Vaccini a quota 680 mila
Figliuolo fiducioso: se teniamo il ritmo, giù i contagi. Guerra sporca: colpita la torre dei media a Gaza. Scontro Letta-Salvini sulle riforme. Se non le facciamo, niente Recovery. Travaglio No Spy
Il bombardamento israeliano delle postazioni della stampa a Gaza, con il crollo della Torre dei giornalisti, segna un ulteriore passaggio della guerra sporca in Medio Oriente. Una guerra che blocca e fa regredire quel processo di integrazione fra arabi e israeliani che si era percepito nella lotta comune al Covid, grande successo internazionale di Israele. Un successo fatto anche, come ricorda lo storico Segev al Corriere, di medici e infermieri arabi. Un processo che sarebbe stato sancito da un nuovo governo con l’inedita partecipazione del partito arabo Raam di Mansour Abbas. Netanyahu e Hamas non volevano quell’esito, per ragioni opposte e convergenti. La guerra sta servendo anche a questo. Oggi si riunisce il consiglio di sicurezza dell’Onu, vedremo che cosa accadrà.
Buone notizie dai dati veri sui contagi che scendono molto e sulla campagna vaccinale, che sembra finalmente riuscire a tenere un buon ritmo. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di questa mattina sono state fatte 682 mila 573 somministrazioni. Se oggi, che è domenica, si resterà intorno ai 500 mila chiuderemo una settimana record. Figliuolo spiega al Messaggero che le Regioni stanno rispondendo bene e che anche AstraZeneca ora è ambita. Domani la cabina di regia deve decidere sul coprifuoco e le nuove misure di sicurezza anti-Covid. Intanto anche le discoteche si preparano.
Il dibattito politico è centrato sullo scontro Letta-Salvini. Il segretario del Pd sostiene che si riaprirà “nonostante Salvini” e soprattutto che se il leader della Lega non vuole le riforme, deve uscire dal Governo. Il Capitano risponde che invece ci resta, anche se non chiarisce fino in fondo. Albertini, a sorpresa, rinuncia alla candidatura a Milano e mette il centro destra nei guai. Rispunta Lupi? Mercoledì si decide.
Complicate da seguire le polemiche sui veleni fra spioni, Report, Renzi, Mancini e così via. Travaglio sul Fatto sostiene che non c’è nessuna manovra in atto. Ah, ecco. Infine segnaliamo due interventi interessanti su chiese vuote e secolarizzazione. Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
Per Avvenire è ancora la guerra sporca in Medio Oriente la notizia del giorno: Fuoco senza tregua. Il Manifesto sottolinea l’attacco militare alla Torre dei giornalisti a Gaza: Silenzio stampa. Il Sole 24 Ore è preoccupato dal forte aumento dei prezzi delle materie prime, cui la stessa guerra non è estranea: Rincari record, cantieri a rischio. Il Corriere della Sera privilegia i primi dati scientifici accertati dall’Istituto Superiore di sanità ed è una buona notizia: Vaccini, il crollo dei contagi. Il Quotidiano Nazionale spiega: Ecco perché il vaccino ai sedicenni. Il Mattino, con un po’ di orgoglio, citando Figliuolo: «Campania, in tre settimane colmato il deficit dei vaccini». Il Messaggero con una lunga intervista al Commissario annuncia: «Green pass, ecco come sarà». Seconda dose anche al mare. Sullo scontro tra Pd e Lega insiste ancora Repubblica: Ultimatum Pd a Salvini. La Stampa fa la stessa scelta: Salvini, attacco a Letta “Sono la sua ossessione”. Dall’altro versante politico editoriale, ma sullo stesso argomento, anche La Verità: Letta è allo sbando: rischia già di saltare. Mentre Il Fatto attribuisce la guerra dei veleni sugli spioni proprio al leghista: Perché Salvini vuole controllare i Servizi. Il Domani tematizza invece le difficoltà per le candidature delle amministrative: Albertini non si candida a Milano. E ora il centrodestra è nei guai. Il Giornale denuncia l’aggressione alla manifestazione in piazza contraria al Ddl Zan: Violenza arcobaleno. Mentre Libero fa un titolo di stringente attualità: Le telefonate segrete del Duce.
