I vaccini sono diventati l’oggetto del desiderio, mentre le Regioni discutono e domani, incontrando il Governo, cercano di trovare una soluzione al dibattito su divieti e colori. Nessuno vuole il lockdown generalizzato ma si percepisce che siamo alla vigilia di decisioni drastiche. Draghi sta lavorando sul piano di vaccinazione e sul Consiglio dei Ministri che deve decidere i nuovi divieti. La scuola sembra ancora nel tormento, con la Puglia che lascia tutti a casa fino al 5 marzo. Per il resto si ragiona sulle conseguenze politiche del voto di fiducia, con le espulsioni dei quasi 40 parlamentari grillini, e il dibattito nel Pd. Paolo Mieli ha paventato interventi della Magistratura contro il Governo, che sarebbe in combutta con Il Fatto di Travaglio. L’interessato risponde. Ecco i titoli della domenica.
LE PRIME PAGINE
Così non vax, geniale e sintetico gioco di parole del titolo del Manifesto. L’incubo di una vaccinazione che non decolla, il piano ambizioso di Draghi, i ritardi nell’arrivo e distribuzione delle dosi dominano l’edizione domenicale dei quotidiani. Il Corriere annuncia: Vaccini in stazioni e tende. Depressivo il titolo del Quotidiano Nazionale: Sempre meno vaccini: siamo fermi. Per Repubblica la novità sta nella proposta della Confindustria al Governo: La mossa degli industriali “Vaccinazioni in fabbrica”, mentre per La Stampa Draghi cambia il piano vaccini subito Astrazeneca per tutti. Simile, per una volta, al titolo di apertura de La Verità: ECCO IL PIANO DRAGHI PER I VACCINI. Per Libero la colpa è dell’inchiesta dei giudici sui traffici paralleli: Buttati 27 milioni di vaccini. Il Messaggero prevede: “Regioni chiuse fino al 31 marzo”. Il Tempo propone: Serve un lockdown dei virologi. Su temi diversi Il Fatto che attacca l’esecutivo: Il governo dei rinvii, Il Giornale ancora sulla giustizia: “Indagate il sistema sinistra dietro al Sistema dei pm”. L’Avvenire prende spunto dalla notizia della beatificazione di Armida Barelli, pioniera delle giovani di Azione Cattolica: Donne da imitare, subito sotto un altro titolo Donne da salvare (dalla violenza) con la foto delle donne genovesi che ricordano l’ultima vittima uccisa dall’ex convivente.
NUOVE MISURE ANTI COVID
Ieri ci eravamo lasciati con le attese per la riunione dei Governatori. La domanda resta quella: come saranno le prossime settimane? Cambieranno parametri, colori, divieti? E che cosa chiedono le Regioni al Governo? L’impressione complessiva è che Draghi da una parte voglia dare una stretta (forse anche sulla scuola) agli spostamenti ma che sia molto sensibile al tema economico. I Presidenti di Regione domani incontreranno comunque il Governo. Ecco come Marco Galluzzo sul Corriere sintetizza le loro richieste:
«Primo, le Regioni chiedono «un deciso cambio di passo nella campagna di vaccinazione, cercando un accordo quadro con i medici di base». Secondo: «Revisione dell'attuale sistema di regole che definisce l'entrata e l'uscita dalle diverse zone, insieme ad un cambio dei criteri e dei parametri di classificazione». Terzo: «Occorre che le misure siano conosciute con congruo anticipo. Inoltre per i provvedimenti che introducono restrizioni particolari per singoli territori si attivino anche contestualmente gli indennizzi». Lo ha dichiarato il presidente Stefano Bonaccini al termine della Conferenza delle Regioni. Una riunione durata quattro ore e che ha registrato numerose sfumature fra aperturisti e coloro che invece sono molto allarmati per le varianti del Covid.»
