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Pugno duro con i fagottari 2
Divieti pasquali solo per chi si sposta all'ultimo. E non in aereo. Il Senato vota l'assegno unico. Il Pd la nuova capogruppo alla Camera. Liberato Suez. Processo Usa agli agenti per la morte di Floyd
Scusate questa mattina per un errore tecnico, vi è arrivata una prima Versione solo coi titoli. La rimando sperando di rimediare
Il virus è entrato anche nell’uso delle parole. La pandemia ci sta regalando altri due orrendi neologismi: aperturisti e chiusuristi. I primi sono quelli che vorrebbero tenere aperte le attività commerciali, i secondi sono invece i rigoristi che temono il contagio e spingono per il lockdown. È qualche giorno che queste due espressioni hanno preso piede, dovendo raccontare il dilemma politico fra Salvini e Draghi. La verità è che, per stare a quello che accade, nessuno vuole arrivare davvero allo scontro. Ieri nell’incontro fra Regioni e Governo lo stesso Mario Draghi si è presentato per una mezz’ora. In tempo per dire che l’immunità potrebbe arrivare già a luglio prossimo. Certo i nodi sono tanti. Non solo perché venga rispettato il ritmo della campagna vaccinale, che pure sta dando segni di accelerazione. Avvicinandosi le vacanze pasquali, la vicenda del turismo e della libertà di movimento sta assumendo caratteri grotteschi. Non si potrà andare nelle città d’arte ma all’estero, in aereo, sì. Oggi il ministro Garavaglia cerca di dare spiegazioni (e una prospettiva positiva) in un’intervista al Corriere. Resta sempre la spiacevole sensazione che i ricchi ci rimettano di meno, per dire le cose in modo brutale. Anche in Italia il sistema dei divieti e delle chiusure premia, forse non volendolo, chi se lo può permettere. Prendete la proibizione per le seconde case fissata da Toti in Liguria: scatta dalla mezzanotte di domani, mercoledì. Chi può permettersi di partire prima? E chi invece si muove all’ultimo, solo per i giorni di festa? A Roma i pendolari del fine settimana, o meglio proprio della giornata di festa, sono chiamati i “fagottari”. L’immagine evoca la ferrovia Roma – Lido di Ostia, l’estate in spiaggia partendo la mattina e tornando la sera. Il “fagotto” è quello del pranzo e degli asciugamani. Con tutto il rispetto le chiusure sono pesanti per i fagottari di Pasqua… per gli altri un po’ meno.
I giornali parlano di molte altre cose. Oggi il Senato dovrebbe definitivamente varare l’assegno unico per le famiglie. È un passaggio importante. Sempre oggi si vota alla Camera la nuova capogruppo del Partito Democratico. O la Serracchiani o la Madia. Grandi polemiche suscita il Renzi d’Arabia, le cui giustificazioni sul viaggio in Bahrein non convincono tutti. Dall’estero: due grandi eventi. Liberata la nave che bloccava il traffico nel Canale di Suez. Comincia in Usa il processo contro gli agenti responsabili della morte dell’afroamericano Floyd, soffocato in otto minuti. Vediamo i titoli di oggi.
LE PRIME PAGINE
C’è chi la mette in chiave sportiva, come l’Avvenire: Pronti allo scatto. Lo scatto sarebbe poi quello dei vaccini. Per il Corriere della Sera li troveremo ovunque: I vaccini anche in farmacia. La Stampa si focalizza su una frase detta con i Presidenti di Regione: Draghi: a luglio immunità di gregge. Mentre la Repubblica continua a vedere tensioni: La fronda dei governatori. Libero sottolinea che i tanti annunci possono creare l’effetto contrario: Draghi promette. Il governo non fa. Il Giornale è più fiducioso: Vaccini, è la volta buona. Il Quotidiano Nazionale punta sulla performance degli inglesi: La lezione di Londra alla Ue: zero morti. Il Messaggero cerca di capire quando e come si riaprirà: Riaperture, i nuovi criteri. Mentre per La Verità restiamo: RINCHIUSI E MAZZIATI. Il quotidiano economico Il Sole 24 Ore va sul tema dell’antidoto italiano: Vaccini, prove tecniche di filiera italiana. Dieci aziende in pole per la produzione. Nel continuo paragone col governo passato di Conte Il Fatto spara: Dl Sostegni, meno soldi dei dl Ristori. Il Domani torna sul ricatto dei giudici a proposito dei vaccini: Le toghe minacciano di rallentare la giustizia più lenta d’Europa. Mentre il Manifesto è l’unico giornale a titolare in prima sul processo iniziato in Usa contro gli agenti che hanno provocato la morte di Floyd: All’ultimo respiro.
