La Versione di Banfi

Share this post

Vaccinato, testato o guarito?

alessandrobanfi.substack.com

Vaccinato, testato o guarito?

Ecco la domanda che ti fanno in Europa se vai al bar. Il nostro governo prepara il decreto per il green pass. Choc per la catastrofe climatica in Germania. Conte e Grillo si accordano. Zan slitta?

Alessandro Banfi
Jul 16, 2021
2
Share this post

Vaccinato, testato o guarito?

alessandrobanfi.substack.com

Anche in Italia ci sarà un uso diffuso del green pass. La prossima settimana il Governo varerà il decreto. In Germania e Austria non hanno paura dei complottisti e puntano sul 3 G (tranquilli, è una battuta). Avvenire presenta un reportage dal centro Europa dove si racconta che in ogni bar o ristorante ti viene fatta una domanda: quale G sei? In tedesco infatti “geimpft, getestet, genesen” significa vaccinato, testato, guarito. È il green pass europeo, senza una delle tre condizioni non si possono frequentare luoghi affollati. Ha ragione la Merkel: la vaccinazione non è obbligatoria. È obbligatorio però non essere contagiosi per andare in giro. Il Corriere della Sera riporta numeri e racconti su chi oggi si ammala e muore di Covid19: tutti non vaccinati o, i più sfortunati, persone che hanno contratto il virus dopo aver avuto solo, e da poco tempo, la prima dose. La campagna di Figliuolo si mantiene su ritmi elevati. Ieri 598 mila 510 vaccinazioni.

La Renania come la Calabria. Le immagini di morte e distruzione che arrivano dalla Germania fanno impressione: una catastrofe, di carattere biblico si sarebbe detto in altri tempi. Fa effetto perché i problemi globali sono tutti connessi e non risparmiano i più ricchi. Anche la pandemia è legata al cambiamento climatico e in qualche modo al disequilibrio creato dall’homo sapiens sul globo negli ultimi decenni. Vanno affrontati a livello internazionale e in modo efficace.

Sul fronte della politica italiana, la ministra Cartabia tira dritto sul garantismo e Travaglio ha un travaso di bile. Conte e Grillo fanno pace: non vanno a casa dell’Elevato ma in un ristorante di Marina di Bibbona, davanti ad una spigola. Sono in due ma non si tratta assolutamente di diarchia, che non si dica così, per carità. La Verità dedica quasi tutto il numero odierno ad un attacco alla Chiesa di papa Francesco (rimestando nelle carte del processo a Becciu) e lancia con grande clamore il libro dell’ideologo conservatore americano George Weigel dall’inequivocabile titolo: Il prossimo Papa. Non è che la destra americana populista vuole influenzare il prossimo Conclave? Vediamo i titoli.

LE PRIME PAGINE

Quotidiani in ordine sparso nella scelta della notizia principale di oggi, anche se il tema greenpass tiene ancora. Il Corriere della Sera annuncia: Un decreto per il green pass. Il Quotidiano Nazionale per una volta non ci gira attorno: I contagi salgono, bisogna vaccinarsi. Il Mattino: Vacanze, è boom di contagi. Ecco tutti i Paesi da evitare. La Germania alluvionata è l’argomento della Repubblica: La strage del clima. Temi economici per La Stampa: Orlando: multe più severe alle multinazionali in fuga, Il Sole 24 Ore: La nuova Alitalia parte più leggera e Il Messaggero: Alitalia cambia nome e riparte. Di politica si occupano Il Giornale: Ddl Zan, ora Letta prepara la ritirata e Libero: Avvoltoi in volo su Draghi. Il voto parlamentare sulla missione italiana a Tripoli mobilita Avvenire: Libia, il sì sbagliato e il Manifesto: Omissione all’estero.
Armamentario manettaro e violento oggi per Il Fatto di Travaglio, che perde la testa per la storica visita al carcere della mattanza, eresia per chi vuole sempre buttare la chiave: Cartabia libera tutti fino a 6 anni di pena. Mentre il Domani sottolinea una preoccupazione che sembra quasi una minaccia: Il governo ha paura di una rivolta della polizia penitenziaria. Numero unico contro la Chiesa cattolica della Verità di Belpietro: I cardinali miravano al Bulgari e non volevano pagare le tasse. Per ogni altra istituzione si avrebbe più rispetto.

GREEN PASS, IL GOVERNO FARÀ UN DECRETO

Non solo la Francia, ma tutta l’Europa ha già messo in atto il green pass. E d’altra parte singole regioni italiane, come la Sicilia e la Sardegna, hanno preso o stanno prendendo misure di questo tipo per i visitatori. La salita dei contagi continua e il nostro Governo pensa ad un decreto, da varare già la prossima settimana. La cronaca di Sarzanini e Guerzoni sul Corriere.

«Sarà un decreto a rendere obbligatorio il green pass per entrare in tutti i luoghi dove possono crearsi affollamenti. Oggi, dopo aver analizzato i dati del monitoraggio settimanale sull'andamento della curva epidemiologica, il governo metterà a punto le linee del provvedimento da discutere nella cabina di regia che sarà convocata martedì prossimo. All'interno della maggioranza il dibattito è aperto sulla lista delle attività per le quali sarà indispensabile avere la certificazione per dimostrare di essere vaccinati, oppure essere guariti, oppure avere un tampone negativo nelle 48 ore precedenti. Ma la scelta è fatta e sarà operativa entro la fine di luglio, più probabilmente già la prossima settimana. A preoccupare è la risalita dei contagi - ieri 2.455 i nuovi casi, solo 9 i decessi - ma soprattutto il tasso di positività tornato a 1,3% a causa della variante Delta. In attesa dei nuovi parametri per la classificazione delle aree a rischio alcune Regioni - la Sicilia ha già provveduto - decidono di blindarsi con ordinanze che impongono tamponi a chi arriva dall'estero. Una situazione che rende pressoché scontata la proroga dello stato di emergenza, in scadenza al 31 luglio, per almeno due o tre mesi. «Guardiamo con preoccupazione a quello che accade nel Regno Unito e in Spagna, per questo bisogna accelerare», ripete nelle riunioni ristrette il ministro della Salute Roberto Speranza che trova l'appoggio della collega degli Affari Regionali Mariastella Gelmini. Il leader della Lega Matteo Salvini continua frenare: «Ne parleremo se e quando ce ne sarà la necessità. Adesso chiediamo attenzione e rispetto delle regole, però non possiamo terrorizzare la gente prima del tempo. Quindi se ce ne sarà la necessità, vedremo se investire in sicurezza». I parlamentari del Movimento 5 Stelle chiedono invece di considerarlo «la soluzione solo in caso di un sensibile aumento dei contagi, allo scopo di evitare una nuova stagione di chiusure e restrizioni», ma ritengono «imprescindibile introdurre anche la gratuità dei tamponi». A fare la sintesi delle diverse posizioni sarà il presidente del Consiglio Mario Draghi, poi il Consiglio dei ministri approverà il decreto. Ovunque ci sia un affollamento il green pass sarà obbligatorio. E ciò renderà possibile far entrare un maggior numero di persone negli stadi, ai concerti, nelle sale degli spettacoli addirittura raggiungendo la capienza del 100 per cento. «Carta verde» indispensabile anche per partecipare a eventi pubblici e convegni. E confermata per i banchetti che seguono le cerimonie civili o religiose. In questo caso i controlli non possono essere affidati, almeno per il momento, ai gestori dei locali ma sono possibili verifiche da parte delle forze dell'ordine e per chi non dimostrerà di essere in regola scatterà la contravvenzione. Bisognerà avere la certificazione per viaggiare sui treni a lunga percorrenza e in aereo, anche se gli apparecchi sono dotati del sistema di areazione verticale, mentre non è prevista la stessa misura per il trasporto pubblico. Se non sarà trovata una soluzione su autobus e metropolitane rimarranno dunque le attuali regole e la capienza dovrà essere limitata, per garantire il distanziamento di almeno un metro tra i passeggeri. Sarà il confronto all'interno della cabina di regia del governo a sciogliere il nodo sull'obbligo di green pass per i ristoranti al chiuso. Sembra però evidente che, di fronte a una risalita di contagi tale da far rischiare le chiusure previste per le zone arancioni o rosse, si sceglierà di far entrare in vigore la regola proprio per garantire alle attività di continuare a lavorare».

