"Solo 5 giorni per chi è vaccinato"
Il governo studia come ridurre la quarantena. In 2 settimane 10 milioni di italiani avranno avuto contatti col virus. Corsa al Colle: Mr. B ha 150 voti suoi. Cristiani perseguitati in India e Birmania
Le proiezioni matematiche sulla diffusione del virus stanno preoccupando tutti. Omicron viaggia a raddoppiare i casi in 48 ore. Ci vuole poco a prevedere che, con il ritmo degli ultimi giorni, in due settimane potremmo avere dieci milioni di italiani che, secondo le regole attuali, dovrebbero fermarsi e stare in quarantena. Ecco allora che il governo vuole correre ai ripari e cambiare le regole su che cosa si debba fare se si entra in contatto con un positivo. Ha chiesto già un parere agli esperti del Cts in questo senso. La proposta sul tavolo è di ridurre a 5 i giorni di quarantena per i vaccinati. Basterà?
Nel frattempo sono confermati gli studi sulla Omicron che la definiscono meno grave come malattia: il Corriere scrive che in 9 casi su 10 i disturbi sarebbero lievi. Niente perdita di olfatto e gusto, infezione che si fermerebbe ai bronchi, senza arrivare ai polmoni. Nonostante ciò da più parti si insiste che sarebbe questo il momento di far scattare l’obbligo vaccinale: sui giornali di oggi ci sono, a favore, l’editoriale del Quotidiano Nazionale e un’intervista del presidente di Confindustria Carlo Bonomi al Messaggero.
Nella corsa al Quirinale gli aggiornamenti riguardano una possibile alleanza dei due Matteo, Salvini e Renzi, ripresi da una foto, mentre parlano fitto in Senato. L’asse fra i due scatterebbe dalla quarta votazione. Iniziativa di Conte, che vorrebbe evitare l’ascesa di Berlusconi, ma anche di Draghi, al Colle e pensa ad una donna che possa essere gradita anche al centro destra. I nomi? Repubblica ne fa tre, quelli di Paola Severino, Letizia Moratti ed Elisabetta Belloni. Domani insiste però che la Moratti ha un grave conflitto d’interessi e guai giudiziari sulla società Saras. Il Foglio racconta che Silvio Berlusconi fa sul serio. Ci crede veramente ad una sua candidatura. Conterebbe su ben 150 voti, oltre a quelli del centro destra, avrebbe spiegato a chi lo ha chiamato per gli auguri. Se così fosse, sarebbe sicuro di salire sul Colle.
Dall’estero: Natale drammatico per i cristiani in India e in Birmania. Perseguitati e uccisi proprio in queste ore. Le suore di Madre Teresa rischiano di essere messe fuori legge nel Paese dove sono nate. In Giappone sono state eseguite tre esecuzioni capitali: nel Paese vige la pena di morte. Scandalosa sentenza in Russia contro lo storico, Yuri Dimitrev, che scoprì gli orrori dei Gulag sovietici: 15 anni di condanna che equivalgono ad un ergastolo.
Qual è il significato del Natale? Comunque la pensiate, è la memoria di un dono, di una nascita, di una vita data per gli altri. L’invito che vi faccio è allora tornare ad ascoltare, in questi giorni più tranquilli e familiari di festa e di riposo, il mio podcast Le Vite degli altri realizzato per Chora Media e con Vita.it, grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. Sono dieci puntate di circa venti minuti in cui dieci persone raccontano loro stessi e il motivo per cui sono state premiate dal Capo dello Stato per i loro meriti civili o sociali. Potete ascoltarle camminando, lavando i piatti, guidando la macchina (con bluetooth o cuffiette). La voce ha tutta la potenza estetica di un incontro intimo, ravvicinato e spesso profondo. Ci sono giovanissimi, come Mattia-Spiderman che fa visita ai bambini in Oncologia, quarantenni come Ciro che resiste dentro Gomorra dando nuove possibilità ai giovani del quartiere più difficile di Napoli ed anziani come il novantenne Nonno Chef, instancabile con i senza tetto, che ci ha lasciato le sue parole, prima di scomparire. In questa serie ci sono tante donne, che ho imparato ad ammirare e che stimo dal profondo del cuore: Chiara che ha mosso migliaia di giovani, Nicoletta che è una vera cuoca combattente, Rosalba che contende lo spazio alla camorra dalla sua scuola di Scampia, Tiziana che ama, e riscatta con l’impegno, la sua gente nei casermoni di Tor Bella Monaca, Rebecca che si è ripresa Roma cominciando a ripulire l’isolato di casa sua, Anna che ha messo su un’impresa sociale di moda con le eccedenze dei grandi marchi e i lavoratori disabili e suor Gabriella che guida una rete internazionale contro la tratta e lo sfruttamento delle ragazze. Simone Weil nel suo libro La persona e il sacro scrive: “Dalla prima infanzia sino alla tomba, qualcosa in fondo al cuore di ogni essere umano, nonostante tutta l’esperienza dei crimini, compiuti, sofferti e osservati, si aspetta invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male”. Il Natale conta su questo cuore. Cercate questa cover…
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LE PRIME PAGINE
Il virus corre, in pochi giorni raddoppiano i casi. Come dice Avvenire: Contagi veloci. O come nota Domani: Tutta Italia in fila per il tampone e Figliuolo non sa che cosa fare. Per il Fatto la richiesta è da avanzare ai Big Pharma: “Aggiornate i vaccini, questi non ce la fanno”. In realtà il governo pensa ad un’altra soluzione per evitare la paralisi del Paese. Il Corriere della Sera: Quarantena, nuove regole. Il Mattino è identico: Quarantena, nuove regole. La Repubblica annuncia: Cambia la quarantena. Per Il Giornale: Quarantena corta. La Stampa dettaglia: Quarantena, nuove regole solo 5 giorni per i vaccinati. Libero non vede l’ora di privilegiare chi ha 3 dosi: Liberate i vaccinati. La Verità resta catastrofista: Crolla la favola del modello Italia. Il Manifesto ironizza sul cambio di regole in corsa: Saldi di fine anno. Il Quotidiano Nazionale spinge per una scelta più drastica: Ormai è un coro: vaccino obbligatorio. Il Messaggero rilancia il tema ma con un virgolettato del presidente di Confindustria Bonomi: «È l’ora dell’obbligo vaccinale». Il Sole 24 Ore ricorda un “buco” nella legge di Bilancio appena approvata: Imprese, rischio da 25 miliardi.
PRESSING PER CAMBIARE LA QUARANTENA
Con i contagi moltiplicati e tanti italiani in casa, le Regioni chiedono una riduzione dei giorni di quarantena previsti per non fermare tutte le attività. Riduzione per chi è vaccinato. Il governo convoca gli esperti del Cts e chiede un parere. Adriana Logroscino per il Corriere della Sera.
«Con i contagi che la variante Omicron moltiplica come mai prima, aumenta esponenzialmente il numero di italiani in quarantena, ora a quota 2 milioni. Un primo effetto già si vede: file e disagi per il tampone e sistema del tracciamento sottoposto a dura prova. Il rischio è che il Paese di qui a una o due settimane si paralizzi. Un'eventualità da scongiurare a ogni costo. Le Regioni, a cominciare da quelle governate da presidenti leghisti, pressano il governo: si rivedano le regole della quarantena. «Abbiamo fatto una riflessione col ministro Speranza sul numero di persone in quarantena - dice il commissario per l'emergenza Francesco Figliuolo - gli scienziati stanno studiando come rivedere le regole». Il Comitato tecnico-scientifico è stato convocato domani per esprimere un parere. La decisione dovrebbe arrivare prima della ripresa della scuola per difendere le lezioni in presenza. «La scuola riaprirà», promette il ministro Patrizio Bianchi. Era stato Matteo Bassetti, infettivologo genovese, a lanciare sul Corriere per primo l'allarme. «A breve avremo 100 mila positivi. Contando i loro contatti, si rischia di avere 10 milioni di cittadini in quarantena». Matteo Renzi, leader di Italia viva, si schiera con lui: «Il virus è meno aggressivo, chi è vaccinato non deve andare in quarantena. Eventuali altre restrizioni, riguardino solo i no vax». Massimiliano Fedriga, Luca Zaia, Attilio Fontana e Giovanni Toti, presidenti di Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia e Liguria, tra le regioni più colpite dal contagio, spingono compatti nella stessa direzione: non si possono sottoporre a quarantena asintomatici e negativi venuti in contatto con un positivo. «Rivedere le regole, in particolare per chi ha ricevuto la terza dose, è ragionevole», dice Zaia. «Garantire massima sicurezza ma senza bloccare il Paese», conferma Fedriga. Ma non soltanto dai territori si avverte questa urgenza. Licia Ronzulli, vicepresidente dei senatori di Forza Italia, rafforza il concetto: «La quarantena per i vaccinati con terza dose che entrano in contatto con un positivo non ha senso. E farà saltare i servizi essenziali». Insomma, il timore è che, a questo ritmo, manchino all'appello dipendenti degli ospedali come dei supermercati. Ieri, non avendo personale con il quale assicurare il servizio, il Duomo di Firenze ha chiuso ai turisti. In attesa del parere del Cts, dal ministero della Salute sia il sottosegretario Pierpaolo Sileri che il consigliere scientifico Walter Ricciardi frenano. «La revisione è necessaria, ma con Omicron circola anche Delta, responsabile di quasi tutti i ricoveri. Basiamoci sui dati scientifici, non sulle sensazioni». E i dati, terminata la due giorni festiva, tornano a essere preoccupanti: 30.810 i positivi nelle ultime 24 ore, il 9% dei tamponi processati. Aumentano ancora i ricoveri: nelle terapie intensive il 12% dei letti è occupato. Altri 142 i morti. Mentre il ministero, a un anno esatto dalla prima somministrazione, calcola in 22 mila i decessi per Covid evitati grazie al vaccino».