I VACCINI CORRONO, PRONTI PASS E DISCOTECHE
La campagna vaccinale e il ritorno alla vita. Parla il generale Figliuolo, commissario del Governo, intervistato questa mattina dal Messaggero:
«Le statistiche indicano che la campagna vaccinale nazionale sta viaggiando a ritmo elevato: la scorsa settimana sono state fatte più di 3 milioni e 334 mila somministrazioni, un dato positivo che cresce di settimana in settimana e la cui bontà viene riscontrata anche dal calo di ricoveri e di decessi a livello nazionale. La campagna non è una gara tra Regioni o tra nord e sud, ed eviterei generalizzazioni. Una stessa Regione può far registrare ottimi risultati per una fascia di età e aver bisogno di accelerare in un'altra. Esistono certo delle differenze, legate a diversi fattori, e una parte importante del lavoro della struttura commissariale consiste nel fare la sintesi fra le 21 diverse sensibilità e caratteristiche proprie delle Regioni e Province autonome. Peraltro sugli over 80 le maggiori percentuali di somministrazione arrivano da Veneto e Toscana, quest' ultima partita male». E quando è previsto, con gli attuali ritmi, il raggiungimento dell'immunità di gregge? «Secondo il piano elaborato a marzo, che ipotizzava approvvigionamenti regolari in termini di tempo e di quantità e un tasso di adesione costante alla campagna vaccinale, si era stimato che alla fine dell'estate avremmo avuto la copertura dell'80% dell'intera platea da vaccinare. I tagli di alcune forniture e la sospensione temporanea di AstraZeneca e Johnson&Johnson hanno provocato qualche rallentamento, che si conta di recuperare grazie alle maggiori forniture previste nel terzo trimestre. L'obiettivo del piano rimane invariato». (…) Il pass vaccinale è ancora un oggetto sconosciuto. Non sarebbe il caso di crearlo e renderlo fruibile nella stessa forma fisica su tutto il territorio nazionale? Ad esempio, in Campania il governatore De Luca ne ha stampato uno regionale, delle dimensioni di una patente. Perché non ce n'è uno nazionale? «Si tratta di una certificazione a cura delle Regioni e Province autonome con validità nazionale, che comprova uno dei seguenti stati: il completamento del ciclo vaccinale, oppure la guarigione dall'infezione, ovvero un test molecolare o antigenico rapido per la ricerca del virus Sars-CoV-2 che riporti un risultato negativo, eseguito nelle 48 ore antecedenti. In ambito europeo si parla di Digital Green Certificate, un certificato, digitale o cartaceo, che riporta indicazioni simili attraverso un QRcode. Il DGC sarà gratuito e in italiano e inglese e, per la Provincia Autonoma di Bolzano, anche in tedesco. La finalità è quella di facilitare la circolazione dei cittadini tra i diversi Paesi dell'Unione Europea, attraverso la definizione di criteri comuni tra i 27 Paesi e l'utilizzo di certificati interoperabili, che potrebbero evitare periodi di quarantena o ulteriori test. Un'altra finalità è la riduzione delle falsificazioni dei certificati. Il possesso di uno dei certificati non rappresenta un prerequisito per viaggiare, ma agevola gli spostamenti, senza quarantena». Le persone si pongono una sola domanda: quando? Quando toglieremo le mascherine, quando riapriranno i locali, quando si potrà fare tardi la sera. E non si accontentano più di risposte generiche del tipo: quando il contagio scenderà. Lei ha una risposta diversa? «Io ritengo sia opportuno sottolineare il fatto che vaccinarsi sia la chiave per far ripartire il Paese. Occorre farlo e nel frattempo non abbassare la guardia, come suggeriscono gli esperti sanitari». AstraZeneca sembra spaventare una parte degli italiani. E' vero che al Sud ci sono molte dosi inutilizzate? Secondo lei perché? E davvero pensate di ridistribuirle nel resto d'Italia come hanno chiesto Lazio e Lombardia? «Il controllo dei fabbisogni è una delle principali azioni dirette e costanti che svolgo unitamente alla mia Direzione Operativa. Quando serve, si operano dei bilanciamenti che vengono concordati con i Presidenti delle Regioni. Non esiste un magazzino di vaccini, sarebbe totalmente illogico. I trasferimenti di dosi hanno carattere provvisorio, perché - quando la situazione degli approvvigionamenti si normalizza - la Regione che ha ceduto temporaneamente i vaccini a sua disposizione ne riceve altrettanti, secondo il principio una testa un vaccino. Voglio poi sfatare la vulgata Sud-Nord: la Campania usa AstraZeneca tanto quanto la Lombardia. E' vero che ci sono Regioni del sud come Sicilia, Calabria e Basilicata ma anche del Centro come l'Abruzzo - in cui vi è una percezione non adeguata del vaccino anglo-svedese. Ma il primo bilanciamento, pari a 50 mila dosi, è avvenuto - con la regia della Struttura Commissariale - tra Sicilia e Puglia, su esplicita richiesta del Presidente Emiliano che ha incontrato il consenso del Presidente Musumeci».
