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Speranza ci mette un tampone

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Speranza ci mette un tampone

Stretta su chi decide di andare all'estero. Draghi si fa iniettare AstraZeneca. Il Senato approva l'assegno unico per le famiglie, che diventa legge. Eletta la Serracchiani. Conte prepara l'esordio

Alessandro Banfi
Mar 31, 2021
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Speranza ci mette un tampone

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Ultimo giorno di marzo, e anche di scuola. Dad o non Dad. Domani si entra nel vivo della settimana di Pasqua. Il Governo ha provato a mettere una pezza al pasticcio delle vacanze pasquali che di fatto dividono gli italiani, con una stretta per chi ha scelto di andare all’estero, evitando i divieti della zona rossa. Come sempre, la pezza rischia di essere peggiore del buco e creare nuove polemiche. Mario Draghi ha offerto davvero il braccio ieri e si è fatto iniettare il vaccino AstraZeneca, fra insegnanti e anziani nell’Hub di Stazione Termini. Insieme alla moglie, si era prenotato fra i suoi coetanei 70enni che ricevono il vaccino in questi giorni nel Lazio. Classico understatement del nostro Presidente, che non ha fatto filtrare nessun commento. L’immagine però è stata eloquente: la priorità del suo mandato resta la campagna vaccinale. A guardare il ritmo di somministrazione ci sono buone notizie. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte in Italia 269mila vaccinazioni. Superati i 3 milioni di persone già vaccinate con prima e seconda dose.

Altro che “spalmare i morti”. Ci sono professori universitari di Storia e guru della Filosofia che negano sempre i morti da Covid. Fatevi dare un euro per ogni post sui social in cui si ripete la bufala sui decessi che non ci sono, o sono apposta gonfiati dai mass media (per toglierci la libertà), e diventerete ricchi. Certo, questa volta sarebbe stato un assessore alla Sanità di un’importante Regione come la Sicilia, che avrebbe voluto, secondo l’accusa, distribuire sul calendario la notifica a Roma dei decessi per impedire che ci fossero nuovi divieti, con tanto di nuovi colori. L’assessore Razza si è dimesso. La Procura di Trapani sta indagando. Fa sempre un po’ effetto leggere il testo delle intercettazioni delle telefonate pubblicate, all’apertura dell’inchiesta. Moralmente l’accusa però è pesante come un macigno.

Per il resto stamattina i giornali celebrano lo storico voto del Senato a favore dell’assegno unico per le famiglie. E parlano anche molto di politica. Debora Serracchiani è la nuova capogruppo del Pd alla Camera. Commentano la sua elezione Letta e la rivale Madia. La Meloni ha visto il segretario del Pd, che l’ha rassicurata sul Copasir, ruolo da affidare a Fratelli d’Italia. Conte si prepara al primo discorso pubblico da Rifondatore del Movimento 5 Stelle, si fa consigliare dal pd Bettini di cui sarebbe diventato grande amico. E Matteo Renzi? Che vuol fare da grande? Per Sallusti il Rottamatore è uscito dalla politica, assapora un’altra vita, da super consulente internazionale. Alla Tony Blair. Belle pagine di papa Francesco sul giudice Livatino. Ma vediamo i titoli di oggi.