Giovanna Vitale intervista per Repubblica la ministra di Forza Italia Mara Carfagna.

«Ministra Carfagna nella maggioranza c'è chi tifa per il Green Pass alla Macron e chi lo avversa. Lei da che parte sta? «Io credo che sia lo strumento più adatto ai tempi eccezionali che stiamo vivendo. È l'opposto di una camicia di forza: nasce a tutela dei cittadini e delle imprese per liberare tutte quelle attività che la pandemia ha vietato o limitato, e per ripristinare l'esercizio dei diritti in sicurezza. Penso ai concerti di piazza, ai festival estivi, ai raduni, alle gare sportive. Tutte cose che si potrebbe tornare a fare senza rischi, incentivando tra l'altro i giovani a vaccinarsi». Non è dittatura sanitaria, come qualcuno denuncia? «Il dittatore è il virus, non chi lavora per contrastarlo. È il virus che ci ha chiuso in casa per oltre un anno, ci ha impedito la socialità, ha impoverito milioni di famiglie. Dire no a misure di vigilanza e contenimento significa rischiare una quarta ondata. L'esperienza dell'estate scorsa dovrebbe averci insegnato qualcosa. Nessuno può permettersi un altro stop and go». In Francia serve il certificato verde anche per trasporti pubblici e ristoranti, in Italia dovremmo esportare lo stesso modello? «Io starei attenta a replicare schemi importati dall'estero. Penso che da noi sia difficile utilizzarlo per trasporti pubblici, bar e ristoranti, dove fra l'altro le misure a tutela della salute pubblica sono sempre state rispettate. Mentre sarebbe opportuno per grandi eventi, viaggi aerei o discoteche, dove il pericolo di assembramento è alto». Si va dunque verso una "via italiana" al Green Pass come propone la ministra Gelmini? «Mi pare che sia una soluzione ragionevole. E anche praticabile. Inutile imporre qualcosa che poi è difficile far rispettare». 

Margherita De Bac, firma scientifica del Corriere, è andata a vedere chi oggi incrementa i numeri delle statistiche di contagi e decessi per Covid19.  

«Non lo dicono soltanto i numeri. Che in ospedale in questi giorni finiscano con superiorità schiacciante coloro che non si sono vaccinati, o che lo hanno fatto a metà in attesa della seconda dose, lo raccontano i medici dei reparti. Da Nord a Sud, è così in tutta Italia. Sono sovrapponibili in termini di dettagli gli identikit di questi no-vax. Esiste uno «zoccolo duro» di contrari che continuano a rifiutare i preparati anti-Covid. Per un'ostilità di fondo, paura, mancanza di fiducia e il sospetto «che dietro ci siano interessi» cui non vogliono piegarsi. I vaccinologi li chiamano «esitanti». Ma qui c'è qualcosa di più dell'esitazione. Si intercetta un moto di chiusura impermeabile. Matteo Bassetti, capo infettivologo del San Martino, centro di riferimento della provincia di Genova, fa il diario degli ultimi giorni: «Dal primo maggio a oggi, abbiamo avuto 6 morti per Covid, 5 dei quali non immunizzati, il sesto aveva appena ricevuto la prima iniezione e probabilmente il giorno stesso si è infettato, il massimo della sfortuna». Ecco un paio di storie dal San Martino. Settantancique anni, sposato con una donna convintamente no vax che lo ha allontanato dal concetto della prevenzione, a salvaguardia di se stessi e della collettività. Poi un 72enne: «Se ne è andato in 5 giorni. Quando è arrivato gli ho chiesto perché non avesse aderito a un invito che lo avrebbe salvato. Mi ha guardato con occhi colmi di rassegnazione», dice Bassetti ricordando il paziente. Lui però non è rassegnato ad accettare i no vax: «Il virus c'è e continua a far molto male, a volte anche ai giovani». I dati dell'Istituto superiore di sanità supportano il vissuto dei sanitari. Nel periodo tra 21 giugno e 4 luglio, sono stati ricoverati in ospedale 941 pazienti: 80 i completamente coperti da doppia dose, 89 quelli arrivati a metà percorso, gli altri non vaccinati. In terapia intensiva le differenze sono ancora più evidenti. Sempre nello stesso periodo di due settimane hanno avuto bisogno di queste cure 94 persone: 4 erano «attrezzate» al completo (e 3 avevano oltre 80 anni), 10 avevano fatto metà ciclo, gli altri tutti «scoperti». Occorre ricordarlo: l'efficacia dei composti anti Covid è di circa il 90%. Molto alta, ma non totale. Francesco Menichetti, malattie infettive azienda ospedaliera-universitaria di Pisa, in questi giorni ha visto in reparto due nuovi contagiati, ambedue non vaccinati. «Le loro motivazioni? Il Covid è finito, a che serve mettersi in corpo della roba... Oppure: non sono anziano e anche se mi prendo il virus non rischio di morire. Noi siamo preoccupati perché i positivi si moltiplicano. Il sistema sanitario attualmente non ha pressioni. Speriamo che questa fotografia estiva non cambi». A Napoli, le storie si ripetono quasi uguali. Ivan Gentile, infettivologia Federico II, racconta: «Abbiamo due no vax in gravi condizioni, con polmonite severa, uno è in terapia intensiva, intubato. Poche ore fa se ne è andato un uomo di 86 anni. Non si sentiva in pericolo. Diceva che bastava si vaccinassero i familiari per stare al sicuro. Vedeva poche persone e credeva di essere in isolamento. Ha preso il virus dal nipote. La morale: nessuno, pur non uscendo di casa e limitando i contatti all'essenziale, può sentirsi in una botte di ferro. Basta la badante che gli porta la spesa per contagiarlo». Gentile non vede differenze tra il Covid delle ondate precedenti e questo, molto spesso legato alla variante Delta: «Il malato ha un peggioramento rapidissimo. Da moderata, la polmonite diventa all'improvviso aggressiva». Francesco Dentali, responsabile di medicina interna a Varese e presidente Fadoi (Federazione delle associazioni dirigenti ospedalieri internista) è ancora scosso dal ricordo dell'esperienza tragica con la pandemia nei primi mesi del 2020. «Oggi i ricoverati sono 12, il 90% non vaccinati o parzialmente. Il più grave - racconta - ha 50 anni, straniero residente in Italia, tutti positivi in famiglia, tutti suscettibili al Sars-CoV-2. Se lo sono passato tra loro. Adesso la situazione è facilmente gestibile, ogni giorno però assistiamo a una lieve risalita di ricoveri. L'esempio dell'Inghilterra deve essere un monito».

