La Versione di Banfi

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Pasqua rossa, ma non troppo

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Pasqua rossa, ma non troppo

Anche con i divieti, si circola molto. Salvini grida al "sequestro di persona". Figliuolo sul record di vaccini. Ferragni attacca la Lombardia. Letta e Di Maio non si accordano. Draghi va in Libia

Alessandro Banfi
Apr 3, 2021
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Pasqua rossa, ma non troppo

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La Pasqua sarebbe teoricamente blindata, ma è un po’ come quella barzelletta sull’inferno tedesco e l’inferno italiano. I divieti ci sono ma non è che si vogliano far rispettare in modo rigido. Per cui c’è in giro un sacco di gente e quasi quasi i telegiornali potrebbero andare in automatico col solito pezzo sui “vacanzieri” che si mettono in fila per “l’esodo dalle grandi città”. Certo, c’è chi per invidia o per troppo zelo segnala il vicino che fa la grigliata sul balcone, come nota Sallusti, ma non pare proprio di essere in un clima da vecchia Stasi. Matteo Salvini torna ad usare toni molto esasperati contro le “chiusure”, di ritorno da Budapest appare particolarmente eccitato. Un giorno bisognerà capire che cosa ha comportato tutta l’irrazionalità e la valanga di fake news sul lockdown da parte di tanti opinionisti di destra.

Tristi invece sono i dati reali su morti e contagi. Le vaccinazioni stanno accelerando (ma nelle ultime 24 ore siamo sulle 267 mila, un po’ meno del record di ieri) e il generale Figliuolo rassicura con un’intervista al Corriere della Sera: c’è un nuovo clima di collaborazione con le Regioni, dopo la confusione iniziale. Ma le polemiche su quello che si poteva, e si può, fare meglio non si placano. Uno studio dell’Ispi dimostra che le Regioni in ordine sparso e il caos sulle code hanno provocato più morti fra gli anziani. Tesi su cui insiste anche Luca Ricolfi sul Messaggero. Finalmente anche in Lombardia ci sono computer che funzionano e la cosa è sbalorditiva: solo ieri 100mila prenotazioni senza un intoppo. Ci volevano le Poste… Nonostante questo, polemizza Chiara Ferragni che ha dovuto intervenire sui social per far avere il vaccino alla nonna 90enne di Fedez. Forte la polemica sui medici di famiglia anche in Liguria (se non l’avete ancora fatto leggetevi la mia Versione di ieri pomeriggio).

Per il resto la politica ci racconta un vertice cordiale ma “franco” fra Letta e Di Maio. Sull’alleanza fra Pd e 5 Stelle pesa infatti come un macigno la ri-candidatura della Raggi a sindaco di Roma. E a ripensarci bene, Conte in quel suo primo discorso da leader del Movimento ha detto pochino e non ha sciolto nessun nodo. Il caso della spy story russa a Roma è trattato con cautela da Mosca, che pensa a calibrare le ritorsioni. Draghi prepara la sua trasferta in Libia: dopo Pasqua andrà a Tripoli. Oggi è il Sabato santo, il momento della discesa del Signore agli inferi. Recalcati su Repubblica, da laico, ci spiega che la Resurrezione è un evento, un fatto. Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Sul Corriere della Sera parla il Commissario Figliuolo e fa il punto sulla campagna vaccinale: «In aprile ci giochiamo tutto». Più pessimista Il Messaggero, che ha sempre grande attenzione verso chi potrebbe scegliere Roma come meta: «Vaccini, obiettivo a rischio». Estate senza turisti stranieri. La Stampa di Torino si concentra sulle vacanze pasquali: Scatta la Pasqua in rosso. Vaccino per tutti da maggio. Il Quotidiano nazionale, nonostante le polemiche salviniane sul “rosso” ideologico, titola: Il lockdown non ferma l’esodo di Pasqua. Libero invece festeggia il Capitano, che “ci ripensa”: Salvini zittisce tutti. Il Secolo XIX offre uno spaccato della difficile gestione locale: Liguria, vaccini anche di notte. Tensione Toti-medici di base. Mentre Il Mattino denuncia: Vaccini, Campania penalizzata. Grazie alla Ferragni, ma non solo, Il Fatto attacca ancora la Regione Lombardia, in particolare Moratti e Fontana: Quei 2 non dicono mai una cosa vera. Il Giornale se la prende con le denunce dei vicini che segnalano infrazioni all’anti Covid: Occhio ai delatori. Sempre di delazioni tratta anche l’Avvenire ma per un risvolto odioso dell’inchiesta sulle Ong: Giornalisti spiati. La Verità invece gioisce, pubblicando i verbali: I TRAFFICI CHE INGUAIANO LA ONG ROSSA. Di economia, e anzi di Alitalia, parla Il Manifesto: Zeromiglia. Il Sole 24 Ore annuncia una sforbiciata alle imposte: Lavoro a termine, taglio ai contributi. Repubblica stampa i dati dell’Istat, che sono deprimenti ed è, nel titolo, lapidaria: L’Italia è più povera.

