La Versione di Banfi

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SENZA PREAVVISO

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SENZA PREAVVISO

Due decisioni choc. Zingaretti si dimette da segretario del Pd. Fontana mette tutti in DAD da oggi in Lombardia. Mentre Draghi va alla guerra sui vaccini. Il Papa in Irak per un viaggio storico.

Alessandro Banfi
Mar 5, 2021
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SENZA PREAVVISO

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Senza preavviso. Pare che Nicola Zingaretti non abbia avvisato nessuno delle sue intenzioni di dimettersi da segretario del Pd. Almeno dentro il partito, perché fra le righe (“Sui giornali c’è tutto” diceva Robert Redford nel film I tre giorni del Condor) si scopre che Conte, e forse Grillo, sapevano con qualche anticipo. In questi casi si usano termini come: choc, colpo di scena, sorpresa... E anche stavolta è andata così. Vedremo i tanti commenti e le speculazioni che il gesto suscita. Anche Attilio Fontana ha fatto ieri quello che il Governo cerca di scongiurare da quando c’è Draghi a Palazzo Chigi: ha preso una decisione drastica in tema Covid (dalla scorsa mezzanotte DAD per tutte le scuole in Lombardia) senza preavviso. Suscitando anche qui amarezza e proteste. Purtroppo i dati numerici della curva epidemiologica sono molto brutti e oggi, venerdì, in diverse regioni si potrebbe arrivare ad una nuova stretta. Gli esperti dicono che ne avremo fino al 20 marzo, almeno. Altri tre fatti importanti: sempre sul fronte Covid, tema vaccini, Draghi blocca d’autorità l’export di dosi Astrazeneca verso l’Australia. Decisione “dragoniana” e molto rilevante. Ci sono nuovi dati sull’impoverimento dell’Italia. Papa Francesco arriva oggi in Irak, dove incontrerà un ayatollah sciita, la stessa confessione islamica di Khomeyni. Vediamo intanto i titoli.  

LE PRIME PAGINE

Giorni drammatici con scelte diverse dei quotidiani su notizie che arrivano dal fronte del virus, della politica e dell’economia. Il Corriere della Sera punta sulle clamorose dimissioni del segretario dem: Zingaretti si dimette. Il Pd sotto choc. Lo fa ancheLa Stampa, che entra nel merito dell’ultimo post dell’interessato: Zingaretti: «Mi vergogno del Pd». Pensando a quella vergogna il gioco di parole del Manifesto stamattina evoca la marca di un ammazzacaffè: L’amaro del capo.Il Giornale e Il Fatto attribuiscono la colpa al nuovo governo. Sallusti sceglie: Draghi fa esplodere il Pd. Zingaretti si dimette: è caos. Mentre Travaglio titola, evocando anche la contrapposizione di Casaleggio a Grillo: I giallorotti: Draghi spacca Pd e 5 Stelle. Vanno sulle cronache da Covid gli altri giornali, puntando soprattutto sul clamoroso stop all’esportazioni di vaccini Astrazeneca. La Repubblica: Draghi ferma AstraZeneca. «No all’export di vaccini».Anche Il Sole 24 Ore su questa linea: AstraZeneca, da Italia e Ue stop all’export. Come Il Messaggero: Vaccini, stop alle esportazioni. E il Quotidiano Nazionale: Draghi blocca l’export dei vaccini. Libero insiste sullo Sputnik: Soccorso Russo mentre La Verità è sempre centrata sulle truffe: DISTRUTTE 100.000 MASCHERINE. SCOPPIA IL BUBBONE DELLE DOGANE. Avvenire è l’unico quotidiano che dedica l’apertura ai dati terribili sulle nuove povertà provocate dal virus: Poveri a domicilio.

ZINGARETTI SI DIMETTE. VIVA ZINGA

Dunque con un post su Facebook nel primo pomeriggio di ieri Nicola Zingaretti si è dimesso da segretario. Fulmine nel cielo non proprio sereno della politica. Maria Teresa Meli racconta sul Corriere.