Il Foglio con Marianna Rizzini intervista Roberto Maroni della Lega sulle tentazioni No Vax che hanno assalito Salvini, dopo la svolta filo-negazionista della Meloni. Sul green pass il Capitano sta facendo “un errore”.

«"Un errore, purtroppo è un errore". Lo dice Roberto Maroni, che la Lega la conosce bene ( da ex ministro, ex governatore ed ex segretario federale), a proposito del Matteo Salvini che su vaccini e green pass fa il timido, per non dire il freddo, forse per tenere buona la parte di elettorato no vax o dubbiosa. "Penso che sull'estensione del green pass abbia ragione il presidente francese Emmanuel Macron, e anche i governatori italiani che si sono espressi a favore della linea Macron, come Giovanni Toti", dice Maroni. E sottolinea, l'ex ministro e governatore, che il contenimento del contagio e la tutela della salute non contrasterebbero, in quel modo, con la ripresa di attività e socialità: "Non ci vedo nulla di male, è una misura di sicurezza ragionevole, visti i contagi e vista la necessità di evitare una quarta ondata, avendo ora gli strumenti per farlo".».

LA REGOLA DEL TRE G: O TESTATO, O VACCINATO O GUARITO

Avvenire pubblica un interessante reportage dal Centro Europa. La prassi europea è semplice: nessun obbligo vaccinale ma chi non è vaccinato, se non è negativo o guarito, ha poche possibilità di andare in giro.

«Vaccino o test?». Marie, maschera dell’Opera di Stato di Monaco di Baviera, accoglie con il sorriso chi entra a teatro. Accompagna lo spettatore a uno dei tavoli nel foyer, chiede il biglietto, controlla il documento d’identità. E poi domanda qual è lo “status” anti-Covid. Si dimentica però di presentare una terza opzione: «Guarito?». Ma va beh... Perché non si può assistere a uno spettacolo lirico o a un concerto se non si dimostra di avere almeno uno dei tre requisiti che, secondo il governo bavarese, permettono di riprendere le attività pubbliche e fanno da barriera alla pandemia: la vaccinazione, un tampone negativo o la malattia superata. L’Italia scopre dalle dichiarazioni di Macron quello che nei Paesi di lingua tedesca è una prassi ormai da settimane. Non si può frequentare un locale o partecipare a un evento senza avere un lasciapassare contro il coronavirus. In Austria le hanno ribattezzate le «tre G di sicurezza» che si leggono agli ingressi di bar, ristoranti, hotel o teatri. Stanno per tre participi passati: geimpft, getestet, genesen, appunto vaccinato, testato, guarito. Compaiono ovunque, ha stabilito il ministero della Salute. E valgono non solo per stare all’interno di una struttura ma anche nei cortili o nei dehors lungo i marciapiedi. Sarà anche vero, come ha detto di recente la cancelleria tedesca Angela Merkel, che i vaccini non sono obbligatori, ma diventa un supplizio avere una vita sociale senza la vaccinazione di fronte a regole così stringenti. E la via imboccata nella Mitteleuropa si trasforma in un pressing indiretto a favore della profilassi. Così in Austria il 43% della popolazione ha completato la vaccinazione, mentre in Germania si sfiora il 45%. «Buongiorno, quale G ha?», interroga gentilmente l’addetta della pasticceria Demel, una delle più rinomate e antiche di Vienna, da  vanti all’Hofburg, un tempo residenza imperiale e oggi palazzo del presidente della Repubblica. Nessuno fa problemi di privacy. In vari Land della Germania, fra cui la Baviera, il check-in all’albergo include la dimostrazione di essere un turista “Covid-free”. E, una volta mostrata la certificazione, occorre firmare un’autodichiarazione in cui si attesta che quanto esibito alla reception è autentico: pena multe e processi in tribunale. (…) Poi c’è il tracciamento costante. Appena seduti al tavolo, sia esso di un bistrot o di un ristorante, il cameriere si avvicina e indica il Qr code sulla tovaglia. «Per cortesia, può riempire il modulo?», è l’invito. Nome, cognome, telefono, e-mail. Quindi l’indicazione: i dati resteranno memorizzati per trenta giorni nel server in caso di focolai. E in aeroporto? Zero controlli quando si atterra o si parte da Linate o Malpensa, i due scali di Milano. A Vienna (ma anche in Germania) appena si scende dal velivolo, ecco il checkpoint della polizia che verifica la vaccinazione o il tampone. E un controllo analogo avviene a ogni gate prima di imbarcarsi: altrimenti si resta a terra. Nel Bel Paese è tutta un’altra storia (a maniche larghe)».

GERMANIA, CATASTROFE MALTEMPO

Un’ondata di maltempo catastrofica si è abbattuta sulla zona occidentale della Germania. I numeri di morti e distruzioni sembrano incredibili per il Paese più ricco del nostro continente. Da Berlino Paolo Valentino per il Corriere.