APERTURISTI CONTRO CHIUSURISTI
I presidenti di Regione si sono incontrati col Governo, presenti i ministri Gelmini e Speranza. In segno di dialogo e distensione, Mario Draghi ha partecipato per mezz’ora all’incontro. Monica Guerzoni sul Corriere della Sera:
«L'anima aperturista lotterà fino a domani per far ripartire già a metà aprile settori come la ristorazione, mentre i rigoristi si batteranno per tenere chiuso. «Perché dobbiamo illudere le persone?» ripete il ministro della Salute, per il quale la verifica dei dati c'è già ed è quella che fanno ogni venerdì gli esperti dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss). Al leghista Massimiliano Fedriga, che ha insistito con la richiesta di ripristinare nel decreto la fascia gialla, Speranza ha risposto che i numeri restano preoccupanti. «Gli scienziati del Cts hanno detto che con la variante inglese la zona gialla non ce la possiamo permettere - ha ammonito il ministro della Salute -. Potremo ripristinarla solo quando avremo un numero sufficiente di vaccinati». Che il livello di attenzione sui contagi resti altissimo lo ha fatto capire il presidente della Protezione civile Fabrizio Curcio, quando a Genova, prima della riunione con l'ex presidente della Bce, ha detto «siamo in guerra, servono norme da guerra». L'accordo per somministrare i vaccini nelle farmacie, siglato da Speranza, è una di queste. E un'altra norma da guerra è la bozza del decreto 7 aprile. Per contenere al massimo gli assembramenti e impedire che riparta la movida, l'Italia resterà in fascia arancione e rossa fino al 30 del mese. E c'è un altro delicatissimo aspetto sul quale Draghi ha tenuto il punto: le scuole. Per diversi presidenti leghisti tenerle aperte non è la priorità, soprattutto se bar e ristoranti restano chiusi. Il governatore della Calabria Antonino Spirlì ha alzato la voce, altri governatori leghisti gli hanno dato ragione. Ma il premier e il ministro Speranza, sostenuti da Stefano Bonaccini, non cambiano idea: quel «piccolissimo tesoretto» di libertà che la prima piegatura della curva epidemiologica consente va speso per far tornare in classe gli studenti».
La Repubblica presenta il vertice Regioni-Governo come uno scontro tra i leghisti, spinti da Salvini, e Speranza – Draghi che tengono il punto sulle misure decise. C’è anche un’intervista al Presidente della Regione Veneto Luca Zaia.
«Ha parlato con Salvini? «Sì. La sua posizione mi sembra responsabile, serve buonsenso, come sta avvenendo per le scuole». Ma lei già dopo Pasqua riaprirebbe ristoranti e palestre? «Nessun governatore è irresponsabile di fronte alla situazione sanitaria, abbiamo tutti la testa sulle spalle. Ma va considerato il fatto che il rispetto delle regole dei cittadini (distanziamento, lavarsi le mani, mascherine), vale più dei lockdown rigidi. La Germania, che è chiusa da dicembre, non è messa meglio di noi». Qual è il bilancio del Veneto? «In un anno abbiamo perso 65mila posti di lavoro, 35mila solo nel turismo. Se il Veneto si piglia un raffreddore scoppia un'influenza a livello nazionale». Pensate di riuscire a far cambiare idea al governo? «Non ho ancora capito qual è il loro progetto. So solo quello che leggo sui giornali». Draghi e Speranza sono per la linea dura. «Abbiamo sette giorni per decidere insieme i contenuti del Dpcm, che spero venga scritto a due mani con le Regioni. Bisognerebbe anche farsi sentire in Europa». In che senso? «Non è possibile che sia vietata la circolazione in Italia e poi uno, facendo il tampone, possa volare da turista alle Canarie». Draghi l'altro giorno è stato troppo severo con voi governatori? «Ieri, durante il vertice, ho detto che governo e regioni sono come dei gemelli siamesi, io credo nella leale collaborazione tra le istituzioni». (…) Insomma, vorreste mandare un segnale incoraggiante al Paese, ma i numeri restano impietosi. Non è contraddittorio? «Sì, li vedo anch' io. Tuttavia dopo un anno di pandemia nessuno può dire di avere la verità in tasca. Né i catastrofisti né gli aperturisti».
Il Lazio va veloce, si stanno già prenotando quelli nati nel 1953. Il Corriere della Sera intervista il presidente della Regione Nicola Zingaretti presentato, con un neologismo, come “anti - aperturista”.