«C'è molta amarezza nel leader, anche se lui ripete che dopo questa decisione si sente «sereno». Ripercorre i due anni della sua segreteria nel suo ufficio al Nazareno, mentre si avvicendano gli esponenti dem a lui più vicini che cercano di dissuaderlo: «L'ho fatto per amore del Partito democratico. Ho preso un partito che era morto e l'ho rivitalizzato e l'ho fatto rivincere, sempre attento a fare un lavoro di squadra, con il massimo altruismo. Voi sapete bene che ho promosso un gruppo dirigente dal quale non ho voluto escludere nessuno, basti pensare al fatto che i due capigruppo parlamentari non mi avevano certo sostenuto al Congresso». E ancora, rivolto ai suoi interlocutori il leader dimissionario continua a ricordare gli ultimi due anni, molto difficili: «Voi tutti sapete che non ero convinto dell'operazione del governo Conte, ma mi hanno convinto, poi c'è stato Draghi e io non mi sono tirato indietro per il bene del Paese. Dopodiché ho detto diamoci una prospettiva politica, per questo ho chiesto un congresso tematico, perché pensavo che non si volesse parlare di nomi ma di contenuti ed ecco che è partita una salva di interviste contro di me. Volevano le primarie per tenermi sette mesi sotto scacco e poi farmi fuori. Ma io non mi faccio fare fuori, mi faccio da parte. Siccome non voglio essere io il problema di questo partito allora lascio e forse il mio gesto servirà a responsabilizzare tutti». Con i fedelissimi Zingaretti parla senza infingimenti: «In questi giorni terribili, in cui mi sparavano addosso dallo stesso Pd, nessuno dei big mi ha difeso. Pensano solo alle liste, ai posti, ai fatti loro. Volevano che stessi fermo fino al congresso a novembre. Ma io ho posto fine a questa ipocrisia. Non avevo alternative. Negli altri partiti, dove pure ci sono dei problemi, i 5 Stelle si stanno dando una nuova prospettiva e Salvini si muove senza che nessuno gli dica niente, a me offrivano solo una croce da portare per mesi fino al congresso in autunno». Eppure c'è chi è convinto nel Partito democratico, anche tra quelli che non sono suoi avversari, che alla fine Zingaretti possa riprendere in mano le redini del partito. «Vi sbagliate - quasi sussurra il leader del Pd - io giochetti non ne faccio, non sono abituato a fare politica in questo modo».».

Per Stefano Cappellini di Repubblica sono state proprio le uscite di alcuni dem sul Conte “Dracula”, succhiavoti del Pd, uscite che sulla Versione dei giorni scorsi avevamo sottolineato per la loro violenza, a spingere Zinga alla decisione irrevocabile:

«C'è chi ha ancora la faccia tosta di dire che Conte l'ho voluto io. Sono gli stessi che consideravano Conte un disastro e poi, appena è diventato leader del M5S, lo hanno dipinto come l'uomo che avrebbe rubato tutti i voti al Pd». Il sondaggio "virtuale" di Swg che dava il Movimento guidato dall'ex premier oltre il 20 per cento e il Pd al 14 è stata l'occasione per un'altra bordata di critiche interne, a lui e a Goffredo Bettini, nel Pd il più mal sopportato dei suoi consiglieri, accusato di aver impiccato il partito alla linea «o Conte o voto». Ma il Pd, sostiene Zingaretti, al 14 per cento non ci finirebbe per causa sua («Perché nessuno ricorda che alle regionali il Pd è risultato di gran lunga il primo partito italiano?»), e nemmeno per colpa di Conte, ci finirebbe per le guerra civile, perché mentre tutti si riorganizzano, Salvini torna protagonista, Forza Italia si accuccia di nuovo nel vecchio centrodestra, Meloni lucra all'opposizione la sua fetta di consenso, la sinistra si rifugia nella sua vocazione: «Da noi si pratica troppo il fratricidio». Questo, più di tutti, è l'ovosodo che a Zingaretti è rimasto sul gozzo: le accuse sulla linea «suicida» di subalternità al M5S, l'asservimento a Conte, il fuoco di fila delle interviste per contestare la direzione di marcia sulle alleanze, le più sgradite quelle di Dario Nardella e Giorgio Gori. Ma è qui che Zingaretti conta di prendersi la rivincita più rapida. Lo ha spiegato anche a Conte, uno dei pochi informati della sua decisione: «Vedrai che la linea dell'accordo con il M5S non cambierà».