Di fronte a queste richieste che cosa farà il Governo? Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini in un articolo a doppia firma svelano così le intenzioni di Palazzo Chigi, alla vigilia del Consiglio dei Ministri sul nuovo decreto anti virus:
«Mario Draghi ha sentito i ministri coinvolti e lavorato «molto intensamente» l'intero sabato sul piano vaccini e sul contrasto al Covid, «priorità assoluta». Domani mattina alle 9,30 il premier riunirà il Consiglio dei ministri e all'ordine del giorno c'è il decreto legge che vieta gli spostamenti tra regioni anche gialle fino al 25 febbraio e che sicuramente sarà prorogato. La variante inglese fa paura, l'Rt sta superando la soglia psicologica di 1 in diverse regioni e anche il ministro Roberto Speranza pensa che «sarebbe saggio» tenere chiusi i confini regionali ancora per qualche settimana, oltre il 5 marzo. (…)Dai primi colloqui con i ministri emerge che l'ex presidente della Bce sia attestato sulla linea del «rigore assoluto», ma anche determinato a non penalizzare le attività produttive. Per il presidente del Consiglio la tutela della salute è al primo posto e altrettanto importante è contrastare le conseguenze del virus sull'economia. Una impostazione che potrebbe convincere il governo a conservare il sistema dei colori per fasce di rischio, che ha consentito all'Italia di evitare un secondo lockdown. (…) Le Regioni invocano un cambio di passo, chiedono a Draghi di marcare la discontinuità rispetto al governo Conte, nel metodo e nel merito. E riaprono la riflessione sulla scuola. Alla luce delle varianti, i governatori chiedono che il rischio della didattica in presenza venga affrontato «senza posizioni ideologiche». Il modello a cui diverse regioni guardano è quello della Puglia, dove Michele Emiliano ha disposto che da domani e fino al 5 marzo gli studenti di ogni ordine e grado seguano le lezioni da casa.»
VACCINAZIONE DI MASSA
Il grande sforzo è sui vaccini. Draghi lo ha promesso nel discorso di fiducia alla Camera, ne ha parlato al G7. È davvero l’emergenza numero uno. Lorenzo Salvia sul Corriere:
«Ci saranno le stazioni ferroviarie. Un centinaio, pescando da quelle che per l'appunto appartengono alla società Centostazioni. Una lista che comprende gli scali di città importanti come Brescia, Padova, Parma, Salerno. E anche le stazioni secondarie delle grandi città, come Milano Porta Garibaldi, Roma Ostiense e Napoli Afragola. Si potrebbero aggiungere anche le grandi stazioni come Milano Centrale, Roma Termini o Torino Porta Nuova. Ma non è detto, visto che anche in questi mesi di vita e spostamenti a scartamento ridotto sono comunque luoghi affollati. Saranno valutati tutti i parcheggi dei grandi centri commerciali. Qui nella lista dei candidati ci sono 955 strutture, alle quali vanno aggiunti 33 outlet. Arruolate le caserme dei Vigili del fuoco, in linea di massima una per provincia. E gli spazi dei 41 aeroporti e dei 32 porti commerciali italiani. Con la possibile aggiunta anche di alcuni dei 228 porti turistici. L'obiettivo annunciato è fare mezzo milione di somministrazioni al giorno. Utilizzando anche i 40 mila medici di famiglia, con l'accordo ormai pronto. »
Repubblica apre il giornale con il titolo sulle vaccinazioni in fabbrica. Roberto Mania di Repubblica intervista il capo di Confindustria Carlo Bonomi:
«Aprire le fabbriche per vaccinare i lavoratori e i loro familiari. È la proposta che il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, lancia in questa intervista nella quale, tra l'altro, conferma la sua fiducia nei confronti di Mario Draghi ("la discontinuità con i governi precedenti è Draghi stesso") e spiega perché si deve tornare alla normalità sbloccando i licenziamenti in maniera selettiva e riformando il sistema degli ammortizzatori sociali. Presidente Bonomi, siete disposti ad aprire le fabbriche e gli uffici per vaccinare i dipendenti? «Certo! Siamo d'accordo con l'impostazione del presidente Draghi di coinvolgere i privati nel piano vaccinale. I dipendenti delle aziende aderenti a Confindustria sono circa 5,5 milioni, se consideriamo una media di 2,3 componenti per nucleo familiare potremmo vaccinare più di 12 milioni di persone. Siamo disposti a mettere le fabbriche a disposizione delle comunità territoriali nell'ambito del piano nazionale delle vaccinazioni. Abbiamo già inviato una nostra proposta operativa a Palazzo Chigi. Dobbiamo fare come all'estero dove si stanno utilizzando le fiere, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie. Insomma strutture già esistenti. Si può benissimo fare anche in Italia. Confindustria ha già offerto alla Regione Lazio il suo centro congressi».