LE PRIME PAGINE

Alla vigilia del triduo pasquale, ma soprattutto nell’ultimo giorno di scuola, la parola maggiormente usata nei titoli stamattina è Pasqua. Per il Corriere della Sera l’ultima ordinanza di Speranza produce una Stretta sui viaggi di Pasqua. Per la Repubblica infuria proprio la polemica, da cui la metafora bellica: La battaglia di Pasqua. Il Quotidiano nazionale va sul merito: Quarantena contro le fughe di Pasqua. La Stampa ci racconta un Draghi severo: Il premier: «Non illudo gli italiani». Il Mattino di Napoli guarda avanti, al ritorno tra i banchi in presenza: Scuola, freno alle lezioni online. Mentre Il Messaggero pensa alle vacanze quelle estive: «Sarà un’estate in sicurezza con i più giovani vaccinati». Poi ci sono le polemiche e le inchieste. Il Giornale dice: Le mascherine di Arcuri sono tutte farlocche. Il Fatto ce l’ha invece col successore, il generale Figliuolo: Vaccini con sponsor, dalle primule alle provole. Il Domani vuole vedere chiaro sul caso della Toscana: Anziani ignorati e sanitari fantasma. Il disastro di Giani finisce in procura. La Verità guarda alla Germania: L’alternativa tedesca ai lockdown. Libero fa un titolo che sembra di due anni fa: La Francia spara ai migranti. Anche Il Manifesto va a soggetto e parla delle 10 proposte di Legambiente al Governo: L’eco-logico. Ieri c’ è stata la storica approvazione in Senato delle nuove norme di sostegno alle famiglie. Il Sole 24 Ore: Alle famiglie un assegno da 20 miliardi. Mancano i fondi per i 250 euro a figlio. Avvenire sottolinea il consenso unanime delle forze politiche: Tutti firmano l’Assegno.  

VAI ALLE BALEARI? CINQUE GIORNI DI QUARANTENA

Il pasticcio delle vacanze pasquali che di fatto dividono gli italiani per censo. Con un’ordinanza il Governo ha improvvisamente deciso una “stretta”. Ecco la sintesi fatta da La Stampa:  

«Obbligo di tampone per chi viene o rientra in Italia da altri Paesi europei, cinque giorni di quarantena e un secondo test alla fine dell'isolamento. È la stretta decisa con un'ordinanza dal ministro della Salute Roberto Speranza per limitare i viaggi all'estero. L'obiettivo del provvedimento, che sarà in vigore fino al 6 aprile e vale per i 14 giorni antecedenti all'arrivo, è contenere gli spostamenti. Ma anche sanare l'anomalia che di fatto consente agli italiani di prendere l'aereo per andare in vacanza oltreconfine, mentre chi rimane a casa è costretto alla zona rossa pasquale. In vista del ponte sono tante le famiglie che hanno acquistato il biglietto per volare alle Canarie o alle Baleari. Chi è già partito, però, troverà una sorpresa al ritorno. Insorgono gli operatori del turismo che da settimane polemizzano con il governo per le fughe attese verso le spiagge spagnole. Spostamenti peraltro legali e consentiti dalla normativa europea (e dagli Stati che accolgono i vacanzieri) nonostante il lockdown. «La toppa è peggio del buco», attacca il numero uno di Federalberghi, Bernabò Bocca, che aggiunge: «Noi non volevamo fare la guerra agli italiani che vanno all'estero, né tantomeno a tour operator e agenzie di viaggio. Il nostro discorso è questo: se il tampone vale per andare all'estero deve valere anche in Italia».

Poi c’è il rebus seconde case. Ci si può andare, ma qualche Regione fa eccezione. Maurizio Belpietro se la prende con Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, che ha fissato il divieto di andare nelle seconde case, divieto che scatta dalla mezzanotte di oggi.