«Vaccinate più di tutti con meno medici: qual è stato il vostro segreto? «Non c'è dubbio: la scelta di dare una priorità assoluta al tema anagrafico, all'età e alle persone con fragilità. C'è una motivazione etica dietro questa scelta, innanzitutto. È vero che tutti rischiano di prendersi il Covid, ma la differenza è che loro sono tra quelli che se lo prendono rischiano di morire più di altri. Quindi noi abbiamo resistito alle incursioni di chi non riteneva centrale questo aspetto. E poi anche la semplificazione dell'organizzazione della macchina ha giovato. Noi abbiamo deciso di vaccinare per fasce d'età e in tre grandi comparti: sanità, formazione, e sicurezza. Tutto ciò ci ha permesso di aprire ora alle prenotazioni dei 68-69enni: abbiamo già 65 mila richieste». Non avete paura che la scarsità di vaccini rallenti il vostro lavoro? «Più che paura è una preoccupazione. Infatti l'elemento di maggiore difficoltà nella programmazione, soprattutto per i vaccini che hanno il richiamo, è legato alla certezza delle forniture. Soprattutto quando i numeri cominciano a essere importanti. Oggi (ieri per chi legge, ndr) nel Lazio arriviamo a un milione di vaccinati. Quindi ora per noi è molto importante che i rifornimenti abbiano dei flussi regolari e che le case farmaceutiche non facciano scherzi perché altrimenti la campagna vaccinale rischia». Che cosa pensa della possibilità degli acquisti regionali di vaccini? È stato motivo di tensione tra Stefano Bonaccini ed Enzo De Luca... «Io credo che una volta che Ema e Aifa hanno validato un vaccino debba essere lo Stato ad acquistarlo. Così si ottengono più trasparenza e una dimensione maggiore degli acquisti. Quello che trovo molto importante, e lo dico da mesi, è che si lavori pancia a terra anche sulla produzione industriale dei vaccini. Noi sappiamo che ci sono miliardi di esseri umani che giustamente richiedono e rivendicano un accesso ai vaccini. Quindi lo dico con uno slogan: mettiamo in produzione i vaccini in qualsiasi sito del mondo questo sia possibile. E andrebbero fatti anche gli investimenti per la riconversione, affinché ci sia un approvvigionamento che dà certezze perché altrimenti si rischia di determinare quelle vecchie discriminazioni che sostanzialmente avvantaggiano i più forti. Dobbiamo avere come riferimento le parole di papa Francesco sul vaccino bene comune ed evitare che questo diritto universale venga negato ai più poveri». Cosa pensa dello Sputnik? «Credo che ora occorra fare tutte le sollecitazioni possibili presso l'Ema perché corra nella validazione o no di questo vaccino. Alcune settimane fa è stato annunciato che la decisione verrà presa a fine aprile. Io mi auguro che siano solo tempi tecnici, non burocratici o geopolitici a ritardare così tanto la validazione». (…) C'è stato un cambio di passo con il governo Draghi? «Siamo entrati nel vivo della campagna vaccinale nell'ultimo mese, questo va detto. Quindi ora questa campagna sta avendo delle dimensioni di massa. Ma diciamo la verità, quello che non ci si aspettava, come ha detto anche Draghi, erano i buchi e gli slittamenti delle forniture da parte delle grandi aziende farmaceutiche. Quello è stato l'elemento che ha rischiato di mettere in difficoltà la procedura». (…) Lei è «anti-aperturista»... «Lo sono io ma lo è anche la logica. Dopo un anno che cos' altro deve succedere per capire che l'unico modo per far ripartire l'economia è sconfiggere il virus? Piuttosto, e mi sembra che Draghi lo abbia ribadito, bisogna far arrivare i soldi dei ristori e dobbiamo sapere che potremmo aver bisogno di un'altra iniezione di liquidità perché non possiamo permetterci la desertificazione delle piccole e medie imprese, dei negozi al dettaglio e della ristorazione. Ma fare finta che il virus non esiste per fare ripartire l'economia vuol dire condannare queste attività economiche alla morte certa perché significa far rialzare la curva epidemiologica».
TURISMO DI CLASSE?
Paradossi delle vacanze pasquali: andare all’estero si può, mentre in Italia siamo in zona rossa. Con le città d’arte chiuse. Gli albergatori sono inferociti. Ne parla il Ministro del Turismo, il leghista Massimo Garavaglia, sul Corriere della Sera.
«Comprendo l'atteggiamento degli albergatori, ma questa estate sarà come quella del 2020. Anzi, sarà anche migliore». Gli imprenditori turistici italiani non ne sono così sicuri. «Invece sbagliano ad essere così preoccupati, anche loro sanno che questa estate sarà diversa. Prima di tutto ci sono i vaccini, ma poi abbiamo l'esperienza del passato, i comportamenti sono più responsabili, i protocolli ormai sono collaudati, io sono molto ottimista». Ma a Pasqua gli alberghi sono chiusi, rischiamo un aprile ancora in zone rosse o arancioni, è difficile essere ottimista per un imprenditore che ancora non sa se tra un mese potrà rimettere in movimento il suo albergo. Lo scorso anno la stagione turistica partì a fine giugno... «Io voglio essere chiaro: gli automatismi che ci sono nelle chiusure sono gli stessi che devono esserci nelle aperture, significa perciò che così come si chiude tutto appena i dati sul Covid sono negativi, con la stessa velocità si riapre tutto appena i dati diventano positivi. Il mio auspicio è riaprire molto prima dello scorso anno». Sta dicendo quindi che in maggio potrebbe ripartire la stagione turistica? «Non spetta a me dirlo, i dati dipendono dal ministero della Salute e io non voglio fare promesse che non posso mantenere, ma mi auguro che si possa tornare il prima possibile a fare una vita normale, cioè appena i dati lo consentono. Quando si può tornare a girare, si può riaprire tutto». Ma intanto a Pasqua dobbiamo restare tutti a casa, a meno che non si prenda un aereo: le sembra sensato? «Il turismo è sia in entrata