Domani si prenderanno le decisioni sul coprifuoco e saranno varate le nuove regole nella cabina di regia del Governo. I primi dati ufficiali dell’Istituto superiore di sanità sull’efficacia della campagna di vaccinazione sono ottimi, superiori alle aspettative. Intanto nel mondo delle discoteche si pensa a come riorganizzarsi per l’estate. Ne scrive Repubblica:
«La riapertura è un miraggio che i gestori dei locali guardano col cannocchiale e non vedono comunque prima di luglio-agosto. Così s' immaginano le discoteche del presente e quelle del futuro: spazi trasformati in musei, sale riconvertite in ristoranti con spettacoli dal vivo, stabilimenti rilevati per spostarsi tutti in spiaggia, chiringuito ripensati oltre il calar del sole. È il caso del club simbolo della Riviera, il Cocoricò, che riaprirà come "Repubblica Discocratica", un luogo per eventi, performance, pittura, fotografia, teatro, musica che ospiterà pure un museo, il Mudi: «Da una parte sarà la memoria storica del locale, dall'altra una piattaforma per giovani artisti», spiega il patron Enrico Galli. Fino alla ripartenza vera con i migliori dj sotto la Piramide. Per ora i romagnoli ballerano poco: i fratelli De Luca, che avevano convertito la famosa discoteca Mon Amour nel ristorante Frontemare, hanno investito nei due bagni su cui affaccia il locale per unire la cena con serate a tema. In spiaggia i bagnini collaboreranno con gli staff dei locali per aperitivi con dj set accanto ai chioschi sulla sabbia. Lo chiamano il "business dell'aperitivo" e contagia tutta la penisola. A Fregene c'è La Vela che, spiega il proprietario Emiliano Pistoia, vuole «tornare ai fasti degli anni '90, quando si chiamava Tattou e tutta Roma veniva a ballare qui». La musica sarà dal vivo con bande e storici dj house ad accompagnare lo spritz. In città si apre pure al mattino, ad esempio all'ex Mythos di villa Borghese, che dopo vent' anni cambia orari, inaugura sette piscine, un solarium, spazi per lo yoga e cene seduti al tavolo con spettacoli di musicisti ed equilibristi. La formula debutterà persino alla corte di Flavio Briatore in Costa Smeralda, lo scorso anno focolaio Covid, che ospita "The Billionaire experience": «Un intrattenimento che dura tutta la notte, combinato alla cucina italiana e new asian» si legge sul sito, dove si preannuncia il sold out. Riconvertiti in ristoranti sono pure il Mako di Genova, il Celebrità di Novara o il Big Club di Torino. «Il 30% delle discoteche invece non ce l'ha fatta - spiegano dal Silb, il sindacato dei locali da ballo - E non riaprirà più. I 2800 spazi al chiuso attendono, molti hanno già deciso di puntare sulla stagione invernale quando saremo tutti vaccinati, per gli altri c'è da dare forma alla visione del futuro trasformando gli spazi in luoghi in cui si mangia, gusta, ascolta musica». La prossima settimana potrebbe essere decisiva: il Silb presenterà al Cts un protocollo stilato con quattro associazioni col via libera dell'infettivologo Matteo Bassetti e dell'epidemiologo Pierluigi Lopalco per provare a riaprire con il certificato vaccinale, il tampone negativo e le mascherine in pista, ma senza distanziamento. L'idea per fine giugno è un evento test "Covid free" modello Barcellona per 2 mila persone al Praja di Gallipoli, in Salento».
Via libera ai test salivari, dopo una circolare del Ministero della Salute. Potrebbero essere utilizzati nelle scuole già per i prossimi esami di terza media e di maturità.
«Via libera ai test salivari per il rilevamento del Covid-19, ma da utilizzarsi preferibilmente entro i primi cinque giorni dalla comparsa dei sintomi, quando la carica virale è più alta. Una nuova circolare del ministero della Salute, pur ribadendo che il test molecolare resta il «gold standard» internazionale per la diagnosi del Sars Cov-2, indica i test salivari come utili per screening ripetuti in particolare su anziani, disabili e bambini. E proprio ragazzi e adolescenti saranno probabilmente i primi ad essere testati, insieme al personale scolastico e agli insegnanti, prima di affrontare gli esami di terza media e quelli di maturità che inizieranno a partire dal 16 giugno. La circolare, firmata dal direttore generale della prevenzione, Gianni Rezza, precisa che alcuni studi, pubblicati nel 2020, rilevano un'attendibilità dei test salivari tra il 53 e il 73 per cento. Tuttavia sottolinea l'importanza dell'esame non solo per individuare persone asintomatiche, ma anche per aumentare l'accettabilità di test ripetuti per il metodo di raccolta meno invasivo rispetto al tampone oro-nasofaringeo. Era stato l'Ecdc, il centro europeo per il controllo delle malattie, appena il 4 maggio scorso, a dare una serie di indicazioni recepite nella circolare del ministero della Salute. La decisione mette d'accordo politica e sindacati».