«Il presidente della Liguria, seguendo a ruota le decisioni dei colleghi di Sardegna, Toscana, Val d'Aosta e Alto Adige, ha vietato di trasferirsi nelle seconde case per tutto il periodo delle vacanze pasquali. E ciò in barba a un decreto del governo che consente gli spostamenti fuori Regione a patto che ci si trasferisca in un'abitazione di proprietà o affittata prima del 14 gennaio. Già la norma introdotta dall'esecutivo pare rispondere più alla giurisprudenza creativa che a quella costituzionale (se a posteriori si vieta l'uso di un appartamento preso in locazione, chi paga la pigione, lo Stato?), ma visto che il fisco fa man bassa sulle seconde case, chi risarcisce i contribuenti per il mancato utilizzo di un alloggio di loro proprietà? (…) Caro Toti, chi rimborsa i contribuenti se lei e i suoi colleghi governatori all'improvviso decidete che non si può disporre di un bene per cui si è pagato e si continua a pagare? Chi spiega ai proprietari di barche che devono continuare a sostenere le spese di manutenzione e anche le tasse di circolazione, ma non possono usufruire neppure a Pasqua di ciò che possiedono legittimamente? Non ci dica che in fondo il divieto sarà in vigore solo per pochi giorni: è il principio a essere pericoloso, perché uno Stato o un governatore non possono provocare un ingiusto danno a un contribuente. Pensa forse che chi non è residente abbia meno diritto di chi lo è? E allora come la mettiamo con i tanti non residenti che lo Stato, sì quello stesso Stato che non fa rispettare un suo decreto, si appresta a vaccinare? Vede, caro Toti, la tutela della salute è un conto, ma poi c'è la tutela dei diritti e anche quella del portafogli e in nome della prima non si può far finta che il resto non ci sia. Ps. Ho da decenni una casa in Liguria e prima che Toti mi accusi di conflitto d'interessi preciso che, divieto o meno, a Pasqua resterò a casa mia, come faccio ogni anno. Ma lo decido io, perché nessuno, neanche un governatore, può limitare un diritto. L'Italia è unita, ma non solo quando fa comodo.».

Albergatori arrabbiati, ma anche ansiosi di ripartire. Sul Corriere parla il dirigente del Danieli di Venezia, sul bacino di San Marco, rimasto aperto.

«L'hotel Danieli, cinque stelle, affacciato sul bacino di San Marco, a Venezia, è aperto e il suo Resident Manager, Silver Carpanese, è al suo posto. Perché non avete chiuso come ha deciso il 90% dei vostri colleghi? «Noi siamo rimasti sempre aperti, fin dallo scorso luglio non abbiamo mai chiuso, perché siamo ottimisti e sappiamo che Venezia sarà una delle prime città a ripartire». Avete clienti in questi giorni di Pasqua? «No, ma in questi mesi abbiamo viaggiato un po' a fisarmonica, soprattutto abbiamo avuto molta clientela business; ma siamo positivi, abbiamo i nostri clienti che aspettano di tornare appena si potrà». Come vanno le prenotazioni per la stagione estiva? «Molto a rilento. Ma sia tra i clienti internazionali, il 40% sono americani, sia tra le aziende c'è grande attesa: sembra siano tutti ai blocchi di partenza e non aspettino altro che tornare a viaggiare».

DRAGHI SI È VACCINATO CON ASTRAZENECA

In un retroscena per il Corriere della Sera Francesco Verderami traccia una cornice in cui mettere la foto di Draghi e sua moglie in coda per AstraZeneca. La campagna vaccinale resta il suo “obiettivo principale”.  

«Nonostante gli inciampi a cui ha dovuto rimediare da quando si è insediato a Palazzo Chigi - dal blocco temporaneo del siero AstraZeneca, allo sblocco definitivo della scuola, fino alla querelle sui viaggi all'estero durante le vacanze pasquali - il presidente del Consiglio non ha perso di vista l'obiettivo principale. «Per la seconda settimana di aprile mira a far moltiplicare i punti vaccinali, con una diffusione sul territorio nazionale che vada oltre i 50 mila centri di somministrazione. Sarà un'azione capillare», rivela il rappresentante dell'esecutivo che partecipa alle riunioni sulla crisi pandemica, e che spiega come il governo voglia «dimostrare di usare subito le prossime forniture di fiale». Così il ministro squaderna di fatto il taccuino su cui Draghi ha annotato le discussioni ai vertici. Riferisce la convinzione del premier che sulle chiusure ritiene opportuno «partire con un'iniziativa forte adesso per riaprire in sicurezza il prima possibile». E infine disegna uno scenario di competizione europea sull'uscita dalla pandemia, «su come cioè l'Italia si sarà mostrata capace di superare la crisi al cospetto della Germania e della Francia». Più che una gara una sfida virtuosa. Ma per vincerla non sono ammesse defezioni e nemmeno certi posizionamenti, come la campagna di alcuni governatori pd a favore del vaccino russo Sputnik. Dopo l'iniziativa in Campania di De Luca, l'intervista di ieri al Corriere del presidente del Lazio Zingaretti è parsa come un affondo contro il premier anche ai maggiorenti dem».

