Omicron, niente panico
Appello dei leader mondiali sulla variante sudafricana. Von der Leyen: due settimane per capire gli effetti. In Italia ieri 400mila vaccinazioni. Salvini per mr. B. al Colle. Premiati gli eroi civili
Niente panico, dicono i leader mondiali, dopo che le Borse, venerdì, lo avevano scatenato a proposito della variante Omicron, scoperta in Sudafrica. Ursula von der Leyen ha anche detto che ci vorranno due settimane per capire la reale capacità della variante di eludere le difese dei vaccini attuali. Mentre Moderna (che con Pfizer ha fatto grandi guadagni in queste ore sui mercati) ha già annunciato un siero specifico per i primi del 2022. Oms e Onu sono tornati a criticare l’Europa per la sua difesa dei brevetti, che ha provocato una disuguaglianza fra Paesi ricchi e Paesi poveri, che sembra sempre più una nemesi. La Cina promette i vaccini per l’Africa, lo dice il presidente Xi.
Intanto in Italia l’allarme si combina con la stretta del Green pass e la cosa sta provocando un effetto molto concreto sulla campagna vaccinale. Dati freschi di stamattina alle 6: ieri sono state fatte 412 mila 131 nuove somministrazioni. Siamo già sopra il nuovo obiettivo di Figliuolo che punta a 400mila vaccinazioni al giorno per il mese di dicembre. Decise una stretta sulla scuola (Dad per un solo contagio) e grandi multe (fino a mille euro) a chi non avrà il Green pass su bus e metro.
È iniziato l’esame di Draghi coi partiti sulla Legge di Bilancio, ieri ha ricevuto i 5 Stelle. Intanto però sono stati presentati più di 6mila emendamenti. L’assalto alla diligenza. Per chi è insofferente verso il tavolino selvaggio nelle nostre città segnalo, a mo’ di esempio, “lo stop alla tassa di occupazione di suolo pubblico per bar e ambulanti”, tassa peraltro finora sospesa per il Covid. Altro che appelli alla responsabilità.
La corsa al Quirinale. Salvini, nella stessa giornata, dice due cose diverse, ma insomma sembra a favore di Berlusconi al Colle. A proposito di Mr. B, Il Fatto pubblica una sua frase che avrebbe pronunciato ai giovani di Forza Italia, a Villa Gernetto: “Ve li immaginate i giudici con la mia foto nell’ufficio?”. Possibile l’abbia detta davvero? Intanto il Giornale di Minzolini tende a diventare ogni giorno più (involontariamente) caricaturale, nel suo sostegno al candidato fratello dell’editore. Il Quotidiano Nazionale nota che il favorito è ancora Mister X, il candidato che non si è ancora proposto e resta nell’ombra.
Dall’estero: sono ripartiti a Vienna i negoziati con l’Iran sul nucleare. Mentre un regolamento della Ue ricorda ai funzionari, per non offendere nessuno, di augurare Buone Feste e non Buon Natale, cosa che si fa ormai da anni nelle scuole e nelle aziende. Il Papa ha parlato per la terza volta in tre giorni dei migranti, citando le vittime nella Manica e la crisi umanitaria al confine con la Polonia.
Il Presidente Mattarella ha ricevuto ieri al Quirinale gli esempi civili della Repubblica, come lui ama chiamarli. Persone della società civile che si sono distinte per atti di altruismo, generosità, assistenza a disabili o poveri e che lui ha premiato con le onorificenze della Repubblica. Ieri sono stati ricevuti in trenta, perché l’anno scorso la cerimonia in presenza era stata impossibile per il Covid. Fra di loro molti di cui ho raccontato la storia nel mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it. Mi sono emozionato a vedere premiati Anna Fiscale di Quid, Nicoletta Cosentino che ha creato Le cuoche combattenti, Ciro Corona di (R)Esistere a Scampia, Mattia Villardita che diventa Spiderman nei reparti oncologici pediatrici e Chiara Amirante, fondatrice di Nuovi Orizzonti, protagonista di una puntata che sarà disponibile prima di Natale. Gente fortissima.
L’innovazione di Mattarella è stata geniale perché l’Italia di cui andiamo orgogliosi è fatta di queste storie. Persone che hanno dato la vita per gli altri e che per questo sono italiani che costruiscono l’immagine giusta, positiva, buona del nostro Paese. Il settimo episodio della serie Podcast con Chora media è intitolato: LA CUOCA COMBATTENTE. È la storia di Nicoletta Cosentino, che è sopravvissuta a una relazione abusante, di cui si è liberata a fatica. Oggi Nicoletta accompagna altre donne sullo stesso percorso. Insieme a chi ha avuto una storia simile alla sua ha messo in piedi a Palermo un’impresa sociale che produce dolci, conserve e marmellate. Ieri è stata premiata come penultima nella cerimonia del Quirinale (la trovate ancora su Raiplay) ed era nel suo destino: dulcis in fundo, come dicevano gli antichi. Cercate questa cover…
… e troverete Le Vite degli altri su tutte le principali piattaforme gratuite di ascolto: Spotify, Apple Podcast, Google Podcast... cliccate su questo indirizzo e ascoltate il sesto episodio:
https://www.spreaker.com/user/13388771/le-vite-degli-altri-cuoche-combattenti-v
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LE PRIME PAGINE
Il Corriere della Sera registra l’accelerazione della campagna di Figliuolo: Variante, è corsa al vaccino. Avvenire spera in una: Difesa specifica. Il Domani prevede che ci saranno altre varianti e altri scontri coi No vax: La battaglia per i vaccini non è finita. Per il governo sarà un inverno caldo. La Repubblica sottolinea la linea Biden e del G7: Usa-Ue, fermare il panico. La Stampa invece la stretta sugli ingressi in aula: Scuola, in Dad con un solo contagiato. La Verità accusa: E’ il regimetto del terrore. Libero torna sull’inchiesta di Bergamo: «Speranza ha mentito» ai Pm. Noi come possiamo fidarci? Quotidiano Nazionale tematizza il siero per i minori: Vaccino ai bimbi, cosa c’è da sapere. Il Mattino è preoccupato per il turismo: La variante spaventa l’Ue, verso la stretta sui viaggi. Il Messaggero teme una Roma blindata: Lazio verso il Natale in giallo. A Bruxelles non piacerebbe la parola “Natale” usata nel titolo, Il Giornale nota infatti: Eurorivolta contro il bavaglio buonista. Il Fatto propone la confessione scoop di un peone contattato per il voto sul Quirinale: L’ex M5S: “Per votare B. mi offrono posti e soldi”. Il Manifesto punta sulla liberalizzazione della cannabis: L’ora legale. Il Sole 24 Ore dà notizia del boom dei prezzi a Berlino: Germania, l’inflazione vola al 6 %.
NIENTE PANICO, OMICRON È ANCORA MISTERIOSA
Il Presidente Usa Biden è il più esplicito: “No al panico da Omicron”. La linea scelta dai Grandi del mondo è di cautela: distanziamento sociale e mascherine, ma nessun nuovo lockdown. La Von der Leyen dice che ci vorranno settimane per capire l'impatto della variante. Mentre Onu e Oms strigliano criticano l’egoismo del G20 verso l'Africa, che non è ancora vaccinata. Paolo Mastrolilli per Repubblica.
