle dieci persone di cui ho parlato nel mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it grazie al sostegno della Fondazione Cariplo sono state premiate al Quirinale lunedì. L’Italia di cui andiamo orgogliosi è fatta di queste storie. Persone che hanno dato la vita per gli altri e che per questo sono italiani che costruiscono l’immagine giusta, positiva, buona del nostro Paese. L’ultimo episodio della serie disponibile è intitolato: LA CUOCA COMBATTENTE. È la storia di Nicoletta Cosentino, che è sopravvissuta a una relazione abusante, di cui si è liberata a fatica. Oggi Nicoletta accompagna altre donne sullo stesso percorso. Insieme a chi ha avuto una storia simile alla sua ha messo in piedi a Palermo un’impresa sociale che produce dolci, conserve e marmellate. Domani arriva un altro nuovo episodio e riguarda un’esperienza di difesa dal degrado della città!!! Cercate questa cover…

… e troverete Le Vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo e ascoltate l’ultimo episodio:

https://www.spreaker.com/user/13388771/le-vite-degli-altri-cuoche-combattenti-v

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Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Il Corriere della Sera è ancora sulle conseguenze provocate da Omicron e da quella che i giornali inglesi e francesi chiamano la quinta ondata: Vaccini avanza l’obbligo. Tiene banco (è il caso di dirlo) il pasticcio sulla quarantena nelle aule. Avvenire spiega: Si resta a scuola. La Repubblica sottolinea i contrasti: Scontro sulla Dad. La Stampa attribuisce la decisione al premier: Draghi ordina la retromarcia: “Niente Dad con un contagio”. La Verità prosegue nella sua avversione alla vaccinazione: I talebani del vaccino si incartano sulle dosi. Quotidiano Nazionale è preoccupato del caro prezzi: L’inflazione si mangia cenoni e regali. Il Manifesto punta sui rincari energetici: In bolletta. Il Mattino spera: Asili e mense, svolta per il Sud. Il Messaggero è concentrato sul destino della capitale: «Uno statuto speciale per Roma». Il Sole 24 Ore informa: Fisco e imprese, le novità del decreto. Il Domani attacca l’apertura all’Egitto: Dimenticati Zaki e Regeni, l’Italia ora celebra il dittatore al Sisi. Il Fatto raccoglie le firme contro Berlusconi al Quirinale: No al garante della prostituzione. Il Giornale risolve in un solo colpo tutti i problemi agli studiosi della secolarizzazione: Vittoria, l’Europa torna cristiana. Ah, ecco. Libero la mette in politica: Il Natale batte la sinistra. Meloni: «Visto? Serve più destra». Ce lo segniamo.  

OMICRON, L’EUROPA VERSO L’OBBLIGO

Pesanti discordanze fra la dirigenza di Moderna (che sarebbe pronta in 4 settimane con un nuovo vaccino) e l’Ema, l’ente europeo. In ballo la valutazione sulla reale capacità dei vaccini attuali di proteggere da Omicron. Intanto, dopo l’Austria, anche Germania e Grecia vanno verso l’obbligo vaccinale. Tonia Mastrobuoni per Repubblica.

«In nessun caso, penso, potremo contare sulla stessa efficacia che abbiamo sperimentato nel caso della variante Delta». La doccia fredda è arrivata ieri mattina, dalle colonne del Financial Times. L'amministratore delegato del colosso dei farmaci Moderna, Stéphane Bancel, ha spazzato via in un'intervista al quotidiano finanziario la speranza che i vaccini esistenti possano essere uno scudo efficace contro Omicron, l'ultima mutazione del coronavirus che ha raggiunto l'Europa. Ma nel corso della giornata, altre voci autorevoli hanno smentito o relativizzato le dichiarazioni del numero uno di Moderna, a cominciare dall'uomo che ha sviluppato il farmaco rivale, il fondatore di Biontech Ugur Sahin, che ha invitato tutti a «non perdere la testa» e a fidarsi della copertura dei vaccini esistenti anche per il nuovo mutante. Una reazione simile è arrivata ieri da Israele, dove il ministro della Sanità Nitzan Horowitz ha parlato di una «situazione sotto controllo». In base ai primi dati esaminati dagli scienziati israeliani chi ha avuto la terza dose «è molto probabilmente protetto contro questa variante». L'Ema ha fatto sapere che non appena le case farmaceutiche avranno adattato i vaccini alla variante Omicron, l'autorità europea del farmaco sarà in grado di approvarli «entro tre o quattro mesi». Dall'Europa è arrivata anche una notizia che solleva dubbi sull'origine dell'ultima variante che secondo il super consigliere sanitario del governo statunintese Anthony Fauci è stato intercettato ormai in 226 casi, di cui 42 nella Ue. Nei Paesi Bassi la variante omicron è stata trovata in campioni risalenti al 19 e al 23 novembre, prima di quanto assunto finora. La data della scoperta resta il 24 novembre, quando è stata intercettata in Sudafrica, come reso noto dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Ma è anche vero che in Sudafrica si analizzano molti più campioni che nel resto del continente africano. Non è detto, come ripetono le autorità sudafricane da giorni, che la mutazione sia nata lì. L'Oms si è anche espressa ieri contro le limitazioni di viaggio, ricordando che non sono efficaci per fermare il virus. Intanto la Germania, a lungo impaludata nel vuoto di potere tra due governi, sta accelerando sulle misure anti-Covid. In un informale vertice tra la cancelliera uscente Angela Merkel, il suo erede in pectore, Olaf Scholz e i governatori è stato abbozzato un pacchetto di misure che saranno approvate da una seconda riunione convocata per domani. E Scholz punta a un obbligo vaccinale per tutti da febbraio o almeno a un'immunizzazione vincolante per determinate categorie di lavoratori, a un principio 2G (vaccinati o guariti) rigorosamente applicato nei ristoranti e nei negozi. Anche i ministri presidenti della Cdu concordano con il cancelliere designato sulla necessità di un obbligo vaccinale. Alla riunione di tre ore è stata anche discusso il divieto di grandi eventi, il ritorno degli spalti vuoti alle partite di calcio e la chiusura di locali notturni e discoteche. In serata Scholz, che punta a una forte accelerazione della campagna vaccinale anche con la nuova Unità di crisi insediata presso la cancelleria che sarà guidata dal generale della Bundeswehr Carsten Breuer, ha spiegato a Bild che «sarà il Bundestag a decidere » sull'obbligo vaccinale. Il cancelliere si prepara a governare con un partito, la Fdp, tendenzialmente contraria a una misura del genere. Ma la Cdu, che adesso è all'opposizione, la chiede con forza. La Grecia ha deciso proprio ieri introdurrà l'obbligo vaccinale per gli ultrasessantenni dal 16 gennaio. I riottosi pagheranno una multa mensile di 100 euro. In Austria, pioniera dell'obbligo vaccinale, il governo ha deciso che il limite per immunizzarsi sarà febbraio del 2022. Indiscrezioni su maxi multe da 7.200 per i No Vax sono state, per ora, smentite».

Pareri ancora discordanti fra gli scienziati sui veri effetti della variante. Arrivano i primi dati da Israele: la terza dose protegge bene. La cronaca del Manifesto.

«Più i giorni passano, più diventa evidente che la presenza della variante Omicron del coronavirus non è un'esclusiva africana. Per rimanere entro i confini italiani, i casi positivi alla nuova variante ieri sono diventati 9, solo tra i contatti del tecnico tornato dal Mozambico e dei suoi familiari. Nuovi casi sono stati censiti anche nel resto d'Europa, in Nordamerica e in Asia, oltre che in Africa. Il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) ieri ne contava 44 nell'Unione Europea, ma sono numeri che vengono aggiornati di ora in ora e anche retrospettivamente: in serata le autorità sanitari olandesi hanno rivelato che la Omicron era già presente in tamponi risalenti al 19 novembre, cioè una settimana prima che il Sudafrica ne annunciasse l'individuazione. Finora, gli unici casi noti della variante nel Paese erano quelli sbarcati dal Sudafrica all'aeroporto di Amsterdam. I MERCATI FINANZIARI sono tornati in agitazione e gli indici, dopo il tonfo dello scorso venerdì, non hanno recuperato o addirittura, come è successo a Wall Street, hanno perso ulteriore terreno. Sulla ricaduta sanitaria della nuova variante però ci sono poche novità. Anzi, dopo il polverone dei primi giorni è ormai chiaro a tutti che per capire se la variante Omicron è una nuova disgrazia servirà ancora qualche giorno, forse due settimane. I ricercatori devono eseguire esperimenti in laboratorio per valutare se gli anticorpi presenti nei vaccinati sono in grado di neutralizzare il nuovo virus. Gli epidemiologi hanno bisogno di dati sul campo per valutare se i focolai causati dalla nuova variante si propagano più velocemente rispetto a quelle tradizionali e se tra i vaccinati il tasso di infezione è più basso che tra i non vaccinati. DA ISRAELE, come spesso avviene in questi casi, giungono già i primi indizi. «La situazione è sotto controllo e non c'è motivo di panico», ha detto il ministro della sanità Nitzan Horowitz. «Nei prossimi giorni avremo informazioni più precise sull'efficacia del vaccino ma le prime indicazioni mostrano che coloro che hanno un richiamo sono molto probabilmente protetti contro questa variante». Horowitz non ha specificato la fonte di questa informazione ma Israele ha messo in campo persino l'apparato militare per far fronte a Omicron. Domenica il governo di Tel Aviv ha approvato il tracciamento dei portatori della variante mediante i telefoni cellulari. L'operazione sarà portata avanti direttamente dallo Shin Bet, il servizio segreto israeliano per gli affari interni e dovrebbe durare fino a domani. LE ALTRE AGENZIE sono più caute, e si preparano all'eventualità di dover individuare nuovi vaccini, nel caso in cui l'ottimismo di Horowitz fosse mal riposto e la variante si dimostrasse in grado di eludere i vaccini già disponibili. «Siamo preparati», ha detto al parlamento europeo Emer Cooke, direttrice dell'Agenzia Europea del Farmaco. Se servirà un nuovo vaccino, ha spiegato, basteranno quattro mesi per vederlo approvato dai Paesi dell'Unione. «Le società dovranno adattare la formulazione per rispondere al nuovo ceppo», ha spiegato Cooke. «Poi dovranno dimostrare che il sistema di produzione è efficiente e infine svolgere alcuni test clinici per dimostrarne l'efficacia». MA SARANNO le due maggiori aziende produttrici di vaccini a mRna, Pfizer e Moderna, a decidere se vale la pena investire in un nuovo vaccino, o se è meglio accontentarsi della protezione, magari ridotta, offerta da quelli attuali. La Pfizer, assicura l'amministratore delegato Albert Bourla, ci sta già lavorando. Già da venerdì i ricercatori stanno verificando l'efficacia del vaccino attuale contro la variante. «Non credo che la protezione non ci sia del tutto», ha detto Bourla alla rete statunitense Cnbc, ma se la protezione diminuirà «dovremo creare un nuovo vaccino». Bourla ha ricordato che quando si trattò di aggiornarlo per la variante Delta, il processo richiese solo 95 giorni, anche se poi la nuova versione del vaccino non fu introdotta in commercio. Più pessimista il collega Stéphane Bancel, ad di Moderna. «Temo che vi sarà un calo di protezione», ha detto al Financial Times dopo aver consultato diversi esperti. «A seconda del calo, potremmo decidere di aumentare la dose del vaccino attuale per proteggere le persone ad alto rischio e gli anziani». Ma per un nuovo vaccino serviranno diversi mesi. «Potremmo disporre di un miliardo di dosi entro la prossima estate», ha detto Bancel».