SPALMARE I MORTI

Inquietante inchiesta della Procura di Trapani sulla falsificazione dei dati della Regione Sicilia da trasmettere all’Istituto Superiore di Sanità. Felice Cavallaro sul Corriere.  

«Sono quei riferimenti «ai morti da spalmare in giorni diversi», sono le sgradevoli intercettazioni registrate dagli inquirenti ad avere sorpreso il procuratore Maurizio Agnello, lo scrittore che nei suoi libri analizza sempre «il fascino del male», come fa nell'ultimo «Ritratto del demone». Di qui la sua richiesta, accolta dal gip Caterina Brignone, di mandare agli arresti domiciliari il primo dei dirigenti, Letizia Di Liberti, un nipote che lavora con lei in assessorato, Salvatore Cusimano, e il dipendente di una ditta che si occupa dei flussi informatici, Emilio Madonia. Provvedimenti pesanti che annunciano altri indagati e gettano un'ombra politicamente devastante sul ruolo dell'assessore Razza, anche se il gip sottolinea nelle 250 pagine dell'ordinanza come non sia emerso «un compendio investigativo grave», ma «il parziale coinvolgimento nelle attività delittuose...». Ancora più defilata la posizione di Musumeci che sarebbe stato «ingannato» da chi «spalmava» i dati su decessi e tamponi. Parla a ruota libera Letizia Di Liberto, riferendosi al conteggio dei morti: «A Catania ne abbiamo 100 da recuperare anziché 235». E il nipote Cusimano: «Quindi 100 da recuperare e più 500 tamponi». «Sì, i tamponi fregatene, solo i positivi dobbiamo conteggiare». «Ma, zia... io ci devo mettere ora qua 500 tamponi in più». «Ok, mettili su Catania». «Li metto come zona grigia». «No caricali... e te ne freghi, ascoltami». E il nipote funzionario: «Sì ma li devo fare "appattare", 500..., se no poi non mi tornano più i conti». Una trattativa in alcuni casi nota a Razza che sui decessi nascosti chiede notizie alla dirigente: «Ma sono veri?». Quasi si potessero inventare o nascondere dei morti. E poi suggerisce: «E spalmiamoli un poco». Lo spiega Letizia Di Liberti: «Ero un po' seccata per questo discorso di giallo, di arancione». E al nipote confida: «Mi chiamò Ruggero, dice di rivedere tutti i parametri. Perché il problema fondamentale è se diventiamo completamente zona rossa...». E ancora: «È seccato Ruggero: il fallimento della politica, non siamo stati in grado di tutelarci, i negozi che chiudono, se la possono prendere con noi, non siamo riusciti a fare i posti letto... E poi oggi è morta una perché l'ambulanza è arrivata dopo due ore ed è arrivata da Lascari. E qua c'è il magistrato che ha sequestrato le carte...». Andava avanti così dall'anno scorso, fino a una settimana fa quando si è posto il problema di Palermo zona rossa con Musumeci allarmato e poi irritato con Razza: «Avevi detto che c'era il rischio e non mi avverti del contrario...». Inevitabili le dimissioni dell'assessore commentate brevemente da Musumeci durante una breve finestra aperta all'Assembla regionale, impegnata nell'esame della Finanziaria. Comunicazioni imbarazzate con il governatore deciso a trattenere per sé l'interim dell'assessorato, ben sapendo che non si placheranno gli attacchi di Leoluca Orlando, il sindaco di Palermo che già annuncia di presentarsi come parte civile al processo, dato così per scontato».

L’ASSEGNO UNICO È LEGGE

Un risultato storico: dopo tanto tempo il Parlamento mette ordine nelle leggi sul sostegno alle famiglie e alla crescita del nostro Paese. La cronaca di Repubblica.   