L'emergenza: ritratto del Paese che rischia lo stop. Tanti medici con tre dosi costretti a casa perché sono contatti di contagiati, e interi reparti ospedalieri in sofferenza. A rischio anche le forze dell’ordine e la scuola. Alessandra Ziniti per Repubblica.
«Abbiamo ancora almeno 25.000 medici senza terza dose. Occorre accelerare, chiediamo una corsia d'emergenza altrimenti gli ospedali e le strutture sanitarie rischieranno di andare in sofferenza per mancanza di personale più che per i ricoveri da Covid». L'appello di Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici, si sposa con l'allarme lanciato dal sindacato Nursing Up, secondo il quale oltre 1000 operatori sanitari ( 800 dei quali infermieri) si sono infettati nel weekend di Natale portando a 6.700 i contagi tra i camici bianchi nell'ultimo mese. Numeri almeno da triplicare (nella migliore delle ipotesi) se si considerano i colleghi costretti alla quarantena( anche se vaccinati e senza sintomi) perché contatti diretti da positivi. «Il problema dell'aumento delle persone, vaccinate con tre dosi, ma in quarantena perché contatti di positivi lo stiamo vivendo negli ospedali dove già c'è una carenza di operatori, medici e infermieri, in isolamento a casa. Questo sta creando delle difficoltà all'attività lavorativa già sotto stress», conferma Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. Ospedali, ma non solo. L'impatto di Omicron sui servizi essenziali rischia di essere ben più alto del previsto: aerei, treni, navi, bus, metropolitane, autotrasporto, grande distribuzione, scuole, servizi per l'infanzia, forze dell'ordine potrebbero andare in tilt nel giro di pochi giorni se il numero dei nuovi casi e, conseguentemente dei loro contatti diretti, continuerà a crescere a questo ritmo: gli attuali 458.000 attualmente positivi si portano dietro almeno quattro persone a testa, il che vuol dire due milioni di italiani costretti alla quarantena. Un numero assolutamente per difetto (e comunque destinato a raddoppiare nel giro della prima metà di gennaio) se si considera che il tracciamento è saltato e dunque( tolti i familiari conviventi o i colleghi di lavoro in un ambiente piccolo e limitato) è impossibile sapere quanti e quali altri contatti diretti dovrebbero rimanere in isolamento, a questo punto affidato al senso di responsabilità di ognuno. E però, che i servizi essenziali possano bloccarsi per contagi e quarantene è più di un rischio: a Palermo da tre giorni 34 salme attendono la sepoltura, ma gli uffici cimiteriali hanno dovuto chiudere per un caso positivo. È chiuso alle visite ai turisti, per assenza di personale, anche il Duomo di Firenze. I trasporti a lunga percorrenza ancora reggono: pochissimi i voli annullati in Italia per assenza del personale di bordo come invece accaduto negli Stati Uniti e in altri Paesi europei che ancora ieri hanno visto rimanere a terra più di 2.000 aerei. I sindacati però lanciano l'allarme sui possibili disservizi nel trasporto pubblico locale così come nei servizi di gestione dei rifiuti dove gli organici sono sempre decimati da malattie. L'allarme si è già acceso anche tra le forze dell'ordine dove, per altro, sono già state notificate alcune centinaia di provvedimenti di sospensione per chi non ha voluto adempiere all'obbligo vaccinale scattato il 15 dicembre. «Ancora non abbiamo riscontrato disservizi importanti - dice Felice Romano, segretario generale del Siulp - ma abbiamo già rappresentato il rischio che le quarantene forzate anche per il personale vaccinato costringa a chiudere uffici e reparti. È già successo in sezioni o piccoli commissariati mentre invece i grandi reparti, grazie all'organizzazione del lavoro divisa in turni, sembrano al momento non soffrire della situazione. Anche noi auspichiamo che venga rivisto il sistema delle quarantene per i vaccinati». Osservato speciale il mondo della scuola. Il ministro Bianchi assicura che si riprenderà il 10, con lezioni in presenza, dopo uno screening di tamponi per tutti, ma i conti si faranno a fine vacanze e la corsa dei contagi tra i più piccoli a fronte di una campagna vaccinale appena all'inizio e all'impossibilità di garantire tamponi immediati nelle classi non lascia ben sperare. Soprattutto nelle scuole per l'infanzia particolarmente colpite e con il personale decimato da contagi e quarantene. E i timori non risparmiano il commercio e la grande distribuzione che - come già successo nelle scorse settimane in Inghilterra - teme il rallentamento nei trasporti delle merci se il settore della logistica dovesse essere paralizzato da contagi e quarantene».
IL PUNTO SU OMICRON, DISTURBI LIEVI IN 9 CASI SU 10
Il punto scientifico sulla variante sudafricana: tosse e mal di gola ma indenni i polmoni e i recettori di gusto e olfatto. Le indicazioni raccolte da Oms, Regno Unito, Sudafrica. Margherita de Bac per il Corriere.
«Sta rapidamente «conquistando» il mondo e potrebbe presto soppiantare del tutto l'attuale ceppo più diffuso, il Delta. È Omicron, variante del virus Sars-CoV-2, fuoriuscita da focolai in Botswana e Sudafrica, dichiarata «preoccupante» il 26 novembre dall'Organizzazione mondiale della Sanità. In un mese si sono accumulati i dati che smentiscono la sua pericolosità: nove pazienti su dieci (l'89%) se vaccinati accusano disturbi comuni, di breve durata, paragonabili a un'infreddatura: tosse, mal di gola, febbre. Lo aveva anticipato prima di Natale il direttore di Oms Europa, Hans Kluge. Ora diversi studi preliminari vanno in questa direzione. Omicron è una lettera dell'alfabeto greco, utilizzato per battezzare le diverse versioni con cui il microbo responsabile della pandemia ha colpito in questi due anni di emergenza. Tutto è iniziato con Alfa (nata in Cina), poi Beta (sempre in Sud Africa), Gamma (Brasile) e Delta, per citare solo i ceppi che hanno procurato allarme (rientrato per Beta e Gamma). Molte ancora le incognite che circondano Omicron, il cui obiettivo appare lo stesso di molti suoi consimili: trovare una forma di convivenza con l'uomo. Cosa sappiamo Omicron è più forte sul piano della trasmissibilità. Per esemplificare: se in una stanza c'è una persona infetta, sei rischiano di prendere il virus (uno solo se c'è un portatore di Delta). Non ci sono prove che sia più aggressiva. Al contrario, come afferma l'Oms riprendendo uno studio inglese (Zoe Covid), sembra che si accompagni a sintomi più lievi della variante che l'ha preceduta, simili al raffreddore. Colpirebbe infatti prevalentemente le alte vie respiratorie (gola e bronchi) lasciando indenni i polmoni, senza intaccare i recettori del gusto e dell'olfatto. Queste le conclusioni anche di uno studio molto preliminare condotto in Sudafrica analizzato la scorsa settimana in un meeting della Società europea di microbiologia, presidente l'italiano Maurizio Sanguinetti. Parlano inoltre i bollettini quotidiani: pochi morti in proporzione ai positivi. Cosa non sappiamo In Italia Omicron è in decisa crescita. Contano le stime. Secondo un'indagine dell'Istituto superiore di sanità basata su analisi preliminari dei tamponi raccolti il 20 dicembre, potrebbe avere un'incidenza di circa il 30%, con forti variabilità regionali. I dettagli sono attesi domani. Secondo i calcoli del fisico Roberto Battiston, la variante era al 45% il giorno di Natale. E ieri il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ha dichiarato che il 50-60% dei positivi potrebbero essere stati infettati da questo ceppo che ha un tempo di raddoppio di circa 2 giorni. Il 3 gennaio è stata programmata una nuova sorveglianza flash dell'Iss. Le certezze sul vaccino I primi risultati arrivano dal Regno Unito, dove Omicron ha cominciato la sua rapida ascesa in anticipo rispetto al resto d'Europa, fenomeno intercettato tempestivamente grazie all'intensa attività di sequenziamento dei genomi virali. Si è osservata una diminuzione della capacità dei vaccini, se somministrati con doppia dose, di proteggere da infezione e malattia lieve. Restano però efficaci nella prevenzione di forme gravi di Covid. Il richiamo (terza dose booster) alza la barriera sia contro la malattia lieve sia contro le forme gravi. La «tenuta» dei test Con la nuova variante sono considerati validi sia i tamponi molecolari sia gli antigenici rapidi. Nel complesso, quindi, l'impatto di Omicron sulla diagnostica è irrilevante. La sensibilità dei test antigenici rapidi rimane comunque bassa: questi tamponi dovrebbero essere consigliati solo quando si accusano sintomi».