LA GEOPOLITICA DEI VACCINI
Carlo Pelanda su La Verità torna sulla “geopolitica dei vaccini” e sulla riunione del G7. La questione è infatti anche una sfida mondiale. L’idea di fondo di Pelanda è che Draghi ha una grossa opportunità “alla Cavour” nella prossima leadership del G20. E che il vaccino Sputnik potrebbe essere fabbricato e distribuito anche in Europa.
«Ipotesi: un'Italia più nettamente atlantica può schierarsi con la Germania nel convincere l'America a concedere uno spazio non politico e tecnologicamente controllato di relazioni commerciali con la Cina in cambio di un trattato euroamericano fortissimo. In tal caso l'Italia svolgerebbe un doppio ruolo di garanzia atlantica e di euroconvergenza, anche interesse pratico di Roma per la connessione tra industria tedesca e italiana. La Francia si metterebbe di traverso, come ha già fatto per l'ipotesi del trattato commerciale Ue-Usa? Ormai è tipico. Ma Parigi non ha forza sufficiente per interdire e lo fa solo per ottenere carotine agitando un bastoncino. Se sostenuta dall'America, l'Italia può spostare la trattativa intraeuropea verso il lato atlantico. Draghi è rilevante in questo scenario perché ha lo standing e il metodo di composizione degli interessi necessari per impostare tale «cavourata». La presidenza del G20 implica prudenza diplomatica ecumenica, ma l'azione può già iniziare. Anzi, il contrasto alla Cina è già stato potenziato con la schermatura umanitaria di fornire, via accordo G7, un vaccino alle nazioni povere del pianeta.»
Maurizio Molinari su Repubblica riflette sulle stesse tematiche dopo il summit (digitale) di Monaco sul patto transatlantico contro il COVID:
«Quanto sta avvenendo in Israele, il Paese più avanti con le vaccinazioni, dimostra d'altra parte - come afferma Anthony Fauci, principale consigliere sanitario di Biden - che gli antivirus funzionano contro il contagio e dunque ciò giustifica impegnare più risorse per accorciare i tempi dell'uscita dal tunnel della pandemia venuta da Wuhan. La coincidenza di intenti ed azioni fra Biden e Draghi ha per cornice la comune, granitica, fedeltà all'Alleanza transatlantica, nella reciproca convinzione che le democrazie traggono la forza maggiore dalla coesione. Da qui l'importanza del piano concordato al summit virtuale del G7 per rispondere alla pandemia con un'azione comune. La decisione di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Giappone e Canada di destinare 7,5 miliardi di aiuti al programma internazionale "Covax" va ben oltre il sostegno finanziario ai Paesi bisognosi di risorse per acquistare i vaccini perché implica una convergenza su tre punti-chiave. Primo: per battere il Covid-19 bisogna agire assieme. Secondo: le misure protettive non devono riguardare solo i propri Paesi ma devono essere globali per debellare il virus. Terzo: l'Organizzazione mondiale della Sanità (responsabile del "Covax") va rafforzata, non indebolita, al fine di migliorare la difese da nuove, possibili, pandemie.»