SCANDALO DISUGUAGLIANZA: ALL’AFRICA IL 3% DEI VACCINI

Inchiesta del Fatto: all'Africa sono andate solo le briciole della campagna di immunizzazione. Gli africani hanno ricevuto solo il 3% dei vaccini. Stefano Vergine.

«Poche dosi disponibili, gravi carenze infrastrutturali, contrarietà al vaccino. Sono questi i principali motivi che rendono l'Africa il continente con il più basso tasso di vaccinazione al mondo, quello dove è più probabile che si sviluppino nuove varianti del virus, come sembra essere successo con la Omicron, individuata per la prima volta in Botswana l'11 novembre scorso. Secondo i numeri pubblicati da Our World In Data, delle otto miliardi di dosi di vaccino usate finora, solo il 3% è andato all'Africa, anche se nel continente vive il 17% della popolazione mondiale. Si fa presto a dire Africa, però. Analizzando i dati delle singole nazioni, si notano infatti differenze molto rilevanti. Qualche esempio aiuta a chiarire la situazione. Nella Repubblica democratica del Congo ha ricevuto almeno una dose di vaccino lo 0,1% della popolazione, in Sudafrica il 28%, in Botswana il 37%, in Tunisia il 51%, in Marocco il 66%. Si va dunque da livelli prossimi allo zero, ad altri in cui la percentuale è persino maggiore rispetto a quella di alcune nazioni dell'Unione Europea. Tanto per dire: in Polonia ha ricevuto almeno la prima dose il 55% della popolazione, in Romania il 40%, in Bulgaria il 26%. E anche negli Stati Uniti la quota di vaccinati con prima dose è di poco superiore a quella del Marocco (69% contro 66%). Tutti questi numeri indicano che, per spiegare come mai in Africa il tasso medio di vaccinati sia così basso, oltre alla disponibilità delle dosi contano anche altri fattori. Partiamo proprio dalla disponibilità di materia prima. "Un elemento chiave è stata la fornitura di dosi, con i Paesi dell'Africa che si trovano in fondo alla coda delle consegne di vaccini", ha scritto sul suo blog Axel van Trotsenburg, direttore generale della Banca mondiale, convinto come molti altri esperti che "nessuno è al sicuro finché non tutti siamo al sicuro". Per conoscere le dosi a disposizione di ogni nazione c'è il database di Fondo monetario internazionale (Fmi) e Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Tiene conto dei vari strumenti usati per ottenere vaccini: contratti diretti con le case farmaceutiche, donazioni fra Stati, accordi multilaterali stretti attraverso strutture come Covax, Avat e altre. I dati mostrano enormi diseguaglianze a livello globale. L'Italia, ad esempio, si è assicurata finora abbastanza dosi da poter vaccinare quasi quattro volte la propria popolazione (377%). La proporzione è simile per tutti gli altri Paesi Ue, anche se - come detto - in alcuni il tasso di vaccinati resta basso nonostante l'enorme disponibilità di materia prima: la Romania, tanto per citare un caso emblematico, si è assicurata dosi per coprire il 319% della propria popolazione, ma solo il 40% dei romeni si è fatto iniettare almeno una dose. Da questo quadro l'Africa esce malissimo. La maggioranza delle nazioni del continente non si è infatti assicurata nemmeno una quantità di dosi tali da poter vaccinare una volta tutti i suoi cittadini. L'Algeria è ad esempio al 35% della propria popolazione, il Mali al 30%, l'Etiopia al 33%. Questi dati non tengono ancora conto dell'annuncio fatto due giorni fa dal governo cinese, che ha detto di voler regalare un miliardo di dosi al Continente. Ma la fotografia scattata da Fmi e Oms, al di là di alcune eccezioni, dimostra che i Paesi con tante dosi a disposizione sono anche quelli in cui il tasso di vaccinati è più alto. Esempio: il Marocco, che come detto è in cima alla classifica continentale per iniezioni somministrate, è anche una delle nazioni africane che si è assicurata più dosi (pari al 121% della sua popolazione). Per questo motivo sono in molti a credere che l'unico modo per provare ad allargare la copertura vaccinale sia quello di sospendere i brevetti, così da aumentare la produzione di dosi su scala globale. Su questo finora non è ancora stato trovato un accordo, perché la riforma necessità dell'unanimità all'Organizzazione mondiale del commercio e una manciata di componenti, tra cui l'Ue, continua a opporsi. La strada finora intrapresa per aiutare i Paesi più poveri è stata quella delle donazioni, della beneficenza, ma a quasi due anni dall'inizio della pandemia i risultati sono deludenti. "Solo il 14% delle dosi contrattate da Covax e l'8% delle dosi contrattate da Avat sono state consegnate finora dai produttori", hanno calcolato infatti Fmi e Oms. Non solo. Molte delle dosi donate sono arrivate a destinazione quando erano ormai prossime alla scadenza. Conseguenza: milioni di vaccini buttati nel cestino perché inutilizzabili. È successo ad esempio in Malawi, Sud Sudan e Congo, ha raccontato la Bbc. "A oggi - si legge in un comunicato pubblicato due giorni fa sul sito dell'Oms - oltre 90 milioni di dosi donate sono state consegnate al continente (africano, ndr) tramite Covax e Avat, e altri milioni di dosi tramite accordi bilaterali. Tuttavia, la maggior parte delle donazioni fino a oggi sono state fornite con scarso preavviso e breve durata. Ciò ha reso estremamente difficile per i Paesi pianificare campagne di vaccinazione e aumentare la capacità di assorbimento". A questo problema si aggiunge la scarsa capacità di alcune nazioni di gestire la campagna vaccinale, anche a causa della mancanza di infrastrutture (strade, porti, aeroporti) necessarie per portare le dosi nelle aree più remote. Il caso più clamoroso è quello della repubblica democratica del Congo, nazione grande come due terzi dell'Europa occidentale, ma con poco più di duemila chilometri di strade asfaltate. A pesare sul basso tasso di protezione dell'Africa c'è poi lo scetticismo sui vaccini. Secondo uno studio pubblicato nel febbraio scorso dall'Africa Cdc (istituto dell'Unione Africana), "una significativa quota" della popolazione africana "esprime preoccupazione sulla sicurezza dei vaccini". In media, quasi un intervistato su cinque (18%) ha detto di non volersi proteggere anche se fosse dimostrata la sicurezza e l'efficacia della puntura. Le proporzioni cambiano molto da Paese a Paese. Si va dal minimo della Tunisia (solo 2 su 100 dicono no al vaccino) al massimo del Congo (38 su 100). Insomma, con più dosi a disposizione per tutto il mondo il rischio che si sviluppino nuove varianti diminuirebbe, ma per azzerarlo non è detto che questo sia sufficiente».

SCUOLA, IL  PASTICCIO DELLA DAD

Blitz di Draghi che cancella l’inasprimento delle norme sulla Dad. Palazzo Chigi in meno di 24 ore fa ritirare la circolare che cambiava le regole per la quarantena. Sollievo dei genitori, sconcerto dei presidi. Prof (spesso anziani) a rischio contagio. Ilaria Venturi e Tommaso Ciriaco per Repubblica.