BRAMBILLA PER L’OBBLIGO VACCINALE
Torna forte la richiesta dell’obbligo vaccinale. L’avanza il presidente di Confindustria, confortato da diversi esperti. Sul tema c’è anche l’editoriale del direttore Michele Brambilla sul Quotidiano Nazionale.
«Siamo tutti contagiati, ma qualcosa è cambiato (in meglio) rispetto a un anno fa: ed è un qualcosa che deve indurre il governo a modificare la politica sui vaccini. Spiegheremo il perché con i numeri, ma anticipiamo subito quello che a nostro avviso il governo deve fare: introdurre l'obbligo vaccinale, almeno da una certà età in su. Siamo tutti contagiati, ma ricoverati e morti sono molti, molti meno di un anno fa. Il 24 dicembre 2020 il bollettino registrava 18mila nuovi casi, il 24 dicembre 2021 più del doppio: 50.599. Eppure il 24 dicembre 2020 i morti erano 505, quest' anno 141: meno di un terzo. I ricoverati erano 24.070, quest' anno 8.812: poco più di un terzo. Come mai? Forse perché la variante Omicron è meno letale della Delta? In parte sì: ma solo in parte, e probabilmente in minima parte, visto che la maggior parte dei contagiati di oggi (stando ai dati disponibili) è ancora colpita dalla Delta. L'effetto dei vaccini è ormai fuori discussione. Il professor Abrignani del Cts ha detto in un'intervista che l'80 per cento dei ricoverati non ha fatto il vaccino. Quanto ai decessi, dal 22 ottobre al 21 novembre (dati Iss) sono stati 1.755: di questi, il 58,9 per cento aveva ricevuto almeno una dose di vaccino e il 41,1 per cento non era vaccinato. Questa è la percentuale sbandierata dai No vax per "dimostrare" che muoiono di più i vaccinati. Follia e menzogna pura, e oltraggio alla matematica, scienza esatta. Bisogna infatti tener conto che la stragrande maggioranza degli italiani è vaccinata, quindi è ovvio che siano di più i vaccinati che muoiono. Se si arrivasse ad avere il 100 per cento di vaccinati, è chiaro che anche il 100 per cento dei morti sarebbe vaccinato. Le percentuali da tenere in conto sono altre: sono quelle dell'incidenza sulla popolazione. E quindi: dal 22 ottobre al 21 novembre, tra i non vaccinati ci sono stati 19,9 morti ogni centomila persone; tra i vaccinati con due dosi 2,8 morti su centomila persone; tra i vaccinati con tre dosi 1,4 morti ogni centomila persone. Sempre dalla statistiche dell'Iss emerge che per una persona non vaccinata il rischio di morte è 7,1 volte superiore rispetto a chi è vaccinato da oltre 150 giorni; 10,5 volte superiore a chi è vaccinato da meno di 150 giorni; 14,2 volte superiore a chi è vaccinato con tre dosi. Numeri e realtà che dovrebbero chiudere, e per sempre, una discussione che è stata tollerata fin troppo a lungo. Il Paese non può essere ostaggio di nessuno. E quindi, siccome l'eta media dei morti è di 80 anni (dato Iss aggiornato al 5 ottobre 2021), almeno i cittadini a rischio per età (dai 60? O 50?) e patologie devono essere obbligati a vaccinarsi, per non tenere bloccati tutti gli altri. Altrimenti non se ne esce».
NELLA LEGGE DI BILANCIO MANCANO GLI AIUTI ALLE IMPRESE
Il Sole 24 Ore denuncia una “mina” da 25 miliardi per la fine delle moratorie alle imprese. La manovra uscita dal Senato ha mantenuto infatti l'impianto pensato a ottobre, quando si pensava che la pandemia volgesse alla conclusione. Mancano misure per supportare le imprese. Laura Serafini.
«Il governo ha chiuso la delicata partita sulla manovra di bilancio legata alla distribuzione degli 8 miliardi destinata alla riduzione della pressione fiscale arrivando a ridosso della fine dell'anno. Un obiettivo raggiunto, tra i tanti che si è attribuito il premier nella conferenza stampa prima di Natale. Peccato che sia rimasto fuori un capitolo a dir poco cruciale, così cruciale da aver salvato, con le garanzie pubbliche sui prestiti, il paese dal disastro nel 2020 assicurando che le imprese continuassero ad avere liquidità nonostante i lockdown. A due anni di distanza la pandemia è ancora lì, anche se questa volta a portare contraccolpi sul tessuto produttivo (disdette prenotazioni, di voli, di ordini per pranzi e cene, ma anche individui che non possono andare a lavorare) non sono le chiusure ma l'elevato numero di persone finite in quarantena. La legge di bilancio nella versione approvata ha mantenuto l'impianto pensato a fine estate, quando si riteneva che i vaccini avrebbero accompagnato il paese fuori dall'emergenza. Così per fine dicembre è stata prevista la fine delle moratorie per le imprese: ne sono ancora in piedi per 56 miliardi, di cui 43 miliardi per imprese. Per i prestiti garantiti, in particolare quelli coperti dal Fondo per le Pmi, da gennaio è prevista una riduzione delle garanzie dal 90 al 80% per i finanziamenti destinati alla liquidità entro i 30 mila euro. E l'introduzione di una commissione da pagare per tutte le garanzie. L'impatto più forte e immediato si vedrà da gennaio. Un mese fa il vice presidente di Confindustria Emanuele Orsini aveva lanciato l'allarme: l'associazione delle imprese prevede a fine anno che su almeno 25 miliardi di prestiti rispetto a 43 miliardi di moratorie alle imprese in essere non potranno riprendere i pagamenti. L'aspetto più inquietante è che nessuno degli strumenti auspicati dall'Associazione bancaria per continuare a supportare le imprese nonostante la fine delle sospensioni sia stato messo in campo. Il decreto liquidità varato nel 2020 prevedeva all'articolo 13 lettera e) del comma 1 la garanzia sulle operazioni di ristrutturazione; questa assicurazione sui finanziamenti alle imprese che rinegoziano il debito allungando la scadenza e riducendo la rata (strumento efficace per supportare chi esce dalla moratoria) non è stata prevista dalla legge di bilancio. Quindi chi non potrà riprendere i pagamenti a gennaio, senza la garanzia difficilmente si vedrà erogare nuova finanza. Non solo: un altro strumento utile sarebbe la garanzia Sace a condizioni di mercato, prevista anch' essa dal decreto liquidità. Per attivarla serve un decreto interministeriale tra Sviluppo Economico ed Economia: lo strumento deve essere negoziato con Bruxelles per valutare la compatibilità con gli aiuti di Stato. Da mesi il confronto va avanti ma a quanto pare è ancora in alto mare. La mancanza di strumenti efficaci in un contesto in cui la pandemia sta rimettendo a rischio le attività produttive sta creando molta preoccupazione tra le associazioni di categoria, quella bancaria ma soprattutto le associazioni imprenditoriali. Il contesto è reso ancora più arduo da fattori nuovi, come la ripresa dell'inflazione e, in particolare, l'aumento del prezzo dell'energia, che si sommano alle difficoltà della supply chain e del reperimento di materie prime e materiali per le produzioni. L'interrogativo che molti si pongono è per quale motivo non sono state apportate modifiche alla legge di bilancio nonostante da settimane sia stato sollevato il problema da parte delle associazioni di categoria mentre l'aumento dei contagi è sotto gli occhi di tutti da settimane. Gli strumenti per riportare l'orologio indietro e ripristinare gli aiuti che sono tuttora previsti fino a a fine mese ci sono. La Commissione europea a novembre ha prorogato tutte le misure del Temporary Framework in deroga alla normativa sugli aiuti di Stato, consentendo ai governi dei singoli Stati tutta la flessibilità per gestire in autonomia l'utilizzo degli strumenti ritenuti più opportuni. È evidente che lasciare immutate le misure ora in campo (a parte le moratorie, destinate comunque a terminare) determina un onere a carico delle casse pubbliche più elevato rispetto a una riduzione progressiva delle garanzie. Peraltro per le garanzie Sace (sinora 30 miliardi garantiti contro i 200 miliardi del fondo Pmi) è prevista una proroga tout court fino a fine giugno».