«Consapevolezza, per prendere le misure necessarie a contenere la minaccia, ma non panico, che non aiuterebbe a risolvere il problema e paralizzerebbe ancora una volta l'economia mondiale. Da Washington a Bruxelles, è il messaggio che la leadership globale cerca di trasmettere, davanti alle paure create dalla nuova variante Omicron del virus Covid. L'Onu però striglia i Paesi ricchi, per l'approccio immorale alla distribuzione dei vaccini verso quelli poveri, nella speranza che finalmente si cambi marcia, perché altrimenti nessuno sarà davvero al sicuro. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha spiegato che le informazioni sulla pericolosità della nuova variante sono ancora frammentarie, però ha avvertito: «Omicron ha un numero senza precedenti di mutazioni, alcune delle quali preoccupano per il loro potenziale impatto sulla traiettoria della pandemia. Il rischio globale complessivo è valutato come molto alto». È più contagiosa di Delta, ma non è detto che sia più letale, o che davvero riesca ad aggirare la difesa dei vaccini, imponendo di modificarli. In attesa di ricevere le risposte a queste domande, che richiederanno fra due e quattro settimane, bisogna mettersi subito al riparo. Evitando però il panico, che servirebbe solo a peggiorare la situazione. In questo senso va letto il messaggio che il presidente americano ha lanciato alla nazione e al mondo: «Omicron deve essere un motivo di consapevolezza e preoccupazione, non di panico». Biden ha avvertito che «prima o poi, vedremo nuovi casi di questa nuova variante qui negli Stati Uniti». Il blocco dei voli dai Paesi più colpiti come Sudafrica, Botswana, Zimbabwe, Namibia, Lesotho, Eswatini, Mozambico e Malawi serve a guadagnare tempo, per consentire agli scienziati di studiare meglio la situazione. Però va usato bene, in modo da «intraprendere più azioni, muoversi più velocemente, assicurarsi che le persone capiscano che devono fare il vaccino». Il capo della Casa Bianca ha detto che sta preparando «i piani di emergenza », ma poi ha cercato di rassicurare il pubblico: «Non crediamo ancora che saranno necessarie misure aggiuntive. Niente chiusure o blocchi, ma vaccinazioni, richiami, test e altro ancora, in maniera più diffusa. Se le persone sono vaccinate e indossano la maschera, non è necessario un blocco. Non aspettate. Andate a fare richiamo, se è il momento per voi di farlo. E se non siete vaccinati, è ora di farlo e portare anche i vostri figli». Un messaggio simile è venuto dalla riunione dei ministri della Sanità del G7, e dal premier britannico Johnson, così come dalla presidentessa della Commissione europea Ursula Von der Leyen: «Lo spirito di un'azione collettiva è l'unica vera risposta robusta contro la pandemia. Sappiamo che siamo in una corsa contro il tempo. Scienziati e produttori hanno bisogno di due o tre settimane per avere un quadro completo delle mutazioni di Omicron. La priorità più alta ora è il distanziamento sociale, ridurre il contatto, ma vaccinare e fare richiami il più possibile». La speranza è che anche le altre grandi potenze globali, dalla Cina alla Russia, sia sulla stessa lunghezza d'onda. Quindi riconoscano la gravità della situazione, senza cedere al panico, ma adottino i rimedi necessari: distanziamento sociale, per evitare la diffusione del virus; vaccinazioni, per fermare i contagi e le occasioni per lo sviluppo di varianti. A questo scopo servono i richiami lanciati dal direttore dell'Oms, Tedros, e dal segretario generale dell'Onu Guterres. Il primo ha ricordato che «la pandemia non terminerà fino a quando non metteremo fine alla crisi dei vaccini», perché solo lo 0,6% degli abitanti dei paesi più poveri li ha ricevuti, contro l'80% di quelli del G20: «Nessuna nazione può vaccinarsi da sola per uscire dalla pandemia ». Ancora più duro il capo del Palazzo di Vetro: «I popoli dell'Africa non possono essere rimproverati per il livello immoralmente basso dei vaccini disponibili nel loro continente ». La speranza è che stavolta la lezione venga imparata».
Massimo Gramellini nel suo Caffè in prima pagina sul Corriere stigmatizza l’isteria collettiva scaturita dalle notizie sulla variante Omicron.
«Funziona così. Dal Sudafrica arriva una variante denominata Omicron, di cui con certezza non si sa nemmeno se sia più contagiosa delle altre. Eppure, le Borse crollano e il primo caso in Europa viene segnalato con l'enfasi che si darebbe a un'invasione aliena. Perdono la testa persino i pochi politici che ce l'hanno: Ursula von der Leyen invoca pubblicamente l'aggiornamento dei vaccini, senza rendersi conto che in questo modo rischia di diffondere il messaggio nefasto che quelli attuali non servono più. I media raccontano in tempo reale l'impazzimento altrui, è il loro mestiere, e i social lo amplificano. L'effetto è il panico globale che si materializza nella sospensione dei voli dal Sudafrica, come se un virus si potesse arrestare al check-in. Passa qualche ora - non qualche mese - e si scopre che i sintomi di questa nuova variante sarebbero quelli di un lieve raffreddore e che il primo italiano ad averla presa sta bene proprio grazie al vaccino. Per il solitamente pessimista Crisanti, Omicron potrebbe addirittura rappresentare il primo segnale di indebolimento del Covid. In base alla nota legge del contrappasso, o del rinculo, o dello yo-yo, l'umore collettivo si ribalta: dal panico alla sottovalutazione quasi irridente di ciò che ancora un attimo prima sembrava l'apocalisse. Fino alla prossima variante, che fa rima con istante e rimetterà in moto la ruota delle emozioni, con noi sopra a girare in tondo come criceti, ma molto più isterici di quelle sagge ed equilibrate bestiole».
LA CINA PROMETTE VACCINI ALL’AFRICA
Al via il forum triennale di Dakar fra Cina e il continente nero: il Presidente Xi Jinping promette per l’Africa un miliardo di vaccini. La cronaca del Manifesto.
«Ci sono gli investimenti a nove zeri e soprattutto la promessa assistenza nella lotta contro il Covid. L'ottava edizione del Focac, il forum triennale Cina-Africa, si è aperta ieri nel segno della continuità con il passato, ma con la chiara intenzione di raddrizzare alcune delle distorsioni emerse durante gli ultimi decenni di cooperazione, aggravate dal contesto pandemico. Ad aprire i lavori è stato il presidente cinese Xi Jinping, che in videoconferenza ha annunciato la spedizione di un altro miliardo di vaccini - di cui 600 milioni a titolo gratuito e il resto prodotto localmente - per raggiungere l'obiettivo di immunizzazione del 60 % della popolazione africana entro il 2022. Un'iniziativa ampiamente attesa che va a integrare i 200 milioni di sieri precedentemente forniti (in minima parte gratis), contribuendo non solo a domare la nuova variante sudafricana in una delle aree del mondo con il più basso tasso di vaccinazione. Ma anche a diversificare la natura dell'attivismo cinese nella regione, per anni contraddistinto da una forte spinta verso gli investimenti nel settore estrattivo e dei trasporti. Il binomio, che ha dominato i primi otto anni dal lancio della Nuova Via della Seta, non sparirà, ma subirà alcuni aggiustamenti strutturali. Secondo quanto anticipato da Xi, la Cina si impegna a fornire agli istituti finanziari africani una linea di credito da 10 miliardi di dollari per le piccole e medie imprese, stabilendo una piattaforma congiunta per promuovere gli investimenti privati e invitando le aziende cinesi a dirottare nel continente una cifra analoga o quantomeno non inferiore nei prossimi tre anni. Chiaro segno di come il settore statale, dopo le spese incontrollate, stia cercando una sponda per ridurre i rischi finanziari. Negli anni l'indebitamento dell'Africa nei confronti del gigante asiatico non solo è diventato motivo di critiche internazionali più o meno fondate. In tempi di rallentamento economico le banche cinesi hanno mostrato meno entusiasmo davanti alla proposta di progetti dalla dubbia sostenibilità economica. Appena poche ore prima dell'apertura del vertice, è circolata la notizia - negata da Pechino - della richiesta da parte dell'Uganda di rinegoziare le condizioni predatorie di un prestito per l'espansione dell'aeroporto internazionale di Entebbe. Rispondendo indirettamente alle accuse, Xi ha riferito che la Cina esenterà le capitali africane dal pagamento dei debiti sui prestiti a interessi zero in scadenza entro la fine dell'anno e devolverà al continente 10 miliardi dei suoi diritti speciali di prelievo del Fmi. In tutto sono nove i progetti con cui Pechino intende ribilanciare il partenariato nei prossimi tre anni in materia di sostenibilità ambientale, sicurezza, innovazione tecnologica e commercio, con attenzione particolare all'agricoltura e alla formazione professionale».
STRETTA SULLA SCUOLA, NUOVO TARGET PER FIGLIUOLO
Corsa al vaccino in Italia, alla vigilia dell’adozione del Super Green pass e per lo choc della variante. Per la scuola deciso un dietrofront: se c'è un positivo in classe quarantena per tutti e Dad subito. Pattuglie miste per i controlli sui bus mentre Figliuolo assegna gli obiettivi alle Regioni: a dicembre 400 mila dosi al giorno. Alessandra Ziniti e Michele Bocci per Repubblica.