MIELI FA PECCATO
Paolo Mieli, grande firma del giornalismo italiano, ieri ha rilasciato un’intervista radiofonica in cui ha fatto peccato. Nel senso del proverbio andreottiano: “A pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca…”. Mieli ha insinuato che potrebbe partire una congiura dei magistrati contro il nuovo Governo Draghi “troppo forte” per la casta in ermellino. E una controprova sarebbe l’avversione al Governo di Marco Travaglio e de Il Fatto, vicino ai grillini dissidenti. Travaglio risponde oggi in prima del suo giornale:
«Se Paolo Mieli fosse uno dei tanti cazzari della cosiddetta informazione, non meriterebbe una riga di replica. Ma siccome non dice mai nulla per niente, i suoi apparenti deliri a Radio24-Confindustria vanno segnalati e decrittati: "Guardo cosa bolle in pentola e vedo che il Fatto Quotidiano è schierato con gli scissionisti 5Stelle Sarebbe una forma di libera espressione giornalistica se non sapessimo che il Fatto è molto caro alla magistratura più militante". (…) Ora, per strano che possa sembrargli, la linea del Fatto la decide il Fatto, non i dissidenti M5S né i pm militanti (più o meno). Ed è la stessa da sempre: no a governi-ammucchiata usciti dal cilindro del Colle all'insaputa degli elettori e guidati da tecnici-salvatori della patria; fuori dalle istituzioni il partito del pregiudicato-prescritto-imputato finanziatore della mafia. Quanto alle inchieste che han messo nei guai premier o ministri, nascevano da notizie di reato. Non certo dalla prava volontà di pm militanti (più o meno) di compiacere il Fatto o colpire chi riforma la giustizia (peraltro riformata 120 volte in 27 anni). L'idea che il sottoscritto sia il capo dei pm militanti (più o meno) è affascinante. (…) Quindi, se Mieli teme che sia indagato qualche ministro di Draghi, cosa assai possibile visto il ritorno in maggioranza di tutto il vecchio magnamagna, non ha che da invitarli tutti a rispettare il Codice penale o a riesumare il Lodo Alfano per metterli al riparo dalla giustizia. Se invece sa qualcosa di indagini già aperte e tenta di screditarle o bloccarle preventivamente, lo dica e lasci perdere il Fatto. Questi giochetti, con noi, non attaccano.»
Lo s tesso tema viene accennato da Paolo Liguori nel fondo de Il Giornale: la giustizia vero nodo dentro i 5Stelle ma anche per il destino del nuovo governo Draghi. Scrive Liguori:
«Il governo Draghi ha fatto deflegrare la crisi latente nel Movimento 5 Stelle, con il paradosso che i grillini difensori dei valori originari (discutibili, ma quelli erano) sono espulsi da Grillo, Crimi e Di Maio, le stelle del governo. È un paradosso che porterà forse ad una nuova formazione in Parlamento (ecco che c'azzecca Di Pietro), ma probabilmente a una guerriglia da parte di quelle forze della magistratura che, all'improvviso, si sentiranno abbandonate, guidate dal quotidiano di Travaglio. Draghi non deve temere i partiti che si curano le ferite, ma queste forze improprie, che hanno sistematicamente avversato i governi «disobbedienti», deve temerle molto. In questo senso, le prime mosse della ministra Cartabia, avocare a sé e alla riforma della giustizia penale il tema della prescrizione, sono prudenti e vanno nella direzione giusta.»
5 STELLE: LE ESPULSIONI
Caos 5 Stelle. Chi ha votato no o chi era assente?Cacciarli tutti, dicono dai vertici grillini. Ma Roberto Fico, per dirne una, risulta assente sui tabulati elettronici del voto di fiducia alla Camera per Draghi. Ed è escluso che la sua assenza sia stata motivata da un dissenso politico. Dunque andranno vagliate bene dai vertici le giustificazioni. E tuttavia la decisione è presa. Racconta sul Corriere Alessandro Trocino:
«Sono entrati nella legislatura con un plotone di 338 parlamentari agguerritissimi e in tre anni ne hanno persi per strada già una novantina, a cominciare dai primi cinque cacciati prima ancora di mettere piede in Parlamento. Ieri l'ultimo atto, con l'avvio del procedimento di espulsione dal Movimento (oltre che dal gruppo) di una truppa di 15 senatori e 21 deputati. Ma non è finita, perché si stanno valutando le motivazioni degli assenti e si è aperta la procedura per chi è in ritardo con la rendicontazione e le restituzioni.»