«Non più tutti in Dad al primo caso positivo in classe. Nel giro di un giorno la circolare a doppia firma - ministero Sanità e Istruzione - che aveva ripristinato la versione più restrittiva nella gestione delle quarantene nelle classi viene ritirata. Tocca a Mario Draghi intervenire. Il premier è seccato. Non vuole far passare il messaggio che si torni ai tempi dolorosi della Dad. Ha messo la faccia fin dal primo giorno su questa promessa, vuol difenderla finché sarà possibile. Sa che l'esecutivo precedente aveva pagato un prezzo altissimo all'emergenza scolastica. Mentre la circolare comincia ad arrivare nelle scuole e si sollevano proteste dei genitori e dubbi anche da parte delle Regioni, Palazzo Chigi si muove. Di buon mattino, viene sondato Franco Locatelli, coordinatore del Cts. La domanda è sostanzialmente questa: ci sono i margini epidemiologici per una misura del genere? E sussistono le condizioni per una interpretazione così estensiva della circolare? La risposta è chiara: no, al momento no. Viene riferito che tutte le Regioni hanno circa l'1% di classi in quarantena tranne Liguria, Friuli e Marche che sono al 2%. È quello che i vertici dell'esecutivo speravano di sentirsi dire. Subito dopo, Palazzo Chigi entra in contatto con il generale Francesco Figliuolo. Dal commissario straordinario arriva l'impegno a potenziare l'attività di tracciamento nelle scuole andato in tilt con l'aumento della circolazione del virus. È quello che chiedevano - inascoltate - le Regioni. Ed è la ragione per cui Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione, ha messo nero su bianco le nuove linee guida. Le risorse non sembravano sufficienti, ma qualcosa evidentemente cambia: la struttura commissariale si impegna a mobilitare quelle necessarie per preservare le lezioni in presenza. A quel punto, la circolare è già lettera morta. L'ultimo passaggio, difficile, è con il ministero della Salute e con l'Istruzione. Rezza deve sostanzialmente tornare sui suoi passi. Le regole precedenti ripristinate. E la circolare, firmata con il capo dipartimento dell'Istruzione Jacopo Greco, passata liscia come l'olio la sera prima si ritrova senza nessuna paternità il giorno dopo. La via d'uscita diventa la soluzione al problema organizzativo delle Asl, mentre il giro di vite era stato giustificato dall'incidenza dei casi in età scolare pari a 125 per 100.000 abitanti nel periodo 19-25 novembre, «valore ben lontano da quello ottimale di 50 per 100.000, utile per un corretto tracciamento dei casi». Insomma, ora ci pensa Figliuolo. Il ministro Bianchi aveva parlato in mattinata di «una misura assolutamente prudenziale», presa perché «vogliamo tenere in assoluta sicurezza la scuola». Anche se la priorità del ministro «resta la didattica in presenza». Una sorta di presa d'atto delle difficoltà registrate dalle Asl nel fare rapidamente i tamponi e al pressing di molte Regioni. Non tutte. Eugenio Giani, presidente della Toscana, la regione dove il tracciamento con il Qr code sta funzionando, ieri aveva storto il naso: «Circolare esagerata». Mentr e l'Emilia-Romagna con l'assessore Donini aveva subito frenato: «Si deve evitare l'automatismo un positivo, tutti in Dad». Facendo una proiezione, con l'1% di classi in Dad siamo attualmente a quasi 3.700, oltre 70mila alunni. I contagi sono in prevalenza alla primaria, e per questo si fa affidamento nella campagna vaccinale sui bambini da 5 a 12 anni. Nel frattempo, scuole e famiglie fanno i conti con una gestione caotica delle quarantene. Antonello Giannelli, capo dei presidi dell'Anp, si dice sconcertato: «Mi chiedo come una circolare firmata da due ministeri possa uscire ed essere ritirata in 24 ore. Resta il punto critico sul fatto che le Asl non fanno il loro dovere. Speriamo che il commissariamento della sanità con Figliuolo porti a un miglioramento dell'efficienza». Così Paolino Marotta dell'Andis: «Bene se si risolve il problema delle strutture sanitarie, il tracciamento compete a loro». I genitori, che avevano protestato contro la rivisitazione del protocollo che avrebbe aumentato al Dad, si mobiliteranno lo stesso. Per chiedere ora, con presìdi promossi dal comitato Priorità alla scuola davanti alle Regioni, «di passare dalle parole ai fatti con più risorse e personale sanitario dedicato alle scuole». Quanto promesso ora dal governo».

LA UE RITIRA LE RACCOMANDAZIONI SUL NATALE

La Ue ritira le linee guida «inclusive» sull'uso corretto del linguaggio, che avevano suscitato polemiche. Marcia indietro della commissaria maltese Dalli. Francesco Battistini per il Corriere della Sera.

«Signore e signori (e pure signorine), cari vecchietti, cari Giovanni e care Marie, malati e disabili, marziani e colonizzati, buon Natale a tutti! Gli auguri sono salvi. E pure «il nostro patrimonio religioso» (Pd), «la nostra storia» (Fratelli d'Italia), «i valori giudaico-cristiani» (Lega), perfino «la bandiera europea ispirata alle 12 stelle della corona di Maria» (Forza Italia) e in definitiva tutto l'armamentario retorico dissotterrato per l'occasione. Troppe proteste, interrogazioni, ironie: dopo due giorni, la Commissione europea ritira le sue «Linee guida sulla comunicazione inclusiva» - il documento di 32 pagine che insegnava ai funzionari Ue le parole da usare per non offendere nessuno - e si scusa per la figuraccia. «Lavorerò di più sul testo», promette ora la commissaria all'Uguaglianza, Helena Dalli, riconoscendo che il vademecum non funzionava: era soltanto una direttiva interna per «mostrare la nostra natura inclusiva», dice la ministra di Bruxelles, ma evidentemente «non è un documento maturo» (tradotto: non è stata una grande idea preferire gli auguri di Buone Feste al Buon Natale, per non offendere ebrei o musulmani; disincentivare l'uso di nomi troppo cristiani, «tipo Giovanni e Maria»; evitare il signore-e-signori, per non turbare chi non s' identifica né in quelle, né in questi; dribblare termini come «anziani», «malati» e «disabili», per non turbare le categorie deboli; cancellare la parola «colonizzare», sempre e comunque, si tratti anche di colonialismo su Marte...). La lingua di legno della Commissione ha impiegato poco a finire sul rogo dello scontro politico. Nel silenzio di chi non voleva impallinare la ministra laburista e la gioia di chi, specie a destra, s' è visto servire sotto Natale la perfetta polemica. «Il prezioso principio dell'inclusione non dovrebbe causare l'effetto opposto dell'esclusione», è stato l'intervento dei vescovi europei: secondo questo manualetto, ha notato polemico il quotidiano della Cei, Avvenire , «Gesù non è nato per tutti» e a restare esclusi sono stati proprio i cristiani. Si sono arrabbiati un po' ovunque. Perfino i contadini della Coldiretti, che hanno paragonato il decalogo a una delle tante follie decise di questi tempi a Bruxelles: «Che dire per esempio dell'introduzione della Locusta Migratoria e della Larva Gialla, sotto forma di snack, fra gli alimenti ammessi sulla tavola degli europei?». Schiacciata come un fastidioso insetto, alla fine a pagare è stata la povera Dalli. Che più d'uno avrebbe voluto si dimettesse: Ursula von der Leyen, seccata, ha fatto sapere che queste linee guida «non erano un documento sostenuto dal collegio, ma preparato solo a livello tecnico». Nella neolingua proposta dalla maltese, tanto per dire, c'era anche quella dei segni. E fra i suggerimenti politicamente corretti, quello di cambiare il simbolo dei disabili: l'universale omino bianco e blu in carrozzina, stilizzato, che campeggia negli spazi pubblici. «Troppo statico», aveva stabilito la commissaria Dalli, preferendone un altro quasi uguale, ma più «attivo e impegnato». Giusto, lo scrupolo. E sacrosanta, la domanda: quanto sarebbe costato cambiare un semplice disegnino in tutti i posteggi e wc d'Europa?».

QUIRINALE 1, IL FATTO RACCOGLIE FIRME CONTRO MR. B

Controcopertina del Fatto con vignettone di Giannelli e articolone di Marco Travaglio per annunciare una raccolta di firme contro Silvio Berlusconi al Quirinale. L’editoriale del direttore è un’arringa giustizialista ad personam.

«Il Presidente della Repubblica dev' essere il garante della Costituzione. Silvio Berlusconi è il garante della corruzione e della prostituzione, non solo sul piano giudiziario, mentre la Costituzione l'ha violata sia prima sia dopo il suo ingresso in politica. E ha tentato di scassinarla nel 2006, quando il popolo italiano lo fermò col referendum. Ha prostituito ai suoi interessi privati non soltanto le sue escort, alcune minorenni, ma anche e soprattutto i principi costituzionali che aveva giurato di difendere per ben tre volte da presidente del Consiglio: legalità, giustizia, eguaglianza, dignità delle donne, libertà di stampa, indipendenza della magistratura, libera concorrenza sul mercato, equità fiscale, scuola e sanità pubbliche, disciplina e onore, antifascismo. Dal 1994 è stato eletto in Parlamento sei volte, poi è stato espulso dal Senato in quanto pregiudicato, interdetto dai pubblici uffici e decaduto per legge, e nel 2019 è sbarcato al Parlamento europeo, malgrado sia ineleggibile per la legge 361/1957 sui titolari di pubbliche concessioni. Ha frodato il fisco, derubando lo Stato che ora vorrebbe presiedere, per 368 milioni di dollari, occultando immense fortune nei paradisi fiscali, ed è stato condannato in via definitiva per i 7,3 milioni di euro scampati alla prescrizione. Ora, da pregiudicato, pretende di guidare il Csm che decide sulle carriere dei magistrati. Ha abusato dei pubblici poteri per piegare il Parlamento ad approvargli 60 fra leggi ad personam, ad aziendam e ad mafiam, alcune bocciate dalla Consulta perché incostituzionali. Grazie a quelle sul falso in bilancio e sulla prescrizione, si è fatto prescrivere 9 processi per accuse gravissime, dalla corruzione al falso in bilancio, dalla frode all'appropriazione indebita. E l'amnistia del 1989 l'ha salvato da una condanna per falsa testimonianza sulla loggia P2 , a cui era affiliato dal 1978. Ha corrotto parlamentari per ribaltare le sconfitte elettorali, come attesta la sentenza definitiva di prescrizione sull'"acquisto" di Sergio De Gegorio per 3 milioni. Ha elevato a sistema il conflitto d'interessi, legittimando anche quelli degli altri. Ha sdoganato i peggiori disvalori, facendo pubblico vanto di condotte prima relegate alla clandestinità. Ha trasformato la Camera, il Senato e gli enti locali in stipendifici per i suoi avvocati, coimputati, lobbisti, camerieri, badanti, Papi girl e igieniste dentali. Ha screditato irrimediabilmente il Parlamento facendo votare la mozione "Ruby nipote di Mubarak". Ha coperto di ridicolo l'Italia e di vergogna gli italiani con sceneggiate e pagliacciate in giro per il mondo. Ha danneggiato l'immagine del Paese con attacchi all'Europa ed elogi ad alcuni fra i peggiori regimi autoritari (dalla Libia di Gheddafi alla Russia di Putin, dalla Turchia di Erdogan alla Bielorussia di Lukashenko). Ha trascinato l'Italia in due guerre criminali contro l'Afghanistan e l'Iraq. Ha epurato giornalisti e artisti a lui sgraditi, da Enzo Biagi, Michele Santoro, Daniele Luttazzi, Carlo Freccero a molti altri, trasformando la Rai in servizietto privato per Mediaset e Forza Italia. Ha usato i suoi manganelli catodici e cartacei per calunniare i migliori magistrati e giornalisti, oltre agli oppositori che ostacolavano i suoi disegni eversivi. Ha affermato che "Mussolini, in una certa fase, è stato un grande statista", "Per un certo periodo fece cose positive", "Non ha mai ammazzato nessuno: mandava la gente a fare vacanza al confino". Ha elogiato pubblicamente l'evasione fiscale e varato condoni tributari, edilizi e ambientali che hanno vieppiù screditato il rispetto delle leggi e vilipeso chi lo pratica. Il suo gruppo, con soldi suoi, ha corrotto politici, magistrati, ufficiali della Guardia di Finanza, testimoni. Il suo braccio destro Cesare Previti è stato condannato definitivamente per aver corrotto il giudice delle cause Mondadori e Imi-Sir. Il suo braccio sinistro Marcello Dell'Utri è stato condannato definitivamente e arrestato, dopo la latitanza, per complicità con la mafia. Il suo referente in Campania, Nicola Cosentino, è stato condannato in primo e secondo grado per concorso esterno in camorra. Il suo referente in Calabria, Amedeo Matacena, è latitante negli Emirati dopo una condanna definitiva per concorso in 'ndrangheta. Il suo ex presidente della Sicilia, Totò Cuffaro, è pregiudicato per favoreggiamento a Cosa Nostra. E manca lo spazio per una conta dei danni inferti dai suoi tre malgoverni all'economia, alla scuola, alla sanità, all'ambiente, alla cultura, ai diritti civili. Per queste ragioni chiediamo a tutti i parlamentari di non votarlo alla presidenza della Repubblica. Anzi, di non parlarne proprio. E, se possibile, di non pensarci neppure».