QUIRINALE 1. LA TRAMA DEI DUE MATTEO
La foto di un lungo dialogo fra Salvini e Renzi nell’aula del Senato illustra l’alleanza fra i due Matteo in vista del voto per il nuovo Presidente. La Lega cerca un dialogo con tutti. Mentre Italia Viva fa pesare i suoi 45 voti, decisivi dalla quarta votazione. Claudio Bozza per il Corriere.
«Il gong si avvicina, ma per il Quirinale non c'è ancora un nome forte e i partiti avanzano in ordine sparso. I numeri sarebbero dalla parte del centrodestra, che vanta circa il 46% dei grandi elettori, ma anche la coalizione forte è frammentata. Le parole di Roberto Calderoli, uomo dei numeri della Lega, suonano come più di un monito: «Condivisione, o si fa sul serio dal quarto scrutinio», dice ad Affaritaliani . E poi: «La Lega sarà compatta sul nome che ci indicherà Salvini. Se sarà Berlusconi tenteremo qualsiasi strada». Servono certezze, insomma, che però potrebbero arrivare solo in un secondo momento. Sulla sua agenda Matteo Renzi ha infatti cerchiato di rosso una data: 28 gennaio. Perché è quel giorno, alla quarta votazione, che secondo lui verrà eletto il capo dello Stato. Renzi lo ha spiegato a deputati e senatori di Italia viva. Al leader di Italia viva manca ancora un nome, però, racconta di avere una strategia precisa. Che è quella adottata da diverso tempo a questa parte: interdizione e rottura, con il Pd tanto per cambiare. Il motivo? Oltre che tattico-politico è anche una questione di rapporti umani. Il segretario dem Enrico Letta, dopo il durissimo sgambetto subito sul dl Zan, ha chiuso i rapporti con Renzi, ma ha un buon dialogo con Giorgia Meloni. Una variabile non da poco, specie a ridosso del voto per il Quirinale. È in questo quadro che Renzi ha rafforzato il suo flirt con Matteo Salvini, con cui, alle due e mezza di notte, è rimasto a parlare per quasi mezz' ora durante la seduta fiume in Senato per l'approvazione della manovra: «Cosa ci siamo detti? Rimane tra noi». Un faccia a faccia studiato ad hoc, sotto gli occhi di tutti e immortalato da un senatore del Pd. Perché è con il capo della Lega che Renzi sta tessendo la tela per il Colle, forte dei 45 voti di Iv, pacchetto che in caso di accordo con i centristi di Giovanni Toti potrebbe aumentare di altri 30 circa. Il governatore della Liguria, però, sotto i riflettori gioca così: «Berlusconi è il fondatore della seconda Repubblica. Credo abbia tutti i titoli, se lo vorrà, per candidarsi. Poi vedremo le condizioni». Ignazio La Russa, esponente di punta di Fratelli d'Italia, ribadisce che il suo partito è «compatto» su Berlusconi. Ma la verità è che, secondo quanto raccontano alcuni maggiorenti a taccuini chiusi, il centrodestra è diviso. Eppure i numeri, in caso di fronte unitario sarebbero ottimi: «Il 5% di grandi elettori in più rispetto a quelli con cui il Pd giocò la partita per eleggere Mattarella», ragiona un berlusconiano di lungo corso. Tutto mentre dal fronte del Pd, per bocca dell'influente Goffredo Bettini, arriva un messaggio preciso: «Berlusconi? Una candidatura che naturalmente la sinistra combatterà», ha detto al Foglio . E poi, pur sottolineando lo spessore internazionale di Mario Draghi, per il Colle apre senza giri di parole a una terza via, ovvero: «Uno scatto di volontà dei più importanti leader politici per indicare una soluzione diversa da quella di Draghi, in grado di ottenere la maggioranza in Parlamento». Con Giuseppe Conte, a quanto filtra dal Movimento, che almeno in questo frangente sembra volersi svincolare dal patto di ferro siglato con Letta per tirare fuori dal cilindro un candidato comune, che però ancora non c'è.».
QUIRINALE 2. CONTE VUOLE UNA DONNA
Giuseppe Conte insiste, apparentemente rinfrancato anche dalle riflessioni di Goffredo Bettini nella sinistra, nel mantenere libertà d’azione di proposta dei 5 Stelle. Pensa ad una donna, anche dell’area di centro destra. I due veti sono per Berlusconi e per Draghi. Matteo Pucciarelli per Repubblica.
«Una donna al Quirinale. Un "profilo alto" - come si suol dire in questi casi - ma soprattutto nella convinzione che i tempi siano maturi affinché il prossimo capo dello Stato, per la prima volta nella storia, non sia un uomo. Passate le festività, il presidente del M5S Giuseppe Conte rivolgerà questo appello ai leader degli altri partiti. Non solo a Pd e sinistra, con i quali un ragionamento in questo senso era stato già fatto nei giorni scorsi, ma anche alla destra. Perché la nomina di una donna al Colle, al di là dello schieramento di appartenenza, darebbe un segnale di reale volontà di innovazione delle istituzioni e della politica. Le trattative vere e proprie entreranno nel vivo a gennaio ma Conte è intenzionato a giocare la partita dei 5 Stelle su un doppio binario: l'estremo realismo, e quindi un'offerta chiara al centrodestra che sulla carta, con i voti anche di Italia Viva, ha i numeri dalla propria parte; ma anche provando a mettersi alla guida di un processo di rottura, per certi rivoluzionario, in un sistema ancora a forte trazione maschile. Le scelte in questo senso non mancano: Paola Severino, Letizia Moratti, Elisabetta Belloni, solo per citarne alcune. Ma anche su Marta Cartabia, autrice della rifoma che ha smontato la legge Bonafede, e su Maria Elisabetta Casellati, la presidente del Senato spesso finita nel mirino del Movimento sia per reali o presunte forzature dei regolamenti dell'assemblea che per un utilizzo quantomeno disinvolto dei voli di Stato, "preclusioni non ce ne sono", assicura un fedelissimo dell'ex presidente del Consiglio. Una donna al Quirinale anche per allontare i due nomi che si trovano nella "black list" del M5S. Il primo è Silvio Berlusconi e le ragioni della contrarietà di tutto il partito sono politiche, storiche, simboliche; anche se il corso del Movimento si è normalizzato, lo "psiconano" (come lo definiva Beppe Grillo sul suo blog ai tempi d'oro) al Colle è una linea che Conte e i suoi non oltrepasseranno mai. Il secondo, seppur con una tonalità di "nero" meno proibitiva, è Mario Draghi. Promuoverlo aprirebbe automaticamente le porte a un semipresidenzialismo di fatto, è il ragionamento che si fa nel dietro le quinte. Non solo, perché il timore di Conte e dei suoi è che, senza il peso di Draghi a Palazzo Chigi, il M5S che si troverebbe costretto ad appoggiare un tecnico sul solco del draghismo non riuscirebbe a farlo con i numeri attuali, senza insomma una nuova emorragia. La pattuglia dei 5 Stelle nelle due Camere è ad oggi composta da 234 persone, su un totale di 1.009 elettori. Un numero pesante ma non per forza decisivo, per questo occorrerà un complicato lavoro di diplomazie e intese trasversali. Ma anche comunicativo e in questo senso la proposta al femminile ha l'obiettivo, anche, di parlare al resto del Paese».
QUIRINALE 3. MR. B FA SUL SERIO
Anche dopo l’incontro di Villa Grande, a chi lo chiamava per gli auguri Silvio Berlusconi ha sempre chiarito: la mia candidatura al Quirinale è una cosa molto seria. Valerio Valentini per Il Foglio.