che in uscita, cosa dobbiamo fare? Impedire alle persone di partire? L'obiettivo di tutti è tornare al più presto a garantire anche la mobilità interna, per questo è fondamentale accelerare il piano vaccinale. Se però mi chiede che senso ha un divieto di circolazione tra le zone arancioni, le rispondo "nessun senso". L'ideale sarebbe entrare dopo Pasqua tutti in zona gialla e tornare a muoversi, ma dipende solo dai dati». State pensando ad un «piano vacanze» per attrarre turisti stranieri, un po' sul modello della Grecia? «Non credo ce ne sia bisogno, gli stranieri continueranno a venire in Italia, e poi non ci sono solo gli europei: nel 2019 il 67% delle presenze straniere è stato di turisti extraeuropei. Però io proporrò in Consiglio dei ministri una decontribuzione flessibile per le imprese del settore del turismo che richiamano i lavoratori dalla cassa integrazione, ora non è possibile e invece è necessaria. E stiamo pensando a delle soluzioni finanziarie per alleggerire la situazione debitoria delle imprese turistiche». Ci saranno altri sostegni economici? «Sì, come ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, chiederemo un nuovo scostamento di Bilancio per dare nuovi aiuti. Ma io penso che poi presto i sostegni arriveranno dal fatturato». In molti hanno giudicato insufficienti gli ultimi indennizzi, i prossimi saranno più consistenti? «Quello che si poteva fare è stato fatto. Ma va distinta la modalità di calcolo basata sull'intero anno col fatto che questo è un sostegno per soli due mesi. Va anche detto che il contributo a fondo perduto dato da questo governo è pari alla somma di quello dei 5 decreti del governo Conte». Anche per questa Pasqua le città d'arte resteranno deserte. Perché non aprire gli alberghi almeno lì? «Per le città d'arte c'è un fondo da 200 milioni di euro, una goccia nel mare, lo so, ma bisogna avere ancora un po' di pazienza». Il «passaporto vaccinale» cambierà tutto? «Stamattina (ieri, ndr) abbiamo avuto una videocall con tutti i ministri del Turismo dei Paesi europei: siamo tutti d'accordo sull'accelerare questo green pass per circolare liberamente nei Paesi dell'Unione, ma non sarà solo un passaporto vaccinale, è un lasciapassare per chi è vaccinato o ha fatto il tampone, questa sarà la vera svolta per tornare a viaggiare».
Secondo Il Fatto, non è solo Marco Travaglio a rimpiangere il Governo precedente. Anche sul piano dei rimborsi, ristori o sostegni che dir si voglia, Conte sarebbe stato meglio di Draghi. I dati nell’articolo di Patrizia de Rubertis (titolo: Pochi soldi, piccoli gabbati: Sostegno peggio dei Dl Ristori) sono forniti dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro.
«Le categorie produttive coinvolte, dopo aver lungamente protestato per gli esigui contributi ottenuti, ora già rimpiangono i decreti precedenti che hanno previsto aiuti più elevati. E aspettano che il premier Mario Draghi attivi altri interventi. Si parla di un sesto decreto (e un nuovo scostamento di bilancio) che detterà anche le nuove regole per stabilire l'effettivo ammontare dei contributi a fondo perduto che, questa volta, dovrebbero andare solo alle imprese costrette a ulteriori misure più restrittive. Insomma, un piano di ristori che è l'esatto contrario di quello seguito dal decreto Sostegni che, abolendo i codici Ateco, da oggi distribuirà 11,5 miliardi di euro a una platea più ampia di beneficiari agevolando perlopiù le imprese che fatturano oltre 5 milioni di euro e lasciando ai piccoli le briciole. Tagliati fuori anche imprese e professionisti con un calo di fatturato minore del 30% tra il 2019 e il 2020 (…) "I dati parlano da soli. L'ultimo decreto è un mini-sostegno che a piccoli e medi imprenditori non basterà a pagare un mese di affitto dei locali, ma ha accontentato le imprese che fatturano fino a 10 milioni, prima escluse da tutte le disposizioni", commenta Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro».
SCUOLA: NIENTE 6 POLITICO CON LA DAD
Doccia fredda per gli studenti italiani. Gianna Fregonara sul Corriere della Sera torna a spiegare che la piccola pacchia legata all’emergenza è finita: si torna a rimandare e bocciare come sempre, anche se la maggior parte del tempo è passata in Didattica a distanza.
«Il ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi conferma che quest' anno sarà possibile rimandare e bocciare gli studenti che non raggiungono il livello di preparazione per passare alla classe successiva. Tornano in vigore le norme pre-Covid. Niente 6 politico, niente promozione automatica: «Non sono previste ulteriori ordinanze sulla valutazione degli studenti», fanno sapere dal ministero. È questa la risposta ai dubbi degli insegnanti e dei presidi su come si farà - soprattutto alle superiori - a valutare gli studenti alla fine di un anno così complicato come questo: in alcune regioni a scuola in presenza gli studenti sono stati per una manciata di settimane. Ma secondo Bianchi quest' anno non si può paragonare allo scorso quando è stata decisa la promozione per tutti: la Dad dall'autunno è stata regolata addirittura nell'integrazione del contratto degli insegnanti. Sono stati distribuiti pc e tablet, attribuiti alle scuole fondi per internet. Dunque la questione di cosa fare con gli studenti che hanno delle insufficienze passa nelle mani dei consigli di classe: sarà ogni scuola a stabilire quanta flessibilità usare negli scrutini di fine anno. L'unica deroga potrà essere quella riguardante il numero di giorni di frequenza, come già previsto per l'ammissione alla maturità. Chi non sia riuscito a seguire le lezioni via Dad per difficoltà di connessione o comunque per problemi legati al Covid potrà comunque passare all'anno successivo se ha tutte la sufficienza in tutte le materie».