QUIRINALE 2, VIVA IL CONCLAVE

Lo storico Raffaele Romanelli sul Domani scrive un editoriale per suggerire di adottare il metodo del Conclave. I leader di partito vanno rinchiusi, finché non si trova la soluzione giusta per il Colle.

«Dunque c’è chi, come Tabacci, propone di chiedere a Mattarella «l’ultimo sacrificio», quello di farsi eleggere per un secondo mandato, magari con l’intesa che sia breve, che dopo un po’ l’eletto presenti le dimissioni. Sarebbe sì un sacrificio: si sacrificherebbe però, oltre che la dignità dei politici, quella dell’ordinamento costituzionale. Più convincente è la proposta, già avanzata da diversi, di dichiarare il capo dello stato non rieleggibile. La stessa possibilità di rielezione infatti potrebbe far ipotizzare che gli atti del presidente in carica siano motivati dal desiderio di vedersi confermato. Per evitare strategie politiche le cariche di quel livello devono essere o vitalizie, come quella dei giudici della corte suprema americana, o per l’appunto non rinnovabili. In questo caso, poi, quale motivazione spinge a proporre la riconferma? Non le insostituibili doti del presidente (è possibile dichiarare che nessuno nel paese può coprire degnamente la carica?), bensì la previsione che la babele dei gruppi e delle fazioni fatichi a convergere su un candidato. Insomma, il presidente toppa, il presidente rimedio, il semipresidente. Che figura. Per evitarla, la storia offre molti rimedi. Ci sia da lezione la procedura che viene seguita nelle elezioni del pontefice, via via precisatasi attraverso i secoli. Del resto, fino al 1870 l’elezione avveniva nel palazzo del Quirinale, guarda caso. Di recente – negli ultimi quattro secoli... – è stabilito che lo scrutinio debba essere segreto, con schede poi abbruciate (con fumata bianca o nera..) perché si eviti poi di calcolare, soppesare, attribuire: è l’intero corpo che decide, in virtuale unanimità, anche se la procedura interna chiede che vi sia la maggioranza dei due terzi dei voti nelle prime 34 (trentaquattro!) votazioni, poi maggioranza assoluta. Ma poi l’elezione avviene in conclave, come tutti sanno ovvero con gli elettori sotto chiave, clausi cum clave. Era il 1271 quando, morto Clemente IV, i cardinali si riunirono a Viterbo. Non trovavano un accordo. Dopo mesi i viterbesi, esasperati, chiusero le porte, ridussero loro il cibo, e la tradizione vuole che addirittura scoperchiarono la sala per spingerli a decidere. Ci vollero ancora mesi, finché, dopo 1.006 giorni di sede vacante, fu eletto il nuovo pontefice, che prese in nome di Gregorio X. Fu poi lui che emanò la nuova costituzione, Ubi periculum, stabilendo che in futuro i cardinali in conclave sarebbero stati segregati, e il cibo sarebbe stato loro progressivamente ridotto. Era il 1274. Sono norme che con molti aggiustamenti tutt’ora regolano il conclave (che mantenne questo nome). E dunque, poiché molte delle procedure elettorali della modernità politica hanno origine dal diritto canonico e nella elezione dei vescovi, si faccia tesoro delle regole del conclave, che sono ben rodate».

QUIRINALE 3. TUTTI CONTRO DRAGHI (AL QUIRINALE)

L'assedio dei partiti per bloccare Draghi al Colle è ormai generalizzato. Ma per la presidenza quale altro candidato può tenere uniti tutti e garantirci in Europa? Il retroscena di Francesco Verderami sul Corriere.

«Una coalizione così compatta non si era mai vista: da Berlusconi a Conte, da Letta a Salvini, in questi giorni i leader dei partiti di maggioranza si sono stretti intorno a Draghi per tenerlo bloccato alla guida del governo «fino al 2023». Più che un abbraccio è un assedio, per impedire al premier di andare al Quirinale. Una risposta inequivocabile a quegli «inequivocabili segnali» che le forze politiche sentono giungere da palazzo Chigi. Esponenti del Pd raccontano che «i consiglieri del presidente del Consiglio da settimane sono in pressing», il segretario dell'Udc Cesa sostiene che «lui si sta muovendo anche di persona», e pure Renzi ha confidato la stessa cosa ad alcuni dirigenti di Iv. Non è ancora chiaro fino a che punto questi «inequivocabili segnali» abbiano fondamento, anche perché al momento Draghi rimane fermo al concetto espresso tempo addietro, e cioè che la partita del Colle sta «nelle mani del Parlamento». Perciò la richiesta avanzata l'altro ieri da Salvini - «ci faccia sapere cosa vuole fare» - è caduta nel vuoto. Come rileva il centrista Lupi «è la politica a dovergli dire eventualmente se intende proporlo come successore di Mattarella». Ma non c'è dubbio che il premier sia al crocevia dei giochi per il Quirinale. E nonostante l'accerchiamento, al crocevia resta. Certo, in questa fase sconta l'handicap dell'assenza di un kingmaker, ed è sempre complicato imbastire delle trattative dovendo fare i registi di se stessi. In più un'antica regola della Corsa ha sempre escluso l'«uomo forte» dalla competizione. Ma i partiti oggi non hanno i numeri e nemmeno i candidati per imporre un'alternativa. Almeno questo testimonia uno studio che circola nei gruppi parlamentari. Secondo la mappa, sulla carta il centrosinistra dovrebbe avere dai 7 ai 17 grandi elettori in più rispetto al centrodestra. Insomma, è uno stato di sostanziale parità. In base a questa analisi anche i «quirinabili» maggiormente accreditati - sempre sulla carta - non supererebbero i 450 voti. Inoltre andrebbe conteggiata una fisiologica percentuale di franchi tiratori, valutata attorno al 15-20% per ogni schieramento. Se così stanno le cose, si capisce che le urne a scrutinio segreto rischierebbero di trasformarsi in una lotteria senza un accordo bipartisan. Ecco perché Draghi resta in campo. E il discorso pronunciato ieri da Letta indirettamente lo conferma. Perché è vero che il segretario dem insiste sulla permanenza del premier a palazzo Chigi, ma appellandosi all'«unità della maggioranza» in vista della scelta del capo dello Stato apre di fatto la strada alla candidatura dell'ex presidente della Bce: su quale altro nome infatti potrebbero nel caso convergere il Pd, la Lega, Forza Italia e M5S? Finora - come riconosce un dirigente centrista che partecipa alle trattative - «gli incontri che ci sono stati si sono rivelati altrettante perdite di tempo». È vero, manca più di un mese alla Corsa, ma non si vede all'orizzonte uno straccio di accordo. La sortita di Letta aveva l'obiettivo di sbarrare la strada a Berlusconi, che intralcia qualsiasi discussione. «Troppo tardi», dicono da Forza Italia. In effetti, nonostante Tajani dica che sia «ancora presto», il Cavaliere si sente già in campo. Nei prossimi giorni si trasferirà in una beauty farm a Merano, e da lì interverrà al convegno sul centrodestra organizzato per il fine settimana dall'Udc. Questi tipi di «ritiri» sono sempre stati il preludio alle iniziative politiche dell'ex premier, che peraltro non fa nulla per nascondere le sue intenzioni: «Quando tornerò - ha preannunciato - sarò in forma strepitosa. Perché io posso fare grande questo Paese. Ho già un programma...». Il Pd è davvero preoccupato. Se non per le reali possibilità di Berlusconi di conquistare il Colle, per il fatto che in queste condizioni - come ha spiegato uno dei maggiorenti dem - «è complicato fare accordi preventivi». E chissà che queste difficoltà non le abbia constatate lo stesso Letta la scorsa settimana, durante l'incontro riservato con la ministra forzista Carfagna. Sebbene di nomi ne circolino tanti, di alternative vere ce ne sono poche: coltivare nel Pd la speranza che Mattarella cambi idea e accetti il reincarico, sconta vari problemi. A parte il personale convincimento del capo dello Stato e l'obiezione di Salvini a votarlo, reggerebbe l'idea di un «mandato a termine» per effetto del cambio della Costituzione? E cosa accadrebbe se il centrodestra vincesse le prossime elezioni: a quel punto il presidente della Repubblica lascerebbe l'incarico? Troppi interrogativi per poterci costruire sopra un solido accordo. Così si torna al crocevia. E lì c'è Draghi».