«Interi pezzi di territorio devastati, città e villaggi isolati dal mondo, case semplicemente spazzate via come birilli dalla forza degli elementi. Ma soprattutto, decine di vittime, più di 67 morti e 1.300 dispersi, in un tragico bilancio che si aggrava di ora in ora. «Non abbiamo mai visto una catastrofe così distruttiva», dice Malu Dreyer, premier della Renania-Palatinato, uno dei due Land occidentali della Germania, l'altro è il Nord Reno-Vestfalia, colpiti da piogge torrenziali e da disastrose inondazioni dei molti fiumi e canali artificiali che attraversano la regione. Le vere dimensioni della sciagura non sono ancora del tutto chiare. Mentre è in atto una gigantesca operazione di soccorso, cui prendono parte 15 mila tra pompieri, poliziotti, personale sanitario e soldati della Bundeswehr, l'esercito federale, la situazione rimane gravissima: ci sono decine di persone intrappolate sui tetti delle case in attesa di essere salvate dagli elicotteri della Protezione civile, luoghi che ancora ieri pomeriggio non era stato possibile raggiungere, molti edifici che minacciano di crollare, oltre 200 mila abitazioni prive di elettricità. Il timore più grande è che possa cedere perfino la diga di Steinbachtal, nella provincia di Euskirchen, a sud di Colonia, al punto che quattro villaggi in prossimità dello sbarramento, 4.500 persone in tutto, sono stati già evacuati. Ci sono enormi difficoltà a contattare gli abitanti perché la rete telefonica mobile è in buona parte fuori uso. I collegamenti ferroviari con il Nord Reno-Vestfalia, lo Stato federale più popoloso della Germania, sono di fatto sospesi. Angela Merkel, da ieri negli Stati Uniti per la sua ultima visita alla Casa Bianca, ha espresso il suo cordoglio: «Sono sconvolta dalla catastrofe che ha colpito così tanta gente nelle aree alluvionate. La mia compassione va alle famiglie delle vittime e dei dispersi», ha scritto in un messaggio via Twitter. La cancelliera ha ammesso che il bilancio delle vittime rischia di essere molto più alto e ha promesso che nessun sforzo verrà risparmiato nella ricerca delle persone disperse. Armin Laschet, ministro-presidente del Nord Reno-Vestfalia e candidato della Cdu alla cancelleria, ha visitato Altena, nella provincia del Sauerland, dove mercoledì pomeriggio un vigile del fuoco è morto dopo aver salvato un uomo in un'area del villaggio semisommersa dall'acqua. Laschet ha subito tirato in ballo il riscaldamento climatico, indicandolo come responsabile di eventi così estremi: «Di catastrofi simili - ha detto - ne dovremo affrontare di continuo e questo significa che occorre accelerare le misure di protezione del clima a livello federale, europeo e globale, poiché il clima non è più il problema di un solo Paese». Il tema del clima è centrale nella campagna per le elezioni del 26 settembre. (…) L'ondata di maltempo ha colpito anche il Lussemburgo e i Paesi Bassi. In Belgio il bilancio accertato ieri è di cinque morti (che si aggiungono alle due vittime del giorno prima): già tremila le persone evacuate, ed è allarme a Liegi per la piena della Mosa, che potrebbe salire di un metro e mezzo».

Lo scienziato Mario Tozzi analizza per La Stampa l’emergenza climatica:

«A guardare quanto sta accadendo in Germania sembra di essere in Italia: alluvioni come mai viste da tre secoli, decine di vittime, case e infrastrutture distrutte, ponti crollati e villaggi sommersi. In poche ore sono caduti fino a 250 litri di pioggia per metro quadro, in un quadro tipico di flash flood, alluvioni istantanee che ormai flagellano non solo il nostro martoriato territorio. E che si accoppiano con le temperature estreme registrate in Canada, con la fusione dei ghiacciai polari e con l'innalzamento del livello dei mari. Tutto questo ha un nome e un cognome e si chiama cambiamento climatico, che è anomalo e accelerato rispetto al passato e che, diversamente dai secoli scorsi, dipende esclusivamente dalle attività produttive dei sapiens che vomitano in atmosfera milioni di tonnellate di gas clima alteranti derivati dalla combustione e dall'uso improprio del territorio. Se vogliamo essere esaustivi ci sono altri fattori al contorno: in Renania come in Calabria, Campania, Liguria o Veneto è lo sconsiderato consumo di suolo, la sovrabbondanza di costruzioni e l'imprigionamento dei fiumi in argini e briglie inutili e dannosi che permette il disastro, quando le piogge sono eccessive. La cementificazione del suolo rende il terreno impermeabile così che le acque di pioggia non riescono più a infiltrarsi nel sottosuolo, come farebbero naturalmente, ma vanno a ingolfare corsi d'acqua piccoli e grandi che non riescono ad evacuare quelle quantità incommensurabili rispetto alla loro natura. Specialmente quando a fare da argine ai fiumi sono le case e le strade. E questo vale da noi come nel resto del continente e del mondo. Sarà forse questa l'occasione per cui il Nord Europa inizia a prendere in considerazione una tematica che ha finora colpevolmente ritenuto riservata al Mediterraneo. Ma ormai anche il più ideologico degli scettici avrà finalmente compreso come tutti questi fenomeni sono legati dal minimo comune denominatore dell'estremizzazione del clima, il fenomeno ambientale più grave non tanto per il pianeta quanto per il benessere e, in casi sempre più frequenti, per la vita dei sapiens. Non volendo tornare sulle cause ormai arcinote, e sapendo benissimo che l'unica cosa da fare nell'immediato è azzerare le emissioni clima alteranti, esattamente come prevede l'Unione Europea nelle sue ultime proposizioni, possiamo domandarci come evolverà la situazione climatica nei prossimi tempi. Che scenario possiamo immaginare? Il clima è un sistema non lineare, ciò vuole dire che cambiamenti impercettibili nelle condizioni iniziali possono avere conseguenze imprevedibili; ma i modelli meteorologici finora affinati hanno anticipato molto bene la realtà: le perturbazioni a carattere violento saranno più frequenti, più potenti, fuori stagione e anche fuori dalle regioni normalmente coinvolte. Tutto questo se l'incremento di temperatura dell'atmosfera si limiterà al massimo a due gradi, perché se sarà maggiore le conseguenze saranno catastrofiche e irrimediabili. Sono reversibili queste tendenze? La risposta è no, non lo sono in tempi brevi, anzi peggioreranno senz' altro perché l'atmosfera ha un'inerzia spaventosa, è come un Tir lanciato in discesa a grande velocità: pur frenando ci vuole un lungo tratto per arrestarlo. Immaginiamo che, se in questo preciso momento, arrestassimo per incanto ogni combustione e ogni processo che altera il clima, dalle centrali a combustibili ai motori a scoppio agli allevamenti intensivi, perché la temperatura dell'atmosfera ritorni al livello odierno ci vorrebbe mezzo secolo. Come a dire che, se azzeriamo di colpo tutte le emissioni, prima di vedere scendere la curva delle temperature dovremmo aspettare un tempo che non possiamo permetterci. Un altro segnale che non c'è davvero un giorno da perdere. Infine possiamo ancora fare qualcosa? Sì, possiamo rendere più lento il surriscaldamento dell'atmosfera e limitarlo dentro i due gradi, agendo prima di tutto sulle cause, cioè levando ogni forma di sovvenzione ai petrocarbonieri, evitando di cercare e trivellare nuovi giacimenti e ricorrendo alle fonti rinnovabili. Ci vogliono accordi internazionali obbligatori, con organismi terzi che controllano, aiuti ai popoli che dello «sviluppo» hanno visto solo i riflessi negativi, redistribuzione di ricchezze, riconversione ecologica di corporation e aziende, iniziative personali e buoni esempi. Una serie di cambiamenti e comportamenti che dimostrino che i sapiens hanno capito che si tratta degli ultimi avvisi di disastro». 