«Più che i dubbi sul suo potercela fare, quel che lo indispone, che forse perfino lo indispettisce, sono i sospetti sul suo volerci provare davvero. "Guardate che io sul Quirinale faccio sul serio", ripete allora il Cav. a tutti quelli che lo cercano, a quanti con la scusa degli auguri lo chiamano per avere dalla sua viva voce la conferma che sì, la candidatura è reale. "Certo che è reale", conferma lui. "E' reale ed è supportata, oltre che dalla logica della politica, dalla saldezza dell'aritme - tica". E da una percezione sul suo possibile peggior rivale, e cioè quel Mario Draghi che "non è abbastanza amato". Insomma corre per vincere, Silvio Berlusconi. E forse sarà vero quel che vari leader del centrodestra lasciano intendere: e cioè che a Berlusconi serve formalizzare la sua candidatura, affermarla, per poterla poi eventualmente ritirare, e far passare il tutto come estremo atto di generosità, di responsabilità. E però c'è un motivo se tutti gli ospiti che erano andati a Villa Grande, giovedì scorso, con la convinzione di poter aprire una crepa nella fermezza del Cav. ne sono invece usciti convinti del contrario, messi di fronte alla persistenza dell'ambizione. "No, non lo faccio solo per occupare la scena, per garantirmi la centralità nel dibattito sui giornali sotto le feste", ha spiegato Berlusconi, che una simile lettura, un tale ridimensionamento del suo sogno quirinalizio, lo considera quasi offensivo. "Non lo faccio neppure per poi potermi sfilare e interpretare il ruolo del regista, del king maker", ha puntualizzato, lui che semmai ama essere autore e attore protagonista, e non certo scrivere sceneggiature sontuose da affidare ad altri interpreti. E gli ultimi dubbi, se mai ce ne fossero ancora, il Cav. li fugherà dopo l'epifania: e cioè quando, verosimilmente intorno al 10 gennaio, troverà il modo di ufficializzare la sua candidatura, il suo esserci. Perché la politica, assicura Berlusconi, gioca dalla sua parte. Mario Draghi potrà rassicurare i leader di partito sulla sua ferma volontà di portare a conclusione naturale la legislatura, ma non riesce per ora a tranquillizzare il corpaccione degli anonimi parlamentari. Non di quelli, almeno, con cui ad Arcore si tengono contatti, diretti o mediati dai fidati ufficiali di collegamento. L'esercito dei peones ha paura che tutto precipiti, se il premier andasse al Colle; ed è anche su quella paura che il Cav. è convinto di poter costruire la sua candidatura: promettendo stabilità, un altro anno di pacchia tra Camera e Senato, la certezza della pensione che scatta a ottobre prossimo. E poi, come Berlusconi ha ripetuto a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, a Maurizio Lupi e a Giovanni Toti e a Lorenzo Cesa la scorsa settimana nella sua villa sull'Appia antica, anche lui vanta ottimi rapporti coi leader del fronte avverso. Si sente spesso con Enrico Letta, anche per il tramite dello zio Gianni, e non a caso è dal segretario del Pd che di recente si è sentito riconoscere il titolo di "unico federatore del centrodestra". Ce li ha con Luigi Di Maio e con Giuseppe Conte, che infatti si guardano bene dal riproporre certi toni, certe ingiurie, usate in passato per criticare e delegittimare il fondatore di Forza Italia. E insomma è da qui che deriva il conforto dei numeri, anche a dispetto di alcuni azzardi, di una certa forse eccessiva confidenza nelle proprie certezze, se è vero che il Cav. dà sostanzialmente per acquisito un sostegno, quello di Italia viva, che invece Matteo Renzi si guarda bene dal certificare, anche a giudicare dalle dichiarazioni di ieri di Ettore Rosato, per il quale "Berlusconi non ha il consenso necessario, e non avrà il supporto di Iv". Come che sia, di voti il leader azzurro è convinto di averne a disposizione almeno 530, forse addirittura 550, "e almeno un centinaio, 150 perfino, arriverebbero dal mondo del Misto e del M5s", replica il Cav. a chi lo mette in guardia dall'ostilità degli avversari. Quanto invece alla fedeltà degli alleati, più che la fiducia conta la tattica, secondo gli strateghi di cui Berlusconi si circonda. E dunque ad Arcore sono convinti che se se pure Meloni e Salvini, e con loro i capi centristi della coalizione, malignano che il Cav. non abbia la forza di affermarsi, in ogni caso nessuno di loro avrà la forza di spingerlo a ritirarsi anzitempo. E dunque le prime tre votazioni, quelle che richiedono la maggioranza trasversale dei due terzi di cui avrebbe bisogno Draghi per essere eletto come "presidente di tutti", passeranno invano, col centrodestra che le diserterà in attesa della quarta. E tanto basterà, dunque, per impedire preventivamente l'ascesa del premier. Che del resto, secondo il fiuto di Berlusconi, è troppo algido per il ruolo di capo dello stato, "non è abbastanza amato". E l'amore, si sa, per il Cav. trionfa sempre su tutto».
CRSTIANI PERSEGUITATI IN INDIA E MYANMAR
Ieri era l’apertura del New York Times: il Natale in India è stato all’insegna della persecuzione dei cristiani. Nel mirino soprattutto le suore di Madre Teresa. Alessandra Muglia per il Corriere.
«Tra gli ultimi a finire in manette un prete cattolico e un pastore. La polizia li ha prelevati la sera di Santo Stefano dalla loro casa, in un villaggio del Madhya Pradesh, Stato tra i più arretrati dell'India, dove oltre un abitante su tre vive sotto la soglia di povertà. Padre Jam Singh Dindore e l'evangelico Ansingh Ninama sono stati arrestati con l'accusa di aver attirato nell'orbita del cristianesimo la gente delle aree tribali offrendo istruzione e cure gratuite nelle scuole e negli ospedali gestiti dai missionari. Tempi duri per i cristiani in India. Sotto Natale gruppi di estremisti indù hanno intensificato gli attacchi alle comunità. Irruzioni durante le messe, scuole assaltate, statue distrutte, effigi bruciate, preti aggrediti e vessati. Violenze giustificate come la risposta ai tentativi dei cristiani di usare le festività per costringere gli indù a convertirsi. Gli autori sono gruppi dell'ultra destra indù che puntano a trasformare l'India da Paese laico multireligioso in nazione indù «ripulita» da cristiani e musulmani. Violenze alimentate dalle leggi anti conversioni già in vigore in sette Stati indiani, che prevedono fino a 10 anni di carcere per chiunque sia giudicato colpevole di convertire qualcun altro «con la forza», con «metodi fraudolenti» o con il matrimonio. Questo Natale nel mirino sono finite anche le Missionarie della carità di madre Teresa. Il governo indiano guidato dal partito nazionalista indù del premier Narendra Modi ha di fatto bloccato i conti bancari della congregazione: il 25 dicembre non ha approvato il rinnovo della licenza per poter beneficiare dei contributi esteri. «Senza questi fondi il gruppo fondato dal premio Nobel madre Teresa non avrà soldi per funzionare: non sarà in grado di pagare le migliaia di collaboratori che lavorano negli orfanotrofi e nelle case per anziani di tutto il Paese» dice al Corriere da New Delhi John Dayal, già presidente dell'All India Catholic Union, che rappresenta 16 milioni di cristiani del Paese. Tra le prime reazioni di sdegno quella di Mamata Banerjee, alias Didi, la «grande sorella», come viene chiamata la governatrice del West Bengala, lo stato di Calcutta, dove c'è la sede principale della congregazione. «I loro 22 mila assistiti e collaboratori vengono lasciati senza cibo e medicine» ha twittato ieri la donna che, al terzo mandato, resiste all'ondata «zafferano». «Un crudele dono di Natale ai più poveri tra i poveri» ha tuonato padre Dominic Gomes, dell'arcidiocesi di Calcutta. Delhi motiva il rifiuto per non meglio precisati «input negativi». La mossa arriva a poche settimane da un altro attacco alle suore di madre Teresa: il 12 dicembre erano state accusate di fare proselitismo in Gujarat, uno degli Stati indiani in cui è in vigore la legge anti conversioni. Un provvedimento pensato per colpire sia i musulmani che una delle comunità cristiane più antiche e numerose dell'Asia: quasi 30 milioni, seppur rappresentino in India una piccola minoranza - appena il 2% della popolazione, in un Paese a stragrande maggioranza indù. Il 60% dei cristiani d'India sono dalit, senza casta, intoccabili. Incursioni e abusi sono più marcati nell'India centrale e settentrionale, controllate dal Bjp. Unica eccezione lo Stato meridionale di Bangalore, il Karnataka, l'ultimo ad aver approvato, alla vigilia di Natale, la legge anti conversione. Nello stesso giorno qui la chiesa di San Giuseppe è stata vandalizzata. È il quarantesimo attacco nel 2021 in questo Stato. Ci sono stati sacerdoti aggrediti o finiti in prigione. Come il pastore Somu Avaradhi. Una domenica di ottobre aveva trovato la sua chiesa «piena di persone che cantavano canzoni religiose indù e gridavano slogan». Ha chiamato la polizia, ma quando gli agenti sono arrivati, i manifestanti lo hanno accusato di aver costretto un uomo indù a convertirsi. E alla fine è stato lui ad essere arrestato».