5 STELLE, SÌ AL FINANZIAMENTO PUBBLICO

Svolta sul finanziamento ai partiti: gli iscritti ai 5 Stelle dicono sì ai soldi del 2 per mille. Conchita Sannino per Repubblica.

«Un'altra svolta è compiuta, sulla strada del nuovo Movimento targato Conte. L'attesa consultazione on line - che arriva nelle ore delle acute fibrillazioni interne - autorizza infatti il M5s a ricorrere al finanziamento del 2 per mille, al pari degli altri partiti. Vota però solo un quarto degli iscritti. Dato che non turba il leader. «È stata un'importante partecipazione, che rappresenta un ottimo segnale per tutti noi», chiarisce Giuseppe Conte, che tira un sospiro di sollievo. Mentre, anche per sedare malumori interni che lo sospettano di manovre per il voto anticipato, il leader ribadisce in tv che vede «Draghi ancora al vertice del governo: ha un lavoro complesso da portare a termine»; e chiarisce il senso di quell'apertura di dialogo con il centrodestra: «Berlusconi non è il nostro nome per il Quirinale, con tutto il rispetto». Restano le divisioni. Chi non è d'accordo sull'accesso al 2 per mille, soprattutto tra i big in Parlamento, registra l'affronto a un «caposaldo », saluta un pezzo «della nostra identità». Qualcuno intercetta la battuta velenosa di Casaleggio: «Quale notaio l'ha certificata, questa votazione?» I Sì sono stati 24mila e 360, i No 9mila e 531hanno. E si sono pronunciati in 34mila, su ben 131mila e 760 iscritti "elettori". Pochi? «C'è stata un'ottima partecipazione e il 72 per cento è a favore del 2 x mille, la stragrande maggioranza. Se accettiamo il principio della democrazia diretta, è questo», allarga le braccia Conte. Cifre lontane dalla partecipazione che lo incoronò nuovo vertice dei Cinque Stelle: furono 67 mila iscritti (più della metà dei 115.130 aventi diritto di allora) a votare, Conte si aggiudicò 62 mila sì. Ma l'ex premier, ospite a Di Martedì su La 7 (dove conferma il suo stop rispetto alla tv di Stato: «Si diceva " Non è la Rai " una volta)», offre la sua lettura : «I numeri dell'affluenza sono in linea, anzi sono maggiori di quelle che sono le votazioni ordinarie del recente passato. Abbiamo avuto un buon riscontro: la base è pronta e ci chiede un cambiamento». Territori, è la parola che sempre più spesso accompagna la stagione di svolta. Sia perché viene dalla base la richiesta di risorse "dedicate", su cui impegnare iniziative ormai sempre più episodiche o sfilacciate, sia perché è in quelle realtà che il presidente ritiene di poter contare per «coinvolgere giovani, mobilitare la partecipazione». D'altro canto, aggiunge, «noi stiamo lavorando all'interno del sistema politico per eliminarne le storture. Siamo attaccati fortemente dall'establishment, dall'interno, e in questo momento dobbiamo dialogare più intensamente con l'esterno». Gli iscritti hanno votato anche per la destinazione delle cosiddette "restituzioni": 4 milioni di euro andranno a progetti di ricerca del Cnr, a Emergency e per altra solidarietà; altri 3,5 milioni saranno dirottate sui territori. Ma i mal di pancia restano forti sul 2 x mille: dall'ex ministro Danilo Toninelli al senatore Vincenzo Presutto, al capogruppo alla Camera Davide Crippa, la nuova "capriola" non va giù. E Grillo (provato anche dalle ultime vicende: processo del figlio, minacce alla famiglia) sceglie il silenzio».  

Giuliano Ferrara sul Foglio scrive un elogio di Luigi Di Maio. I “piccolo borghesi” gli rimproverano il cambiamento di idee, invece di riflettere sulle virtù di un “sistema che trasforma le zucche in carrozze”.

«Ho una particolare predilezione per i piccolo- borghesi e per la classe media. Kierkegaard li detestava per difetto di immaginazione e spirito, ma era un filosofo sentimentale fissato con la decifrazione dell'esistenza umana e della propria. Da gagliardo materialista storico, so che niente della società moderna avrebbe un senso senza la base sociale della democrazia, il piccolo- borghese, al quale bisognerebbe dedicare con immaginazione un monumento aere perennius in molte piazze cittadine e rurali. Non mi piacciono invece quelli che sono piccolo- borghesi e non lo sanno, e per questo passano il tempo parlando male di Gigi Di Maio, sperando che la circostanza faccia di loro esemplari di cultura, eleganza, industriosità, novazione perpetua, liberalismo, riformismo. Di Maio è un bibitaro dello stadio San Paolo di Napoli divenuto re, nella fiaba, nella realtà vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro dello Sviluppo economico, ministro degli Affari esteri. Quando i grillini, insetti fastidiosi della democrazia italiana vaffanculata da un comico annoiato e oggi redento dal draghismo e dalle goffe accuse rivolte al suo figliolo, presero il 32 per cento, il capo era lui. Voleva uscire dall'euro, voleva distruggere Palazzo Berlaymont con l'aiuto di Di Battista, voleva un gilet giallo ad honorem, la galera a vista, la povertà abolita, la cacciata del capo dello stato per esercizio proprio dei suoi poteri costituzionali: un demente. Poi però, e di recente anche con un quid di autoironia (vedi il suo intervento alla Festa del Foglio ottimista), Di Maio è cambiato, è diventato una variante virale buona del bibitaro grillino d'antan, l'euro è irreversibile, a Bruxelles ci si trova come a casa, i gilet gialli sono dei puzzoni e lui vota Macron, mettere alla gogna e in galera amministratori poi assolti fu un errore bastardo, il capo dello stato è un galantuomo. Il piccolo- borghese che fa? La cosa più banale. Rimprovera al Giggino di oggi il Giggino di ieri, lo accusa di contraddirsi. Invece di interrogarsi sui miracoli immanenti, che sarebbe prova di una certa immaginazione spirituale, invece di riflettere sulle virtù di un sistema che trasforma trasformisticamente le zucche in carrozze, e da sempre, il petit bourgeois che fa finta di essere altro si bea del proprio spirito censorio, lo scambia per riformismo liberale, si innalza sopra l'ometto del 32 per cento passato dalla condizione bestiale di assistente della Bestia alla funzione tradizionale politicamente assai brillante di di parvenu che magari indosserà il cilindro come un cafone arricchito ( T. S. Eliot) ma rinuncia a presentarsi mutande e canottiera in società. Non è un progresso? Non va incoraggiato? Non mostra il retroscena di farsa di tutta la storia del populismo all'italiana, variazione della commedia come ben sanno Minuz & Masneri? Parlare male di Di Maio, l'onorevole ministro, oggi è garanzia sociale e mondana per chi voglia sentirsi di un ceto medio sì, magari, ma medio superiore. Trovi un lazzo contro l'ex bibitaro e subito nella tua medietà ti senti trasportato nell'atmosfera della seconda scuola di Vienna, godi della tua facoltà accademico-politologica, se lui ha la Feluca della diplomazia al posto della felpa populista tu sbeffeggiandolo per quello che è diventato ti distacchi da una mentalità, da una vita, da una sindrome che ti ossessiona, ti confermi nel mondo della grande moda, senti improvvisamente di poter essere a spese dell'intruso un oratore ubriaco ed eloquente come Churchill, agisci con quella Grandeur di cui magari a volte tende a sfuggirti il senso. Piccoli borghesi di tutto il mondo, disunitevi e accettate che Giggino vi abbia fregato partendo da un gradino sotto la classe media!».

BILANCIO, LE CONSULTAZIONI DI DRAGHI

Prosegue il giro di consultazioni di Mario Draghi con i partiti della maggioranza sulla Legge di Bilancio. Ne riferisce Andrea Colombo sul Manifesto.