GOVERNO E REGIONI A TUTTO VAX

Chi segue la Versione lo sa già da ieri mattina. Siamo arrivati a 300mila vaccini al giorno. Il Commissario Francesco Paolo Figliuolo parla col Corriere della Sera per dire che nel mese di aprile, ma lo sappiamo da un po’, ci giochiamo tutto.  

«Capisco gli atteggiamenti di qualche Regione. Io per primo ho ricevuto molte sollecitazioni, al limite della pressione, da ordini professionali che mi dicevano "noi siamo essenziali". Aspirazioni legittime, perché non era declinato il piano. Poi si è aggiunta la problematica di AstraZeneca che ha dato all'agenzia regolatoria motivi per porre un limite. Poi, vedendo altri Paesi che vaccinavano oltre quel limite, si è cambiato rotta. Ma alcune Regioni si sono dette: ho AstraZeneca, lo posso fare solo ad alcune tipologie, ci sono i servizi essenziali, li allargo». Fine degli equivoci, ora? «Dopo le raccomandazioni del 10 marzo, questo atteggiamento deve scomparire, perché il piano è molto chiaro. C'è una tabella di priorità. Devo ringraziare il ministro Speranza che ha declinato le categorie dei fragili. Dopo queste precisazioni non ci sono più margini: se abusi ci sono, sono voluti. Che poi ci sia qualche nepotismo... io non so come uno possa dormire la notte sapendo che avrebbe potuto salvare una vita e invece ha dato il vaccino all'amico. Lo trovo inqualificabile. Le liste di riserva devono essere in analogia col piano vaccinale: con gli ottantenni, poi i settantenni... non è che fai venire tuo cugino dicendo aspetta che ti vaccino con la sesta dose che rimane». Accanto al virus letale, c'è un virus della polemica che ci indebolisce nella lotta? «Noi italiani siamo bravissimi singolarmente ma non pratichiamo il gioco di squadra. Perciò io voglio smorzare le polemiche, sempre». Mi definisca il suo Piano. «È la sintesi di tutti i piani regionali. Sono contento di farlo per i nostri concittadini, ho la soddisfazione di essere stato chiamato da un numero uno, il presidente Draghi». Chi sono i suoi alleati? «Le Regioni. Ma devo citare anche l'ingegner Curcio, capo della Protezione civile. Mi sta dando una grande mano. Ci conoscevamo da altre emergenze. Ora è nata un'amicizia. In squadra si vince». (…) Lei, da tecnico, è un «chiusurista» o un «aperturista»? «Bisogna essere equilibrati, con buonsenso e pragmatismo». Un segnale di speranza? «Le scuole aperte dopo Pasqua. Vaccineremo di più. E tornare sui banchi sarà sempre più sicuro per i nostri figli e i nostri nipoti».

Non solo la campagna vaccinale, ma anche l’economia. Francesco Verderami propone un retroscena sui “due piani” di Mario Draghi.