«L'assegno unico e universale per i figli è legge. Dopo l'unanimità della Camera a luglio, ieri anche il Senato ha approvato il testo con 227 sì, 4 astenuti e nessun contrario. Ora il governo ha meno di cento giorni per emanare i decreti legislativi e rispettare così il traguardo di luglio per erogare i primi soldi, sotto forma di contanti o credito di imposta. Si tratta infatti di una legge che delega l'esecutivo a «riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico». A disposizione ci sono 20 miliardi: 14 miliardi dalla cancellazione di otto misure esistenti (bonus, detrazioni, assegni) e 6 miliardi freschi. Ma sono ritenuti insufficienti. Come anticipato da Repubblica, 1 milione e 350 mila famiglie - laddove prevale il lavoro dipendente - rischiano di ricevere meno di quanto incassano oggi. Senza un innesto di fondi, anziché 250 euro al mese per ogni figlio - la cifra indicata dal premier Draghi - in media si incasserebbero 161 euro, con un décalage in base all'Isee tutto da disegnare. Secondo la recente simulazione di Arel, Fondazione E. Gorrieri e Alleanza per l'infanzia, occorrono almeno 800 milioni in più per non penalizzare nessuno. A guadagnarci sarebbero 6 milioni e 280 mila famiglie, in particolare di autonomi e incapienti che oggi non godono di assegni e detrazioni».

Avvenire sottolinea, e lo fa anche nel titolo di prima pagina, come per una volta la norma abbia messo tutti d’accordo. Non ci sono state opposizioni in Parlamento.

«Soddisfazione unanime, dunque. Ma, appena estratto dal metaforico carnet, lo cheque dovrà ora passare per una marcia a tappe forzate in modo da varare i decreti attuativi (si tratta di una legge delega) entro il 1° luglio. È la data di avvio confermata giorni fa dal premier Draghi, insieme all’importo di 250 euro mensili, con maggiorazioni previste per i disabili. Il provvedimento è anche alla prova di una maggiore copertura per il 2022 nella prossima manovra. Nel cammino verso i decreti vogliono essere coinvolti anche i sindacati. «Bisognerà tenere insieme i due principi base della riforma: equità e universalità, senza penalizzare nessuno», ricorda il segretario della Cisl, Luigi Sbarra».

Felice il presidente del Forum delle Famiglie Gigi De Palo, la cui lunga opera di convincimento della politica è stata cruciale. Ha dichiarato:   

«Quattro anni lunghi e densi. Quattro anni durante i quali il Forum Famiglie ha fatto da comune denominatore. Oggi diciamo grazie a tutti i partiti, che si sono fidati delle richieste delle famiglie. Tutti, dalla maggioranza o dall’opposizione nel corso di ben cinque governi che si sono succeduti, hanno offerto il loro contributo alla causa dell’assegno unico. Che oggi diventa realtà».

LETTA MANNARO. SERRACCHIANI CAPOGRUPPO

Dunque Debora Serracchiani è stata eletta come nuova capogruppo dei deputati del PD. Ha vinto la sfida con Marianna Madia, che aveva agitato il partito negli ultimi giorni. Enrico Letta ne ha parlato con Milena Gabanelli sul Corriere della Sera. Tema del “Dataroom”: le quote rosa e la discriminazione delle donne. Ma è stata anche l’occasione per commentare il dibattito dentro il Pd.   