CONTE E GRILLO, IL PATTO DELLA SPIGOLA

I due leader, il Capo e l’Elevato, sono ritratti in abiti casual attorno al tavolo di un ristorante (ma sono vaccinati?) nell’immagine del “patto” per il nuovo statuto. La cronaca di Emanuele Buzzi per il Corriere.

«Un pranzo per suggellare la pace, chiarire i dissapori che li hanno allontanati nelle scorse settimane e iniziare a ragionare sul futuro del Movimento, a partire dal lancio del nuovo statuto concordato per domani: Beppe Grillo e Giuseppe Conte si incontrano a Marina di Bibbona dopo giorni di tensione e danno l'ok all'inizio della nuova fase e alla pubblicazione delle future regole M5S. «È stato un colloquio lungo e cordiale», dicono diverse fonti. «Un gesto di rispetto da parte di Conte», precisano, che ha evitato il blitz romano a Grillo e gli ha offerto un pranzo nel pressi del buen retiro di Villa Corallina. «Grande intesa con Beppe Grillo. Il nuovo Statuto - che presto gli iscritti al Movimento potranno votare - ci permette di ripartire con nuovo slancio, con ancora più forza e determinazione», commenta l'ex premier. E prosegue: «La nostra priorità è occuparci dei problemi reali delle persone, senza perdere un minuto di più: penso ai lavoratori che hanno perso il lavoro dopo la fine del blocco dei licenziamenti, alle imprese che chiudono, a chi fatica ad arrivare a fine mese. E poi c'è il tema della giustizia, su cui il Movimento deve con fermezza far sentire la sua voce». Antipasto di pesce, spigola al forno con verdure e dolce al ristorante «Il Bolognese da Sauro». C'è chi scherza: «Eccola, la spigola dell'intesa». Con loro c'è anche Pietro Dettori, uomo simbolo della mediazione voluta e firmata da Luigi Di Maio. E proprio Dettori - consigliere del ministro - firma lo scatto della pace, «l'immagine che in tanti aspettavamo», come scrive Paola Taverna. Una foto celebrata da tutti i big M5S. Grillo e Conte conversano per due ore. Toccano tutti i temi sul tavolo, a partire dalle questioni più pratiche: definiscono la permanenza di Claudio Cominardi come tesoriere e il rinnovo del comitato di garanzia subito. Poi, fissano la presentazione del nuovo statuto per domani, in modo che il voto sul nuovo presidente del Movimento arrivi durante la prima decade di agosto (nei giorni successivi ci saranno le nomine dei vice e degli altri organi). Nessun evento in pompa magna: le risorse economiche del Movimento non lo permettono. I due hanno convenuto sull'esigenza di «fare uno scatto sui programmi». Di sicuro il garante ha ribadito a Conte la sua visione «ambientalista», ha sottolineato il tema della «transizione ecologica». Conte dal canto suo ha rimarcato la necessità di una «incisività» dei Cinque Stelle in questa fase. L'ex premier sta già lavorando da timoniere: è in stretto contatto con Enrico Letta ed è pronto a fare asse con i dem su diverse questioni. Un gioco di sponde che sarà la base del progetto giallorosso. Nei prossimi giorni incontrerà Mario Draghi, ma Conte vuole rivedere la mediazione sulla prescrizione. Il tema giustizia agita il gruppo parlamentare: un'uscita dal governo nei prossimi mesi non è esclusa e deputati e senatori si interrogano sul loro futuro politico. «Se andiamo a votare a noi cosa succederà?», si chiede un Cinque Stelle. E come lui, molti altri. Rassicurazioni da dare e posizioni da prendere: i primi passi da leader per l'avvocato sono in acque agitate. Ecco perché Conte starebbe già lavorando a un cronoprogramma (che darà anche a Grillo) per rendere un po' più semplice il suo ingresso nel mondo del Movimento».

Sul giornale di riferimento del Movimento, schierato per Conte, Il Fatto, c’è la cronaca di Luca De Carolis e Paola Zanca. Non sarà una diarchia, no. Ma gli somiglia tanto.