«Draghi ascolta ma non si può dire che ricambi con troppa eloquenza. Il solo impegno che avrebbe preso sinora, nella girandola di incontri con i partiti della maggioranza, sarebbe quello, assunto lunedì con i 5 Stelle, di non toccare ulteriormente il Reddito di cittadinanza. Per il resto non si sbilancia. Tutti ieri gli hanno chiesto la stessa cosa: intervento drastico contro i rincari energetici. Qualche soldo, oltre ai 2 miliardi già stanziati, ci sarebbe. Conta e riconta viene fuori che dei 7 miliardi per il taglio dell'Irpef nel primo anno ne verranno adoperati poco più di 6 e tutti a chiedere di convogliare sulle bollette gli 8-900 milioni esorbitanti. Ma il premier non promette. Ci sta pensando e giura che ci penserà ancora. Perché quei milioncini, aggiunti ai 600 già pronti per soddisfare alcune tra le richieste dei partiti, possono fare la differenza. Disporre di appena 600 milioni vuol dire dover mitragliare rispose negative a raffica. Un miliardo e mezzo è sempre poco ma qualcosina in più si può fare. Poi ci sono le previsioni degli esperti, secondo i quali il galoppo dell'energia si fermerà a marzo e se dovessero essere smentite, ragiona il premier, si può sempre intervenire con un decreto ad hoc. Dunque per ora non c'è nessuna garanzia di risposta positiva. Però, nonostante le perplessità, è difficile che Draghi si opponga fino all'ultimo a una richiesta corale condivisa praticamente dall'intera popolazione, sia dagli utenti flagellati dal rincaro che dalle aziende. «Il caro bollette è il problema numero uno per famiglie e aziende», si infiamma Letta e Salvini usa quasi le stesse parole: «La vera emergenza è il caro bollette». Il leghista però non si limita come tutti gli altri a reclamare in pronto intervento. Insiste anche sul da dove vadano presi i soldi necessari: «Invece di mettere 9 miliardi sul Reddito, che spesso poi vanno ai furbetti, usiamoli per tagliare le bollette». Propaganda allo stato puro. Salvini per primo sa che Draghi non può e non vuole accontentarlo. Tanto più che nella crociata, all'interno della maggioranza, non è spalleggiato più neppure da Fi, dopo la conversione di san Silvio sulla via del Colle. Non che le cose tra la Fi iperdraghiana e il governo di Draghi le cose vadano benissimo in questo momento. Gli azzurri, consultati ieri come Lega e Pd mentre tutti altri partiti e partitini arriveranno a palazzo Chigi oggi, sono anzi quelli usciti più dubbiosi dalla chiacchierata. Dei circa 6200 emendamenti presentati, la solita enormità, 1100 sono firmati dalla sola Fi e per ritirarli, spiega la capogruppo Bernini, «stiamo aspettando risposte: se i contenuti vengono accolti li ritiriamo. Le sensazioni sono positive ma vedremo i risultati». Fi ha proposto di portare lo stanziamento per il taglio delle tasse «almeno a 10 miliardi» ma anche «una ulteriore proroga selettiva delle cartelle esattoriali». Probabilmente arriverà e andrà oltre quella votata ieri al Senato, su emendamento del governo, in extremis, che porta la scadenza sino al 9 dicembre, di fatto il 14 con i 5 giorni di «tolleranza». La manovra non avrà un iter facile al Senato. I guai del dl fiscale, bloccato da lunedì dall'ostruzionismo di FdI esteso ieri anche alla manovra, lo lasciano chiaramente intendere e non c'è solo FdI ma anche le aree ex grilline del gruppo Misto decise a dare battaglia. Ma i guai seri per il governo arrivano dall'esterno del palazzo. Dallo scontro con i sindacati, che dopo la rottura sulla riforma del fisco di lunedì sera tornano a considerare lo sciopero generale. Per il Pd sarebbe un problema immenso e il ministro del Lavoro Orlando prova a spegnere subito l'incendio: «Abbiamo chiesto di proseguire il confronto con i sindacati e mi pare ci sia una volontà chiara da parte di Draghi di proseguirlo. Una parte dei problemi possono essere superati semplicemente illustrando aspetti della manovra non ancora definiti». Anche con tutta la fiducia dargli credito è difficile. Sinora, da settimane, di quella soluzione semplice semplice non se n'è vista l'ombra. Né c'è solo il fisco. Per i professori la legge di bilancio praticamente non prevede aumenti e la mobilitazione della scuola è quasi inevitabile. Il problema di Draghi è nel sociale, non nel palazzo dormiente.».

CARO PREZZI SUL NATALE

Il caro prezzi divora il Natale, boom dell’inflazione al 3,8%, come nel 2008. Doni, cenoni e viaggi più cari: ogni famiglia taglierà 230 euro di consumi. Achille Perego per il Quotidiano nazionale.

«Un Natale più caro e più povero. La corsa dell'inflazione (3,8% a novembre) rischia di trasformarsi in una gelata sulle feste con gli italiani che, rispetto alle previsioni di qualche settimana fa, ridurranno le spese, dal carrello del supermercato ai cenoni, dai viaggi ai regali. TREDICESIME IMPOVERITE Nelle tasche di lavoratori e pensionati arriveranno 36,4 miliardi con le tredicesime. Ma per Federconsumatori solo il 9,7% rimarrà nelle tasche delle famiglie per regali, pranzi, cenoni e viaggi. Gran parte infatti sarà destinato a rimborsare prestiti, mutui e rate (26,1% del totale); pagare bollette e utenze (24,3%), le tasse (16,1%), la Rc auto (14,2%) mentre il 9,6% (circa 3,5 miliardi) saranno erosi dall'aumento dei prezzi. Per questo, stima Assoutenti, le famiglie rinunceranno in media a 230 euro di acquisti, dalla tavola ai regali. CONSUMI RAFFREDDATI A dicembre, avverte Mariano Bella direttore dell'Ufficio Studi Confcommercio, con un aumento dell'inflazione attorno al 4%, si potranno perdere 4,5-5 miliardi di consumi che altrimenti avrebbero potuto raggiungere gli 80 miliardi. Del resto, prima di acquistare il cappotto nuovo si paga la bolletta del riscaldamento! Il caro-energia, aggiunge Bella, continuerà ad avere un effetto trascinamento su beni alimentari e bevande con l'indice all'1,7% a novembre ma destinato nei prossimi mesi a crescere ancora. Un aumento oggi contenuto, avverte Coldiretti, perché le imprese agricole, strozzate dall'aumento dei costi di produzione, sono spesso costrette a vendere sottocosto. REGALI PIÙ COSTOSI L'effetto prezzi ha colpito anche i regali di Natale, dai giocattoli agli addobbi. E persino gli abeti per cui, anche per una minore produzione nazionale, avverte Lorenzo Bazzana, responsabile economico Coldiretti, potrebbero esserci rincari per quelli più piccoli, tra i 10 e i 60 euro. Il Codacons stima un aggravio complessivo di circa 1,4 miliardi, dal più 5% dei regali al 10% di panettoni e pandori, dal più 2,7% della frutta fresca e secca ai rincari del 2,5% per pesce, carne e salumi fino all'1,5% di vini e spumanti. Così per i regali , stima Assoutenti, il budget dovrebbe ridursi del 12% rispetto ai 169 euro del 2019. LA SPESA NEL CARRELLO Per le tavole delle festività si spendono circa 5 miliardi. Una spesa che premia i carrelli dei supermercati che, avverte Federdistribuzione, hanno frenato il caro-prezzi all'1,4%. E, preannuncia Giorgio Santambrogio, Ceo del gruppo VéGé, lo faranno con le promozioni anche a Natale. Per contenere gli aumenti, di fronte a richieste di adeguamenti dei listini da parte dei fornitori a doppia cifra, attorno al 2%. Quanto alle attese sui ricavi è difficile il raffronto sul 2020, anno del lockdown. PRANZI E CENONI Natale e Capodanno 2021 quindi dovrebbero registrare una forte ripresa di pranzi e cenoni fuori casa per circa 7,2 miliardi, spiega Luciano Sbraga, responsabile Ufficio studi Fipe. Ma si spenderà di più o di meno al ristorante? L'inflazione nella ristorazione è stata contenuta a novembre al 2,4% e più o meno questa, salvo eccezioni, dovrebbe essere la percentuale dei rincari per pranzi e cenoni il cui costo medio era stato nel 2019 di 56 e 80 euro. VIAGGI & VACANZE Un Natale più caro si annuncia anche per le vacanze, da quelle in montagna fino alle Maldive. Colpa del caro-carburanti, dai circa 12 euro in più a pieno all'aumento dei biglietti aerei fino alla minor concorrenza, ricorda Stefano Dall'Ara, presidente di Robintur e vice presidente di Fto-Confcommercio, per molte mete ancora chiuse per Covid. La voglia di viaggiare degli italiani però c'è, soprattutto per chi può permettersi un pacchetto Maldive a partire da 3500-4000 euro contro i 700-1000 dell'Egitto e gli almeno mille per la settimana bianca».

LA NUOVA STRATEGIA DEL PENTAGONO

Un documento del Pentagono rivela la nuova strategia politico militare degli Usa nel Pacifico e in Europa. Contro Cina e Russia i generali rivedono la presenza delle truppe a partire da Guam e Australia. Sconfessato il disimpegno di Trump dall'Ue. Paolo Mastrolilli per Repubblica.