Molti i commenti su Zingaretti. Acuto Federico Geremicca su La Stampa, il quale ricorda che negli ultimi anni nessun segretario è rimasto nel partito (ad eccezione di Dario Franceschini) e che forse c’è un problema strutturale di fondo. Marco Travaglio sul Fatto, sotto il titolo sempre pesantino che allude al Quirinale, “Zingarella”, approfitta delle dimissioni del segretario Pd per spiegare che la colpa è di Mattarella perché doveva lasciare Conte a Palazzo Chigi:

«Come volevasi dimostrare, da quando è nato il governo Draghi il centrodestra non è mai stato così bene e i giallorosa così male. Non occorrevano le dimissioni di Zingaretti per capirlo. È un effetto collaterale dell'ammucchiata, in cui Draghi, per sua fortuna estraneo ai giochi politici, c'entra poco. C'entra molto di più chi l'ha concepita e imposta col ricatto del 2 febbraio al Parlamento "o mangiate questa minestra o saltate da quella finestra": Mattarella & his friends. I quali, anziché usare quell'arma di pressione per rinviare alle Camere il Conte-2 (con lo spettro delle urne, i 5 o 6 voti mancanti al Senato sarebbero diventati 50 o 60), hanno preferito creare il Governo di Tutti. Come se, caduti il Conte-1 per mano di Salvini e il Conte-2 per mano dell'altro Matteo, la soluzione fosse un assembramento con tutti dentro. (…) Il prezzo lo pagano tutto i 5Stelle, il Pd e LeU, che non toccano palla in un governo fatto apposta per il centrodestra. Con la differenza che il M5S ha almeno la carta Conte da giocare. Il Pd nemmeno quella.»

Giuliano Ferrara sul Foglio rende onore a Zinga:

«Conte e Zingaretti sono due mediocri, si sa. In senso oraziano. Conoscono i propri limiti, non illudono, non si illudono. Non si ricordano grandi loro discorsi. Manca il carisma, quella funzione di guida naturale che ha dello spirituale. I loro attributi sono modesti. Non è difficile aggirarli con una manovra disinvolta, spericolata, subiscono ogni tipo di bullismo, spesso esitano, sono sottomessi nel linguaggio che non ha mai niente non dico di profetico ma almeno di visionario. Eppure i mediocri sono meglio dei pessimi, dei tonitruanti che si spiaggiano. Ottengono risultati, garantiscono l'ordinarietà che è un aspetto da non sottovalutare dell'organizzazione civile e politica».

Sul Giornale Alessandro Sallusti dopo aver ricordato la simpatia “politica” del segretario Pd verso la D’Urso (in realtà quella volta si era capito che ce lo stavamo giocando), sospetta che Zingaretti voglia in realtà restare e che si sia dimesso per farsi confermare:

«La verità è che Zingaretti stremato si è dimesso a sorpresa, nella speranza di raggiungere una tregua interna ed essere così riconfermato per acclamazione nell'Assemblea nazionale già convocata per il 13 marzo. Ma anche se così accadesse il dado è tratto: l'avventura di Zingaretti alla guida del partito finisce qui, ben che gli vada passerà da bersaglio a ostaggio delle bande che scorrazzano da sempre all'interno del Pd. Chissà che dietro tutto questo non ci sia anche lo zampino di quel marpione di Matteo Renzi, che dalla deflagrazione del Pd ha tutto da guadagnare. La partita è soltanto all'inizio e assai aperta, anche nelle ripercussioni che l'esito finale potrà avere, in meglio o in peggio, sulla tenuta dell'anomala maggioranza che regge il governo Draghi. Come direbbe lo stesso Renzi: «E adesso pop-corn per tutti, che lo spettacolo inizi».