«Per due che hanno litigato (anche) sulla comunicazione, la prima ossessione dovrebbe essere quella per la coerenza del messaggio. E invece, mentre su Facebook Beppe Grillo celebra il patto siglato davanti a una spigola con Giuseppe Conte e infonde coraggio a sé e alle truppe ("Ora pensiamo al 2050!"), sulla home page del suo blog ancora campeggia l'invettiva di due settimane fa. "Una bozza e via", si infervorava, demolendo il lavoro che l'ex premier aveva fatto sullo Statuto. E altro che 2050, si legge ancora, a imperitura memoria: Conte "non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione. Io questo l'ho capito, e spero che possiate capirlo anche voi". Poi, come noto, ci sono stati il comitato dei sette, la visita di Luigi Di Maio e Roberto Fico a Marina di Bibbona e la telefonata con Conte che - prima che nell 'assemblea dei gruppi deflagrasse la protesta contro il fondatore che aveva dato il via libera alla riforma Cartabia - ha segnato la tregua tra i due. Nel nuovo statuto, Conte ottiene la titolarità esclusiva sulla linea politica del M5S, Grillo non perde poteri rispetto a quelli attuali. Insomma, tutti dicono di aver vinto e chissà quanto durerà. Per ora, di tempi certi, si hanno solo quelli sulla votazione online della nuova struttura. Domani Conte annuncerà con un video il via alla consultazione sulla piattaforma SkyVote e dopo 15 giorni - durante i quali si terrà un evento per la presentazione agli iscritti dello Statuto - si avrà il verdetto sulla leadership. Ieri, in un ristorante vicino alla villa vista mare di Marina di Bibbona, Grillo e Conte hanno avuto il loro primo faccia a faccia dopo settimane di insulti e ultimatum a distanza. Con loro anche un fedelissimo di Luigi Di Maio, Pietro Dettori. E infatti, con i suoi, il ministro degli Esteri rivendica "orgoglioso" il "lavoro di mediazione" che ha condotto in prima persona. La stessa soddisfazione di Conte per il "buon clima" in cui si è mossa la trattativa. Si torna sul luogo dove a marzo, una settimana dopo l'investitura sul terrazzo dell'hotel Forum, Grillo invitò a pranzo l'ex premier e, seduti sulle sdraio in spiaggia, sorridevano del patto siglato. Stavolta il pasto si consuma in un luogo meno familiare, una trattoria di pesce, i sorrisi a favor di fotografi sono gli stessi, ma di cose da chiarire, sul tavolo, ce ne sono ancora parecchie. A cominciare da alcuni dettagli tecnici, che i due non avevano ancora personalmente affrontato. Non avrebbero invece parlato di nomi, ovvero delle scelte che i due saranno presto chiamati a fare: Conte indicherà gli organi politici (trai papabili restano in pole Bonafede, Taverna, Patuanelli e Appendino), Grillo deciderà invece chi farà parte degli organi di garanzia. Ma nessuno vuole che l'altro metta bocca sulle caselle, motivo per cui si sarebbero tenuti alla larga dall'argomento. Ancora tutto da scrivere è pure il Codice etico, che ha in pancia anche l'annosa questione dei due mandati su cui, alla fine, entrambi dovrebbero decidere di cedere la palla alla base, anche se - al solito - il modo in cuiverrà posto il quesito indirizzerà l'orientamento degli iscritti. Ma poi ci sono le faccende di governo, non solo quelle che riguardano la vita interna del partito. Uscire dall'angolo in cui sono finiti i 5 Stelle è il primo obiettivo dell'ex premier, che vuole anticipare possibili blitz della maggioranza e presentare un suo "tagliando" al Reddito di cittadinanza, bandiera del suo primo governo. Ma a Grillo ha ribadito anche di non aver intenzione di lasciar approvare così com' è la riforma della Giustizia. La stessa su cui, una settimana fa, il garante aveva dato il via libera, in una telefonata col premier Mario Draghi, spostando sul sì i ministri 5Stelle, fin lì fermi sull'astensione. Cose che d'ora in poi non succederanno più. O almeno questo è l'augurio di Conte».

VOTATA LA MISSIONE ALL’ESTERO IN LIBIA

La nostra missione in Libia è stata votata alla Camera. Avvenire e Manifesto sono molto critici sul voto, mentre Draghi ricorda al Corriere di avere ereditato dal precedente Governo l’impostazione della missione internazionale, con tanto di alleanza con la famigerata Guardia Costiera. La cronaca di Carlo Lania sul Manifesto.

«II Via libera della Camera alla delibera missioni internazionali, compresa la contestata «scheda 48» relativa all'addestramento della cosiddetta Guardia costiera libica. La risoluzione della maggioranza è passata ieri con 438 voti a favore, 2 contrari e 2 astenuti, mentre contro la parte che riguarda la Libia, sulla quale si è proceduto con un voto separato, hanno votato 3e deputati tra M5S, LeU, +Europa e Pd. Gli astenuti sono stati invece 22, tra i quali il gruppo di Italia viva. Il voto di ieri non rappresenta certo una sorpresa. Che l'Italia decidesse finalmente di mettere fine alla collaborazione con i guardacoste di Tripoli era infatti impensabile visto che finora, al momento del voto in parlamento, si è sempre trovato un motivo per proseguire. L'anno scorso furono le rassicurazioni del governo che nel discutere le modifiche al Memorandum Italia-Libia si sarebbero pretese dai libici garanzie sul rispetto dei diritti umani dei migranti. Modifiche che, però, sono rimaste al palo. Quest' anno a spianare la strada al voto è stato un emendamento del Pd votato nelle commissioni Esteri e Difesa che impegna il governo a «verificare dalla prossima programmazione le condizioni per il superamento della suddetta missione», formula con cui si ipotizza la possibilità che ad addestrare le milizie libiche sia l'Unione europea. Per il Pd l'emendamento è stato il modo per uscire da una situazione divenuta ormai difficile, tanto più dopo le immagini della motovedetta libica, una di quelle regalate a Tripoli proprio dall'Italia, che insegue, spara e tenta di speronare un barchino pieno di migranti. La decisione non ha però convinto l'opposizione interna al punto che sette deputati, Orfini, Boldrini, Raciti, Rizzo Nervi, Gribaudo, Pini e Bruno Bossio hanno comunque votato contro. «Ancora una volta abbiamo votato in pochi, troppo pochi. Ancora una volta una scelta orribile, una giornata orribile», è stato il commento di Orfini. Nel dibattito che ha preceduto il voto è stato invece il deputato di +Europa Riccardo Magi a rivolgersi ai deputati dem: «Lo dico ai colleghi del Pd, non c'è nulla da verificare, è già tutto noto quello che avviene in Libia anche per mano della Guardia costiera che alimenta un circuito di violenza, sequestri, detenzione illimitate e stupri». «Questa missione - ha detto invece Erasmo Palazzotti di LeU - fa parte di una strategia che vede nell'esternalizzazione delle frontiere il suo punto cardine. E oggi dobbiamo chiederci se è un costo moralmente accettabile continuare a finanziare le violazioni dei diritti umani». Adesso la delibera passa al Senato dove verrà votata martedì 20 dalle commissioni Esteri e Difesa. Il voto in aula è previsto invece per il 28 luglio.».

GLI EMENDAMENTI DI CARTABIA PER LE PENE SOSTITUTIVE

La svolta garantista di Cartabia, che ha mandato su tutte le furie Travaglio&C., va avanti. Ieri sono state presentate norme che rafforzano le misure alternative al carcere. Giovanni Negri per il Sole 24 Ore.