LA GUERRA SPORCA: BOMBARDATI I MEDIA A GAZA
Un’altra giornata drammatica ieri in Israele e a Gaza. L’esercito di Gerusalemme ha colpito la Torre dei giornalisti a Gaza, dove lavorano Associated Press e Al Jazeera, dopo aver avvertito telefonicamente, mezz’ora prima del bombardamento. Oggi riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Giorgio Ferrari su Avvenire (titolo: Più feroce e vera è questa guerra).
«Questa guerra assicura ai rispettivi leader un prolungamento della loro longevità politica. Ad Hamas, per continuare a esistere e rimettere sotto i riflettori la questione palestinese emarginata dagli Accordi di Abramo arabo-israealiani; a Netanyahu, per rimanere al potere: l'ennesima grande coalizione che alla quinta scoraggiante consultazione elettorale lo voleva spingere ai margini della politica è già miseramente franata sotto l'urto dell'emergenza bellica. Per fare la pace con i palestinesi - gli israeliani lo sanno bene, come lo sapeva Yasser Arafat - occorrono uomini forti. Come Ariel Sharon, o come, appunto, Bibi Netanyahu. Capi pronti a perdere la battaglia sul fronte dell'opinione pubblica (i palestinesi peraltro sono maestri nel valorizzare mediaticamente al massimo grado le proprie vittime) per vincere quella politica. Sullo sfondo però s' intravede un terzo incomodo. Che non è la Turchia (i piani di Erdogan per governare quel conflitto accrescendo la propria influenza sono falliti) e non sono nemmeno gli Emirati del Golfo, attratti dalla ghiotta prospettiva economica offerta loro dagli Accordi di Abramo. Il terzo incomodo è Teheran, l'unico vero alleato di Hamas. E poco importa che una nazione sciita venga in soccorso di una fazione sunnita: il nemico comune, Israele, val bene la scelta. Quando tacerà il cannone e si conteranno le vittime di questa ennesima guerra, più vera che mai e come sempre pagata dagli innocenti, non sarà ai palestinesi ma all'Iran che Israele continuerà a guardare. Al più deciso e pericoloso dei suoi avversari. Chi fa e farà la guerra si sa. Chi può fare la pace ancora no».
“Mai vista una violenza così, in tanti anni in Terra santa”. Parla il Patriarca di Gerusalemme padre Pierbattista Pizzaballa in un’intervista ad Andrea Avveduto per Avvenire.
«In tutti questi anni vissuti in Terra Santa, non ho mai visto una violenza così diffusa». Monsignor Pierbattista Pizzaballa non perde mai la sua pragmatica lucidità, ma segue preoccupato l'escalation di violenza che è tornata a infiammare gli animi dei due popoli in conflitto. (…) «La novità sta principalmente negli scontri che si stanno verificando in tutto il Paese. Abbiamo visto immagini di città ferite dove solo fino al giorno prima potevamo parlare di pacifica convivenza tra arabi musulmani ed ebrei israeliani. È un insieme di elementi esplosi, legati l'uno all'altro ma anche - ahimè - con dinamiche indipendenti. Una delle cause è sicuramente da attribuire alla «politica del disprezzo» in corso da anni e che ha aumentato la frustrazione e la rabbia tra persone. Una politica che è da sempre figlia del razzismo. A Gerusalemme, gli scontri tornano ciclicamente e posso dire - a costo di sembrare di cinico - che anche la guerriglia di Gaza non è una novità. L'unico risultato sarà un aumento di morti e macerie, che andranno ad accumularsi a quelli degli anni precedenti. Da una parte la destra religiosa ebraica che getta benzina sul fuoco, dall'altra l'ostinata battaglia di Hamas contro un nemico che non può sconfiggere». In questa crisi politica quanto conta l'aspetto religioso? «La presenza alla Knesset di partiti religiosi (orientati a destra) non è una novità, e l'uso strumentale della moschea di al-Aqsa torna comodo ad Hamas, che punta a diventare portavoce dei palestinesi. L'aspetto religioso, quando si contamina con la politica, rende tutto più complesso e lungo. Perché se in politica si punta a raggiungere il compromesso, nell'ambito religioso diventa tutto più complicato». Cosa ci possiamo aspettare dai prossimi giorni? «È difficile prevedere le decisioni che si prendono ai tavoli della politica. Complessivamente credo di poter dire che tutta la popolazione è stanca di questa situazione. E dopo questi focolai iniziali - che mi auguro finiscano il prima possibile - si tenderà a gettare acqua sul fuoco, anziché benzina. Ma sappiamo quanto è difficile fare previsioni, specialmente qui, dove la situazione è così intricata e ogni cosa può cambiare da un giorno all'altro. E il giorno dopo - di solito - usiamo la carta dei giornali per avvolgere il pesce». A inizio mese Israele ha riaperto la possibilità di viaggiare per chi è vaccinato, e non sembrava lontana la ripartenza dei pellegrinaggi. Come cambierà adesso? «Questa crisi ha certamente rallentato la ripresa del turismo, specialmente religioso, che è già in grave difficoltà. I pellegrinaggi - come è noto - sono una delle fonti di guadagno e sostentamento per la popolazione, ma la situazione sta già creando un grande danno economico, perché hanno stroncato un potenziale ritorno dei pellegrini nei luoghi di Gesù. Quando tutto questo sarà finito, riprenderanno. Spero il prima possibile». C'è un punto su cui insistere per immaginare anche solo lontanamente che le cose potranno cambiare, un giorno? «Dobbiamo insistere sull'educazione e la formazione. Le scuole rivestono un ruolo importantissimo, e ci impegneremo ancora di più per favorire tutte le occasioni di incontro possibili».