«Il piano vaccinale è pronto, il Recovery plan è pronto. Per Palazzo Chigi aprile è un mese decisivo, con il capo del governo che sa di trovarsi nella morsa tra le misure restrittive, lo stato dell'economia e la condizione psicologica degli italiani: «Sono consapevole che la comunità nazionale è provata». Ed è per questo che nell'ultimo Consiglio dei ministri ha voluto lanciare un messaggio politico al Paese, introducendo la norma che consente di modificare il testo del decreto in corso d'opera, per garantire così eventuali riaperture. Per farlo non ha esitato a entrare in rotta di collisione con quanti, nel Pd e nei Cinquestelle, sostenevano che non avesse senso, che non fosse necessario, che gli accordi presi nella cabina di regia erano diversi. «Ha senso invece, ed è necessario», era stata la risposta: «E lo faccio perché l'ho detto in conferenza stampa, certo non per accontentare qualcuno». Un chiaro riferimento a Salvini, che alcuni rappresentanti del governo ritenevano fosse in quel momento a Palazzo Chigi. Il premier, per spazzar via ogni dubbio, aveva aggiunto che - sulla base di numeri - «tra quindici giorni potremmo ricalibrare il modello matematico e avere altri risultati». Dopo aver assistito al confronto, i ministri non allineati - che non parteggiano cioè per l'uno o per l'altro schieramento - sostengono di aver compreso il motivo di quella «frizione» e le sue ragioni politiche: «È come se la difesa della linea rigorista sia un modo per difendere la linea sostenuta dal gabinetto precedente. Di sicuro -raccontano - più il governo resta ancorato alla mera gestione della pandemia, più i partiti ritengono di avere tempo per gestire i loro affanni». Non è dato sapere se anche Draghi abbia maturato lo stesso sospetto, di sicuro è convinto che le decisioni non si assumano inseguendo gli eventi. Ce n'è la prova nel confronto avuto con i governatori, quando il presidente della Liguria Toti gli ha fatto notare che «in Germania stanno già organizzando le fiere per il prossimo autunno». «Infatti noi dobbiamo darci degli obiettivi», ha risposto il premier: «Dobbiamo programmare il futuro». Ma il futuro passa dai risultati che il governo riuscirà a ottenere tra la riuscita del piano vaccinale e il varo di norme che consentano di usare rapidamente i fondi europei. Perciò Draghi ha interesse a tenere il dibattito politico fuori da Palazzo Chigi, dove pure arriva l'eco delle polemiche. Un rumore che per ora è attutito, coperto da certe battute taglienti che il premier si concede nel salone del Consiglio dei ministri.».

SALVINI CI RIPENSA: “SEQUESTRO DI PERSONA”

Matteo Salvini “ci ripensa” (copyright Il Giornale) e torna ad accusare il Governo di mettere l’Italia in rosso per una “chiusura ideologica”. Il viaggio a Budapest ha esasperato l’umore del Capitano?

«Aprile rosso è sequestro di persona. Chiedo un incontro a Draghi» attacca Matteo Salvini, dando il via alla polemica del giorno per «le riaperture in sicurezza» che in questo momento è per lui la madre di tutte le battaglie. «Qualcuno per motivi ideologici vuole tenere tutto chiuso, sono stufo di scelte politiche sulla pelle degli italiani». E ancora: «Io mi fido della scienza ma quando l'ideologia prevale è difficile» attacca a 7Gold. Fa bene attenzione a sottolineare che la critica è rivolta al ministro della Salute, Roberto Speranza, e non al premier. Così, se da sinistra e Leu gli danno dell'«irresponsabile», il sottosegretario alla Salute, il 5S Pierpaolo Sileri, è possibilista: «È pur vero, e comprendo ciò che dice Salvini, che c'è la necessità di programmare anche le riaperture». Già, perché anche se Salvini ripete che il sostegno della Lega al governo Draghi non è in discussione, il segretario vuole differenziarsi per non perdere visibilità e antichi ancoraggi. C'è già stato il caso della clausola al Decreto legge Covid sulle «riaperture mirate» concordata tra Salvini e Draghi, riaperture che saranno decise dal governo in caso di miglioramento degli indici. (…) È il consueto schema della Lega di lotta e di governo, o dell'uno contro tutti, aggiornato all'unità nazionale. A Salvini riesce comunque di farsi notare dal Financial Times, che si è occupato dell'incontro a tre di giovedì scorso a Budapest con i premier ungherese e polacco Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki, sia pur senza ottimismo sull'esito di questi colloqui e riportando dichiarazioni come «Salvini vorrebbe essere riconosciuto in Europa come uomo capace di cambiare le carte in tavola». Vertici al momento più d'immagine che di sostanza, ma dopo il voto in Germania e in Francia si comprenderà se questi contatti possano diventare qualcosa di più concreto all'Europarlamento». 