«Revisione e potenziamento del sistema delle pene sostitutive, estensione della causa di non punibilità per tenuità del fatto, allargamento della messa alla prova, restituzione di effettività delle pene pecuniarie. Quella cristalizzata negli emendamenti alla legge delega sul processo penale, da poco depositati alla Camera dalla ministra Marta Cartabia, non è una riforma dell'ordinamento penitenziario, quanto piuttosto una riscrittura del sistema sanzionatorio. Nel dettaglio, sinora chi riporta una condanna entro i 4 anni di pena detentiva può chiedere, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, entro 30 giorni dalla sospensione dell'ordine di carcerazione, una misura alternativa alla detenzione (semilibertà, domiciliari, affidamento in prova ai servizi sociali). Oggi, in attesa del giudizio del magistrato di sorveglianza, il condannato non va in carcere, ma neanche inizia a scontare la pena alternativa. È la condizione dei cosiddetti "liberi sospesi". Per evitare questa situazione di limbo, con la riforma si trasformano alcune misure alternative, attualmente di competenza del Tribunale di Sorveglianza, in sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, direttamente irrogabili dal giudice della cognizione. In questo modo, si dà anche maggiore effettività all'esecuzione della pena. Le pene sostitutive sono delle vere e proprie pene, anche se non comportano la detenzione in carcere: semilibertà, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità e pene pecuniarie. Si tratta di pene non sospendibili. Dalla lista attuale si aboliscono la semidetenzione e la libertà controllata, di fatto del tutto insignificanti quanto a loro utilizzo complessivo, come testimoniano i dati. Si porta da sei mesi a un anno di pena inflitta il limite di pena detentiva sostituibile con la pena pecuniaria; si prevede che la pena fino a tre anni possa essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità; si prevede che la pena fino a quattro anni possa essere sostituita con la semilibertà o con la detenzione domiciliare applicate a titolo di pene sostitutive dal giudice di cognizione. Quanto alla pena pecuniaria sostitutiva della detenzione fino a un anno, a essere rivisti dovranno essere anche gli importi, tenuto conto dei paradossi del sistema attuale che hanno condotto a un'eccessiva onerosità: cruciale è stato l'aumento da 38 a 250 euro per ogni giorno di pena detentiva dell'ammontare minimo della quota giornaliera. Un mese di pena detentiva deve essere sostituito con almeno 7.500 ; sei mesi con almeno 45.000 euro. Una criticità che è stata colta di recente anche dalla Corte costituzionale che ha sottolineato, sentenza n. 15 del 2020, come l'attuale valore giornaliero minimo rende nei fatti la sostituzione della pena «un privilegio per i soli condannati abbienti». La riforma Cartabia invita alla determinazione di un minimo diverso e di un massimo non superiore a 2.500 euro; in 250 euro giornalieri in caso di sostituzione della pena detentiva con decreto penale di condanna. Per quanto riguarda la causa di non punibilità per tenuità del fatto, al posto del limite di pena non superiore nel massimo a 5 anni si allarga il perimetro a tutti i reati puniti con minimo detentivo non superiore a 2 anni. Sulla messa alla prova, gli emendamenti estendono l'ambito di applicabilità a specifici reati, puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori. Si prevede inoltre che la richiesta di messa alla prova dell'imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero. Da rivedere infine tutto il sistema delle pene pecuniarie, anche se non è stata accolta la proposta della commissione Lattanzi dell'introduzione delle quote, partendo dal fatto che la percentuale attuale di esecuzione è bassissima: oscilla costantemente (2015-2018) tra l'1% e il 2%, con una perdita annuale per l'erario di oltre un miliardo di euro». 

CAOS RAI, IL NODO SOLDI E QUELLO MELONI

Un’altra spina per il Governo Draghi è il caso Rai. Due le questioni: Fratelli d’Italia è stato escluso dal nuovo CDA votato dal Parlamento e Marinella Soldi designata Presidente da Draghi è criticata come “renziana”. Mario Ajello per il Messaggero:

«Spine, ritorsioni, vendette. Le scelte sulla Rai, a riprova che la Rai è il cuore della politica o cerca di restarlo, stanno terremotando tutto. Fino a investire il governo e Draghi che facendo tutto da solo per la nuova governance della tivvù pubblica ha toccato i più sensibili fili elettrici dei partiti che lo vogliono bruciare. Come? Impallinando, in Vigilanza Rai, la presidente designata Marinella Soldi. Abbattere lei per dire a SuperMario che la Rai è un terreno accidentato per tutti e anche per lui che si crede superiore a chiunque. Senza i voti di M5S, della Lega e di Forza Italia, la Soldi non avrà mai la forza - deve avere i due terzi dei consensi nella commissione bicamerale, ovvero almeno 27 sì - per salire sulla seconda poltrona più alta del Settimo Piano di Viale Mazzini (la prima è di gran lunga quella dell'ad Fuortes). A Palazzo Chigi il pericolo ammettono di avvertirlo ma ostentano forza perché - si fa notare - «un'eventuale bocciatura della Soldi sarebbe agli occhi di tutti la riprova che la vecchia politica non vuole mollare la televisione pubblica che ha sempre considerato suo feudo esclusivo e intoccabile». Ieri il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera a Fuortes-Soldi. E il Mef (azionista Rai) ha approvato il bilancio della televisione pubblica e ha nominato il Cda con dentro Fuortes e Soldi, Laganà, Di Majo, Bria, Agnes, De Biasio. Oggi il Cda di Viale Mazzini dovrebbe confermare la scelta di Soldi presidente. E a quel punto, a metà della settimana prossima, ci sarà il passaggio burrascoso in Vigilanza. Il tutto si svolge in mezzo a una baraonda con al centro Fratelli d'Italia. La Meloni è furibonda per l'estromissione dal Cda Rai di Giampaolo Rossi, che si è sempre fatto ben valere al Settimo Piano. FdI ce l'ha con Salvini, e con Forza Italia, alleati giudicati colpevoli di questo «tradimento». «Oltre il danno, ora Salvini ci fa pure la beffa!», masticano amaro i meloniani dopo aver sentito ieri queste parole da parte del leader leghista: «Sulla Rai? E che problema c'è? I membri del centrodestra in Cda garantiranno anche l'opposizione». Cioè la Meloni. La quale attacca: «Estromettere il partito di opposizione dalla Rai segna una pagina nera per la nostra democrazia». E ancora: «Evidentemente la crescita di FdI è molto temuta». Anche o soprattutto dentro il centrodestra. La Meloni incalza: «Mi dispiace che le massime cariche dello Stato non siano intervenute, a cominciare da Mattarella, per impedire un vulnus del genere, c'è una violazione senza precedenti delle più banali norme del pluralismo». FdI vuole che la presidenza della commissione di Vigilanza vada all'opposizione. Ovvero via l'azzurro Barachini, che ha sempre esercitato un ruolo di garanzia ed è difficile pensare che si dimetterà, e dentro un meloniano. O ancora: il Tg3 nacque per essere dato all'opposizione, e perché - si ragiona in FdI - non dare a noi la guida di un tiggì? Se la matassa non si sbroglia, è così alta la rabbia di FdI contro il resto del centrodestra che non sono escluse ritorsioni: ovvero il non appoggio dei meloniani a candidati sindaci leghisti o forzisti alle prossime amministrative. Quanto al voto sulla forse presidente Soldi, potrebbero mancare i sì di M5S («E' una renziana!», e a torto la ritengono colpevole di aver finanziato da ceo di Discovery il documentario su Firenze per il quale Renzi è indagato con Lucio Presta). Mentre il centrodestra di governo ha questa strategia: impallinare la Soldi in Vigilanza e costruire l'accordo per portare la neo-consigliera azzurra Simona Agnes alla presidenza. Chissà se ci sarà davvero il coraggio di aggredire Draghi via Soldi oppure si preferirà trattare: Forza Italia punta ad avere un posto importante nei tiggì per Antonio Preziosi, la Lega vuole Sangiuliano alla guida del Tg1 al posto del filo-grillino Carboni (che M5S cercherà senza chance di conservare in quel ruolo, dove è destinato Antonio Di Bella o magari Monica Maggioni in quota trasversale da governo di tutti), sempre il Carroccio vuole come direttore generale Ciannamea che considera suo e via così. Preparare i popcorn». 