I VACCINI E I BREVETTI DIVIDONO IL MONDO
C’è un aspetto forte di geo politica: i Paesi si giocano una grande partita d’immagine. Chiarissimo nel caso di Putin, dei cinesi, degli Usa. E sicuramente la Brexit ha messo il turbo agli inglesi di AstraZeneca, che col vaccino hanno a tratti umiliato l’Europa. La Stampa intervista il premio Nobel Mohammad Yunus che rilancia l’abolizione dei brevetti.
«Il Premio Nobel per la pace Mohammad Yunus, con al seguito personalità di alto profilo, si è fatto promotore di un'iniziativa globale per la liberalizzazione dei brevetti. Professor Yunus, che ripercussioni può avere questa scelta del Wto? «Non vedo molto sostegno da parte dei leader politici per rendere il vaccino un bene senza brevetto. L'iniziativa intrapresa dall'India e dal Sud Africa durante la riunione del Wto è stata una grande speranza. Ma non è riuscita a generare sostegno dai Paesi ricchi. Molti Paesi che hanno ricevuto la prima fornitura di vaccini potrebbero non ricevere i rifornimenti successivi o in prossimità di essa, se la capacità di produzione globale viene mantenuta legata alla capacità delle società farmaceutiche proprietarie di brevetti. Nel frattempo le frustrazioni in tutto il mondo non possono che essere espresse come "apartheid vaccinale", "nazionalismo vaccinale" o "tribalismo vaccinale". Molti leader hanno già sottolineato la crisi morale che questa situazione rappresenta per tutti noi». Perché la politica non è riuscita a tradurre una voce così plurale e di alto profilo? «I leader politici considerano più nel loro interesse sostenere le grandi aziende che contribuiscono all'economia nazionale. Ma di fatto scelgono il profitto, di proteggere l'economia a spese delle persone. In termini politici, le nostre voci non hanno potuto contrastare il peso delle aziende farmaceutiche così come quelle che beneficiano delle loro attività». Sull'aspetto economico, i Paesi più poveri hanno meno tutele, a maggior ragione la pandemia sconvolgerà diversi equilibri. Quali sono i rischi più gravi che questi Paesi si troveranno ad affrontare nei prossimi anni? «Tanto per cominciare, gli equilibri nelle società colpite dalla pandemia non erano saldi. Il mondo era su un percorso suicida, e ad un punto di esplosione. La macchina economica pre-pandemica creava continuamente distanza tra le persone e la ricchezza. Questa macchina ha mantenuto la maggior parte degli esseri umani nella parte inferiore del livello di reddito, mentre il 99% della ricchezza è distribuito a una manciata di persone. La pandemia ha peggiorato questa distanza tra le persone e la ricchezza perché le persone hanno perso il loro reddito e il loro sostentamento in modo massiccio mentre il reddito e la ricchezza dei super ricchi continuavano a salire. In questo quadro, la pandemia ha almeno fermato o rallentato il motore economico e ci dà l'opportunità di costruire un nuovo motore economico in grado di unire persone e ricchezza e di tenerle insieme. (…) Dobbiamo dimostrare la nostra consapevolezza a partire dal vaccino: il vaccino non riguarda solo la protezione da un virus, ma la protezione da noi stessi». È chiaro come il vaccino per i Paesi più poveri sarà un bene difficile da conquistare, come pensa si possa affrontare questa emergenza? «La verità, è che abbiamo sbagliato fin dall'inizio della pandemia. Non appena individuato il nemico globale, bisognava convocare una riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza Onu per avviare un processo per proteggere ogni singola vita sul pianeta. Lo si può fare ancora adesso. Elaborare un piano di protezione globale, per sostituire quello egoistico esistente».
Ma siamo sicuri che i vaccini siano davvero un grande affare economico? Ad enfatizzare l’idea dei grandi profitti e della doverosa abolizione dei brevetti, com’è naturale, è stata sì una posizione come quella di Yunus, ma anche Bruxelles che ha scaricato molti ritardi sui famigerati “Big Pharma”, spesso presentati come grandi colossi industriali. Le grandi case farmaceutiche in realtà si sono tenute ben lontane dal “business” vaccini. Riccardo Ruggeri, ex grande manager della Iveco, oggi scrittore, è andato controcorrente, come suo solito. Ma a volte essere contro intuitivi, può offrire un altro lato della realtà. Scrive Ruggeri:
«Una contro intuizione: e se le “cattive” Big Pharma volessero sfilarsi dal business vaccini? Infatti lo considerano “difficile, poco redditizio, dagli esiti incerti”, quindi chi già c’è, se può ne esce, chi non c’è, ne sta fuori. La svizzera Novartis (il top!), anni fa, dopo aver bruciato miliardi nella ricerca, ha ceduto la sua divisione vaccini. Ricordiamo che PfizerBiontech e Moderna sono piccole case farmaceutiche, le uniche che da tempo investono sulla tecnica “mRNA”. La ricerca è strategica (nata sui tumori ndr), perché bisogna avere il coraggio di fare investimenti di lungo termine, assolutamente al buio, con poche probabilità di successo, a meno che non venga una pandemia, il che comporta però uno stravolgimento dei processi produttivi. L’opposto di ciò che vogliono gli azionisti di un’azienda dominante, la pianificazione della redditività. (…) La Commissione Eu e il team di Ursula von der Leyen hanno forse fallito anche nella negoziazione? Non hanno capito che il mercato era nelle mani dei “venditori”, e loro hanno puntato sulla centralizzazione. “Noi siamo l’Europa, 500 milioni di abitanti, garantiamo alti volumi in cambio di un prezzo equo (leggi non di mercato)” (…) Donald Trump ha avuto il coraggio, in tempi non sospetti, di investire “al buio” 20 miliardi di dollari sul “prodotto” e scegliere un generale per la distribuzione. Così oggi Joe Biden è, nei fatti, diventato trumpiano, dichiarando il suo America First sui vaccini. Boris Johnson, grazie a Brexit, si è assunto il rischio AstraZeneca e lo sta cavalcando con successo. (…) Benjamin Netanyahu si è accaparrato tutte le dosi necessarie per Israele (Paese, ricordiamolo, circondato da nemici mortali) con due mosse geniali: a) pagando di più del mercato; b) cedendo a PfizerBiontech tutti i “dati” prodotti dalla vaccinazione a tappeto del Paese».