Marco Cremonesi sul Corriere della Sera va alla fonte e intervista proprio lui, il leader della Lega. E in effetti Salvini si mostra eccitato, al centro della scena.  

«Per il Covid, c'è il vaccino. Purtroppo, per la salvinite no. E loro sono ossessionati, non pensano ad altro... Il problema? Non è il Covid, è Salvini». Il segretario leghista parla della raffica di reazioni provocate nella politica italiana dal suo incontro con i premier di Ungheria e Polonia, Orbán e Morawiecki. Perdoni: non era del tutto imprevedibile... «Perdoni lei: un atteggiamento del genere denota ignoranza, provincialismo e soprattutto razzismo da parte della sinistra». (…) Beh, lei è andato a Budapest per costruire la futura destra europea. Perché si stupisce delle reazioni a sinistra? «Io dico che se lo spirito del Pd è questo, significa che se ne fregano del richiamo del presidente Mattarella. Mi creda, tutto mi terrebbe lontano dalla sinistra, ma l'amore per questo Paese fa premio su tutto. Anche gli attacchi sono seccanti, il problema vero è che l'ideologia del ministro Speranza comincia a essere preoccupante». Però, lei con il ministro ha parlato. Vi siete incontrati. Non è servito a nulla? «Per iniziare, voglio esprimergli la mia più totale e convinta solidarietà per le minacce di morte che ha ricevuto, la vicinanza umana e politica non è in discussione. Detto questo: sulle riaperture mi è sembrato di parlare con una parete. Gli ho detto che l'Italia è lunga, sono 8 mila comuni, che si apre solo dove i contagi e il sistema ospedaliero non sono sotto pressione. Lui mi ha detto che no, ad aprile la scienza non vale. Ma attenzione: dopo il Covid dovremo fronteggiare un'altra emergenza...». Di che cosa parla? «Dopo il Covid ci sarà un'altra ondata epidemica, quella psicologica e psichiatrica. Continuano a dirmi che chiusure come quelle che stiamo attraversando stiano creando problemi giganteschi ad adulti e bambini. Che un ministro della Salute lo sottovaluti... Non va bene». Perciò, lei ha chiesto un incontro con il premier Draghi. «Certo, appunto per parlare di ritorno alla vita. Ma l'asse con Draghi è ferreo, lui dice che si riaprirà sulla base della scienza e dei dati medici. E io sono d'accordo. Ma siccome ci sono intere regioni in cui la situazione per fortuna è più tranquilla, aggiungo che il riaprire in questi territori non è un capriccio di Salvini, ma la risposta a un'emergenza economica drammatica. Speranza però continua a dire "rosso, rosso, rosso...". Sarà un riflesso condizionato indotto dalla sua storia». Ha letto? Vittorio Feltri le ha chiesto chi glielo abbia «fatto fare di trascinare la forte Lega nel mucchio selvaggio di questa maggioranza?». Con l'invito a «mandare al diavolo i compari dell'esecutivo». «Ma figuriamoci, non mi conosce... Io bado al sodo, lavoro per fare cose, Anche con i 5 Stelle mi dicevano di non fare niente. Io mi permetto di ricordare Quota 100, la flat tax fino a 65 mila euro, il blocco degli sbarchi e l'azzeramento dell'immigrazione, la legge sulla legittima difesa... Se qualcuno pensa di farmi perdere la pazienza con lo stillicidio delle dichiarazioni, sbaglia di grosso. I miei obiettivi, entrando al governo, erano salute, riapertura e tasse. E questo stiamo facendo. Pensi all'impulso dato dal commissario Figliuolo alle vaccinazioni». La accusano anche di boicottare l'approvazione della legge Zan contro l'omofobia. Hanno torto? «Guardi, la nostra posizione è chiarissima: ognuno è libero di fare l'amore con chi vuole, amare chi vuole e vivere con chi vuole. E chi discrimina o aggredisce e picchia per strada qualcuno, che sia etero, che sia omo o sia trans, è un delinquente. Punto. Che va punito come la legge già prevede. Non serve una nuova legge, soprattutto in un momento in cui ci dovremmo occupare dell'epidemia e della ripartenza».