«Stop al protocollo sulla scuola, che prevede di non mettere più in quarantena un'intera classe quando c'è un solo caso, e quindi ritorno della Dad più vicino. L'aumento dei contagi, cresciuti del 25% nell'ultima settimana, e i timori legati alla variante Omicron suggeriscono cautela e ministero e Regioni pensano di bloccare una novità introdotta solo poche settimane fa. E dal 6 dicembre gli studenti, e tutti coloro che prenderanno i mezzi pubblici, rischieranno una multa salatissima se saliranno sull'autobus senza Green Pass: da 600 a mille euro. I furbetti del biglietto potranno trovarsi di fronte poliziotti, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia locale. Che, dal 6 dicembre, chiederanno biglietto e Green Pass. È la strada individuata nel vertice convocato al Viminale dalla ministra dell'Interno Luciana Lamorgese con i prefetti e i questori per predisporre i servizi di controllo dell'obbligo di Green Pass sui mezzi di trasporto e nei locali pubblici. «Agiremo con responsabilità ma anche con la necessaria fermezza, effettuando controlli più serrati sulla certificazione verde con particolare attenzione alle aree e alle fasce orarie di maggiore afflusso di persone», dice Lamorgese. Ieri si è svolto un incontro tra ministero della Salute e Regioni per discutere delle strategie di testing e di tracciamento da adottare per intercettare subito i contagi provocati dalla nuova variante Omicron. Ma nel corso dell'incontro si è anche parlato della scuola. Le amministrazioni locali hanno segnalato il problema dello screening con i test salivari, che vengono fatti da settembre in un campione di scuole. Un'attività che serve ad intercettare casi asintomatici ma impegna personale prezioso che, in questo momento, potrebbe essere più utile nel lavoro su tamponi e quarantene. Alcune Regioni hanno anche fatto notare come adesso possa essere pericoloso non mettere in quarantena le classi quando c'è un caso. Tanto più che si teme l'arrivo e la rapida diffusione della variante Omicron. Dal ministero, dove non a tutti piaceva, hanno fatto sapere di essere d'accordo a sospendere il protocollo sulla scuola. Necessario anche garantire controlli più serrati nelle zone della movida e sui mezzi pubblici. Escluso l'utilizzo dell'esercito, ma tutte le pattuglie impegnate nel controllo del territorio dal 6 dicembre avranno anche il compito di verificare il Green Pass. Non ci saranno poliziotti sui mezzi, ma i controlli saranno fatti - a campione - alle fermate dei bus e sulle banchine della metro. Entro la settimana un nuovo vertice chiarirà se i controllori delle aziende di trasporto possono chiedere ai passeggeri il Green Pass. Probabilmente sì, se lo fa il personale delle aziende ferroviarie e delle linee aeree. Un parere è stato chiesto al ministro dei Trasporti Giovannini. Altro punto critico il controllo del Green Pass agli studenti sopra i 12 anni non vaccinati, che non hanno l'obbligo per andare a scuola ma dal 6 dicembre dovranno fare il tampone per prendere l'autobus. Assai complicato il controllo soprattutto nelle province dove, per tratte anche a lunga percorrenza, in migliaia usano le corriere. Nelle zone della movida, in bar e ristoranti, luoghi di spettacolo, impianti sportivi, il Viminale conta sull'aiuto delle associazioni di categoria per sensibilizzare i titolari dei locali. E nel piano di Natale i sindaci (che già a decine si sono mossi con proprie ordinanze) chiedono al governo un provvedimento nazionale che ripristini l'obbligo di mascherina all'aperto. Il timore che la Omicron si diffonda ha spinto il commissario straordinario per l'emergenza Francesco Figliuolo a scrivere alle Regioni per assegnare a ciascuna la quota minima di vaccinazioni che dovrà fare tra domani e il 12 dicembre: circa 400 mila al giorno. Il totale fa 4,6 milioni».
BILANCIO, VIA ALLE CONSULTAZIONI. 6MILA EMENDAMENTI
Via agli incontri di Draghi con i partiti sulla manovra. Intanto vengono presentati più di 6 mila emendamenti. La cronaca di Marro e Voltattorni per il Corriere.
«Alluvione di emendamenti sulla manovra mentre è rottura tra i sindacati e il governo sul taglio delle tasse. Si complica il cammino della legge di Bilancio per il 2022. Mentre il presidente del Consiglio, Mario Draghi, cerca di blindare il provvedimento incontrando uno a uno i partiti della maggioranza (ieri il primo vertice con i 5 Stelle) in Senato le stesse forze politiche hanno fatto a gara su chi presentava più emendamenti. Alla fine le proposte di modifica sono 6.290. Molte riguardano il capitolo fisco, dove ieri l'incontro tra il ministro dell'Economia, Daniele Franco, e i leader di Cgil, Cisl e Uil è andato male. Landini, Sbarra e Bombardieri hanno bocciato il taglio delle tasse loro illustrato, che, dicono, non va a beneficio di lavoratori dipendenti e pensionati a basso reddito e valuteranno se inasprire le iniziative di protesta. Nella valanga di emendamenti presentati in Senato ci sono la proroga del pagamento delle cartelle esattoriali, lo stop alla tassa di occupazione di suolo pubblico per bar e ambulanti, ma anche una «no tax area» per gli under 30, l'allargamento della platea per l'anticipo pensionistico, la decontribuzione per le neomamme che tornano al lavoro o 15 giorni di congedo obbligatorio per i padri. Sul reddito di cittadinanza molti gli emendamenti di segno opposto, con i 5 Stelle che vogliono rafforzarlo e la Lega che vuole smontarlo. Ottimista il segretario Pd Enrico Letta: «Non sarà un assalto alla diligenza» e propone un coordinamento politico di maggioranza. Draghi, intanto, dopo aver incontrato ieri i pentastellati oggi vedrà Lega, Forza Italia e Pd e domani Leu, i centristi e Italia Viva. La richiesta di proroga a tutto il 2022 del Superbonus 110% anche per le abitazioni unifamiliari è appoggiata da tutte le forze politiche. Cambia invece la ricetta sulla platea da sottoporre a limiti di reddito (il testo prevede ora un tetto Isee di 25 mila euro). I 5 Stelle hanno ribadito la necessità di eliminare qualsiasi limite. Le altre forze politiche chiedono invece di tenerlo ma aumentandolo: la Lega a 50 mila, ma inserendo un decalage all'80% e allargando il bonus alle onlus, mentre per Italia Viva l'Isee può arrivare a 40 mila euro e anche Leu chiede un aumento. Tutti d'accordo anche su un intervento più incisivo per contrastare il caro bollette, perché due miliardi, come dice la Lega, «non bastano più». Resta il nodo del reddito di cittadinanza. I 5 Stelle restano contrari a qualsiasi stretta mentre il leader leghista Matteo Salvini chiederà di destinare una parte delle risorse della misura all'aumento delle pensioni d'invalidità. La Lega rilancia anche sulla flat-tax: fino a 100 mila euro con aliquota al 20%, e sul taglio dell'Iva nel triennio 2022-2024 sui beni di prima necessità. E se il Pd ipotizza una maggiore flessibilità nell'uscita dal lavoro con l'allargamento dell'Ape, Forza Italia chiede altri 2 miliardi da destinare al taglio delle tasse e ad una proroga, «anche selettiva» del pagamento delle cartelle esattoriali, mentre Italia Viva punta ad una «no tax area» per gli under 30. Intanto, si allungano i tempi dell'ok al dl Fisco al Senato. Per tutta la notte, le commissioni Finanze e Lavoro hanno esaminato gli emendamenti così da dare il tempo al governo di presentare in Aula un maxi emendamento su cui sarà posta la fiducia».
QUIRINALE 1. SALVINI SOSTIENE MR.B
Giornata lunga per li leader della Lega, che la mattina sembra molto schierato per la candidatura di Berlusconi al Colle, mentre la sera si rifugia in una battuta stile (Enrico) Letta, dicendo: del Quirinale parlo a gennaio. La cronaca di Cesare Zapperi per il Corriere.