DAD IN LOMBARDIA, SENZA PREAVVISO

Torneremo sulla politica perché anche nei 5Stelle il dibattito è acceso. Ma adesso andiamo a vedere l’altro gesto senza preavviso. Scuole in DAD da stamattina in Lombardia. Il Presidente della Regione Attilio Fontana prova a spiegarsi sul Corriere:

«Mi creda, sono il primo ad essere dispiaciuto di aver dovuto prendere una decisione così improvvisa». Da lunedì era troppo tardi? «I dati ci sono arrivati mercoledì alle 22. Poi, il tempo minimo per valutarli e ieri mattina ho dovuto firmare l'ordinanza. Purtroppo questo è un virus che ha andamenti da cui non possiamo farci sorprendere. Del resto, è un fatto che ho condiviso con il ministro alla Sanità Roberto Speranza: anche lui è d'accordo sul fatto che in una situazione come quella italiana, anche 24 ore siano importanti». Però, i social e non soltanto quelli sono in ebollizione. Chi protesta ha tutti torti? «Comprendo benissimo che una cosa di questo genere crea disagi e sono il primo a dispiacermene. Però, se c'è una cosa che abbiamo imparato è che dobbiamo a tutti i costi cercare di anticipare i contagi e l'andamento dell'epidemia. Dobbiamo essere in qualche modo proattivi». C'è chi dice che la chiusura delle scuole avrebbe dovuto essere l'ultima decisione da prendere. E che negozi aperti e scuole chiuse sia un controsenso. Hanno torto? «No, condivido assolutamente. Ma dobbiamo essere consapevoli che i rischi sono seri. Lei ha letto quello che dicono il professor Carlo Signorelli o il professor Andrea Gori? "Non si poteva non prendere questa decisione". Perché la variante inglese attacca in modo grave anche i giovani, le scuole sono potenziali - e magari concreti - focolai. Io sono tra chi ha sempre sostenuto l'apertura delle scuole, e peraltro su questo sono anche stato attaccato, come quasi tutti i governatori in Italia. Però dobbiamo rendercene conto: le scuole sono davvero un punto sensibile». Ma sulle scuole nel vostro monitoraggio avete già avuto dei riscontri? «Per ora abbiamo chiuso poche scuole e molte classi. Ma, come dicevo, il tema è quello di giocare d'anticipo». Le critiche le aveva messe in conto? «Ma certo. Il nostro problema è che dobbiamo perennemente ideologizzare tutto. Io faccio le scelte che ci suggeriscono gli esperti, non quelle che vorrebbe Attilio Fontana. E in questo momento gli esperti ci dicono che servono scelte rapide e rigorose» (…) E la campagna per i vaccini in generale? È fiducioso che possa avere il ritmo necessario? «Abbiamo un piano che siamo pronti ad affinare sul campo. Il problema è che oggi riceviamo una quantità di dosi che non sono sufficienti, bastano soltanto per alcune limitate categorie. Ci servirebbero quantitativi molto diversi. A quel punto, saremo in grado di fare i 170 mila vaccini al giorno di cui ha parlato Guido Bertolaso». Ma la campagna quando inizia? «Adesso stiamo vaccinando le categorie che sono state dettate a livello centrale. Tra l'altro, segnalo che prima dell'ordinanza noi avevamo già deciso di vaccinare tutti gli insegnanti. Proprio perché riteniamo che la scuola abbia una priorità».

Un esperto parla sul Corriere della Sera e analizza la curva epidemiologica. La sua previsione è sconfortante: la terza ondata andrà avanti fino al 20 marzo.