Alessandro Sallusti si occupa, nell’editoriale del suo Giornale, delle “delazioni” dei vicini di casa che segnalano alle forze dell’ordine assembramenti e feste. Resta convinto della bontà delle regole, ma trova odioso il clima da Vite degli altri.   

«Si badi bene. Io sono per rispettare le regole e cercherò di farlo anche in questo weekend pasquale blindato, ma la delazione non è un dovere civile, è un reato odioso anche se non previsto dal codice penale. Non manderò nessun poliziotto a bussare alla porta altrui e mi rifiuto di pensare che la polizia bussi alla mia, mandata da qualcuno o se di sua iniziativa. Se in quel momento non c'è un imminente pericolo di vita, per entrare in una casa è necessario un mandato dell'autorità giudiziaria, non basta una telefonata anonima. Io spero che ministri, prefetti e questori abbiano ben chiaro questo concetto. Perché come disse Giovanni Falcone «la cultura del sospetto non è l'anticamera della verità ma del khomeinismo».

FERRAGNEZ ALL’ATTACCO, IL CAOS CODE HA FATTO VITTIME

Il Fatto rilancia uno studio di Matteo Villa dell’Ispi sulle priorità decise nella campagna di vaccinazione. L’elaborazione dei dati è inquietante: se si fosse seguito il criterio delle fasce d’età, avremmo avuto meno morti.

«Con le vaccinazioni, che hanno iniziato a fare effetto a metà gennaio con le prime dosi somministrate a fine dicembre, in Italia abbiamo evitato circa 2.500 morti. Sono tanti, poco meno del 10% dei 30 mila registrati dal 15 gennaio (erano stati 35 mila nella prima ondata del 2020 al netto della mortalità in eccesso, ufficialmente non Covid, attestata dall'Istat). Se però la precedenza nelle vaccinazioni fosse stata data fin dall'inizio ai più anziani, rallentando l'immunizzazione del personale sanitario, avremmo potuto evitare circa 8.900 decessi, cioè 6.400 in più. Sono le stime di Matteo Villa dell'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), ottenute con un modello matematico che non dà risultati certi, ma tendenze e ordini di grandezza. Villa assume come piano "ottimale" quello in cui il personale sanitario viene vaccinato nel doppio del tempo (a fine gennaio avevano già quasi tutti la prima dose) come in Francia e in Germania, non ci sono altre categorie prioritarie e dunque anche gli operatori scolastici e di polizia si mettono in fila secondo l'anno di nascita. L'errore, col senno di poi, lo vedono tutti.».

Luca Ricolfi sul Messaggero è diretto: le Regioni hanno fatto un disastro e il Governo centrale doveva imporre con più fermezza una linea sulle priorità.