«A sera, Matteo Salvini corregge un po' il tiro: «Draghi sta facendo bene, quanto al Quirinale non ne parlo fino a gennaio». Ma in mattinata il segretario della Lega aveva parlato del presidente del Consiglio in carica, e in modo tale da incrociare il nodo della successione a Sergio Mattarella. «Condivido le parole di Berlusconi, Draghi sta lavorando bene da presidente del Consiglio e quindi mi auguro che vada avanti a lungo a lavorare bene da presidente del Consiglio» il suo augurio durante la conferenza stampa convocata per spiegare le richieste della Lega a proposito della manovra di bilancio che saranno presentate oggi nell'incontro con il premier. Una frase chiara, non equivocabile. Se il premier deve andare avanti a lungo nel suo attuale incarico, come del resto auspicato dal leader di Forza Italia nell'intervista al Corriere , questo significa che il suo orizzonte non si ferma a febbraio 2022, cioè tra due mesi, quando il Parlamento in seduta comune si riunirà per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Al contrario, il lungo respiro necessariamente porta fino alla fine della legislatura, cioè nella primavera del 2023, per avere tutto il tempo utile per mettere a terra gli investimenti del Pnrr e tradurre in pratica le riforme varate nei mesi scorsi. Nel pomeriggio, arrivando all'assemblea della Lega della Campania, la frenata. «Del Quirinale non parlo fino a gennaio» spiega Salvini che però poi aggiunge: «Faremo di tutto per evitare che se lo prenda per l'ennesima volta il Pd». Il segretario della Lega, dice chi gli ha parlato ieri, si sta muovendo su due tavoli. Da un lato, per ragioni strategiche, vuole la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi perché ha bisogno del tempo necessario a raccogliere i frutti degli investimenti fatti. Dall'altro, volendo esercitare la leadership del centrodestra, cerca di tenere conto delle ambizioni quirinalizie di Berlusconi. Ecco, non casualmente, la sottolineatura della condivisione del giudizio del presidente di Forza Italia. Resta da vedere come questa strategia si concili con quel che pensa l'altro partner della coalizione. La presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, a proposito della successione a Mattarella, finora ha dato due indicazioni: sul fronte interno, si è detta disponibile (anche se c'è stato un malinteso, poi chiarito) a sostenere Berlusconi se questi vorrà davvero candidarsi al Quirinale; sul fronte esterno, ha detto di propendere per un trasloco di Draghi al Colle per arrivare allo scioglimento anticipato delle Camere, suo vero obiettivo. Non è escluso, quindi, che le parole contraddittorie dei diversi leader in campo rientrino nel navigare a vista (anche il segretario del Pd Enrico Letta ha detto più volte di non volersi pronunciare fino a gennaio) in cui si trovano entrambi i fronti della politica italiana. La frammentazione del Parlamento unita al fatto che né il centrosinistra né il centrodestra da soli sono in grado di eleggere il nuovo presidente della Repubblica rende fragile qualsiasi ragionamento quando mancano ancora due mesi all'apertura del seggio nell'Aula di Montecitorio».
Piero Senaldi analizza la posizione di Salvini per Libero. E le contraddizioni dei partiti.
«La maggioranza vive un paradosso. I rapporti tra i partiti che la costituiscono sono ormai sfaldati. Tra destra e sinistra c’è un muro. Tuttavia esiste un caposaldo che unisce tutti i leader, è il montante nervosismo collettivo nei confronti del premier. Esso viene ben mascherato dagli attestati di fiducia rivolti a Draghi dai vari Letta, Di Maio-Conte, Beerlusconi, Renzi e Calenda e dai ieri anche Salvini. Si assiste a un martellamento quotidiano volto a spiegare come sia importante per il Paese che Super Mario resti a Palazzo Chigi. Il fastidio diffuso nei confronti del presidente del Consiglio però è palpabile, fluttua nell'aria ma è così denso che lo si può toccare. È figlio dell'impossibilità dei partiti di far politica, quindi incidere e porre le basi della prossima campagna elettorale. Da principio Draghi è stato accolto come una sorta di vacanza ricostituente. Ora i leader sono stufi di fare da spettatori al governo. Allora perché tutti vorrebbero che il premier restasse dov' è? In realtà ciascuno persegue un obiettivo di bottega per lui ben più primario dell'interesse nazionale. Il Pd non vuole mollare il Quirinale a chi non abbia quattro quarti di sangue sinistro. M5S è preoccupato di scongiurare ogni minima possibilità di voto anticipato. Silvio insegue ambizioni personali incompatibili con la promozione del banchiere sul Colle. Italia Viva ha bisogno di comprare tempo ed essere centrale nella scelta del capo dello Stato, nonché di maturare benemerenze presso l'eletto. In più, tutti hanno una gran voglia di bruciare il migliore, inchiodandolo a Palazzo Chigi; si teme che dal Quirinale potrebbe essere ancora più ingombrante. E Salvini? La Lega sta pagando un prezzo pesante per il sostegno all'esecutivo, il segretario lo ha ammesso ufficialmente. La sua è una scommessa di lungo periodo: appoggiare Draghi oggi perché nessuno gli contesti il diritto di governare domani. Forse anche Matteo ha bisogno di guadagnare tempo, forse ci tiene davvero a vedere l'alleato Berlusconi sul Colle e non è convinto che Super Mario gli darebbe mai l'incarico di formare il governo. Tutto è possibile, ma una cosa è certa. L'ex ministro dell'Interno è consapevole che la partita del Quirinale è fondamentale per il futuro della Lega. Salvini non pretende che Draghi ufficializzi la propria candidatura. Non ce ne sarebbe neppure bisogno, tutti suppongono che l'ex governatore andrebbe volentieri al Colle e che però pretende un plebiscito per assumere l'onere. Tuttavia il leader della Lega, e per la verità anche quelli degli altri partiti, desidererebbe che Super Mario non rivendicasse il trono quirinalizio come diritto divino ma avesse la cortesia di chiedere il favore, almeno privatamente, anche solo in modo allusivo, a chi può soddisfare le sue ambizioni, ossia le stesse forze politiche che il premier lascia sistematicamente fuori dalla porta ogni volta che c'è da decidere qualcosa di importante. Se lo facesse, si aprirebbe una trattativa, con il dare e l'avere sul piatto. È quello che tutti i leader politici vogliono».
Giacomo Salvini sul Fatto riporta un retroscena avvenuto a Villa Gernetto.
«Domenica ha riunito i giovani di Forza Italia e i suoi fedelissimi a villa Gernetto, la brianzola dimora settecentesca, ufficialmente per parlare della legge di Bilancio. Ma a pranzo il tema affrontato è stato un altro. Quel sogno che Silvio Berlusconi insegue da settimane, ormai diventato il suo pensiero fisso: il Quirinale. C'era da fare il punto, perché la caccia ai 50 voti mancanti per il Colle prosegue. I suoi migliori "cerca-voti" - da Marcello Dell'Utri a Denis Verdini - gli avrebbero garantito che, se la sua candidatura diventerà concreta, ne spunterebbero 30 da quella nebulosa chiamata gruppo Misto. Ma non bastano. Ne servono almeno altrettanti per arrivare alla magica quota di 505 (il quorum alla quarta votazione) e forse qualcuno di più visto che non è detto che tutto il centrodestra lo voterà compattamente (in teoria partirebbe da 450). Il piano a quanto risulta studiato domenica con i suoi sarebbe dunque molto semplice: andare alla caccia dei voti. Da adesso a metà gennaio. E per farlo avrebbe armato i suoi fedelissimi in Parlamento che dovranno portargliene il più possibile e tenere compatto il centrodestra. Tant' è che ieri Matteo Salvini, non si sa se bluffando o meno, ha condiviso le parole di Berlusconi che vorrebbe tenere Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023: "Sta lavorando bene da presidente del Consiglio, mi auguro che ci resti a lungo". Il leader della Lega è irritato per il metodo del premier e vuole avvisarlo: così al Colle non ci vai. Il tema Quirinale domenica è stato affrontato dai giovani di FI che hanno riempito B. di elogi, sogni e speranze. Tutte di questo tenore: "Presidente, sarebbe bellissimo che lei venisse eletto", "sarebbe un risarcimento per l'ingiustizia che ha subito" e così via. Berlusconi, lusingato, avrebbe risposto con una frase che è rimasta impressa ai presenti proprio mentre Nino Di Matteo, in tv, si opponeva alla candidatura dell'ex premier al Colle: "Ve lo immaginate se io presiedessi il Csm, sarebbe spettacolare - avrebbe detto, tra il serio e il faceto Berlusconi - e se i giudici di tutta Italia dovessero tenere la mia foto nel loro ufficio per loro sarebbe traumatico". Obiettivo che Berlusconi accarezza da tempo e adesso vuole raggiungere. Oltre a Dell'Utri e Verdini, la ricerca dei voti in Parlamento spetterebbe ad alcuni fedelissimi tra Camera e Senato. A tenere il pallottoliere sarebbe Sestino Giacomoni, già consigliere particolare dell'ex premier, col compito di cercare voti tra i cattolici di "Centro Democratico" di Bruno Tabacci e gli ex forzisti di "Coraggio Italia". Il capogruppo alla Camera Paolo Barelli invece cercherebbe qualche voto di ex M5S nel gruppo Misto, mentre al Senato Licia Ronzulli terrebbe "buoni" gli alleati di Lega e FdI assicurandosi che il voto compatto in favore di Berlusconi. Anche Antonio Tajani avrebbe lo stesso compito. Sullo sfondo, Gianni Letta che starebbe dialogando con i settori cattolici del Pd e con Matteo Renzi. I voti di Italia Viva, d'altronde, fanno molto gola: sono ben 43. Resta però un'incognita dentro FI , perché a villa Gernetto sono emersi anche i sospetti di veti e tradimenti interni da parte dell'ala liberal guidata dai ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Com' è noto Brunetta vorrebbe Draghi al Quirinale per istituire un semipresidenzialismo di fatto (e andare magari a Palazzo Chigi come membro anziano del governo), mentre Gelmini e Carfagna stanno cercando di capire come si muoverà il premier, pur dichiarando pubblicamente fedeltà a Berlusconi. Il piano prevederebbe anche un aiuto da parte dei giornali di casa. Libero e Il Giornale, a ridosso del voto, faranno partire una campagna per candidare Berlusconi al Colle e da qui a gennaio attaccheranno a testa bassa tutti coloro che, pubblicamente, si esporranno contro la sua candidatura: nel fine settimana è successo già con Rosy Bindi e con Nino Di Matteo».