Alessandro Di Battista, che era stato visto per qualche ora come possibile leader di una forte opposizione alla linea Grillo, un po’ si smarca. Ieri ha fatto una lunga diretta Facebook. Ecco la cronaca, a tratti entusiasta, del Fatto:
«Lo chiamano "guerriero" e lo implorano: "Prendi in mano tu la nostra vita", "non mollare, siamo in tanti", "dicci cosa farai", "devi scendere in campo", "lasciamoli soli in poltrona". Lui però li lascia appesi: "Non sto capitanando correnti, scissioni, partiti. Non mi candido all'organo collegiale: mi sto dedicando, come persona che ha lasciato il Movimento 5 Stelle, a portare avanti battaglie che altrimenti non avranno voce". È convinto che in Parlamento l'opposizione non la farà nessuno, nemmeno Giorgia Meloni. E allora si è messo in testa di cannoneggiare da fuori, contro tutti quelli che "hanno disatteso quello che avevano detto nelle ultime settimane". E i primi sono loro, i suoi vecchi compagni di avventura, che non sono "andati dritti" come gli avevano promesso e hanno deciso di fidarsi di quel Mario Draghi contro cui, un paio d'anni fa, giravano l'Italia in tour per denunciare la "bancocrazia" che ha distrutto il Paese. Per lui, invece, l'ex presidente della Bce è ancora "l'antitesi di tutto quello in cui credo. Se si converte bene, ma non mi fido". Ripete che se fosse stato in Parlamento avrebbe votato no e dunque sarebbe stato espulso come i 40 appena cacciati. E avrebbe impugnato la decisione: "A chi me lo ha chiesto ho consigliato di fare ricorso", dice, dando anche il suo sostegno a chi, ieri, ha ipotizzato di far votare gli iscritti sui provvedimenti avviati dai probiviri: "Magari con un quesito chiaro - aggiunge -. Ma questo è un problema del Movimento 5 Stelle". Non è più affar suo, insomma. (…)»
La Repubblica intervista Dino Giarrusso, che invece si autopromuove come membro di quel Direttorio (nome e numero dei membri è lo stesso del governo collegiale francese dopo il Terrore giacobino) composto da 5 persone che dovrebbe sostituire il Capo politico, alla guida del Movimento.
«L'eurodeputato Dino Giarrusso ha deciso di candidarsi al direttorio dei cinque che sostituirà la figura del Capo politico. Nelle votazioni (mai rese pubbliche) agli Stati Generali arrivò secondo dopo Alessandro Di Battista e prima di Luigi Di Maio. Le possibilità che quindi riesca a entrare sono molte. È il primo a buttarsi nella mischia, in un momento drammatico per il M5S. Perché questo passo? «Lo faccio per unire, ricucire, valorizzare gli attivisti. Oggi più che mai serve unità, occorre tenere insieme la forza rivoluzionaria che abbiamo sempre avuto. Le diverse anime del M5S possono convivere. (…) "Dibba" contesta il fatto che sia stata cambiata repentinamente la linea, ne parla come se fosse stato tradito lo spirito del M5S. «Sull'idea di non ritornare con Renzi dopo la caduta di Conte la penso come lui. Sul voto in Parlamento no: c'è stata una scelta degli iscritti, e una volta che si consultano gli attivisti il responso è sacro, altrimenti cosa votiamo a fare?». Però in pochi hanno deciso di cambiare linea su Draghi nel giro di 24 ore. «La parola "mai" su Draghi è stata usata con troppa celerità, sì. Che Beppe Grillo abbia cambiato il panorama mi pare evidente, è stato decisivo, ma ricordo che senza di lui nessuno di noi sarebbe qua. Poi per carità: non si è stati capace di parlare con una voce sola, ma forse qualcuno voleva solo una scusa per smarcarsi». Il fronte progressista con Pd e sinistra è il futuro del M5S? «Abbiamo fatto bene in entrambi i governi Conte perché sono emersi i nostri valori e provvedimenti. ».