«Quanto durerà la terza ondata? «Quaranta giorni. Su questo ci sono pochi dubbi. Abbiamo analizzato oltre trenta "curve", relative alla prima e alla seconda fase, dalla Cina all'Europa. E la durata, fino al picco, è sempre quella». Dunque, fino a quando? «Considerando che si può identificare l'inizio della "Fase 3" intorno all'8 febbraio, si arriverà con una continua crescita fino al 20 marzo». Alberto Gerli, ingegnere, laureato a Padova e specializzato in Texas, studia con un modello matematico sempre più raffinato l'andamento dell'epidemia da più di un anno, ed è diventato un punto di riferimento per alcuni tra i più insigni medici ed epidemiologi lombardi, con i quali ha firmato molte pubblicazioni scientifiche. (…) Se la curva dura comunque quaranta giorni, che senso hanno gli interventi di contenimento? «Dipende da quando partono. Oltre a sapere che, una volta innescata, la curva del contagio sale per 40 giorni, sappiamo anche con certezza quando dovremmo intervenire: nei primi 17 giorni. In questo ristretto periodo iniziale, gli interventi di contenimento hanno un'eccezionale efficacia e possono davvero modificare l'andamento della curva». E ciò che viene dopo? «Non ha effetto fino al raggiungimento del picco, lo avrà in seguito, nel determinare quanto rapidamente scenderà la curva. Ne abbiamo una chiarissima dimostrazione con il lockdown più rigido finora sperimentato al mondo, quello disposto in Cina in "Fase 1". Neppure quello ha influenzato la crescita della curva quando ormai si era innescata. Passati i primi 17 giorni, l'epidemia segue il suo andamento naturale per la durata di 40 giorni». (…) Si può prevedere l'evoluzione della terza ondata? «Su tutta Italia, da qui al 20 marzo, ci aspettiamo circa 600 mila contagiati in più rispetto agli attuali 3 milioni. E un numero di decessi che sarà inferiore a quello delle due fasi precedenti, ma comunque pesante, intorno ai 10 mila. Avremo purtroppo picchi di oltre 40 mila contagiati e 7/800 decessi al giorno».

POVERTÀ DA RECORD

Uno degli effetti drammatici della pandemia è sull’economia del nostro Paese. È l’Istat a mettere nero su bianco la sensazione diffusa di una grande difficoltà di singoli e famiglie. Il report della Stampa:

«Dopo un anno di Covid, ecco il conto. E i numeri non potrebbero essere più drammatici: la pandemia picchia duro, molto duro, sulle famiglie italiane, fa impennare la povertà ed affonda i consumi riportandoli indietro di 20 anni. I dati, dopo un'annata che ha visto il Pil crollare quasi del 9%, erano prevedibili, ma restano pur sempre molto pesanti: un milione di persone in povertà assoluta in più, altre 335 mila famiglie in situazione di indigenza, stando alle prime stime sul 2020 dell'Istat. A causa della recessione l'incidenza della povertà, dopo la frenata di due anni fa legata all'andata e regime del reddito di cittadinanza, è tornata a crescere sia in termini di nuclei familiari (si passa infatti da 6,4% al 7,7%), con oltre 2 milioni di famiglie povere (contro 1,674 milioni), sia in termini di individui (saliti da 4,59 a 5,62 milioni), l'incidenza sul totale che passa dal 7,7 al 9,4% del totale. Si tratta del dato più alto al 2005, ovvero da quando il nostro istituto di statistica elabora questo indicatore. Dal governo e dalla politica, nessun commento di rilievo su questo disastro, o su questa «vergogna» come la definisce qualcuno. Che invece suscita grande allarme tra i sindacati, l'Alleanza contro la povertà, il Forum delle famiglie e le associazioni dei consumatori. Da tutti la richiesta di aiuti «concreti» ed «urgenti», a partire dal potenziamento del reddito di cittadinanza e delle infrastrutture sociali territoriali».

VACCINI 1. DRAGHI BLOCCA L’EXPORT

Fronte vaccinazioni. La notizia di ieri è l’apertura di diversi quotidiani: Draghi ha bloccato una partita di vaccini della Astrazeneca destinata all’Australia. Sul nostro giornale economico l’articolo è a doppia firma, di Marzio Bartoloni e Riccardo Barlaam.