QUIRINALE 2. SI PREPARI MISTER X
Spesso nella partita a scacchi del rinnovo al Quirinale c’è un nome coperto. Nelle precedenti elezioni fino a due giorni prima del voto decisivo nessuno aveva citato i vincenti Mattarella e Napolitano ignorati dai borsini, Ciampi era solo uno tra i tanti, Scalfaro sorpresa assoluta. Piefrancesco De Robertis per il Quotidiano Nazionale.
«La vita, si sa, è una questione di tempi, e la corsa al Quirinale non fa eccezione. Come al palio di Siena, dove più che la forza o il coraggio conta il momento i cui si scatta. Se parti troppo presto sbatti nel canape, e spesso vince il fantino che entra di rincorsa, quello che capisce quando la mossa buona sta per essere data e si butta. Il momento giusto. Così è per il Colle, il grande gioco della politica italiana dove i giochi si fanno solo all'ultimo. I giornalisti si esercitano per mesi in previsioni, compilano laboriosissimi «borsini», già adesso c'è chi sale e chi scende, ma poi se vai a vedere quanto accaduto nelle altre occasioni, anche le più recenti, ti accorgi che i nomi «veri», quelli che poi alla fine hanno vinto la gara, non erano usciti se non all'ultimo tuffo. Raffinate strategie di chi sceglie di restare nell'ombra? Rischiosissimi sudoku istituzionali? Inevitabile risultato di scelte che premiano le secondo file, in campo quando i «big» si sono già elusi a vicenda? Un po' di tutto questo. Sempre che esista una strategia (il che presuppone l'esistenza di uno stratega, e non è sempre così), e invece non si accetti l'idea che sia il caso o il caos a muovere le sue pedine secondo schemi solo a lui noti. In ogni modo quasi sempre il gioco vero si è fatto negli ultimi due o tre giorni, e le tappe di avvicinamento sono al massimo assimilabili al riscaldamento che fanno gli atleti prima di una partita. Quando poi l'arbitro fischia, le musica cambia. Prendiamo i ritagli dei giornali dell'ultima elezione, quella del 2015. Sergio Mattarella aveva ricevuto più di un voto nel 2013, ma di lui nei totonomi del 2015 non si parlava. Ballavano l'eterno Amato, l'allora in auge Finocchiaro, il sempreverde Prodi, e poi come carta verso il nuovo ecco spuntare Veltroni. Anche lui già nei borsini del 2013. Tutti, meno Mattarella, il cui nome spuntò proprio sul filo di lana. Stesso scenario nel 2006, all'apoca del Napolitano/1, quando fino a pochissimi giorni dell'elezione nessuno parlava di colui che in quel momento era un «semplice» senatore a vita, un tranquillo signore che tutte la mattine andava a passeggiare con la moglie a Villa Borghese. In quei giorni erano D'Alema, Marini, Prodi, lo stesso Amato a disputarsi la partita. Napolitano uscì a un metro dal traguardo. Ancora più a sopresa, per restare alle elezioni degli ultimi trent' anni, il nome di Scalfaro, nonostante il «vecchio» esponente Dc fosse presidente della Camera e quindi naturalmente ascritto all'elenco dei papabili. Quando il 23 maggio del 1992 la strage di Capaci impresse un'accelerata decisiva alla politica che da giorni non riusciva a togliere un ragno dal buco nella partita del Quirinale, e si optò per una «soluzione istituzionale», gli occhi di tutti, e dei giornali, andarono sul presidente del Senato Giovanni Spadolini. Scalfaro stava seduto lì accanto e di lui non si era accorto nessuno. Un giorno dopo era presidente».
M5S, TRAVAGLIO A FAVORE DEI SOLDI PUBBLICI
Commento autorevole del Fatto rivolto alla base dei 5 Stelle che deve votare per il finanziamento pubblico del Movimento. Lo scrive il direttore Marco Travaglio.
«Gli iscritti 5Stelle votano sul 2 per mille: la mini- quota di imposte che i contribuenti scelgono di destinare a un partito. Finora il M5S si era autoescluso perché anche quello è un finanziamento pubblico, sia pur indiretto. Ma l'anno scorso, agli Stati generali (Conte era premier, non leader), decise di rompere il tabù, insieme a quello più importante dei due mandati (almeno per gli amministratori locali, vedi Raggi). È giusto che cada anche quello del 2 per mille? Secondo noi, sì. 1) Quando Grillo e Casaleggio sr. dettarono la regola, i partiti arraffavano 200 milioni l'anno (1 miliardo a legislatura), aggirando il referendum sul finanziamento pubblico col trucco dei "rimborsi elettorali" (per campagne che costavano un quarto). Poi, grazie alla spinta del M5S , nel 2013 il governo Letta rimpiazzò quello sconcio con i più sobri fondi indiretti, fra cui il 2 x 1000 (lo Stato stanzia 25 milioni l'anno, ma ne spende solo 15 perché pochi contribuenti barrano la casella). 2) Il 2 x 1000 incoraggia i partiti a mantenere un legame con gli elettori, unici arbitri del loro finanziamento: premiano chi fa buona politica, puniscono chi fa cattiva politica. 3) In questo clima di restaurazione (vitalizi, immunità e bavagli vari), si vuole tornare ai finanziamenti diretti, con la scusa che sennò i partiti rubano (ma nell'èra Tangentopoli il finanziamento pubblico c'era, eppure si rubava più di oggi): meglio quello indiretto, modico, volontario e meritocratico, che un nuovo assalto alla diligenza. 4) Le regole interne sono al servizio del partito, non viceversa. Alcune di quelle pentastellate, all'inizio, hanno portato al successo un movimento che non solo non rubava, ma predicava e praticava una politica sobria. Ora sono diventate un handicap, anzi un boomerang, nella politica "sangue e merda" che trasforma i virtuosi in fessi. Se un eletto 5S non può aspirare al terzo mandato, deve restituire parte dello stipendio e non può accedere a fondi pubblici, è più facile per gli altri partiti comprarselo promettendogli terzo mandato, stipendio pieno e fondi pubblici. Così il partito più virtuoso non solo ha tutti contro, ma li combatte con le mani legate dietro la schiena. 5) La soluzione non è buttare le pratiche virtuose, ma aggiornarle all'esperienza attuale. Il 5Stelle perdono quasi tutte le elezioni intermedie perché non sono organizzati sui territori: per esserlo necessitano di risorse e, non avendo (per loro fortuna) grandi gruppi alle spalle, il modo più decente per reperirle è il 2 x 1000: mantenendo l'obbligo di donare ai bisognosi parte degli stipendi e derogando al limite dei due mandati per i parlamentari che lo meritano (purchè lo decidano gl'iscritti). Ciò che nel 2009 appariva un tradimento oggi si chiama crescita».