Sul Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi intervista Tom Segev, storico di Israele. Segev vede in questa guerra una riaffermazione della pericolosità degli estremisti di Hamas e un successo di Netanyahu che ha impedito il primo governo (di centro destra) che stava per includere un partito arabo israeliano nella maggioranza.
«Tom Segev ci parla da Gerusalemme. Autore di alcune opere fondamentali sulla storia di Israele, per decenni commentatore per il quotidiano Ha' aretz, Segev insiste sull'unicità di questa nuova ondata di violenze. Che cosa vede di nuovo? «L'intensità dei disordini in località che sono al cuore dello Stato. Lod, la vecchia Lydda araba dove oggi si trova l'aeroporto internazionale: qui bande di ragazzini hanno bruciato tre sinagoghe. Come anche le aggressioni di Ramla, Acri e Jaffa, alle porte di Tel Aviv. Nel 1948 l'esercito israeliano aveva espulso praticamente tutta la vecchia comunità palestinese. Poi però una parte degli abitanti originari era tornata. Con i decenni erano diventati luoghi modello di coesistenza, pur se con grossi problemi di povertà e droga. Mi ha sinceramente sorpreso il saccheggio all'hotel di Acri, non lo ritenevo possibile. Sino a pochi mesi fa i nostri media raccontavano con entusiasmo del ruolo fondamentale giocato dai medici e dagli infermieri arabi negli ospedali mobilitati per l'emergenza Covid. Arabi nati e cresciuti tra noi, israeliani a tutti gli effetti. Avevamo scoperto che gran parte delle nostre farmacie era tenuta da farmacisti arabi (…) A Lod, per esempio, il sindaco ha imposto il coprifuoco. Ma nessuno lo ha rispettato. Come pochi mesi fa, del resto, le forze dell'ordine non riuscivano a obbligare gli ebrei ortodossi ad indossare la mascherina e restare in casa. Abbiamo scoperto di essere un Paese poco governabile, quasi anarchico. Ne hanno approfittato anche gli estremisti ebrei». In che modo? «Gruppi legati alla destra nazionalista e religiosa hanno agito in modo coordinato per attaccare le zone arabe. Penso per esempio alla "Familia", che è l'organizzazione violenta della tifoseria più fanatica e razzista della squadra di calcio del Betar Gerusalemme. Sono arrivati con gli autobus, centinaia di giovani decisi a vandalizzare, linciare, impaurire» (…) Chi vince? «Per ora Hamas. Un fatto molto grave, sono fondamentalisti pericolosissimi, terroristi che sparano sulle città in nome della guerra santa. Usano gli aiuti che giungono dall'estero per costruire armi. Sono riusciti a imporsi come i difensori di Gerusalemme di fronte al mondo islamico e della causa palestinese. Ci hanno obbligati a chiudere il nostro aeroporto più importante e di fatto stanno paralizzando la vita civile. Però, rimane un evento limitato a poche minoranze di fanatici combattenti. Non è una rivolta generalizzata». Le conseguenze politiche? «Benjamin Netanyahu resta al potere, o comunque pare più forte di prima. Ci aveva fatto credere che si potevano annettere i territori occupati nel 1967 senza troppi problemi e ora ne paghiamo le conseguenze. Però, la sua politica di dividere i palestinesi a scapito dei moderati dell'Olp di Abu Mazen e beneficio invece dei fanatici di Hamas, alla fine per lui paga. Nonostante sia sotto processo per corruzione e politicamente molto debole, Netanyahu adesso fa leva sulla necessità dell'unità nazionale nell'emergenza. La grande novità sarebbe stata la partecipazione dei quattro deputati del Partito Arabo Unito guidato dal super-pragmatico Mansour Abbas nella coalizione di centro-destra assieme ai partiti di Yair Lapid e Naftali Bennett. Sarebbe stata l'unica coalizione alternativa al Likud di Netanyahu. Ma adesso non è più possibile».