«Rafforzare la presenza militare nel Pacifico, per contrastare la linea aggressiva della Cina, e non abbandonare l'Europa davanti alle minacce della Russia. Sono gli elementi fondamentali nella revisione del posizionamento globale delle forze armate americane, che il Pentagono ha pubblicato proprio mentre i ministri degli Esteri della Nato si riuniscono a Riga per discutere la risposta alle manovre di Mosca vicino al confine con l'Ucraina. Il segretario di Stato Antony Blinken infatti ha inviato un avvertimento al Cremlino, dicendo che «ci saranno serie conseguenze» se assalirà Kiev. I punti concreti principali del documento sono questi: rafforzare le basi a Guam, in Australia e nelle isole del Pacifico; stazionare in maniera permanente uno squadrone di elicotteri e una divisione di artiglieria in Corea del Sud; togliere il tetto di 25mila uomini alle truppe in Germania, che voleva imporre Donald Trump per punire la cancelliera Angela Merkel; aggiungere una task force di 500 uomini a Wiesbaden per potenziare le funzioni di comando; cancellare la riconsegna di sette siti militari a Germania e Belgio, prevista dal precedente piano per il consolidamento delle infrastrutture europee. Il Pentagono poi ha individuato altre iniziative da prendere per rafforzare la deterrenza in Europa, che saranno discusse nel prossimo futuro con gli alleati. La revisione della "Global Posture" era stata ordinata da Biden il 4 febbraio, per allineare le risorse della Difesa con le sue linee guida della sicurezza nazionale. Non è inusuale che un nuovo presidente riveda il posizionamento delle forze armate americane nel mondo, ma in questo caso c'erano diverse questioni in movimento da verificare: la maggiore aggressività della Repubblica popolare sul terreno, nel Mar Cinese Meridionale e oltre, e adesso anche nello spazio con i missili ipersonici; il timore che il Pentagono avesse abbassato la guardia nei confronti della Russia, a causa delle ambiguità di Trump con Putin; la necessità di riesaminare la strategia in Medio Oriente, anche in vista del ritiro dall'Afghanistan, poi mal gestito durante l'estate. Su Pechino e Kabul sono in corso approfondimenti specifici, che produrranno decisioni nei prossimi mesi, mentre le discussioni con gli alleati europei sono in corso. Lunedì però il segretario Lloyd Austin ha presentato la review a Biden, che l'ha approvata. Presentando il documento, la vice sottosegretaria alla Difesa per la policy Mara Karlin ha fatto una premessa: «Questa guida afferma che gli Usa eserciteranno la leadership prima di tutto con la diplomazia, rivitalizzeranno la nostra rete senza pari di alleati e partner, e faranno scelte intelligenti e disciplinate riguardo alla nostra difesa nazionale e all'uso responsabile delle forze armate». Non sono parole di circostanza, perché Biden ha cambiato atteggiamento nei confronti degli alleati rispetto al predecessore, anche se la mancata condivisione delle informazioni sull'Afghanistan e l'accordo Aukus per i sottomarini nucleari all'Australia ha fatto vacillare le certezze degli europei. Biden ha cercato di rimediare, in particolare durante gli incontri al G20 di Roma, che hanno portato all'avvio della cancellazione delle tariffe imposte da Trump contro Bruxelles. Partendo dalla ricostruzione delle alleanze, fondamentali per contrastare insieme l'aggressività geopolitica e commerciale di Cina e Russia, era necessario verificare che le risorse militari fossero adeguate e allineate con gli obiettivi. Potenziare le basi a Guam e in Australia significa avere più aerei bombardieri pronti all'uso, e capacità logistiche per schierare rapidamente le truppe, in una zona dove la Cina punta ad allargare la propria influenza. Non ridurre le forze in Germania e Belgio, e proporre nuove iniziative per la deterrenza in Europa orientale, significa lanciare un segnale alla Russia. Oggi si concluderà il vertice Nato a Riga, ma già presentandolo l'assistente segretaria di Stato per l'Europa Karen Donfried aveva avvertito che «ogni opzione è sul tavolo», per scoraggiare Mosca dall'idea di un nuovo attacco a Kiev. In Medio Oriente resterà la presenza in Siria e Iraq contro Isis e terrorismo, ma gli Usa vogliono rafforzare i partner per ridurre le loro impronta. Non è ancora una rivoluzione strategica, ma l'inizio di un riallineamento che promette sviluppi nel prossimo futuro».

CONDANNATO L’AGUZZINO DI UNA BIMBA YAZIDA

Carcere a vita per un ex miliziano dell'Isis che lasciò morire una bambina yazida di sete a Falluja. Per la prima volta un tribunale tedesco riconosce il massacro di quella minoranza in un processo choc. Domenico Quirico su La Stampa.

«La sentenza del tribunale di Francoforte è importante perché fissa un delitto nel tempo, impedisce che, con l'accumularsi inutile degli anni, sia troppo tardi per poter vivere la sofferenza fatta alla vittima, per poter indignarsi o per piangere. E la realtà diventa troppo vecchia per essere reale. Taha al-Jumailly, iracheno, che nel 2013 scelse di condividere la fanatica sagra della morte e la bestemmia della guerra santa del Califfato, è stato condannato dal tribunale tedesco all'ergastolo per «genocidio, crimini contro l'umanità che hanno causato la morte, crimini di guerra». In Germania era arrivato nel 2019 travestito da profugo, sperando di nascondere il suo passato di combattente del jihad e i suoi delitti. Per la biografia di un assassino questo può bastare, per lui parlano gli irriferibili orrori. Dietro di lui, che si nasconde il volto in aula, c'è una bambina crocefissa alle sbarre di una finestra sotto il sole di Falluja. Chi era la sua vittima e come è stata uccisa l'ha raccontato la madre, una donna yazida, venduta come oggetto sessuale, innumerevoli volte violentata. Con la figlia, bimba di cinque anni, era stata comprata al mercato degli schiavi nel 2015. Non era un posto nascosto, i jihadisti non si nascondevano, pubblicavano perfino dei regolamenti che disciplinavano la vendita delle donne yazide. Erano i tempi del trionfo del Califfato e gli yazidi, gli «adoratori del diavolo», secondo la feroce cosmogonia dei fanatici, erano al primo posto nei loro progetti di purificazione del mondo, perché i più vicini, i più indifesi. Si dava loro la caccia sulla montagna del Sinjiar come fossero bestie selvatiche, prede da vendere appunto al mercato. La bambina, ha raccontato la madre in tribunale, aveva fatto pipì, sporcando il materasso. «Il padrone», dopo averla picchiata, la incatenò a una finestra all'esterno della casa. La temperatura era di cinquanta gradi, la bambina morì dopo atroci sofferenze. Questa donna è stata gettata con la sua piccola nel mulino della storia del terzo millennio, dal cui setaccio esce la farina di un pane così amaro. Sì, tutto è avvenuto, per questo è difficile anche solo immaginarlo. Ascoltando il suo racconto spezzato, incerto, in «kurmandji», uno dei dialetti curdi, la sola lingua che conosce, verrebbe da gridare che la sofferenza una volta sofferta, non deve più esistere, si spera di non dover ascoltare le parole che le danno la forza di intingere la memoria nel dolore. Non so se in questo caso la sentenza adempia al compito di un autentico atto catartico. Se perché questo avvenga noi spettatori dobbiamo pagare un prezzo così alto. Abbiamo ottenuto giustizia, ma siamo qui svuotati da una depressa e raggelante impotenza, stanchi e disillusi dell'uomo. Il condannato al momento della lettura della sentenza ha perso conoscenza. Questo svenire è quanto ci resta di lui, meno di un'ombra. In fondo alla sua raccapricciante parabola si attendeva forse, una confessione, un rimorso. La parola genocidio è da usare con infinita moderazione, quasi reggendola sulla punta delle dita. Dobbiamo impedire che perda di significato, si banalizzi. Ciò che lo individua implacabilmente è la sua tragica semplicità. La vittima e il carnefice, il buono e il cattivo, non si confondono nemmeno per un attimo. Persone vengono catturate, torturate, rese schiave, uccise in modo bestiale. Non c'è nessuna tonalità politica ideologica o religiosa che ombreggi questa feroce definitiva semplicità. Così avvenne in Iraq. Per la prima volta a Francoforte la parola è stata applicata al martirio degli yazidi. La Germania per giudicare Al Jumailly ha applicato il principio della «competenza universale» che attribuisce a uno Stato il diritto di perseguire delitti di tale gravità anche se sono commessi fuori dal territorio nazionale. Il massacro e la tortura degli yazidi che in Germania contano una comunità numerosa di esuli, entrano così nel diritto penale internazionale. Nadia Murad, la sopravvissuta simbolo della lotta degli yazidi per veder riconoscere la loro tragedia, ha invocato la creazione da parte delle Nazioni Unite di una sezione della Corte penale internazionale che persegua e giudichi i delitti dell'Isis. Una sorta di Norimberga del jihadismo che dovrebbe coinvolgere anche i massacri compiuti dalle province del Califfato, ad esempio in molti Paesi africani. Ha ricevuto solo promesse. Alla base del processo c'è l'inchiesta condotta da una equipe delle Nazioni Unite. Sono stati individuati con precise testimonianze oltre quattrocento criminali dell'Isis responsabili di massacri e di riduzione in schiavitù di donne e bambini. Almeno 2800 sarebbero ancora nelle mani dei miliziani».

SUDAN, ANCORA PROTESTE CONTRO IL GOLPE

Nuove proteste di piazza in Sudan contro l’accordo tra i militari golpisti e l’ex premier Hamdok. Michele Giorgio per il Manifesto.

«No al colpo di stato militare, no all'accordo tra il generale golpista Abdel Fattah Al Burhan e il premier Abdalla Hamdok. Lo hanno urlato migliaia di persone tornate lunedì sera e ieri a protestare nelle strade di Khartum e di altre città sudanesi contro il colpo di Stato dello scorso 25 ottobre. E contro il nuovo power sharing, civili e militari assieme, frutto dell'accordo in 14 punti sottoscritto il 21 novembre dal generale Abdel Fattah Al Burhan, a capo del golpe, e il premier Abdallah Hamdok, prima arrestato e destituito e poi rimesso al suo posto per placare le condanne internazionali e le proteste interne. PER I SUDANESI il nuovo assetto è una messinscena volta a nascondere la realtà dei militari saldamente al potere. Hamdok è accusato di aver «svenduto la rivoluzione» del 2019 che mise fine al lungo regno di Omar Al Bashir. «Se la creazione di corpi fittizi potesse proteggere l'autorità, allora Al Bashir sarebbe ancora saldamente al potere», hanno commentato i leader dei Comitati popolari di resistenza rispondendo alle domande del quotidiano Al Sudani. Qualche giorno fa Sulaima Al Khalifa, un difensore dei diritti umani, aveva descritto la nuova divisione del potere come «uno choc: temiamo che ci sia stata una forte pressione su Hamdok perché quello che ha deciso di fare non è logico». ASSIEME AI MANIFESTANTI ieri c'erano anche alcuni dei leader politici rilasciati di recente dopo mesi di detenzione. Tra di essi Wagdi Salih, alfiere della lotta alla corruzione, e l'ex ministro dell'Industria Ibrahim al Sheikh arrestato durante il golpe. Le manifestazioni - si sono tenute anche a Port Sudan, Kassala, Nyala e Atbara - sono state pacifiche ma le forze di sicurezza, come altre volte, le hanno represse lanciando candelotti di gas lacrimogeno e sparando proiettili (pare) rivestiti di gomma. Nelle scorse settimane il fuoco di militari e poliziotti ha fatto almeno 43 morti, quasi tutti giovani, e centinaia di feriti. Il giorno più buio è stato il 17 novembre, quando sono stati uccisi 16 dimostranti. Ieri i militari golpisti non hanno bloccato, come in precedenza, il passaggio sui ponti che collegano Khartum alle due città satellite di Omdurman e Khartum Bahri, situate sull'altra sponda del Nilo. E questo ha contribuito ad allentare la tensione tra soldati e manifestanti diretti verso il Palazzo della Repubblica. HAMDOK INTANTO PROVA a spiegare la sua decisione di allearsi con Al Burhan. Per questo ha incontrato i rappresentanti delle Forze di libertà e cambiamento (Ffc), l'ex coalizione civile di cui ha fatto parte e che adesso lo critica apertamente per essere arrivato a patti con i golpisti. Ma la stessa coalizione è sotto accusa per le sue posizioni altalenanti. Prima ha respinto l'accordo politico con i militari dopo il reintegro di Hamdok. Poi è sembrata aprirsi al dialogo, infine è tornata alla sua contrarietà. Intanto l'Associazione dei professionisti sudanesi, che ha organizzato le proteste di ieri, accusa Hamdok e Al Burhan di voler «riprodurre il sistema di Al Bashir». Se i sudanesi non si arrendono al golpe e continuano a lottare, la «comunità internazionale» invece pare aver già digerito l'atto di forza dei militari abbellito dal ritorno di Hamdok alla guida del governo».