INFLAZIONE TEDESCA AL 6%, RECORD DAL 1992
L'inflazione in Germania torna ai massimi dalla riunificazione. Il rialzo del 5,2% è il più alto dal 1992. La Lagarde dice al Frankfurte Allgmeine Zeitung che è un fattore temporaneo. Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore.
«Tre banconote, da 200, 10 e 50 euro, sono divorate dalle fiamme, prendono fuoco. Con questa drammatica immagine, il tabloid Bild ha lanciato ieri la notizia dell'inflazione in Germania salita «ai massimi da 30 anni». L'indice nazionale dei prezzi al consumo CPI di novembre ha registrato un rialzo tendenziale del 5,2%, (contro il 4,5% di ottobre), il più alto incremento dal 1992 e per la prima volta sopra il 5% dal settembre del '92: un salto così non si vedeva dall'effetto boom della riunificazione. L'indice dei prezzi al consumo armonizzato HICP, calcolato secondo le linee guida Ue standardizzate, ha superato ampiamente i pronostici arrivando al 6%, contro un consenso al 5,5%: si tratta del quarto picco consecutivo di portata storica. I prezzi alla produzione, intanto, hanno messo a segno in novembre l'aumento più alto degli ultimi 50 anni. L'allarme inflazione è dunque squillato forte in Germania, come previsto, a pochi giorni dall'insediamento del nuovo governo di coalizione "semaforo" tra Spd, Verdi e Fdp. Il tasso inflazionistico schizzato a livelli record ha contribuito ad acutizzare il senso di smarrimento e di ansia dei cittadini tedeschi, rimasti travolti già da qualche settimana dalla violenza della quarta ondata del Covid-19 e in questi giorni dall'elevata incertezza della variante Omicron. In un vuoto politico dovuto al cambio di governo. È proprio la pandemia tuttavia a spiccare tra i fattori principali responsabili dell'impennata dei prezzi, ritenuta temporanea in Germania come nell'area dell'euro. Durante la fase peggiore della pandemia nel 2020 i prezzi sono crollati, poi a distanza di un anno sono risaliti, trainati alle stelle dal forte rimbalzo della domanda mentre l'offerta è rimasta frenata dai problemi nelle catene di approvvigionamento. L'inflazione tedesca dovrebbe tornare a scendere già dal mese prossimo e il calo continuerà nel 2022 fino ad arrivare attorno al 2% (per alcuni economisti leggermente sopra la soglia del 2%, per altri leggermente sotto), avvicinandosi così all'obiettivo di medio termine della Bce. La presidente della banca centrale europea Christine Lagarde, in un'ampia intervista a F.A.Z., e il membro tedesco del Comitato esecutivo della Bce Isabel Schnabel in un'intervista televisiva con ZDF Morgenmagazin, hanno entrambe gettato acqua sul fuoco delle banconote del Bild. Lagarde ha ribadito che l'aumento dell'inflazione in Germania è legato a fattori temporanei (tra i quali il ritorno all'Iva dopo il ribasso di sei mesi una tantum per contrastare la pandemia) mentre Schnabel ha detto che l'inflazione non è fuori controllo, ha incolpato i colli di bottiglia, e ha chiarito che il tasso medio dei prezzi tedeschi rispetto a due anni fa, pre-pandemia, è salito «solo del 2 per cento». In un commento ieri, la capo-economista di KfW Fritzi Köhler-Geib ha sottolineato che l'1,3%-l'1,5% degli aumenti di novembre (+5,2% CPI e +6% HICP) è stato provocato dall'Iva e dalle modifiche dei pesi di alcuni beni nel paniere (in particolare ha avuto effetto il nuovo peso dei pacchetti-viaggio come evidenziato anche dalla Bundesbank), l'incremento dei prezzi dell'energia oltre alle strozzature. «Alcuni fattori temporanei verranno meno a inizio 2022 e l'inflazione a gennaio scenderà», ha previsto Köhler-Geib, per la quale l'anno prossimo «c'è luce alla fine del tunnel in quanto l'inflazione dovrebbe gradualmente calare, e arrivare a metà anno sotto il 2%». È importante, si è poi augurata, che la Bce «mantenga una mano ferma» sui tassi. Un inasprimento inopportuno delle misure di politica monetaria potrebbe danneggiare la ripresa economica ancora incompleta in Germania e in Europa. La politica fiscale della coalizione semaforo, intanto, si preannuncia espansiva nel 2022. Il freno sul debito tornerà a essere rispettato dal 2023 ma con oculatezza, senza eccessi di rigore. La promessa elettorale del socialdemocratico Olaf Scholz, che porterà il salario minimo a 12 euro all'ora entro la fine del 2022, rispetto agli attuali 9,6 euro e rispetto al rialzo programmato a 10,45 euro, è considerata «significativa» e potrebbe avere un impatto non trascurabile, esercitando pressione salariale prima sulle fasce più basse per poi arrivare a quelle più alte. Allungando i tempi del calo graduale dell'inflazione».
TIM, L’OMBRA DI ILIAD
Vicenda Telecom. Ci sono tre banche americane schierate al fianco del fondo americano Kkr. I francesi di Vivendi temono una regia di Xavier Niel, che punterebbe a un asse con la sua Iliad. Francesco Spini per La Stampa.
«Tra i ragionamenti che circolano in queste ore tra i grandi soci di Tim e i loro advisor finanziari ce n'è uno suggestivo in cui non si esclude nemmeno un'azione radicale: quella di rifare il consiglio di amministrazione. Questo per renderlo maggiormente rappresentativo dei due soci di riferimento di Tim: da una parte Vivendi, primo azionista col 23,8% ma con solo due seggiole di emanazione diretta, dall'altra Cassa depositi e prestiti, che è in seconda posizione con il 9,8% ma ha un solo rappresentante. Cambiare tutto è per ora solo un'ipotesi tra tante (i francesi ci pensarono già nel 2018 quando chiesero la revoca di 5 consiglieri di Elliott, salvo poi ritirarla) che avrebbe davanti a sé molti ostacoli. Ma rende l'idea di come la lista del consiglio non abbia tenuto Telecom al riparo dal caos e tutto sia instabile, anche dopo la riunione del board che, venerdì, ha segnato il cambio della guardia al vertice, dove le deleghe endoconsiliari che erano dell'ex ad Luigi Gubitosi sono andate al presidente Salvatore Rossi, mentre la guida operativa, da ieri, è in mano al direttore generale Pietro Labriola. Ma è sulla prospettata Opa di Kkr che si sta svolgendo un braccio di ferro dentro e fuori il consiglio, con i francesi di Vivendi a fare muro, convinti di poter organizzare in proprio un piano per valorizzare Telecom. In Francia circola con insistenza una voce e cioè che dietro Kkr ci sia un altro francese, Xavier Niel, il vulcanico imprenditore cui fa capo Iliad. Egli siede nel board di Kkr, la società di gestione quotata a New York. Da questa posizione almeno sulla carta Niel non avrebbe possibilità di influire sugli investimenti. Eppure i media parigini insistono sulla possibilità che proprio Niel potrebbe approfittare dell'eventuale presa di Tim da parte di Kkr per mettere, in un secondo tempo, a fattor comune Iliad e la Telecom depurata della rete. È il consolidamento, bellezza. Uno scontro su più livelli: Niel, amico di Macron, segnerebbe un punto importante su Vincent Bolloré, che in patria appoggia l'estrema destra. Nonostante le incertezze politiche («La preoccupazione c'è, i lavoratori sono tanti e il settore è strategico. Chiediamo al governo di seguire con grande attenzione», ha detto il segretario del Pd Enrico Letta dopo l'incontro tra il partito e i sindacati) e il nulla di fatto a una settimana dalla presentazione della manifestazione di interesse, Kkr prosegue la sua marcia. Al fianco ha i colossi di Wall Street: a garantire il finanziamento dell'operazione nel cda di Tim hanno potuto vedere una lettera di Jp Morgan. Ma col fondo ci sarebbero pure Morgan Stanley e Citi. Il comitato consiliare di Tim guidato dal presidente Rossi e con 4 consiglieri indipendenti starebbe già lavorando ma la nomina degli advisor ancora non c'è. Così come non si vedono, per ora, offerte alternative dalla fila di fondi come Cvc, Advent, Eqt, Bain o Apollo dati come possibili nuovi attori. Intanto la Consob avrebbe sul tavolo molto lavoro. Dalla segnalazione che avrebbe ricevuto sulla situazione dei conti a seguito dell'accordo con Dazn. Fino agli aspetti che riguardano la manifestazione di interesse di Kkr che ha scaldato il mercato anche se Opa vera e propria ancora non è. Proprio per tutte queste incertezze il titolo in Borsa scivola a 47 centesimi (-1,96%), ben sotto i 50,5 centesimi fatti balenare da Kkr».