«Scoppia ufficialmente la guerra mondiale dei vaccini. Con l'Italia di Draghi a mostrare per prima il pugno duro contro Big Pharma, con la benedizione dell'Europa. Ieri il primo atto concreto di questo "sovranismo europeo" del vaccino - sulla scia peraltro di quanto fatto dagli Usa di Biden - è stato il blocco dell'export di 250mila dosi del siero anglo-svedese di AstraZeneca infialate in Italia ad Anagni, alle porte di Roma, dall'azienda Catalent e destinate all'Australia. Dosi queste che ora saranno redistribuite tra i Paesi europei. Il dossier è stato seguito direttamente da Draghi da una settimana: grazie al suo pressing il tema delle aziende che producono il vaccino anti Covid negli stabilimenti d'Europa ma lesinano le dosi agli europei era finito sul tavolo del Consiglio Ue il 25 febbraio scorso. Il giorno prima, il 24 febbraio, la Farnesina bloccava l'export del maxi lotto di AstraZeneca da 250.700 dosi sulla base del meccanismo Ue approvato a fine gennaio che prevede in questi casi un'autorizzazione europea. Il 26 febbraio la stessa Farnesina dopo l'ok di Draghi, che il giorno prima aveva informato la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, ha inviato a Bruxelles la proposta di «non autorizzazione» all'export che la Commissione Ue ha poi confermato lo scorso 2 marzo. Una linea dura quella della Ue che mostra i muscoli con la faccia del premier italiano facendo scattare questo primo stop in base a tre motivazioni ricordate ieri dalla Farnesina: l'«elevato numero di dosi» pronte a lasciare l'Italia; la loro destinazione, l'Australia, un paese considerato «non vulnerabile» per il numero limitato di casi; infine il permanere della «penuria di vaccini nella Ue e in Italia e i ritardi nelle forniture» da parte di AstraZeneca». Un punto quest' ultimo dirimente che ha penalizzato l'Europa e l'Italia nella sua corsa alle vaccinazioni per i tagli nelle consegne proprio mentre Londra rivendicava per se tutte le dosi prodotte nei siti britannici dell'azienda»

VACCINI 2. SPUTNIK DA MAGGIO

L’altro forcing del Governo è incalzare la Ue sul vaccino russo Sputnik. Dalle colonne di Repubblica Tommaso Ciriaco da Roma e Alberto d’Argenio da Bruxelles ipotizzano che potrebbe essere distribuito nel nostro Paese già da maggio.

«Nei prossimi giorni è atteso un pressing di Italia e Germania affinché si muova, anche se non appare scontato farcela in tempo utile per Sputnik. La Commissione Ue ha garantito che sul composto russo agirà senza pregiudizi geopolitici, ma ha anche spiegato che ad oggi «non ci sono colloqui» per un ordine europeo simile a quelli stipulati per gli altri vaccini. Bruxelles prima deve sondare i governi. L'Italia intende usare Sputnik, anche se a maggio il continente avrà abbondanza di immunizzanti a disposizione. Nonostante la pressione di Salvini, l'esecutivo Draghi è orientato a non procedere con un ordine nazionale, ma a chiedere anche per Sputnik un contratto Ue negoziato da Bruxelles (serve l'ok anche dei partner). Così come l'idea del governo è di non spingere l'Aifa a bruciare i tempi approvando d'urgenza il siero russo, ma di aspettare l'Ema. Anche perché a oggi nessuna autorità pubblica del mondo ha validato i test russi e procedere senza revisione dei dati sarebbe un rischio. A Bruxelles spiegano comunque che Sputnik grazie al doppio vettore è molto promettente, che copertura al 90% e sicurezza appaiono credibili ma che vanno verificate lacune negli studi clinici di Mosca. Servirà poi un'ispezione nelle fabbriche in Russia alla quale parteciperà anche l'Aifa. Inoltre va verificato che Sputnik abbia la capacità produttiva per ordini massicci, anche se dall'azienda parlano di 50 milioni di dosi per la Ue da giugno.»

VACCINI 3. PRIMA E SECONDA DOSE.

Ancora sui vaccini, questione prima e seconda dose. Il professor Giorgio Remuzzi, di cui Draghi si fida molto, ha sostenuto nei giorni scorsi che basta la prima dose, a differenza di quanto sostenuto dall’OMS. Alberto Mantovani dell’Humanitas interviene oggi con un articolo su Repubblica affermando che nel caso del vaccino Pfizer-Biontech il richiamo della seconda dose non va sottovalutato.  