Alberto Negri sul Manifesto (titolo Cade la maschera di Israele e anche la nostra) scrive un commento invettiva, soprattutto rivolto alla stampa e alla politica occidentali.
«La rivolta arabo -palestinese è quella di tutti noi, per la giustizia e la vera pace, contro ogni doppio standard che da decenni avvelena Gerusalemme, la Palestina e tutto il Medio Oriente. Israele vive, da noi pienamente tollerato, nella condizione di uno Stato fuorilegge, i palestinesi, a causa anche della sua dirigenza e di Hamas, sono perpetuamente nella lista nera dei popoli criminali, non degli stati criminali semplicemente perché i palestinesi hanno diritto a uno Stato solo nella retorica occidentale che si lava le mani della questione. (…) Oggi le proteste delle famiglie arabe minacciate di espulsione dal quartiere di Sheik Jarrah vengono viste come il casus belli di questa ultima guerra. In realtà prima del 1948, della sconfitta araba e della Nakba ricordata ieri, il 77% delle proprietà nel lato Ovest di Gerusalemme appartenevano ai palestinesi, sia cristiani che musulmani. Ma i loro beni, una volta cacciati via e i proprietari classificati come «assenti» sono stati espropriati e venduti allo Stato o al Fondo nazionale ebraico. Così si costruisce con l'ordine «liberale» del «diritto di proprietà» ogni ingiustizia. Non solo: gli ebrei possono reclamare le case che possedevano a Gerusalemme prima del 1948 ma questo diritto non è previsto per i palestinesi. Una beffa. Queste le chiamate leggi, questa la possiamo chiamare giustizia? Si tratta soltanto di un sopruso accompagnato quotidianamente dall'uso della forza militare. «Le vite palestinesi contano», ammonisce il leader democratico Bernie Sanders. Ma il presidente americano Biden che ieri ha mandato un inviato per verificare le possibilità di una tregua deve uscire dall'ambiguità: se concede a Israele di violare tutte le leggi e i principi più elementari di giustizia diventa complice di Trump e delle sue scellerate decisioni. In ballo non c'è soltanto un cessate il fuoco ma un'esecuzione mortale: quella che viene perpetrata ogni giorno al popolo palestinese messo al muro dalla nostra insipienza. E con le spalle al muro ci siamo pure noi che difendiamo con la stessa maschera dei governi israeliani la nostra insostenibile ipocrisia e disonestà intellettuale».
C’È POCO TEMPO PER LE RIFORME NECESSARIE
Il dibattito nella politica italiana pare centrato sullo scontro Letta-Salvini. Il primo dice all’altro: se non vuoi fare le riforme esci dal Governo Draghi. Il secondo ribatte: Letta è ossessionato, noi restiamo nel Governo. Ma non smentisce l’intenzione di opporsi alle riforme. Riforme che vanno approvate, e in fretta, come aveva detto il Capo dello Stato nei giorni scorsi a Casellati e Fico, convocati per ricordare loro l’impegno gravoso del Parlamento. Se vogliamo i soldi del Recovery, dobbiamo muoverci. Oggi torna sulla questione Ferruccio de Bortoli nel fondo del Corriere della Sera.
«Tranquilli, c'è tempo. Una volta consegnato a Bruxelles il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in attesa dei sussidi e dei prestiti europei, è forte la tentazione di comportarsi come se il più ormai fosse fatto. Rilassarsi troppo nel contrasto al virus sarebbe un tragico errore, lo sappiamo bene. Ma lo è anche nel divagare incerto e strumentale su riforme serie, nel rinviare impegni stringenti e vitali per il nostro futuro. Lanciando la palla in avanti. Nella perversa convinzione - complice l'assenza (temporanea) di vincoli di bilancio e l'ingannevole leggerezza del debito - che le risorse siano infinite, così come il tempo a nostra disposizione. Un esempio. Il Pnrr prevede che si debbano approvare - come ha scritto Emilia Patta su Il Sole 24 Ore - 48 riforme in un anno e mezzo, per parlare solo di quelle definite orizzontali e abilitanti. Siamo già in ritardo in maggio con le semplificazioni. Nove provvedimenti vanno presentati in Parlamento entro la fine di giugno. Se ci voltiamo un attimo indietro, ai decenni scorsi, e facciamo il conto delle tante riforme rimaste sulla carta, se pensiamo solo a come siano divise le forze politiche su giustizia, lavoro o concorrenza, l'obiettivo di fare 48 riforme in un anno e mezzo ci dovrebbe togliere il sonno. Un incubo. Non sarebbe fuori luogo che i presidenti delle Camere dicessero: quest' anno le vacanze non le facciamo, abbiamo troppo lavoro. Invece c'è anche chi pensa di lanciare un referendum sulla giustizia, favorevoli due forze dell'attuale maggioranza, che bloccherebbe di fatto tutto».