FRANCIA, ZEMMOUR SI CANDIDA ALLE PRESIDENZIALI

Eric Zemmour si candida e prova a lanciarsi con un video nostalgico. Il giornalista di destra annuncia la corsa alle Presidenziali: «Vi hanno rubato la Francia». Ce la farà a scalzare Marine Le Pen come avversario di Macron? Stefano Montefiori per il Corriere.

«Non è più tempo di riformare la Francia, ma di salvarla». Dopo mesi di falsa suspence la candidatura ufficiale è arrivata ieri intorno alle 12, quando Eric Zemmour ha diffuso su YouTube un video di 10 minuti che illustra alla perfezione la sua visione del mondo. L'opinionista di estrema destra, 63 anni, sposato con tre figli, ormai in corsa per la presidenza della Repubblica, racconta con infinita nostalgia di un Paese che non esiste più, la Francia «di Giovanna d'Arco, di Luigi XIV e di Napoleone» ma anche di Molière e Racine, di Jean Gabin e Brigitte Bardot. Le immagini di un passato in bianco e nero eppure radioso scorrono sullo schermo mentre Zemmour con voce grave si rivolge ai francesi: «Non avete abbandonato il vostro Paese, ma il vostro Paese ha abbandonato voi. Siete stranieri a casa vostra». Ed ecco le scene delle banlieue in rivolta, gli attacchi alla polizia, la metropolitana che brulica di persone di ogni provenienza. Senza gli immigrati, suggerisce il video, la Francia tornerà a quell'epoca d'oro che sembra restare l'unico orizzonte auspicabile per Zemmour: gli anni Cinquanta, quando le donne stavano al loro posto e gli uomini certo non pensavano a depilarsi, come spiega nel libro Le Premier Sexe. Con quel pamphlet, nel 2006, Zemmour cominciò a battere le strade reazionarie e anti-moderne che oggi lo portano a sfidare Macron per l'Eliseo 2022. La candidatura non era più rinviabile perché Zemmour sta vivendo il suo momento più difficile dall'inizio dell'estate, quando si è cominciato a parlare del suo ingresso in politica. Il percorso dell'editorialista in aspettativa del Figaro è stato a lungo travolgente: un saggio dal titolo programmatico - La Francia non ha detto la sua ultima parola -, una casa editrice personale (Rubempré, come il personaggio di Balzac) dopo il rifiuto da parte di Albin Michel, quasi 300 mila copie vendute, tournée di presentazione in tutta la Francia, grida di Zemmour président! . Il ciclone sembrava inarrestabile. Nel frattempo il saggista si stava costruendo una squadra per la campagna elettorale a venire, affidando quasi tutti i poteri alla 28enne Sarah Knafo, diplomata alla fabbrica delle élite francesi, l'Ena (lui invece fu bocciato per due volte al test di ammissione, un trauma mai superato). La coppia Zemmour-Knafo è arrivata sulla copertina di Paris Match e infine su quella di Closer , che ha rivelato la gravidanza della giovane direttrice di campagna. Zemmour ovunque, dalla tv di Vincent Bolloré CNews - che lo promuove per ore e ore al giorno - alle riviste di gossip. Il 13 novembre la battuta d'arresto. Il futuro candidato convoca le telecamere davanti al Bataclan nell'anniversario della strage e attacca chi non ha saputo «proteggere i francesi», attirandosi le accuse di strumentalizzare la tragedia. Anche la difesa del maresciallo Pétain rompe con il solito politicamente corretto, certo, ma anche con la verità storica e indigna chi ha avuto la famiglia sterminata da nazisti e collaborazionisti. Le provocazioni continue, che gli hanno procurato due condanne definitive per istigazione all'odio, divertono meno di prima. Domenica a Marsiglia la visita fallita, con la contestazione di un gruppo di antifascisti e lui che risponde con un poco presidenziale dito medio. I sondaggi danno ora Zemmour in calo, superato da Marine Le Pen, e qualche finanziatore lo sta abbandonando. Nel video del tutto per tutto il cantore della Francia di un tempo cerca di recuperare solennità mettendosi in scena davanti al microfono, come De Gaulle a Londra nel 1940, con il sottofondo magnifico e tristissimo della Settima sinfonia di Beethoven. La Francia meno tetra, più aperta e ottimista ieri stava al Pantheon, ad accogliere l'arrivo trionfale delle spoglie di Josephine Baker, fantastica ballerina nata a Saint Louis, nera, volontaria nella Resistenza contro i nazisti, e francese».

LANTERNE VERDI, IL PRESEPE CHE VOGLIAMO

A Napoli un artigiano di San Gregorio Armeno ha illuminato una natività con le lanterne verdi, aderendo all’appello rilanciato in Italia da Avvenire. «Spero che questo mio gesto venga raccolto dagli altri miei colleghi pastorai». Daniela Fassini.

«Ci sono un centro servizi di volontariato, un'insegnante, un'associazione e una congregazione di suore, ma anche un'attrice e tanta gente comune. Ne parla un presidente di Consiglio regionale e ora c'è anche un presepe "speciale". Sono in molti a voler accendere le "Lanterne verdi", le luci della solidarietà, accogliendo l'appello di Avvenire. Il movimento cresce anche in Italia. 'Diamo luce alla solidarietà' è il titolo della campagna partita da queste pagine per volere del direttore, Marco Tarquinio. Un desiderio di umanità, di un'Europa dalla solidarietà vera. Tutto è nato da quello che sta succedendo lungo il confine tra la Bielorussia e la Polonia dell'Europa. Qui, in molte case sul confine gli abitanti lasciano accesa una luce verde per indicare ai migranti che si trovano al gelo e oltre il muro del filo spinato che in quelle abitazioni potranno trovare un rifugio sicuro per la notte, un pasto caldo e una persona amica. Un gesto di solidarietà fortemente sostenuto anche dal nostro giornale con una serie di reportage sui muri d'Europa e con l'appello del direttore Marco Tarquinio ad «accendere le lanterne verdi alle finestre, sui balconi, sui presepi e sugli alberi natalizi». Su queste pagine abbiamo acceso la sua lanterna verde, disegnata sulla testata per tutto il pe- riodo dell'Avvento. Ma non siamo soli. Perché l'appello inizia a fare breccia nei cuori che «sanno ancora cos' è la civile ospitalità», la giustizia e «l'amore cristiano» come quelle famiglie polacche, appunto, che si contrappongono ai muri ostili dell'Europa, ai fili spinati. Dopo l'appello accolto da Save the Children e anche dal settimanale l'Espresso, dal settimanale della Diocesi di Carpi (che ha colorato di verde la testata), dal sindaco di Colleferro che ha illuminato di verde il castello, il virus della solidarietà e dell'amore, per non chiudere gli occhi sul dramma che si sta consumando nel cuore dell'Europa, è sempre più contagioso. Una contagiosità, questa sì, che fa ben sperare. Come le parole dell'attrice Anna Foglietta che sui social scrive: «L'Europa non resti a guardare. Noi non lo faremo. Metti anche tu una lanterna verde. Restiamo umani». O quelle delle Clarisse: «Nell'inferno dell'inverno bielorusso la luce delle lanterne verdi sia segno di speranza per tanti fratelli e sorelle, per tanti bambini respinti nel gelo e nella fame. Grazie!». Ma ci sono anche cittadini comuni: c'è un'insegnante (Silvia) che su Instagram rilancia la campagna di Avvenire e chiede di dar voce alla solidarietà. Poi c'è Francesca che su twitter pubblica la sua finestra illuminata di verde. Ma le lanterne verdi riecheggiano anche nelle parole del vicepresidente del Consiglio regionale della Regione Toscana, Antonio Mazzeo che, ricordando la Festa della Regione sul tema dei diritti e della dignità dell'uomo sottolinea anche la volontà di essere come «quelle lanterne verdi, per essere luci contro le tenebre». Lanterne verdi infine anche sul presepe napoletano di San Gregorio Armeno. Nella bottega del centro antico di Napoli, l'artigiano Genny Di Virgilio ha illuminato una natività in stile '700 con luci verdi. «Così come accadde per la Sacra Famiglia - spiega - che scappando dalla violenza di Erode raggiunse la grotta di Betlemme dove nacque Gesù mi auguro che i migranti superino il confine e trovino rifugio nelle case delle lanterne verdi». «Spero che questo mio gesto simbolico ma pieno di speranza venga raccolto dagli altri miei colleghi colorando di verde, in ogni bottega, un presepe».

Leggi qui tutti gli articoli di mercoledì 1 dicembre:

https://www.dropbox.com/s/fyud2z8i60u6hyf/Articoli%20la%20Versione%20del%201%20dicembre.pdf?dl=0

Per chi vuole, ci vediamo poi dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

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