«Nell'immediato, stiamo commettendo l'errore più grosso che si può concepire: lasciare indietro gli anziani, che contribuiscono al 90% della mortalità. Sembra incredibile, ma ancora oggi dopo la somministrazione di circa 11 milioni di dosi quasi la metà degli over-75 (che sono circa 7 milioni) non è ancora vaccinata, e solo 1 su 5 ha ricevuto entrambe le dosi. In compenso sono stati vaccinati (oltre a medici, infermieri e persone fragili, com' era giusto) ogni sorta di categorie: professori, magistrati, avvocati, giornalisti, personale amministrativo degli ospedali, insieme a legioni di parenti, infiltrati, passanti. E, come spesso accade in Italia, l'indignazione si è scaricata sui singoli furbetti del vaccino anziché sulle Regioni che hanno gestito arbitrariamente le dosi, e sul Governo che avrebbe dovuto imporre linee guida tassative e vincolanti: se le istituzioni facessero il loro dovere, con ordine e con serietà, a nessun furbetto sarebbe possibile approfittare della confusione per saltare la fila.

Annuncio choc: i computer funzionano anche per le prenotazioni in Lombardia. Ci volevano le Poste, per tornare alla normalità. Chiara Ferragni un anno dopo aver donato, insieme a Fedez, fondi per l’ospedale Covid del San Raffaele, attacca la Regione Lombardia, inadempiente con la nonna 90enne di Fedez. Estrema sintesi del Corriere, che quasi nasconde la notizia:

«Botta e risposta ieri tra l'imprenditrice Chiara Ferragni e la Regione Lombardia sui ritardi nella campagna vaccinale. Su Instagram l'influencer ha accusato la Regione di aver chiamato la nonna 90enne del marito Fedez, la signora Luciana Violini, solo dopo che lei stessa aveva criticato la Regione sul social. Immediata la smentita della Regione. Dall'Ats hanno spiegato che, in questi giorni, stanno riprogrammando gli appuntamenti partendo dalle segnalazioni di over 80 non convocati, spesso per errori nella compilazione della domanda». 

INCHIESTA SULL’ONG, SPIATI I GIORNALISTI

Avvenire dedica il titolo di apertura ad una brutta storia. Nell’inchiesta di Trapani sulle Ong, sarebbero stati messi sotto controllo i giornalisti per identificare le loro fonti. Tra questo anche l’inviato del giornale cattolico Nello Scavo.  

«Nell'inchiesta sulle Ong, la Procura di Trapani avrebbe intercettato illegalmente alcuni cronisti. La Fnsi va all'attacco: si volevano forse scoprire le fonti, violando così il segreto professionale? «Le autorità di garanzia chiedano chiarimenti e li rendano pubblici». Così la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) è intervenuta commentando l'inchiesta del quotidiano Domani che ha rivelato come numerosi giornalisti che si stavano occupando di questioni legate alla Libia, alle violazioni della guardia costiera libica e alle attività delle Ong sarebbero stati intercettati dalla Procura di Trapani dal 2016, nell'ambito di un'indagine sui reati di favoreggiamento all'immigrazione clandestina a carico di alcune Ong. Indagine che si è chiusa con una ventina di richieste di rinvio a giudizio, ma che non vede i giornalisti come indagati».

Su La Verità Fabio Amendolara scrive un lungo resoconto dell’inchiesta della procura di Ragusa su Casarini e c. E cita in effetti un’intercettazione telefonica fra un indagato e una giornalista.

«Il sospetto è che in questo modo le erogazioni benefiche, riqualificate come prestiti infruttiferi alla società, siano state trasformate in assicurazione personale per gli armatori. Dagli accertamenti bancari, poi, sarebbe stato riscontrato «come la annotazione di operazioni di "restituzione prestiti infruttiferi" sia effettivamente riconducibile ad attività di raccolta fondi posta in essere dai soggetti che reclamano la restituzione stessa»: 31.000 euro risultano «prestati» da Metz e 25.000 euro risultano «prestati» da Caccia. Ma come si finanziava la Idra oltre che con le donazioni? È ancora Caccia a svelarlo, parlandone con Vera Mantengoli, giornalista del gruppo Gedi. Anche questa conversazione viene riassunta: «A patto che resti tra di loro due, nel film Tolo Tolo di Checco Zalone, lui, Checco Zalone, per finanziarli indirettamente, ha voluto la loro collaborazione noleggiandogli la nave con tutto l'equipaggio per il film, per le scene dei salvataggi, aggiungendo di utilizzare la società per fare delle operazioni fra virgolette commerciali che servono a...». E dopo un'esitazione, Caccia aggiunge: «Ma questa parte qua teniamola riservata».