In Myanmar è già stata chiamata la strage di Natale. La cronaca di Stefano Vecchia per Avvenire.
«Sarebbero 38 i morti, tra cui un bambino e due operatori dell'organizzazione umanitaria Save the Children che risultano dispersi, le vittime del nuovo eccidio perpetrato dai militari al comando della giunta guidata dal generale Min Aung Hlain che ha preso il potere in Myanmar il primo febbraio. La strage, segnalata da fonti della resistenza, è avvenuta il 24 dicembre a Hpruso, nello Stato orientale di Kayah, dove oltre la metà della popolazione è di fede cristiana, in gran parte cattolici. Gli autoveicoli di una colonna in transito su una strada trafficata sono stati attaccati e poi dati alle fiamme mentre i passeggeri, probabilmente persone in fuga dai combattimenti, sono stati trucidati. Un massacro portato a sangue freddo, secondo le milizie locali di etnia Karenni (Kayah), ma che per le fonti militari sarebbe dovuto al mancato arresto dei veicoli a un posto di blocco. In un messaggio in cui ha fornito anche alcuni particolari di quanto avvenuto, il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Conferenza episcopale birmana, ha parlato di «un'atrocità straziante e orribile che condanno senza riserve con tutto il cuore». Il cardinale ha sottolineato come «il fatto che i corpi di coloro che sono stati uccisi, siano stati bruciati e mutilati e siano stati trovati il giorno di Natale, rende questa spaventosa tragedia ancora più commovente e nauseante». Il porporato ha infine lanciato un appello a tutti coloro che nel Paese dispongono di armi da fuoco a deporle: «Esorto l'esercito del Myanmar, il Tatmadaw, a smettere di bombardare e colpire persone innocenti, distruggere case e chiese, scuole e cliniche e ad avviare un dialogo con il movimento democratico e i gruppi armati etnici. Chiedo inoltre ai gruppi armati e alle Forze di difesa popolare di riconoscere che le armi non risolvono la crisi ma piuttosto la perpetuano». Il sottosegretario dell'Onu per gli Aiuti umanitari, Martin Griffith si è detto «inorridito» e ha condannato 'questo incidente grave e tutti gli attacchi contro civili nel Paese, che sono proibiti in base al diritto umanitario internazionale'. A sua volta, l'inviata speciale delle Nazioni Unite per la Birmania (Myanmar) di recente nomina, Noeleen Heyzer, si è detta «profondamente preoccupata per la continua escalation della violenza». La strage di Natale conferma la brutalità della repressione militare che ha provocato oltre 1.300 vittime e ha spinto alla fuga oltre 300mila abitanti. Pochi giorni fa, la Bbc aveva confermato quattro uccisioni di massa avvenute a luglio per un totale di quaranta vittime, poi sepolte in fosse comuni clandestine nella foresta nell'area di Sagaing teatro di scontri tra militari e Forze di difesa popolare. Ieri, forse suggerito dall'attenzione internazionale nei confronti del regime, è arrivato un nuovo rinvio del tribunale militare chiamato a giudicare Aung San Suu Kyi per possesso illegale di ricetrasmittenti e di apparecchi che provocano interferenze nei segnali radio. La sentenza, già posticipata dal 20 dicembre, è stata spostata al 10 gennaio. La notizia è stata diffusa da fonti vicine alla donna che è diventata simbolo della lotta nonviolenta contro la dittatura e dal 2015, come Consigliere nazionale e ministro degli Esteri, ha di fatto indirizzato il Paese. Per lei, agli arresti da febbraio, sono una decina i capi d'imputazione, di cui due già arrivati a giudizio per quattro anni totali di carcere».
POLONIA, NO ALLA LEGGE BAVAGLIO. RUSSIA, 15 ANNI ALLO STORICO DEI GULAG
La Polonia rinuncia per ora ad una legge bavaglio sui media. La cronaca di Marta Serafini per il Corriere della Sera.
«Per molti è una vittoria per la libertà di parola e per l'indipendenza dei media in un Paese in cui le norme democratiche sono ormai quotidianamente messe in discussione dal governo nazionalista. Il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ha annunciato il veto alla controversa legge sulla proprietà dei media che avrebbe costretto la società Usa Discovery a cedere la sua quota di controllo del network televisivo polacco Tvn, la più grande rete televisiva privata del Paese, nota per i suoi servizi indipendenti e critici nei confronti del governo. Nel commentare la sua decisione, Duda ha sottolineato che la legge era invisa a molti cittadini e avrebbe inferto un colpo alla reputazione della Polonia come luogo per fare affari. Discovery aveva minacciato di fare causa alla Polonia davanti al tribunale per gli arbitrati internazionali e il governo Usa aveva fatto pressioni su Varsavia. Firmare il testo rendendolo legge avrebbe avuto per il Paese un costo di miliardi di dollari. «Questa legge non è necessaria in questo momento», ha commentato il presidente polacco. Il provvedimento, chiamato lex Tvn, approvato dalla Camera bassa del Parlamento polacco lo scorso 17 dicembre, avrebbe impedito a qualsiasi entità non europea di possedere una quota superiore al 49% in emittenti televisive o radiofoniche in Polonia. Il suo effetto pratico sarebbe stato, appunto, quello di costringere il gruppo americano Discovery, proprietario di Tvn, a vendere la sua quota di maggioranza. Discovery è l'unico proprietario di media non europeo in Polonia, per questo la legge è considerata mirata. Molti polacchi valutavano il provvedimento, promosso dal Partito diritto e giustizia (PiS) al governo, con cui Duda è allineato, un tentativo di mettere a tacere una tv che trasmette servizi indipendenti e talvolta critici nei confronti delle autorità. Il 19 dicembre scorso si sono svolte grandi manifestazioni popolari in oltre 100 città del Paese contro la legge e in difesa della libertà dei media».
Nuova sentenza in Russia contro lo storico e attivista Yuri Dimitrev. Con i suoi studi aveva denunciato le atrocità del Gulag sovietico. La cronaca de Il Fatto.
«Quindici anni di colonia penale: è la sentenza della Corte di Petrozavodsk, nord-ovest della Federazione russa, contro l'attivista e studioso Yuri Dimitrev, vittima di un processo politico. Si è seduto sul banco degli imputati per la terza volta dopo essere stato già assolto due volte in precedenza per le stesse accuse: prima nel 2018, poi nel 2020 è stato tacciato di produzione di materiale pedopornografico per il ritrovamento di alcune fotografie della sua figlia adottiva. Lo studioso, che ha salvato la bambina dalla povertà dell'orfanotrofio, ha scattato semplicemente prove fotografiche della sua malnutrizione. Storico dei gulag, Dimitrev ha scoperto le fosse comuni di epoca sovietica in Carelia, settemila cadaveri di vittime del terrore staliniano che Mosca avrebbe preferito fossero rimasti al buio, seppelliti dalla propaganda del Cremlino, dal silenzio e dall'oblio. A Sandarmoch invece i russi hanno cominciato ad andare in pellegrinaggio per ricordare e omaggiare i morti. Andrea Gullotta, docente di Lingua e Letteratura russa all'Università di Glasgow e presidente dell'associazione Memorial Italia, dice che "il caso Dimitrev mostra in tutta la sua chiarezza come ci sia un quadro ben più ampio, mirato a dare una certa interpretazione del passato e della storia sovietica. Ora i pezzi del quadro si mettono insieme: è arrivata la richiesta di liquidazione di Memorial", storica ong nata al crollo dell'Urss per la tutela dei diritti umani e delle vittime del regime sovietico. "I dettagli eclatanti nella vicenda Dimitrev sono stati tanti: si sono susseguite decisioni mirate a punire la persona, nonostante la sua innocenza acclarata", continua Gulotta: "Lo storico per due volte è stato assolto, ma le assoluzioni sono state cancellate per avviare un nuovo processo, fino a quando non hanno ottenuto una condanna di 15 anni", a cui farà appello l'avvocato dello studioso, che ha 65 anni e molti problemi di salute. Questa sentenza assomiglia per questo più a una condanna a morte certa. I motivi dell'accanimento "si scopriranno tra qualche anno, ma che ci siano state infinite violazioni procedurali è evidente, è un caso grave che lascia sbigottiti, monitoriamo la situazione, cerchiamo di coinvolgere istituzioni e ministero degli Esteri italiani, attendiamo istruzioni dai colleghi a Mosca" conclude Gullotta. Ma tranne un'interrogazione parlamentare, Roma per Dimitrev ha fatto poco».