IL GIORNO DELL’ASSEGNO UNICO
Veniamo alla politica italiana. I senatori votano oggi in via definitiva la più importante riforma economica sui nuclei familiari degli ultimi anni. Avvenire ne parla in prima pagina.
«Oggi, dunque, è il giorno dell'Assegno unico e universale: al Senato verrà votata in via definitiva la legge delega per la nascita di uno strumento unico di sostegno economico, corrisposto a tutte le famiglie con figli a carico. Importi precisi e modulazione sono ancora da definire, ma la misura andrà a tutti i figli dal settimo mese di gravidanza al 21esimo anno di età. Sostituirà assegni familiari attuali, detrazioni figli a carico, bonus bebè... e altri sostegni economici per la prole, e partirà dal primo luglio. La Legge di Bilancio ha stanziato 6 miliardi in più rispetto ai 15 oggi spesi per tutte le misure per i figli a carico. Ma con il nuovo Assegno qualcuno perderà rispetto a ora? Il tema continua a far discutere, e la risposta è molto semplice: no, non sarà così».
Giovanna Vitale su Repubblica intervista la ministra Bonetti sull’assegno unico in sostegno alle famiglie, che, come lei stessa conferma, dovrebbe essere erogato a partire da luglio:
«"L'assegno unico è un risultato storico perché finalmente facciamo un primo passo per cambiare le politiche familiari in Italia, rimettendo al centro le nuove generazioni, le donne, il sostegno alla genitorialità e la parità di genere". È molto contenta, Elena Bonetti: il Senato sta per licenziare una delle leggi a cui ha lavorato per oltre un anno e mezzo a cavallo di due esecutivi. Ma, a parte le polemiche su chi debba prendersene il merito, la ministra di Italia viva sarà soddisfatta solo quando, lei spera entro fine anno, sarà approvato l'intero pacchetto. (…) Ci spieghi allora cos'è e perché l'avete voluto. "L'assegno unico e universale è il primo pezzo di una riforma profonda e innovativa a servizio delle famiglie, che diventa legge dello Stato. Tutti i nuclei avranno una somma mensile a disposizione di ogni figlio, la cui quantificazione è commisurata al reddito e cresce dal terzo figlio in poi, a prescindere che i genitori siano lavoratori dipendenti, autonomi o incapienti. Ma questa, ripeto, è solo la prima delle misure del Family act: alla fine del percorso avremo una visione complessiva delle politiche familiari su educazione, natalità, sostegno alla genitorialità, lavoro femminile e autonomia dei giovani: con un approccio integrato e non come misure spot e disarticolate". (…) Draghi ha indicato un importo pari a 250 euro al mese per ogni figlio, se disabile anche di più. Ma stando ai calcoli più recenti, alcune famiglie potrebbero prendere molto meno. I 20 miliardi di dotazione saranno aumentati? "Il Mef sta facendo le quantificazioni precise perché nessuno ci perda. L'assegno è universale ma distribuito sulla base del reddito, è questo il vero cambio di approccio: andrà a tutti i bambini, indipendentemente dal contesto familiare, se cioè i genitori siano partite Iva o lavoratori dipendenti. Oggi non tutti ricevono lo stesso sostegno da parte dello Stato. Eppure, nel dramma che stiamo attraversando, le famiglie hanno pagato un prezzo altissimo alla pandemia, con i figli in Dad, i centri educativi chiusi, senza occasioni di socialità. Perciò io credo che se servirà un ulteriore investimento per sostenerle, specie chi è economicamente più in difficoltà, troveremo le risorse necessarie". Pensa che con il Family act avremo un'Italia più giusta, attenta ai bambini e alle donne? "Assolutamente sì. Diventeremo finalmente un Paese dove le donne e gli uomini potranno realizzare i propri progetti di vita. Che comincerà a guardare avanti, senza avere paura del futuro. È la differenza che passa tra politiche di sola assistenza e politiche di investimento"».
SERRACCHIANI O MADIA? OGGI SI VOTA
Oggi i deputati del Partito Democratico scelgono la nuova capogruppo. In lizza ci sono Serracchiani e Madia. I bookmaker danno favorita la prima, anche se la seconda ha svelato giochi di corrente e di potere, che finiscono per dare un’immagine non proprio rassicurante del PD. Annalisa Cuzzocrea su Repubblica.