LETTA-DI MAIO: OSTACOLO RAGGI

Politica italiana. Non è un feroce giornale della destra a scriverlo. Ma il Fatto quotidiano: La Raggi rischia di essere il vero ostacolo nell’alleanza PD-5 Stelle. il giorno dopo la prima uscita di Giuseppe Conte, si sono visti Letta e Di Maio e la questione Roma si è rivelata un macigno. Scrive Wanda Marra:

«"Il nostro giudizio su Virginia Raggi è negativo". L'ha detto più volte il segretario del Pd, Enrico Letta, anche negli ultimi giorni. La sindaca di Roma rischia di essere l'ostacolo sul quale si infrange la costruzione dell'alleanza con i Cinque Stelle. Ieri Letta ha incontrato Luigi Di Maio e, tra gli altri, ha affrontato anche il dossier amministrative. Il ragionamento che ha fatto al ministro degli Esteri è semplice e suona più o meno così: "Noi vogliamo fare un'alleanza organica in tutte le città, per vincere". E questo dovrebbe portare al ritiro della sindaca. Fonti del Pd raccontano che il segretario sarebbe arrivato a spiegare a Di Maio che se la Raggi non molla, è lo stesso progetto dell'alleanza che si rompe. Ma dal Movimento smentiscono. E neanche il Nazareno conferma. Eppure, Enrico Letta sta cercando da giorni di costruire un profilo e un percorso per la Capitale che possa indurre sia Giuseppe Conte sia lo stesso Di Maio a costringere la Raggi a non presentarsi.».

RUSSI PRUDENTI SULLA SPY STORY

Parla a Rainews24 l’Ambasciatore Sergej Razov e cerca di limitare i danni. L’arresto del militare italiano che avrebbe ceduto segreti militari ai russi e l’espulsione dei due funzionari è un gravissimo incidente nei rapporti fra i due Paesi. Mosca valuta la contromossa. Francesca Sforza su La Stampa.

«Un incidente senza precedenti», questa la frase che circola con maggiore insistenza nei corridoi del ministero degli Esteri russo in seguito alla vicenda che ha visto un ufficiale della marina italiana e uno delle forze armate russe di stanza nel nostro Paese scambiarsi clandestinamente soldi e informazioni riservate. I due funzionari russi coinvolti nell'operazione, identificati dal controspionaggio ed espulsi dall'Italia, sono rientrati a Mosca, dove attualmente si trovano per chiarire alle autorità competenti l'accaduto e fornire così elementi per organizzare una risposta diplomatica. E dal tipo di risposta si capiranno meglio i contorni che questa storia è destinata ad assumere non solo all'interno dei rapporti bilaterali italo-russi, ma anche nel più ampio quadro delle relazioni tra Russia e Unione Europea, perché, come ha detto ieri l'Ambasciatore russo Sergej Razov durante un'intervista a Rainews 24, «l'Italia è un partner privilegiato, ma è pur sempre un membro della Nato e dell'Ue, in cui si applica una disciplina di blocco». Fonti qualificate sostengono che Mosca non ha interesse al momento ad aumentare le dimensioni del danno - troppo pochi e fragili sono i legami con l'Unione Europea, e l'Italia è uno dei pochi Paesi con cui, negli ultimi mesi, l'interscambio ha ripreso a marciare. Allo stesso tempo, non sfuggono ai russi né la tempistica in cui l'incidente è maturato né le modalità con cui ne è stato dato conto all'opinione pubblica italiana. (…) In queste ore a Mosca si sta riflettendo sul da farsi. Rispondere con un'espulsione simmetrica significherebbe infliggere un ulteriore colpo alle relazioni bilaterali (il nostro ufficio militare a Mosca risulterebbe praticamente decapitato), e del resto non fare nulla non sembra un'opzione praticabile nel linguaggio della diplomazia russa. Probabile, spiegano le fonti, che alla fine si opterà per una soluzione intermedia, che salvi la faccia ma non colpisca troppo duramente (ipotesi di lavoro: un avvicendamento travestito da espulsione), con l'intenzione, in definitiva, di non compromettere il rapporto con l'Italia.».