«Tali vaccini sono nati per essere somministrati in due dosi: dopo la prima danno una protezione significativa, ma decisamente inferiore rispetto a quella che si ottiene dopo due dosi. I dati "sul campo", in Israele, ci parlano ad esempio di una protezione dalle forme più gravi di malattia del 62% dopo la prima somministrazione, che diventa del 92% dopo la seconda dose. Ancora, dopo una sola dose non sappiamo quanto durino - oltre i 20 giorni - la protezione e la risposta immunitaria. Nella letteratura scientifica non vi è nessun dibattito sul "non fare" una seconda dose di un vaccino a mRna: la domanda è solo "se e quanto posticiparla". Personalmente, seguendo i dati, credo sia meglio effettuarla rispettando il più possibile l'intervallo dei 20-40 giorni, come indicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. La Società Italiana di Igiene e Medicina Preventiva suggerisce, sulla base di sagge considerazioni di salute pubblica, che si può ritardare arrivando fino a due mesi. Quali sono i rischi del ritardo di una seconda dose di vaccini a mRna oltre tali limiti? Consideriamo che una dose singola potrebbe dare una risposta immunitaria insufficiente per durata, quantità e qualità: una condizione che potrebbe favorire l'emergere di varianti che sfuggono al nostro sistema di difesa. Tony Fauci, che ha definito "irrinunciabile" la seconda dose, rispetto al rischio che un ritardo della stessa favorisca l'emergere di varianti ha dichiarato: "It may not be the case but it gets risky". Ovvero: "Potrebbe non accadere, ma c'è il rischio". E c'è anche un secondo rischio: trasmettere un messaggio sbagliato a chi ha ricevuto una prima dose e potrebbe essere tentato di non fare la seconda. Ricordiamolo: anche con i vaccini tradizionali non tutte le persone effettuano, come dovrebbero, i richiami. Indispensabile, dunque, fare ricerca, per ottenere al più presto dati certi in merito alla risposta immunitaria associata a ritardo nella seconda dose di un vaccino a mRna. »

CASALEGGIO PORTA ROUSSEAU CONTROVENTO

Torniamo alla politica, perché se, dopo le dimissioni di Zingaretti, il Nazareno piange, il Movimento 5Stelle non ride. Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera racconta lo “strappo” di Casaleggio. E ipotizza la mediazione di Giuseppe Conte come unica speranza per evitare una vera scissione:

«L'associazione Rousseau presieduta da Casaleggio lancia all'ora di pranzo sul blog delle Stelle un post per promuovere una sua iniziativa, quella di un manifesto «controVento». «Non è più tempo di avere sogni moderati. È tempo di confronto, di idee ribelli, di sogni che non siano bollati di utopia da chi non ha capacità, voglia o coraggio di realizzarli», scrive l'associazione. E ancora: «Dobbiamo anteporre le idee alle persone, le riforme alle poltrone». «Per questo - si legge nel post - è arrivato il momento di riattivare i motori e cominciare la nostra corsa controvento». Parole che hanno fatto deflagrare all'istante la rabbia tra i parlamentari M5S (trovando invece la sponda dei big espulsi di recente). «Si tratta del lancio di un suo progetto politico», ipotizzano subito. E i messaggi viaggiano sia sulle chat di gruppo sia su quelle private. Il risentimento trabocca in fretta in dichiarazioni alle agenzie e post sui social network. «L'addio alla fine ce lo ha dato Casaleggio: la nascita del "manifesto controVento" parla chiaro e va in quella direzione», scrive il sottosegretario Carlo Sibilia. «Auguri a Rousseau. Il movimento non va di bolina ma col vento in poppa e con Conte», attacca Stefano Patuanelli che con Casaleggio ha pessimi rapporti. «Penso che sia arrivato il momento che le strade si dividano», dice Giuseppe Brescia. I big - che negli ultimi mesi del 2020 hanno sondato esperti e legali per valutare un addio alla piattaforma - si lamentano, sostengono di non essere stati avvisati dell'iniziativa e c'è chi chiede a Vito Crimi di compiere passi formali per separare per sempre le strade della piattaforma da quella dei pentastellati. C'è chi chiede di cancellare la propria iscrizione da Rousseau (ma viene fatto notare che non esiste alcuna iscrizione all'associazione, solo norme che ne disciplinano il rapporto). A stretto giro risponde a suo modo anche Beppe Grillo dal suo blog con un contro-appello: «La rivoluzione MiTe del Movimento 5 stelle» (…) In mezzo allo stallo c'è il nuovo progetto, il nuovo volto M5S. E c'è soprattutto Giuseppe Conte. L'ex premier all'hotel Forum ha chiesto 20 giorni per elaborare la sua proposta e sciogliere i nodi. La deadline (che si può procrastinare di qualche settimana ma non di mesi) è fissata per il weekend del 20-21 marzo. Ambienti vicini a Conte fanno filtrare ottimismo: «va trovata una soluzione che accontenti tutti, ma non c'è volontà da parte di nessuno di rompere il rapporto».