SOMALIA ANCORA SENZA PACE
Conflitto fra presidente e premier a Mogadiscio: la Somalia è senza una convivenza pacifica da 30 anni. Vincenzo Nigro per Repubblica.
«È dal 1991, dalla fuga di Siad Barre, il dittatore sostenuto dall'Italia, che la Somalia non trova pace e soprattutto non trova governi stabili. Divisa in regioni praticamente tutte auto-governate, paralizzata dalle dinamiche di clan che non riescono a designare leader unitari, la Somalia da anni è vittima della più importante fra le versioni africane di Al Qaeda ("Al Shabaab", i giovani). Ma soprattutto il paese negli ultimi mesi ha visto lo scontro incessante fra il capo dello Stato Mohamed Abdullahi "Farmajo" e il primo ministro Mohammed Hussein Roble. Ieri "Farmajo" (il suo soprannome "formaggio" è un residuo di lingua italiana nel somalo parlato correntemente) di buon mattino ha emesso un decreto con cui ha provato a sollevare dal potere il capo del governo. Ma il premier Roble si è ribellato, in poche ore ha ottenuto il sostegno di buona parte delle forze armate e della polizia, e ha lanciato una manovra per congelare il potere di Farmajo. Esercito e polizia hanno bloccato la strada di accesso alla presidenza, e il premier ha ordinato alle forze armate di riferire soltanto al governo e all'ufficio del primo ministro: «Esorto le forze armate a riferire direttamente al governo. Agirò immediatamente contro chiunque si opponga a questo ordine», ha detto il premier durante una conferenza stampa. Sono mesi che i due presidenti litigano per la gestione del lungo e complesso processo elettorale, in cui l'elezione di una nuova assemblea nazionale è stata assegnata al voto degli anziani e dei saggi delle varie regioni del Paese. Il premier Roble accusa il presidente Farmajo di voler paralizzare il processo elettorale per poter restare in carica illegalmente. Presidente dal 2017, Farmajo aveva visto scadere il suo mandato l'8 febbraio senza riuscire ad accordarsi con i vertici dei consigli regionali sull'organizzazione delle elezioni. A metà aprile il suo annuncio di proroga dei poteri presidenziali per 2 anni aveva provocato scontri armati a Mogadiscio. Poi presidente e primo ministro avevano trovato un accordo di facciata. L'intesa temporanea è saltata ieri: Farmajo ha provato a sospendere i poteri di Roble, accusandolo di aver interferito nelle indagini su un caso di appropriazione indebita di terreni. La presidenza ha provato a dire che i poteri del primo ministro «rimarranno sospesi in attesa di un'indagine sulle accuse di corruzione e cattiva condotta». Ma il premier ha risposto presto, annunciando che «i responsabili del colpo di Stato fallito oggi saranno perseguiti, il golpe è stato sventato grazie ad alcuni elementi della Guardia presidenziale e dell'Esercito», ha detto uno dei ministri fedeli al premier. Per l'Europa e purtroppo anche per l'Italia, la Somalia ormai è una terra dimenticata, in cui è quasi impossibile condurre azioni politiche che non siano le operazioni militari guidate dagli Stati Uniti contro gli Shabaab e sostenere le Ong della Cooperazione che provano ad assistere direttamente i popoli delle varie regioni della Somalia. Chi è presente invece in maniera sempre più massiccia sono Paesi come la Turchia, che è la potenza più radicata in Somalia, e gli Emirati Arabi Uniti, che nel Puntland e in Somaliland (le regioni autonome settentrionali del Paese) hanno messo piedi in porti che hanno una valenza geopolitica che va al di là delle schermaglie che continuano a dividere i capi politici a Mogadiscio».
PENA DI MORTE IN GIAPPONE
Giappone. Tre esecuzioni per impiccagione nei giorni di Natale, non accadeva dal 2019. L’appello delle Ong: Tokyo si fermi. Ma l’80% del Paese è d’accordo con la pena di morte. Lorenzo Lamperti per Repubblica.
«A Natale torna il boia. Almeno in Giappone, dove negli scorsi giorni sono state eseguite tre condanne a morte, le prime dal 2019. Anche in quell'occasione l'esecuzione capitale era avvenuta a cavallo delle festività natalizie, coincidenza che per l'opposizione cela il tentativo di evitare polemiche. Stavolta gli impiccati sono stati tre. Yasutaka Fujishiro, 65 anni, è stato condannato per aver ucciso sette familiari nel 2004. Tomoaki e Mitsunori Onogawa, 54 e 44 anni, sono stati identificati come gli esecutori di due omicidi in due locali di giochi d'azzardo. Il Giappone è rimasto l'unico Paese del G7, insieme agli Stati Uniti, dove la pena capitale è ancora in vigore. Viene applicata soprattutto nei casi di omicidio multiplo: nel 2018 l'hanno subita 13 membri di una setta religiosa, colpevoli dell'attentato con gas nervino nella metropolitana di Tokyo del 1995. Le Ong criticano il trattamento, giudicato «crudele», riservato ai condannati (attualmente 107) nel braccio della morte. Ai detenuti non viene dato alcun preavviso sulla data dell'impiccagione. Ogni giorno potrebbe essere per loro l'ultimo, coi legali impossibilitati a presentare appello e i familiari avvisati solo dopo il decesso. A novembre, due detenuti del braccio della morte hanno fatto causa al governo per rivedere questa pratica «inumana». Tokyo ha finora difeso la pratica citando l'ampio sostegno popolare alla pena capitale, che secondo i sondaggi sarebbe superiore all'80%. Le associazioni mettono in dubbio i criteri metodologici dei rilevamenti e chiedono una moratoria immediata su tutte le condanne. Ma il governo del neo premier Fumio Kishida si schiera con la «tradizione». Dopo le critiche per il ritorno del boia, l'esecutivo ha annunciato una riforma del codice penale, ma non è prevista l'abolizione della pena di morte. Il portavoce del governo Seiji Kihara ha ribadito che si tratterebbe di una mossa «inappropriata». A ottobre, il ministro della Giustizia Yoshihisa Furukawa ha definito la misura «inevitabile» per i crimini efferati. Secondo i dati di Amnesty International, al mondo ci sono ancora 55 Paesi che applicano la pena di morte. Nel 2020 ci sono state 1477 sentenze di condanna capitale e 483 esecuzioni in 18 Paesi. Si tratta del numero più basso dell'ultimo decennio, in calo del 26% rispetto al 2019 e del 70% rispetto ai 1634 casi del 2015. Ma dietro i dati ufficiali si celano numeri molto più alti, visto che alcuni Stati non forniscono cifre. In particolare Corea del Nord, Siria, Vietnam e Cina, con ogni probabilità primo Paese al mondo per numero di pene capitali. Iraq, Iran, Egitto e Arabia Saudita concentrano l'88% delle esecuzioni globali ufficiali, ma nella lista restano democrazie asiatiche come India, Indonesia, Corea del Sud, Taiwan. Oltre agli Stati Uniti, dove nel 2021 sono avvenute 11 esecuzioni, il numero più basso dal 1988. Ma quel numero non è ancora zero».
IL MIRACOLO DI GRACE, LIBERA GRAZIE AL PAPA
Grace Enjei, 24 anni, era fuggita dal Camerun e ha tentato di raggiungere l'Europa attraverso Cipro. Il suo viaggio si è concluso in Italia, ma solo dopo l'intervento di Papa Francesco. Flavia Amabile per La Stampa.