NUOVO APPELLO DEL PAPA PER I PROFUGHI
Terzo intervento in tre giorni di Papa Francesco sul tema migranti. Ieri videomessaggio all’Organizzazione internazionale per i migranti. All'Angelus di domenica aveva espresso il proprio dolore per la tragedia nel canale della Manica e per i migranti, “soprattutto bambini”, al confine con la Polonia. Enrico Lenzi per Avvenire.
«Per il terzo giorno consecutivo papa Francesco fa udire la sua voce sul tema delle migrazioni. Ieri lo ha fatto con un video messaggio inviato all'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Domenica mattina al termine dell'Angelus recitato dalla finestra dello studio del Palazzo Apostolico aveva espresso il proprio dolore per l'ennesima tragedia del mare in cui sono morte decine di migranti, anche se questa volta nel canale della Manica tra Francia e Gran Bretagna. E sempre domenica in piazza San Pietro erano presenti gli organizzatori del Giàvera Festival (che promuove il dialogo e l'incontro tra popoli e culture), che il Papa ha ricevuto in udienza sabato mattina e con i quali era tornato a parlare delle torture che «i migranti subiscono ancora oggi» e davanti alle quali «non possiamo chiudere gli occhi». Un tema non solo d'attualità, ma anche fondamentale per la Chiesa cattolica, nel cui insegnamento, ricorda papa Francesco nel suo videomessaggio all'Organizzazione internazionale per le migrazioni, «troviamo l'insegnamento che ci esorta a non trascurare l'ospitalità verso lo straniero». E mandando i propri auguri per i 70 anni della Organizzazione, papa Francesco ha ribadito con forza le motivazioni alle base dell'adesione della Santa Sede «come Stato membro dell'Organizzazione, così come voluto dal mio predecessore Benedetto XVI dieci anni fa». Ecco allora «l'affermare la dimensione etica degli spostamenti di popolazione», ma anche «offrire da parte della Chiesa cattolica, attraverso la sua esperienza e la sua consolidata rete di associazioni sul campo in tutto il mondo, la propria collaborazione ai servizi internazionali dedicati alla persone sradicate». Infine, «prestare un'assistenza integrale in funzione dei bisogni, senza distinzioni, basata sulla dignità inerente a tutti i membri della stessa famiglia umana». Anche per questo nel suo videomessaggio Francesco ritorna a chiedere che parlando di migranti non ci si fermi solo a ciò che gli Stati fanno per accoglierli, ma anche a «pensare a quali benefici apportano alle comunità che li accolgono, i migranti stessi», spostando dunque il punto di vista. E tra i punti sollecitati all'Oim, anche quello «di affrontare le condizioni perché la migrazione diventi una scelta ben informata e non una necessità disperata». Proprio questa «necessità disperata» è spesso alla base delle tante tragedie che vedono vittime i migranti. «Sento dolore per le notizie sulla situazione in cui si trovano tanti di loro» ha detto ricordando la tragedia della Manica, i confini della Bielorussia e sottolineando che «molti sono bambini. Tanto dolore pensando a loro». E mentre esprime «vicinanza e preghiera» ai migranti, rinnova «l'appello accorato», alle autorità civili e militari, «affinché la comprensione e il dialogo prevalgano finalmente su ogni tipo di strumentalizzazione e orientino le volontà e gli sforzi verso soluzioni che rispettino l'umanità di queste persone».
IRAN E NUCLEARE, RIPARTONO I NEGOZIATI
Diplomazia internazionale al lavoro perché ieri sono ripartiti a Vienna i negoziati con l’Iran sul nucleare. Il punto di Paolo Mastrolilli su Repubblica.
«Tutto ormai sembra ridursi a capire se l'Iran accetterà una soglia più bassa entro cui contenere le sue capacità di costruire l'atomica, e a quale prezzo. L'analisi che Reuel Marc Gerecht ha pubblicato sul Wall Street Journal non è ottimistica, ma pochi dissentono sul fatto che la realtà sia ormai questa. Tanto che gli osservatori considerano già un passo avanti le notizie offerte dal mediatore europeo Enrique Mora dopo la prima sessione di colloqui ieri a Vienna, secondo cui Teheran è disposta a discutere le sue attività nucleari negli incontri previsti domani, dopo però aver parlato delle sanzioni in quelli di oggi. Mora ha dichiarato di aver avvertito «un senso di urgenza nel riportare in vita l'accordo JCPOA», e di sentire un umore «estremamente positivo», soprattutto perché la delegazione nominata dal nuovo presidente Ebrahim Raisi ha accettato come base per l'eventuale intesa il lavoro svolto nelle sei sessioni precedenti di colloqui. L'accordo JCPOA era stato negoziato dall'amministrazione di Barack Obama nel 2015, e frenava le attività nucleari della Repubblica islamica per dieci anni. Il suo successore, Donald Trump, però era uscito dall'intesa e aveva imposto circa 1.500 sanzioni di vario genere, nella speranza di convincere Teheran ad accettare un nuovo accordo che includesse il riarmo missilistico convenzionale degli ayatollah e le loro attività destabilizzanti in tutto il Medio Oriente. Questa intesa però non si è mai materializzata e anzi l'Iran ha accelerato l'installazione delle turbine, estromesso gli ispettori dell'Aiea e portato la purificazione dell'uranio al 60%, ossia pochissima distanza dal 90% necessario a costruire bombe. Joe Biden voleva resuscitare il JCPOA, ma si è trovato davanti a due problemi: primo, i progressi tecnologici di Teheran, che hanno reso obsoleto l'accordo o comunque difficile tornare indietro; secondo, la necessità di non apparire debole rispetto a Trump. I colloqui sono ripresi al rilento, ma verso la fine della primavera la nuova intesa era praticamente scritta. A quel punto gli iraniani hanno frenato perché il 18 giugno erano in programma le elezioni, che hanno consegnato la presidenza al candidato dell'ala dura Raisi. Allora si è bloccato tutto, perché Teheran ha posto tre condizioni inaccettabili per gli Usa: ammissione di colpevolezza da parte di Washington, immediata cancellazione delle sanzioni, garanzia che un eventuale accordo non possa più essere abbandonato dai futuri presidenti. L'inviato americano Malley ha risposto che così non c'era alcun margine, e si è iniziato a parlare del "piano B", ossia un rilancio delle sanzioni, che però richiederebbe il difficile appoggio di Russia e Cina. Sullo sfondo poi c'è sempre il possibile intervento militare israeliano per bloccare l'atomica. Alla vigilia dei colloqui di Vienna col gruppo "5+1", con Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Germania e Ue nella stanza con gli iraniani, e gli Usa in un altro albergo, il capo negoziatore Ali Bagheri ha avvertito che sul tavolo ci sono solo le sanzioni, non il programma nucleare, e gli Usa devono pagare un prezzo per l'uscita dal JCPOA. Ieri poi ha detto che Washington deve togliere le sue misure «disumane e violente. La revoca delle sanzioni è la priorità dei colloqui». Nel frattempo la Gran Bretagna ha firmato un comunicato congiunto con Israele con cui si impegna ad «impedire che l'Iran abbia l'arma nucleare» in ogni modo. In questo quadro è già un risultato che Teheran abbia accettato di discutere i suoi programmi, ma l'ipotesi più ottimistica è che si arrivi ad un'intesa parziale e provvisoria, per congelare alcune attività in cambio dell'allentamento di alcune sanzioni. Per Gerecht non si andrà oltre un accordo che tenga l'Iran ad un paio di mesi dalla costruzione dell'atomica, ammesso che ciò basti a garantire la sicurezza di tutti ed evitare lo scontro».
LE ARMI DELL’ETIOPIA, COINVOLTE CINA E TURCHIA
Da dove vengono le armi che sta usando il premier etiope Abiy, a suo tempo insignito del premio Nobel per la Pace? Francesco Palmas per Avvenire.