«Non è una lite tra donne, è una battaglia sul metodo. Così la descrive Marianna Madia, che dopo la lettera-sfogo di sabato in cui in pratica rinfacciava al capogruppo uscente Graziano Delrio di aver detto: "sfidatevi", per poi assicurare che la partita se la aggiudicasse Debora Serracchiani, ha posto un'altra questione. Politica perché, dice, il ruolo del capogruppo pd alla Camera è il più politico che ci sia. Voleva che ognuna potesse presentare la propria proposta sui contenuti oggi, prima del voto. Il presidente di seggio Piero Fassino ha detto: «Se siete d'accordo». Ma l'ex presidente del Friuli-Venezia Giulia e i suoi sostenitori dicono no, perché non sono le idee, a doversi scontrare. Non è di questo che si parla, quando si deve guidare un gruppo di 90 deputati cercando di tenere tutti insieme. «Ma allora cos' è, una gara di bellezza?», chiede Madia (…) chi la vede dal punto di vista di Serracchiani, pensa che ci sia - nelle parole della rivale - una certa dose di ipocrisia e di cinismo. Una gara a dirsi più pura degli altri rispetto alle correnti per ingraziarsi il vertice del partito (Madia ha cominciato con Letta alla fondazione Arel). E quindi, non la voglia di una sana competizione, ma quella di macchiare un percorso solo perché non si è riuscite ad avere la meglio. Delrio rifiuta le accuse di aver tramato nell'ombra. Parla di ferita, per le parole di Madia. «Ha il pelo sullo stomaco di un bambino - dice di lui un deputato - come avrebbe potuto?». E però, più di tutto, pesano gli accordi. Chi sta con l'ex ministra dice: Serracchiani ha fatto un patto con Base riformista promettendo a Piero De Luca il posto di vicecapogruppo vicario. Chi sta con Serracchiani, ribatte: il patto lo aveva fatto Madia con Luca Lotti, ma i deputati di Base riformista si sono ribellati in assemblea perché non si sentivano abbastanza garantiti. «Io parlo con tutti - dice Marianna Madia - ma non ragiono in un'ottica di scambio. Penso che dobbiamo approfittare di questo momento per scegliere regole chiare, nei meccanismi decisionali, con arbitri imparziali». Per Serracchiani, invece, la competizione in corso è sana, se non per la voglia di qualcuno di macchiarla. E la politica è fatta anche di questo: di ambizione. Di accordi. Di consenso. Del resto, se fosse solo un gioco di correnti, tutto sarebbe come sempre già deciso. Non lo è. Si vota. A meno di passi indietro dell'ultimo minuto».
MATTHEW D’ARABIA
Matteo Renzi non ha molti amici nei giornali, ma soprattutto ci sono due testate che lo tengono nel mirino: Il Fatto e La Verità. Prendiamo dal Fatto (titolo Formula 1: Renzi non vuole dire il perché del viaggio in Bahrein) l’articolo di Rodano e Vergine.
«Il viaggio in Bahrein era per sport. Matteo Renzi rivendica la libertà di poter girare il mondo in pandemia anche solo per guardare la Formula 1. Di usare una prerogativa dei parlamentari - viaggiare all'estero senza quarantena - per uno svago privato. Sappiamo grazie al tampone effettuato in aeroporto, reso pubblico dal suo staff, che l'ex premier è arrivato a Manama sabato pomeriggio attorno alle 15, poi è andato al circuito a vedere le qualificazioni. La trasparenza del viaggio finisce qui: Renzi non vuole rendere pubblici gli incontri e le motivazioni della sua trasferta nel Golfo Persico. Se si accredita la sua versione, quella in Bahrein è stata una vacanza. Ne ha diritto? Tecnicamente le norme non glielo impediscono. I parlamentari si muovono come agenti diplomatici. Possono viaggiare e rientrare anche da Paesi extraeuropei senza doverne rendere conto. Il tema è stato sciolto da un parere del direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, che ha stabilito la deroga all'obbligo di quarantena per onorevoli e senatori "per proseguire il mandato parlamentare". Un'esenzione che in origine doveva "sanare" la situazione degli eletti all'estero, costretti a viaggi frequenti. Poi è stata interpretata in modo estensivo. Sarebbe logico e opportuno che queste missioni siano per l'esercizio delle funzioni parlamentari, ma non è un obbligo. Renzi sfrutta con disinvoltura questa opportunità».
Tommaso Labate e Claudio Bozza sul Corriere della Sera interpretano il caso dei viaggi del leader di Italia Viva come un’emulazione di Tony Blair. Blair che lo stesso Renzi avrebbe incontrato spesso. Con la differenza che Blair è un ex leader politico, diventato consulente internazionale.