«Più di sei mesi tra un tombino e un marciapiede. Una tenda come tetto e del cibo regalato dall'Unhcr e dall'ambasciata del Portogallo per sfamarsi durante il giorno. Dal 24 maggio al 2 dicembre, mentre una parte del mondo lottava contro il Covid e un'altra parte lottava contro la sua eterna povertà, Grace Enjei, 24 anni, era bloccata nella terra di nessuno di Nicosia, la linea verde che divide la capitale dell'isola di Cipro in due, la parte meridionale territorio della Repubblica di Cipro, Stato dell'Ue, e la parte settentrionale, la Repubblica di Cipro del Nord sotto il controllo turco, ma senza aver mai ottenuto un riconoscimento ufficiale. Tra i due Stati corre la linea verde, l'area demilitarizzata istituita dall'Onu nel 1974 al termine dell'invasione turca dell'isola. Soltanto militari delle Nazioni Unite o il personale delle ambasciate possono circolare in quest' area, gli altri l'attraversano per passare da una parte all'altra dell'isola, ma non possono fermarsi. Grace Enjei era capitata lì dopo essere fuggita dal suo Paese d'origine, il Camerun. Partita da un piccolo paese del Sud-Ovest, era andata a studiare all'università in una città più grande ma si era trovata nel pieno della guerra civile scoppiata tra le province anglofone e francofone, e era stata costretta a tornare a casa e a rifugiarsi nella foresta per sfuggire alle persecuzioni dell'esercito del governo. «La mia vita era in pericolo, ho deciso di accettare l'opportunità offerta da un amico di ottenere un permesso di studio del governo turco», racconta la giovane. È arrivata così in un'università della parte settentrionale di Cipro. «Anche lì però vivere non era semplice - continua -. Dovevo pagare le tasse dell'università, l'affitto di casa, non sapevo come fare». La tentazione dell'Europa è più forte, decide di fuggire. Con due amici, anche loro originari del Camerun, arriva a Nicosia, prova a scavalcare il muro che divide la capitale in due e a passare nella parte europea. «Non ce l'abbiamo fatta, i militari dell'Onu ci hanno scoperto». E li hanno bloccati. Da quel momento non sono più potuti tornare indietro perché la parte Nord di Cipro non aveva intenzione di accogliere tre fuggitivi e la parte Sud aveva ancor meno voglia di far passare sul territorio dell'Ue persone che avrebbero creato un pericoloso precedente. Grace e i suoi amici sono rimasti fino agli inizi di dicembre in pochi metri di strada. Durante le prime settimane hanno provato a arrivare fino al checkpoint della parte Sud di Nicosia per chiedere asilo politico, ma la richiesta veniva respinta. «Non siete nel nostro territorio», rispondevano. A un certo punto hanno smesso di chiedere e sarebbero ancora lì se Papa Francesco non avesse avuto in programma una visita sull'isola. Durante la preparazione della visita la comunità di sant' Egidio ha ricevuto una lista di casi di persone che avrebbero potuto essere ricollocate lontano dall'isola. In cima alla lista c'era proprio Grace Enjei. «Una sera alcune persone della Comunità sono venute a trovarmi, mi hanno detto che c'era questa possibilità», racconta. Due settimane dopo il Papa è arrivato, ho avuto la possibilità di incontrarlo in una serata di preghiera». Due settimane dopo la giovane è arrivata in Italia insieme a altre dieci persone richiedenti asilo. E ha iniziato una nuova vita. Vive nei locali della Comunità di Sant' Egidio, ieri ha frequentato la prima lezione di italiano. «Se tutto andrà bene fra qualche mese potrò lavorare. Che cosa vorrei fare? Mi piacerebbe trovare qualcosa nel settore dei computer ma all'inizio andrà bene tutto. Chiedo solo di ricominciare a vivere».
LA FAMIGLIA SECONDO PAPA FRANCESCO
Ecco il testo dell'Angelus pronunciato il giorno di Santo Stefano da Papa Francesco, in occasione della festa della Santa Famiglia. «Per custodire l'armonia nella coppia bisogna combattere la dittatura dell'io». Da Avvenire:
«Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi festeggiamo la Santa Famiglia di Nazaret. Dio ha scelto una famiglia umile e semplice per venire in mezzo a noi. Contempliamo la bellezza di questo mistero, sottolineando anche due aspetti concreti per le nostre famiglie. Il primo: la famiglia è la storia da cui proveniamo. Ognuno di noi ha la propria storia, nessuno è nato magicamente, con la bacchetta magica, ognuno di noi ha una storia e la famiglia è la storia da dove noi proveniamo. Il Vangelo della Liturgia odierna ci ricorda che anche Gesù è figlio di una storia familiare. Lo vediamo viaggiare a Gerusalemme con Maria e Giuseppe per la Pasqua; poi fa preoccupare la mamma e il papà, che non lo trovano; ritrovato, torna a casa con loro (cfr Lc 2,4152). È bello vedere Gesù inserito nella trama degli affetti familiari, che nasce e cresce nell'abbraccio e nelle preoccupazioni dei suoi. Questo è importante anche per noi: proveniamo da una storia intessuta di legami d'amore e la persona che siamo oggi non nasce tanto dai beni materiali di cui abbiamo usufruito, ma dall'amore che abbiamo ricevuto dall'amore nel seno della famiglia. Forse non siamo nati in una famiglia eccezionale e senza problemi, ma è la nostra storia - ognuno deve pensare: è la mia storia - , sono le nostre radici: se le tagliamo, la vita inaridisce! Dio non ci ha creati per essere condottieri solitari, ma per camminare insieme. Ringraziamolo e preghiamolo per le nostre famiglie. Dio ci pensa e ci vuole insieme: grati, uniti, capaci di custodire le radici. E dobbiamo pensare a questo, alla propria storia. Il secondo aspetto: a essere famiglia si impara ogni giorno. Nel Vangelo vediamo che anche nella Santa Famiglia non va tutto bene: ci sono problemi inattesi, angosce, sofferenze. Non esiste la Santa Famiglia delle immaginette. Maria e Giuseppe perdono Gesù e angosciati lo cercano, per poi trovarlo dopo tre giorni. E quando, seduto tra i maestri del Tempio, risponde che deve occuparsi delle cose del Padre suo, non comprendono. Hanno bisogno di tempo per imparare a conoscere il loro figlio. Così anche per noi: ogni giorno, in famiglia, bisogna imparare ad ascoltarsi e capirsi, a camminare insieme, ad affrontare conflitti e difficoltà. È la sfida quotidiana, e si vince con il giusto atteggiamento, con le piccole attenzioni, con gesti semplici, curando i dettagli delle nostre relazioni. E anche questo, ci aiuta tanto parlare in famiglia, parlare a tavola, il dialogo tra i genitori e i figli, il dialogo tra i fratelli, ci aiuta a vivere questa radice familiare che viene dai nonni. Il dialogo con i nonni! E come si fa questo? Guardiamo a Maria, che nel Vangelo di oggi dice a Gesù: « Tuo padre e io ti cercavamo» (v. 48). Tuo padre e io, non dice io e tuo padre: prima dell'io c'è il tu! Impariamo questo: prima dell'io c'è il tu. Nella mia lingua c'è un aggettivo per la gente che prima dice l'io poi il tu: "Io, me e con me e per me e al mio profitto". Gente che è così, prima l'io poi il tu. No, nella Sacra Famiglia, prima il tu e dopo l'io. Per custodire l'armonia in famiglia bisogna combattere la dittatura dell'io, quando l'io si gonfia. È pericoloso quando, invece di ascoltarci, ci rinfacciamo gli sbagli; quando, anziché avere gesti di cura per gli altri, ci fissiamo nei nostri bisogni; quando, invece di dialogare, ci isoliamo con il telefonino - è triste vedere a pranzo una famiglia, ognuno con il proprio telefonino senza parlarsi, ognuno parla con il telefonino; quando ci si accusa a vicenda, ripetendo sempre le solite frasi, inscenando una commedia già vista dove ognuno vuole aver ragione e alla fine cala un freddo silenzio. Quel silenzio tagliente, freddo, dopo una discussione familiare, è brutto quello, bruttissimo! Ripeto un consiglio: alla sera, dopo tutto, fare la pace, sempre. Mai andare a dormire senza aver fatto la pace, altrimenti il giorno dopo ci sarà la "guerra fredda"! E questa è pericolosa perché incomincerà una storia di rimproveri, una storia di risentimenti. Quante volte, purtroppo, tra le mura domestiche da silenzi troppo lunghi e da egoismi non curati nascono e crescono conflitti! A volte si arriva persino a violenze fisiche e morali. Questo lacera l'armonia e uccide la famiglia. Convertiamoci dall'io al tu. Quello che deve essere più importante nella famiglia è il tu. E ogni giorno, per favore, pregare un po' insieme, se potete fare lo sforzo, per chiedere a Dio il dono della pace in famiglia. E impegniamoci tutti - genitori, figli, Chiesa, società civile - a sostenere, difendere e custodire la famiglia che è il nostro tesoro! La Vergine Maria, sposa di Giuseppe e mamma di Gesù, protegga le nostre famiglie».
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