«Armi, armi, maledette armi. Un flusso drammatico e crescente sta alimentando la guerra etiope nel Tigrai. Da inizio 2021, almeno un miliardo di dollari sono stati bruciati dal premier Abiy Ahmed per procurarsi sistemi sempre più mortiferi, in una guerra che gli è già costata fra i 2,5 e i 3 miliardi di dollari. Ad agosto scorso, Ahmed era ad Ankara. Ha strappato ad Erdogan un'intesa militare e un accordo per la fornitura dei droni da bombardamento Tb-2, che hanno rovesciato le sorti del conflitto in Libia e deciso la vittoria degli azeri sugli armeni. Sembra che Ankara, ansiosa di galvanizzare il suo rinascente "impero africano", abbia stretto un patto di ferro con l'agenzia spionistica etiope Insa, a cui avrebbe fornito consulenti e tecnici per assemblare in loco almeno 10 droni. I turchi garantirebbero anche l'addestramento e il pilotaggio iniziale. Hanno una gigantesca base militare in Somalia e i loro specialisti fanno la spola fra Mogadiscio e Addis Adeba. Hanno fornito agli etiopi anche mini-munizioni intelligenti, sganciabili in volo da droni, aerei ed elicotteri. Ai primi di ottobre, dopo uno tanti dei bombardamenti governativi, i ribelli tigrini hanno rinvenuto sul terreno i rottami di una di queste bombe che, secondo Analisidifesa e Mirko Molteni, documenterebbero il debutto dei droni d'attacco turchi nella guerra civile in corso. Ahmed avrebbe ottenuto da Erdogan anche 20 quadricotteri armabili con piccole munizioni, tutte di fattura turca, prodotte nei nuovi impianti di Roketsan. La staffetta navale fra la Turchia, la Somalia e l'Eritrea permetterebbe il passaggio delle armi in Etiopia, molto spesso trasportate anche dai velivoli della compagnia di bandiera etiope. E un ponte aereo collega Chengdu, in Cina, con la base militare etiope di Harar Meda. Fluiscono così le munizioni per i droni forniti da Pechino all'alleato etiope. I cinesi si servono di trasporti strategici dell'ucraina Antonov Airlines, forse per non dare nell'occhio. Stanno fornendo armi che in mani etiopi degenerano. Le triangolano via Emirati: sono così arrivati in guerra droni adattati allo sgancio di granate da mortaio, che servono al governo Ahmed per attaccare terroristicamente i civili, non avendo altro valore militare. La Cina, da primo partner e creditore del governo etiope, ne addestra gli ufficiali e sta provvedendo anche alle loro artiglierie terrestri, fornendo lanciarazzi multipli devastanti. Ma nulla supera per copiosità gli aiuti che Ahmed sta ricevendo dagli emiri di Abu Dhabi e Dubai. Da agosto 2021 ad oggi, più di 100 voli cargo della compagnia Fly Sky Airlines hanno inondato di fucili di precisione, pickup armabili, droni e munizioni le basi aeree etiopi. Fly Sky, pur basata negli Emirati, ha una flotta di aerei cargo registrati in Ucraina e in Kirghizistan. Un modo per depistare i traffici. E anche l'Ethiopian Airlines partecipa al ponte aereo "armato". Questa compagnia sta violando tutte le convenzioni internazionali. È complice dei giochi di Ahmed e delle sue pratiche belliche. Per rinsaldare l'alleanza sul campo con gli eritrei, Ahmed provvede da inizio conflitto a rifornire di armi e munizioni l'esercito amico. E lo fa servendosi dei voli civili della compagnia di bandiera, che spesso cambiano la rotta prestabilita per fare scalo a Massaua e Asmara, scaricare i "doni" e ripartire per la destinazione finale. Nel percorso tortuoso, i velivoli dell'Ethiopian spengono i sistemi di identificazione di bordo e spariscono dai tracciati prima di entrare nello spazio aereo eritreo. Diventano voli fantasma, per poi riapparire sui tracciati dopo aver consumato gli illeciti. L'ha ben documentato la Cnn. In uno di quei voli c'erano bombe da mortaio, russe di origine, ma prodotte anche in Bulgaria e in Iraq. Se Sofia fosse implicata sarebbe grave. Significherebbe che un governo di un Paese dell'Ue avrebbe foraggiato il regime etiope per una guerra barbara. Un affare da seguire».
PER LA UE È MEGLIO DIRE BUONE FESTE
Cronaca ironica di Francesco Battistini da Bruxelles per il Corriere della Sera sulle regole di comunicazione raccomandate ai funzionari Ue in vista delle festività.
«Un piccolo passo per un uomo? Eh, no! Mettesse di nuovo il piedone sulla Luna e pronunciasse la sua celebre frase, oggi il povero Armstrong lo lascerebbero là: chi l'ha detto che è stato solo l'Uomo a sbarcare sulla Luna? Per non dire di Gesù: non di solo pane vive l'uomo, chiaro, ma mica vorremo lasciare solo a lui il companatico. E pure il fuoco, la ruota o la penicillina: perché mai sarebbero da narrare soltanto come le Grandi Invenzioni dell'Uomo? Perfino Eduardo dovrebbe riscrivere la sua commedia più famosa: «Festività in casa Cupiello». La lingua batte dove il gender duole, le parole che non diciamo stanno diventando un vocabolario alto così e anche il Natale diventa politicamente corretto, sì, ma corretto grappa: in attesa di disquisire su Babbo/Mamma Natale e sul sesso delle renne (ci arriveremo, ci arriveremo...), alla Commissione europea hanno anticipato i brindisi e i bigliettini natalizi con un dossierino, «Guidelines for Inclusive Communication», che insegni ai funzionari Ue la neolingua inclusiva e non discriminatoria. 32 pagine di suggerimenti: vietato offendere i non cristiani che non fanno il presepe, le donne che non si chiamano Maria, gli anziani che non si sentono vecchi, gli europei che vivono ai confini dell'Europa... Stando alla commissaria maltese per l'Uguaglianza, Helena Dalli, è ora di piantarla: chi va a sciare, d'ora in poi auguri «Buone Feste» e non «Buon Natale»; chi non ci va, eviti di dire che «il periodo natalizio può essere stressante» e se proprio vuole lamentarsi, semplicemente, stia su un più generico «periodo delle vacanze». Insomma: «Evitare di considerare che chiunque sia cristiano», perché serve «essere sensibili al fatto che le persone abbiano differenti tradizioni religiose». Quando lo chiamavano a votare certe leggi, il liberale Giovanni Malagodi svicolava spiegando d'avere «impiegato una vita a non sembrare un cretino». La signora Dalli è ancora giovane e non ha gli stessi scrupoli. Tanto da scatenare irridenti reazioni dalla Polonia, dalla Spagna, dall'Ungheria e anche dalla destra italiana, che parla di «follia» (Salvini) e di «storia e identità» minacciate (Meloni). Com' è uscita la circolare della Commissione di Ursula van der Leyen, che doveva rimanere riservata, Bruxelles ha precisato di volere solo invitare chi lavora nell'Ue a un linguaggio più consapevole: «Dobbiamo sempre offrire una comunicazione inclusiva - dice la commissaria maltese - garantendo così che tutti siano apprezzati e riconosciuti indipendentemente dal sesso, dalla religione o dall'origine etnica». Nobili parole, seguite da comiche tabelle che entrano nello specifico. Guai a chi scrive «colonizzare Marte», avverte l'Ue, perché è un'offesa ai marziani; «cittadino immigrato», perché ferisce chi non ha cittadinanza; «vecchi», perché gli anziani si risentono; «malati di Aids», perché «malato» è un termine discriminatorio; citare coppie a caso come «Giovanni e Maria», perché disturba le Malika e i Mohammad che non portano nomi cristiani; iniziare un discorso con «signore e signori», perché basta un «cari colleghi»... Nemmeno andrà bene gridare Forza Azzurri ai prossimi Mondiali: bisognerà specificare se trattasi di nazionale maschile o femminile. Se poi parlate dell'Europa e vi riferite alle solite Berlino, Roma e Parigi, beh, siate un filo più inclusivi: perché non citare anche le periferiche Budapest e Vilnius? «Fai attenzione - avverte il dossier - a non menzionare sempre prima lo stesso sesso nell'ordine delle parole». A pagina 14, si va nel dettaglio: invece del solito «Mr» o «Mrs», o piuttosto che riferirsi a una signorina chiamandola «Miss», è preferibile un equilibrato «Mx», qualunque cosa significhi. Qui la commissaria Delli va capita, però. Prima d'entrare in politica coi laburisti, ha fatto l'attrice e la modella. E una volta ha vinto anche un concorso di bellezza: la incoronarono Miss Malta».
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