«Quando io sono arrivato, erano tutti uomini. Undici uomini su undici persone. Quando sono stato raggiunto da varie telefonate a Parigi e mi hanno chiesto di tornare a fare il segretario del Pd, io ho detto: "No, io sto facendo altro, c'è bisogno che scegliate una donna. C'è bisogno che facciate un gesto di rottura". Alla fine, poi, sono arrivato io, ma mi sono detto: "Undici figure maschili non va bene, bisogna cambiare e intanto mettiamo almeno due donne su undici". E aggiungo un'altra cifra importante: gli ultimi tre congressi del Pd hanno avuto ciascuno tre candidati alla segreteria. Nove persone, tutti maschi». Insomma, fin qui il Pd ha tenuto le donne sempre un po' nelle retrovie? «In questi giorni ho dovuto combattere contro le critiche di maschi, bianchi, cinquantenni che mi dicevano: "Due donne pur che sia? Vanno scelte in base alle competenze". Questo è assolutamente giusto. Peccato che nessuno faccia il discorso "due uomini pur che sia". Quando si tratta di andare su due uomini vai sull'automatico. Naturalmente quello che ho fatto è solo il primo passo». Ma si immaginava questo putiferio tra Serracchiani e Madia? «Non è un putiferio, non sono d'accordo. La discussione fra due uomini sarebbe stata ugualmente violenta (violenta verbalmente s' intende). La politica è fatta di contrapposizioni e di competizioni». Così però si replicano gli stessi meccanismi maschili, quelli delle correnti che dilaniano il Pd da un bel po' di anni, e che sarebbero da scardinare. «In un grande partito come il nostro, non tutti sono uguali e non tutti la pensano come il segretario. Quindi sono assolutamente legittime le aree culturali, le differenze di pensiero ed è anche legittimo che si organizzino. Quello che io trovo sbagliato è che questo finisca per sclerotizzarsi, in un'organizzazione eccessivamente dominata dalle correnti che occupano tutti gli spazi della vita di un partito». (…) Allora c'è da chiedersi: ma in base a quali criteri vengono definite le competenze? «Sono totalmente d'accordo sul fatto che la selezione della classe dirigente sia un problema. È un obiettivo su cui sto già lavorando e lavorerò per far sì che la competenza venga premiata e che ci sia una buona sintesi tra la competenza e la rappresentatività, che però è sempre difficile da raggiungere. Perché il Parlamento non può essere un Parlamento tutto composto esclusivamente da professori universitari. La politica è fatta di rappresentatività, rapporti con i territori, e per questo i partiti politici sono importanti, perché selezionano la classe dirigente, proponendo delle candidature agli elettori. Bene, se il partito questa selezione non la fa e propone semplicemente sulla base di chi sgomita o sulla base di chi fa più tessere...».  ».

Repubblica sente la campana di Marianna Madia, sconfitta nella corsa a due. L’accusa di “cooptazione” mossa nei confronti della rivale Debora Serracchiani ha lasciato il segno nel dibattito.  

«C'è chi dice che non c'è niente di politico nelle sue prese di posizione, assunte solo per capriccio quando ha capito che la sua rivale era in vantaggio. «È il classico atteggiamento paternalistico, spesso tipicamente maschile, di chi pensa che se due donne discutono sono isteriche, se lo fanno due uomini sono in ballo i principi. Una roba da anni 50. Il dibattito che si è aperto tra me e Serracchiani è fra due dirigenti di partito, il genere è secondario». Ci spiega cosa c'è di politico? «Non possiamo pensare che sia solo il segretario a cambiare il Pd. Il partito lo cambiamo tutti insieme facendo delle battaglie dialettiche in grado di aprire una breccia rispetto a dinamiche sclerotizzate che, lo dicono i sondaggi, stanno allontanando le persone da noi. Quando si dice che occorre spalancare porte e finestre, significa che ciascuno deve caricarsi un pezzetto di lotta per fare dei passi avanti collettivi. Credo non sia casuale che nella storia le battaglie delle donne non siano state combattute solo per le donne, ma per l'avanzamento della società». È chiaro che si riferisce alle correnti: secondo lei Serracchiani è scesa a patti per farsi eleggere? «Io non so cosa abbia fatto Debora, so però che io non ho fatto patti. Dichiarandolo fin dal principio. Che ancora nel Pd ci sia il riflesso condizionato di mettersi d'accordo tra gruppi anziché aprirsi a una discussione senza rete è un dato di fatto. Perciò credo sia arrivato il momento di rompere uno schema nel quale il confronto tra le idee passa spesso in secondo piano rispetto a un certo modo di stare nelle correnti, che da luoghi di elaborazione culturale e politica sono diventati strumenti di spartizione che indeboliscono la proposta politica di tutto il Pd».