Anche il retroscena di Francesco Verderami, sempre sul Corriere, ragiona su riforme e durata del Governo Draghi:
«È vero che nel centrodestra la Meloni, e in modo ancor più esplicito Salvini, avanzano la candidatura di Draghi al Quirinale immaginando così di aprirsi un varco verso il voto anticipato. Ed è altrettanto vero che - proprio per evitare le urne - il Pd frena davanti a un simile scenario: «A meno che - spiega un suo rappresentante al governo - non ci sia un accordo preventivo tra le forze di maggioranza per proseguire fino al 2023. Un'ipotesi che appare piuttosto complicata oggi». Il premier ovviamente non entra in questo gioco tattico, sapendo che se si immergesse nella trattativa con i partiti sul voto per il Colle, finirebbe per compromettere il suo percorso di governo: significherebbe cioè dover scendere a patti sull'agenda delle riforme e finire impantanato in una logorante mediazione senza soluzione. Perciò Draghi assiste alle manovre di quanti a destra fanno il suo nome e di quanti a sinistra cercano di produrre un forcing su Mattarella affinché accetti di essere rieletto. D'altronde, numeri alla mano, in questo Parlamento non pare esserci spazio per candidature di schieramento, e nel caso di un accordo trasversale le soluzioni sembrano ridursi per ora a Mattarella e Draghi. In una condizione di normalità, l'approssimarsi del semestre bianco e le tensioni per la corsa al Colle inciderebbero sulla tenuta del governo e sulla sua capacità d'azione. Ma quella attuale non è una condizione di normalità: la presenza di Draghi a Palazzo Chigi d'altronde è proprio la conseguenza del default politico dei partiti, che è come se l'avessero dimenticato. Così si assiste allo stucchevole balletto quotidiano di dichiarazioni bellicose tra leader della stessa maggioranza, che - per dirla con un ministro assai vicino a Draghi - «costringono gli elettori ad assistere a un vecchio spettacolo». Certo, c'è l'incombenza delle Amministrative da cui dipendono le sorti dei leader di partito, ma nessuno avrebbe la forza di scaricare sul governo l'effetto dello scontro. Ammesso che ne avessero davvero l'intenzione, né Letta né Salvini potrebbero infatti staccare la spina a Draghi. Il leader del Pd per ragioni genetiche e perché in ogni caso il suo partito non glielo consentirebbe. Il capo della Lega perché farebbe il gioco della Meloni, provocherebbe la reazione del suo elettorato del Nord che lo ha spinto verso il governo, e perché comunque non otterrebbe le elezioni, visto che un pezzo del centrodestra non lo seguirebbe. Salvini peraltro non ci pensa nemmeno a rompere con Draghi, anche ieri sera lo ha ripetuto dopo l'ennesimo scontro verbale con Letta. Ma proprio questo duello, che sembra montato ad arte per polarizzare l'elettorato, offre l'immagine di una politica incapace di tenere il passo del premier, verso il quale si rivolge ormai la quasi esclusiva attenzione del Paese, come testimonia il suo indice di gradimento nei sondaggi».
AMMINISTRATIVE, CENTRO DESTRA NEI GUAI
Dalle colonne del Corriere la cronaca del colpo di scena sulle prossime elezioni amministrative nel centro destra. Albertini, dopo aver dato appuntamento a tutti per lo scioglimento della riserva, ha detto che non si presenterà. Ha prevalso la decisione presa con la moglie Giovanna.