LA DEMOCRAZIA DEI 5STELLE, CONTE E IL PD
Il Fatto continua a sostenere che i veri grillini, gli autentici, i coerenti, sono quelli che non seguono Grillo. È una logica anche ammissibile per un’organizzazione tipo setta o chiesa. Se ci pensate, in fondo, Grillo è il Papa, Casaleggio è l’anti Papa. Si scomunicano continuamente a vicenda. Io nel giusto, tu fuori. Battuta facile sui social: sono diventati i 5 Espelli. Ma la questione è molto seria e dovrebbe interessare tutti gli italiani. E innanzitutto i leader del PD che vogliono un’alleanza organica con i grillini. Infatti c’è un’ultima domanda di fondo su un Movimento politico importante, comunque alle ultime elezioni primo in Italia, con più del 30 per cento dei consensi, che ha fatto in due anni di Governo passi da gigante sulla strada di una sua “costituzionalizzazione”. Hanno abbandonato molte follie, dal No Vax alle scie chimiche, hanno dimostrato di poter stare nella stanza dei bottoni senza distruggere tutto. Ma il tema della democrazia interna è forse l’ultimo grande tema nella lunga marcia verso la “maturità” (copyright Di Maio). Non a caso insieme ad una scarsa sensibilità dimostrata sulla mancata democrazia interna in Paesi fortemente autoritari o dittatoriali come la Russia o la Cina. Su Repubblica interviene Graziano Delrio che sembra voler restringere l’idea dell’accordo coi 5Stelle:
«L'avvento di Draghi ha sconvolto il quadro politico e c'è chi pensa che l'alleanza strategica Pd-5S non abbia più molto senso. E lei? «Strategica è una parola sbagliata. Penso che oggi occorra trovare delle ragioni per stare insieme. E la sinistra con gli altri alleati debba rintracciarle nell'ecologia integrale: significa che le questioni ambientale, economica e sociale vanno tenute insieme in un unico modello di sviluppo. Tale scelta è affine ad un'intesa con il M5S. Se posso fare una critica è non essere riusciti a individuare una bandiera comune in questo orizzonte culturale, con l'attenuante che c'è stata di mezzo una pandemia».
Goffredo Bettini su La Stampa torna a difendere invece proprio la visione politica di un’alleanza con i 5 Stelle:
«Conte continua ad avere una grandissima popolarità. È caduto non per il fallimento del suo governo che ha ottenuto risultati importanti, ma per una manovra politica. Spetta a lui decidere cosa fare, ma credo che i suoi avversari si illudono se pensano di poterlo togliere dal campo. Rimane una carta decisiva del fronte democratico. Riferimento di tanti cittadini semplici, dei giovani attenti alle tematiche ambientali, di dinamici ceti moderati e produttivi». Il caos nei 5 Stelle bloccherà la costruzione di un'alleanza stabile? «I 5 Stelle hanno contribuito nel governo Conte II alla salvezza dell'Italia. Per continuare ad esercitare un ruolo positivo nel governo del Paese stanno pagando con generosità prezzi molto alti. Non so quale sarà il loro approdo. So, comunque, che il sistema politico italiano sta attraversando mutazioni, ristrutturazioni e possibili ricomposizioni rapide e imprevedibili. In questo quadro anche la stucchevole discussione nel Pd "con i 5Stelle sì, con i 5Stelle no" è in molti casi una pura esigenza di posizionamento interno. Occorre leggere le dinamiche in atto e guardare al futuro; capire, per quanto riguarda il mio partito, che funzione vuole svolgere in Italia e in Europa».