DOMANI SERA CONTE ANTICIPA IL SUO PIANO

Luca De Carolis e Wanda Marra sul Fatto confermano: domani sera in videoconferenza Giuseppe Conte, il rifondatore del Movimento, incontrerà i parlamentari 5 Stelle e comincerà ad anticipare il suo piano. Ma il giornale di Travaglio rivela: l’ex premier sente spesso Goffredo Bettini e lo stesso Bersani.   

 «Domani sera l’avvocato che è anche rifondatore darà un assaggio della sua rivoluzione ai parlamentari in assemblea. Una sintesi “per grandi linee”, come sussurrano dal M5S, del piano con cui Giuseppe Conte vuole rivoltare da cima a fondo un Movimento squassato dalle correnti e dall’anatema di Beppe Grillo sui due mandati. Ma c’è già altro all’orizzonte per Conte. Per esempio il legame da stringere ancora di più con Goffredo Bettini, veterano dem con cui si sente di continuo, che a fine aprile battezzerà la sua area culturale, o per meglio dire corrente. E Bettini lo farà anche con una iniziativa ancora da definire, ma alla quale parteciperà sicuramente anche Conte, assieme a Enrico Letta, segretario del Pd. E a nomi pesanti della sinistra (si parla di Massimo D’Alema). “Ormai l’ex premier e Bettini sono due amici”, raccontano. L’avvocato chiede spesso consigli all’ex europarlamentare, che ha anche preparato la strada all’incontro tra Conte e Letta, incentrato sul tavolo tra Pd e M5S per le Comunali di ottobre. Un altro nodo centrale per l’ex premier, che vive giorni complicati. “Giuseppe è un po’ preoccupato”, dicono un paio di big del Movimento. Gli ha creato rumorosi problemi, il Grillo che venerdì scorso in videoconferenza con i parlamentari ha ribadito che il totem dei due mandati “resta un pilastro”. Parole di cui Conte non era stato pre-avvertito. Fonti del M5S assicurano che però neanche il Garante avesse premeditato la tirata: “Beppe ha parlato della regola perché si è arrabbiato per gli interventi di alcuni parlamentari”. Ma così ha complicato la vita a Conte, che avrebbe voluto affrontare la questione più avanti. (…) “Conte però non ha ancora chiuso il suo piano di rifondazione” precisano più fonti. E d’altronde c’è pure l’enorme nodo di Rousseau, la piattaforma di Davide Casaleggio che ieri ha avviato una raccolta di fondi e che pretende dal M5S 450mila euro di versamenti. Ma Conte ha scelto comunque di parlare agli eletti prima di Pasqua».

ESSERE #MATTEORENZI

Il più bel libro scritto su Matteo Renzi non è di un politologo o di un economista. E neanche di un ritrattista o di un retroscenista del Palazzo. È di un professore di Letteratura, Claudio Giunta. Nel suo saggio Essere #matteorenzi Giunta analizza il fenomeno mediatico del leader politico, il suo storytelling, come ama dire l’interessato. In questi giorni il saggio di Giunta, scritto cinque anni fa, andrebbe riletto, per capire che cosa sta davvero accadendo a Renzi e a Italia Viva. Oggi prova ad analizzare la cosa Alessandro Sallusti nel suo fondo su Il Giornale. Per Sallusti Renzi è andato: non vuole fare più il politico, si sente il nuovo Blair.