MISSIONE LIBIA

Se per Verderami la missione di Draghi si articola sui due piani: campagna vaccinale e Recovery Plan, per il diplomatico italiano Giampiero Massolo non va dimenticato il fronte internazionale. Oggi su Repubblica Massolo ricorda che martedì Draghi sarà in Libia 

«La visita del presidente Draghi a Tripoli si inserisce in un contesto fragile. Non privo tuttavia della possibilità di delineare con spirito pragmatico un piano di azione italiano che coinvolga i partner europei.
Un simile piano passa dalla premessa di concordare subito con l'Onu e con il primo ministro Dbeibah le modalità concrete, civili e militari, di sostegno al nuovo governo, tese a consolidare il cessate il fuoco, propiziare il ritiro di truppe e mercenari stranieri, avviare la relativa missione di verifica. Si deve sviluppare attraverso la promozione di un ampio progetto di ricostruzione e di sviluppo economico e sociale del Paese con risorse nazionali e europee, che rafforzi il processo di riconciliazione nazionale. Non può prescindere dalla predisposizione di un nuovo meccanismo regionale di collaborazione, che riunisca e corresponsabilizzi - contenendone le spinte destabilizzanti - le potenze globali e regionali che condizionano le vicende libiche. Deve puntare, infine, a ricoinvolgere gli Stati Uniti nella regione, mostrando, per parte europea, di non sottrarsi alle proprie responsabilità. C'è materia, insomma, per un'azione politico-diplomatica italiana a tutto campo. L'Italia di Mario Draghi ha dimostrato finora di avere la credibilità necessaria per conciliare interesse nazionale e interessi europei, allungando il campo all'Unione. Se saprà farlo in Libia, avrà reso un buon servizio anche alla causa dell'Occidente».

UN EVENTO OLTRE LA MORTE

Nella liturgia cristiana il Sabato Santo è il giorno in cui il Signore scende agli inferi, attraversando la morte, alla vigilia della Pasqua di Resurrezione. Massimo Recalcati su Repubblica spiega che così la morte non è l’ultima parola sulla vita.

«Il mistero della Pasqua cristiana coincide con l'evento della resurrezione di Cristo. Dobbiamo sottolineare la parola evento perché la resurrezione non vuole essere una figura parabolico-metaforica, come molte di quelle che hanno caratterizzato la predicazione di Gesù, ma un'esperienza effettiva, un evento reale. Quale? Quello più decisivo: la morte non è l'ultima parola sulla vita, esiste sempre per la vita la possibilità di non essere finita del tutto dalla morte. Questa è l'enunciazione folle e assoluta dell'evento della resurrezione che sembra contrastare con ogni buon senso. Non è infatti la morte la fine della vita, la sua dissoluzione, l'ultima nota che chiude irreversibilmente la melodia dell'esistenza? La resurrezione per ogni cristiano contrasta l'opinione comune, sfida il carattere oggettivo di questa evidenza. Al tempo stesso l'evento della resurrezione non è un semplice fatto in sé, come la pioggia o il vento. Esso non è semplicemente avvenuto, come raccontano i Vangeli, in un "buon mattino" (Gv, 20, 1, 18), presso la tomba dove era stato deposto il corpo di Cristo. La resurrezione è resa un evento solo dalla fede di chi allora vi ha creduto e di chi oggi ancora continua a crederci. Non è qualcosa di remoto che giace alle nostre spalle, non è un fatto miracoloso che si è compiuto una volta per tutte. Se la resurrezione è davvero un evento e non una parabola tra le altre è perché essa continua ad accadere grazie alla fede di chi resta, appunto, fedele a quell'evento. La fedeltà all'evento-Gesù risorto è ciò che fa esistere ora e non al passato remoto la resurrezione: la morte non è, non può essere, l'ultima parola sulla vita».

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