IL DDL ZAN SLITTA A SETTEMBRE?

Ddl Zan. Giovanna Casadio per Repubblica racconta la discussione fra i senatori del Pd. Il solo voto di scarto dell’altro giorno in Senato, 136 a 135, nonostante la ferma lealtà dei renziani, sta facendo riflettere. La linea Cirinnà-Letta del muro contro muro, con quel “meglio morire in battaglia”, rischia di non essere condivisa da tutti i senatori. Emerge l’ipotesi di uno slittamento a settembre per la discussione degli emendamenti, martedì prossimo infatti è l’ultimo giorno utile per il dibattito in aula.  

«Cresce la schiera di chi non vuole morire in battaglia sul ddl Zan, ma portare davvero a casa la legge contro l'omotransfobia». Andrea Marcucci riassume così la riunione dei senatori del Pd, convocata ieri, dopo che in aula a Palazzo Madama l'esame del disegno di legge è stato aggiornato a martedì prossimo. Martedì sarà probabilmente l'ultimo giorno del ddl Zan prima della pausa estiva: ci sono infatti tre decreti legge da votare subito (il decreto Semplificazioni, il dl Sostegni e quello sulla Cybersecurity). È probabile quindi che sia rinviata a settembre la legge che porta il nome del deputato dem e attivista Lgbt, Alessandro Zan. Il rischio dell'altro ieri, quando per un solo voto il ddl Zan è riuscito a evitare la sospensione, ha lasciato strascichi. Nell'assemblea del Pd se ne parla senza girarci attorno. «Una discussione franca, e spero si apra una breccia», twitta sempre Marcucci. Il Pd annuncia che non presenterà emendamenti (che vanno depositati entro martedì mattina), così come non li presenteranno i 5Stelle. Ma se ne attendono una valanga dalle destre, e dalla Lega soprattutto. Matteo Renzi, nel videoforum con Repubblica , ha assicurato: «Ci saranno gli emendamenti presentati da altre forze politiche, non da Italia Viva. Il ddl Zan l'abbiamo votato e continueremo a farlo». Ma per la legge contro l'omofobia la strada è minata dai voti segreti e dai "franchi tiratori". Ex capogruppo ed ex renziano di ferro, Marcucci è il più critico sulla strategia di Enrico Letta di andare avanti comunque sul ddl Zan così com' è stato approvato alla Camera il 4 novembre scorso. È convinto vadano cercati compromessi con Salvini e con Renzi. Scatta tra i dubbiosi del Pd l'ultimo pressing su Letta affinché cambi strategia e cerchi una mediazione».

MENO CONTANTI IN VATICANO

I cattolici devono aspettarsi fiumi d’inchiostro diffamanti il Vaticano e la Chiesa cattolica nei prossimi giorni, visto che sta per iniziare il processo del secolo contro la corruzione oltre Tevere. È il prezzo della trasparenza voluta da Francesco. Chi legge oggi La Verità ha un assaggio della cosa. A conforto invece di chi spera in un vero rinnovamento anche nelle finanze vaticane, ecco una notizia “tecnica” del Sole 24 Ore di oggi.

«Cala l'uso del contante in Vaticano. Nel 2020 le dichiarazioni fatte alla Gendarmeria segnalano che i rotoli di banconote - ma anche gli strumenti negoziabili al portatore (per valori superiori a 10 mila euro) - sono sempre meno: poco più di 14 milioni tra ingressi e uscite, valore dimezzato dai 33,5 del 2016. Emerge dal Rapporto Asif, autorità di controllo sulla finanza, presieduta da Carmelo Barbagallo ,che lo scorso anno ha inviato 16 rapporti all'autorità giudiziaria della Santa Sede, a fronte delle 89 segnalazioni ricevute (85 dallo Ior). Il tema del contante era molto sentito dentro le mura vaticane: nel 2013 fu proprio uno scandalo per valigette piene di contanti che viaggiavano avanti e indietro a innescare un forte ricambio da parte del Papa. Intanto ieri si è riunito il Consiglio per l'Economia per approvare il bilancio consuntivo della Santa Sede e approfondire la politica di investimenti, una riflessione condotta da Eva Castillo Sanz, supermanager spagnola cooptata da Bergoglio dentro gli organismi vaticani».

Se vi è piaciuta la Versione di Banfi fatelo sapere inoltrando questa rassegna via email ai vostri amici. Se non vi è piaciuta, beh nessuno è perfetto.

Per chi vuole, ci vediamo dalle 16.50 su 10alle5 Quotidiana  https://www.10alle5quotidiano.info/ per gli aggiornamenti della sera.

Share this post

Vaccinato, testato o guarito?

alessandrobanfi.substack.com
Comments
TopNewCommunity

No posts

Ready for more?

© 2023 Alessandro Banfi
Privacy ∙ Terms ∙ Collection notice
Start WritingGet the app
Substack is the home for great writing