«Forse non è chiaro a tutti, ma Renzi non è più un politico, penso abbia chiuso la sua carriera con quell'ultima zampata da maestro che è stata la defenestrazione di Conte e il successivo insediamento di Draghi. O quantomeno non è più un politico nel senso comune del termine, ha scoperto che fuori dai palazzi romani esiste un mondo assai più interessante, generoso nei compensi economici e che, per di più, non conoscendolo lo ammira, apprezza e coccola. E lui, che resiste a tutto meno che alle tentazioni, ci si è tuffato con la solita foga e spregiudicatezza appagando il suo ego smisurato. (…) Insomma, dare oggi una valenza politica a Matteo Renzi è tempo perso, il che non vuole dire che non dispensi qualche consiglio qua e là, che non si diverta a mettere zizzania tra i suoi nemici e sostenga i pochi amici rimasti a Roma a fare la guardia a un bidone, Italia Viva, ormai vuoto. Matteo Renzi, penso, lo abbiamo perso e ciò non è un male assoluto, anche se rispetto a ciò che offre oggi il mercato della politica l'ex premier oggi conferenziere tiene lo stipendio da senatore immagino per le spese correnti - resta un fuoriclasse assoluto. Imboccate certe strade non si torna più indietro, o almeno non facilmente né velocemente. Enrico Letta, defenestrato da Palazzo Chigi dal medesimo Renzi nel 2014 si ritirò a Parigi a dirigere l'École d'affaires internationales e vi è rimasto per sette anni, prima di essere richiamato in servizio dal Pd. Ma parliamo di un altro tipo di uomo e di un'altra storia. Tra sette anni qualcuno sentirà l'irrefrenabile nostalgia di Renzi? Non lo so, più probabile che Renzi dopo sette mesi di vita così non sentirà alcuna nostalgia per la sinistra italiana e per il partito di cui è stato segretario, che ancora ieri, mentre lui parlava con principi e magnati, si scannava su chi tra la Madia e la Serracchiani doveva diventare capogruppo alla Camera. Chiamalo fesso».

IL SEME DEL GIUDICE RAGAZZINO

Papa Francesco ha scritto la presentazione di un libro scritto da Vincenzo Bertolone sulla figura del giudice Rosario Angelo Livatino per i tipi della Morcelliana. Repubblica ne ha anticipato il contenuto. Ecco uno stralcio, perfetto per riflettere in questo Mercoledì della Settimana Santa. Bergoglio attraverso la figura di Livatino torna a proporre il cuore del suo messaggio: siamo “Fratelli tutti”.

«Fede che diviene prassi di giustizia e che perciò fa del bene al prossimo: ecco le caratteristiche spirituali di Rosario Angelo Livatino. Egli pensava, fin da laureato in diritto, al modo migliore di svolgere il ruolo di giudice. Soffriva molto nelle pronunce penali nei confronti degli imputati, perché constatava come la libertà, male interpretata, avesse infranto la regola della giustizia. E nello stesso momento in cui doveva giudicare secondo legge, si poneva da cristiano il problema del perdono. Compiendo quotidianamente un atto di affidamento totale e generoso a Dio, egli è un luminoso punto di riferimento per gli uomini e le donne di oggi e di domani, soprattutto per i giovani che, tuttora, vengono irretiti dalle sirene mafiose per una vita di violenza, di corruzione, di sopraffazione e di morte. La sua testimonianza martiriale di fede e giustizia sia seme di concordia e di pace sociale, sia emblema della necessità di sentirci ed essere fratelli tutti, e non rivali o nemici. Visitando Agrigento e altri luoghi della Sicilia, nel 1993, il mio santo predecessore Giovanni Paolo II così si espresse alla fine dell'Eucaristia celebrata nella Valle dei templi: «Che sia concordia in questa vostra terra! Concordia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime! Che sia concordia! Questa concordia, questa pace a cui aspira ogni popolo e ogni persona umana e ogni famiglia! Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente un diritto a vivere nella pace. E questi che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: "Non uccidere": non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!». Il buon odore di Cristo che si spande dal corpo martirizzato del giovane giudice diventi allora seme di rinascita - come già avvenuto per alcuni dei suoi sicari e mandanti, oggi sulla via della penitenza e della conversione - per tutti noi, in particolare per coloro che ancora vivono situazioni di violenza, guerre, attentati, persecuzioni per motivi etnici o religiosi, e vari soprusi contro la dignità umana».

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