IL PAPA ARRIVA IN IRAK, DIALOGO CON GLI SCIITI

Da oggi Papa Francesco è in Irak. Un viaggio storico, senza precedenti, non solo per la pericolosità ma anche perché è la prima volta che il capo della Chiesa cattolica apre un dialogo diretto con un esponente dell’Islam sciita, il mondo religioso che espresse a suo tempo Khomeyni. Quella radicalizzazione, quella “teologia politica”, che arrivò fino all’11 settembre e allo scontro di civiltà.  Su Repubblica Renzo Guolo, esperto di Islam, spiega la grande importanza dell’incontro diretto con l’ayatollah Sistani e il mondo sciita.

«Papa Francesco incontra il grande ayatollah Sistani. Visita privata, secondo il protocollo: in realtà uno dei momenti più significativi del viaggio iracheno. Sistani, capo della hawza di Najaf, il più importante seminario teologico dello sciismo iracheno, è figura decisiva nei fragili equilibri del Paese. Dall'invasione americana del 2003 alla guerra civile dopo la caduta di Saddam Hussein, dall'appello alla lotta contro l'Isis ai contrasti sul ruolo delle milizie sciite, non vi è frangente critico nel quale egli non abbia svolto un ruolo chiave. Nonostante la sua riluttanza verso la politica. Sistani, infatti, è il rappresentante più autorevole della corrente tradizionalista sciita, quella che ritiene ogni potere privo di legittimazione, dal momento che, secondo la credenza religiosa, questa è esclusiva prerogativa del Mahdi, il dodicesimo Imam della shia, la guida della comunità di fede che la teologia alide ritiene temporaneamente occultato: tornerà, messianicamente, alla fine dei tempi per instaurare il Regno della Giustizia.»

Andrea Riccardi sul Corriere ripercorre il dialogo dei Papi con l’Islam e ricorda come dal dialogo con le massime autorità sunnite sia nata la “Fratelli tutti”.

«Dai rapporti tra Vaticano e Al Azhar nasce il documento su «La Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune», che afferma la condanna della violenza in nome della religione, ma anche la libertà religiosa, il dialogo, la piena cittadinanza delle minoranze. Così si offre una piattaforma ai musulmani per distanziarsi dal radicalismo e stabilire un rapporto positivo con il mondo. Non si tratta di dialogo teologico, ma di collaborazione su temi, poi rilanciati dal Papa nell'enciclica «Fratelli tutti», citando pure il grande imam. In pochi anni, i rapporti tra Vaticano e sunniti sono capovolti e offrono una sponda ai musulmani, desiderosi di sottrarsi dall'ombra del jihad terrorista che, d'altra parte, continua ad essere un'alternativa in crescita in vari Paesi, tra cui quelli africani. Francesco, durante il viaggio in Iraq, compie un primo passo verso gli sciiti, visitando la loro maggiore città santa, Najaf, in particolare il grande ayatollah Al Sistani, massima autorità sciita. Qui, non come tra i sunniti, esiste una gerarchia rappresentativa e si pratica - a differenza degli sciiti iraniani - una qualche separazione tra religione e politica. Una scritta, rivolta al Papa, campeggia a Najaf: «Voi siete parte di noi, noi parte di voi». L'iniziativa della visita ha toccato gli sciiti, maggioritari in Iraq. Quelli iraniani seguono interessati. Così si completa il contatto di papa Francesco con le diverse tradizioni musulmane. Tanti problemi restano aperti ma, nel giro di qualche anno, è avvenuto un cambiamento decisivo nei rapporti con l'islam, un mondo dai tanti volti».

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