«“Matthew d'Arabia”, come qualcuno tra i suoi ha iniziato a chiamarlo, facendo il verso al “Lawrence” del vecchio kolossal, sta costruendo la sua exit strategy dalla politica italiana. Come il protagonista del film con Peter O' Toole, ormai, Renzi passa più tempo all'estero che in patria. Negli ultimi cinque mesi ha incontrato i presidenti del Consiglio che si sono succeduti a Palazzo Chigi lo stesso numero di volte che, in gran segreto, si è trovato faccia a faccia con Tony Blair: due incontri con Conte, due con Draghi e due - uno in Senegal e l'altro a Londra - con l'ex premier britannico di cui sta seguendo le orme. Certo, il cachet blairiano da conferenziere supera di più del triplo la cifra media che l'ex premier italiano incassa per ogni speech tenuto all'estero. Quanto al perimetro d'azione, biglietti aerei alla mano, quello di Renzi non teme confronti neanche col collega più blasonato: diciotto viaggi in Cina negli ultimi due anni pre-Covid, avanti e indietro più volte dalla East alla West Coast degli Stati Uniti, e poi i Paesi arabi, dove si trovava anche ieri l'altro a vedere il Gran premio di Formula 1 del Bahrein. Che come domenica sia ospite gratuito del ceo della Formula 1 Stefano Domenicali, conosciuto all'epoca in cui era ad della Lamborghini, oppure impegnato a disegnare il «Rinascimento arabo» in un intervento a pagamento dal controverso principe arabo Mohammed bin Salman, il leader di Italia viva ha messo nel palmares una dichiarazione di redditi a sei zeri muovendosi su un doppio binario: gli incarichi che svolge su commissione e le pubbliche relazioni, viaggi spesso di piacere che possono essere forieri di opportunità future. Della sua sfera di conoscenze e competenze, in privato, parla come di un «network internazionale», potenzialmente in grado di mettere a contatto chiunque».
SUEZ: LIBERATA LA NAVE, RIAPERTO IL CANALE
Marta Serafini sul Corriere ci offre la cronaca della manovra che nelle ultime ore ha permesso di liberare il Canale, facendo tornare a galleggiare la portacontainer Ever Given:
«A partecipare al «soccorso», facilitato dall'alta marea e dalla luna piena, anche il rimorchiatore italiano Carlo Magno. «Possiamo dirlo con un certo orgoglio, c'era un pezzo di Italia nel canale ieri», spiega Stefano Silvestroni, presidente della Rosetti Marino, società ravennate che ha costruito la Carlo Magno nel 2006. Cavi d'acciaio testati sotto uno sforzo altissimo, questo rimorchiatore è in grado di muovere fino a 200 tonnellate. «E si immagini la forza che ci vuole per spostare una nave così grande come la Ever Given che di tonnellate ne pesa 224 mila». Dopo il «salvataggio», la Ever Given è entrata nel Grande lago amaro del canale, dove avverranno nelle prossime ore le ispezioni allo scafo per stabilire l'accaduto. Da capire anche i danni alla riva del canale e il pericolo di smottamenti, mentre in serata il traffico riprendeva lentamente. Ma è il commercio a riportare le cicatrici più profonde. L'ostruzione è costata tra i 6-10 miliardi di dollari al giorno e ha notevolmente ritardato la catena di approvvigionamenti già messa a dura a prova dalla pandemia. E - assicurano i tecnici - la navigazione sebbene sia ripartita non andrà a regime prima di tre o quattro giorni dato che sono ancora 422 le navi bloccate al largo del Canale. Stesso problema per le forniture, dato che molte navi sono già state dirottate sul Capo di Buona Speranza, su una rotta che richiede 10 giorni in più di navigazione».
TUTTA L’AMERICA GUARDA IL PROCESSO DI MINNEAPOLIS
È iniziato ieri il processo contro gli agenti di polizia che hanno fermato e ucciso, soffocandolo, l’afro americano George Floyd. È accaduto nel maggio del 2020, scatenando giorni di rivolta e protesta con lo slogan “Black Lives Matter”. Gli americani, compreso il Presidente, lo seguono in una continua diretta tv di ogni udienza. La cronaca del Manifesto.
«A Minneapolis è iniziato, in un tribunale blindatissimo per via della pandemia e del timore di proteste, il processo a Derek Chauvin, l'ex agente di polizia che ha ucciso George Floyd, soffocandolo, il 25 maggio 2020. Per la prima volta un processo dell'era Black Lives Matter viene trasmesso in diretta televisiva nella sua interezza, ogni giorno dalle 9 alle 16, per quattro settimane. «Questo è un processo a un singolo agente, non al corpo di polizia», ha detto nella sua dichiarazione iniziale il procuratore Jerry Blackwell ed ha esposto il caso contro Chauvin. Ha presentato alla giuria le prove video del giorno in cui George Floyd è stato ucciso: si vede Chauvin inginocchiato sul collo di Floyd che dice «Non riesco a respirare». «Potete vedere con i vostri occhi che si tratta di omicidio - ha detto Blackwell- Potete sentire la sua voce diventare più profonda e pesante, le sue parole più distanti, il suo respiro più superficiale. Lo vedete quando perde conoscenza e scuotersi senza controllo quando non respira più». È evidente che il compito dei difensori dell'ex agente non è semplice. Nella stessa deposizione hanno affermato che schiacciare Floyd al terreno per otto minuti era necessario perché l'uomo era grande e forte, ma anche tanto debole e fragile da morire per «un uso di routine della forza da parte della polizia»; e che il loro assistito, come gli altri tre poliziotti presenti, ha reagito stando sulla difensiva perché «si sono sentiti in pericolo, la folla che aveva assistito al soffocamento diventava più cattiva».