«È il secondo no. Quello definitivo. Gabriele Albertini non sarà lo sfidante di Beppe Sala. Dopo 48 ore di riflessioni con sua moglie Giovanna, l'ex sindaco ha declinato l'offerta del centrodestra. «Per un insieme di ragioni personali non posso accettare questa generosa opportunità». A spingere Albertini verso il gran rifiuto è stata la volontà comune di vivere serenamente «l'ultimo ottavo di vita media» insieme a sua moglie. «È stata una scelta condivisa e apprezzo mia moglie che mi ha impedito di fare qualcosa che il mio cuore mi portava a fare. Sono stato veramente a un passo dall'intraprendere una cosa che mi avrebbe cancellato l'ultima parte della mia vita famigliare. Quindi, non sono vittima di un carnefice affettivo e neanche un marito succube. È stata una decisione solo nostra». A nulla è valso il pressing delle ultime ore, Albertini-Cincinnato, come si autodefinisce ironicamente, è rimasto nei suoi poderi e il centrodestra deve ripartire da capo per la scelta del candidato. Il vertice dei tre leader, dove si devono decidere i candidati delle grandi città, previsto per mercoledì, rischia di finire in un nulla di fatto anche perché al no di Albertini si aggiunge l'ennesimo no di Guido Bertolaso su Roma. La pole position meneghina resta sempre dell'ex ministro e assessore dello stesso Albertini, Maurizio Lupi, particolarmente gradito a Berlusconi. Ma la scelta deve essere condivisa tra tutti i partiti e se il vicepresidente di FI, Antonio Tajani rilancia la figura di Lupi («A Milano mi dispiace che Albertini non abbia accettato, ma come secondo nome penso a Maurizio Lupi, potrebbe essere un eccellente candidato sostenuto da FI, Lega e FdI»), il leader della Lega preferisce evitare nomi: «Troveremo un uomo o una donna all'altezza sia a Milano che a Roma il prima possibile - dice Salvini - Lupi? Non faccio nomi e cognomi, ci troveremo in settimana per decidere. Albertini darà una mano alla squadra».
VELENI E SPIONI, TRAVAGLIO NON VEDE COMPLOTTI
Marco Travaglio nel commento in prima sul Fatto torna a dire la sua sulla vicenda ricambio di Vecchione, Mancini all’autogrill eccetera. Eccola:
«Vecchione arriva al Dis nel 2018, quando Mancini è lì da tre anni, e lì lo lascia a far le pulci alle spese di Aisi e Aise, scontentando un sacco di gente e risparmiando un sacco di soldi. Mancini però vuol tornare operativo e punta, in forza dell'anzianità, alla vicedirezione Aise nel giro di nomine di fine 2020. Ma all'Aise non lo vogliono: il suo passato con Pollari e Tavaroli pesa ancora. Così Conte, a dispetto del pressing renziano, non lo promuove. Intanto Mancini cerca sponde dai due Matteo. Purtroppo un'insegnante lo riprende all'autogrill e informa Report. Ora i fantasisti di Rep sposano la tesi renziana del complotto (l'insegnante è un'emissaria di Mancini o forse di un suo nemico: massì, abbondiamo!). E tirano in ballo Gratteri, che avrebbe chiamato Renzi perché ricevesse Mancini. Come se i due - in rapporti amichevoli da quando il primo era premier, cioè da sei anni - per parlarsi avessero bisogno di Gratteri. Il quale comunque, tabulati telefonici alla mano, sfida Rep a dimostrare una sua telefonata a Renzi. Ingenuo com' è, pensa ancora che tutto ciò che si stampa su carta sia un giornale».
Sullo stesso giornale, Gianni Barbacetto intervista proprio Giuliano Tavaroli che dice due cose: 1. Querelerà Report per essere stato tirato in ballo sulla vicenda Becciu in Vaticano. 2. Non c’è nessuna guerra di dossier.
«Giuliano Tavaroli, ex capo della Security di Pirelli-Telecom (ha patteggiato 4 anni e mezzo per i dossieraggi illegali dei primi anni 2000), è stato indicato nelle ultime settimane come coinvolto in manovre di destabilizzazione dei vertici dei Servizi segreti italiani, che sarebbero state realizzate da un gruppo che comprende personaggi come Cecilia Marogna (collaboratrice di monsignor Angelo Becciu), Francesca Chaouqui (ex collaboratrice del Vaticano), Gianmario Ferramonti (ex faccendiere della Lega), Francesco Pazienza (informalmente ai vertici del servizio segreto negli anni della P2 ).E Marco Mancini, dirigente del Dis (l'agenzia che coordina i servizi Aisi e Aise) e amico di Tavaroli fin dai tempi in cui i due lavoravano insieme nell'antiterrorismo di Dalla Chiesa. Tavaroli, è ripresa la stagione dei dossieraggi? «Non esiste alcun gruppo, non esiste alcun fatto di destabilizzazione in cui io sia coinvolto. Ho un antico rapporto di amicizia con Mancini, che non ha nulla a che fare con le attività istituzionali di Mancini. Esistono solo delle suggestioni, costruite dalla signora Marogna, che dovrà rispondere delle sue affermazioni davanti a un giudice. (…) Da osservatore esperto, non vede manovre destabilizzanti nei Servizi, e magari nella caduta dal governo Conte? «Non so, è un mondo che non frequento. Di Mancini sono amico da 40 anni, sono colpevole del solo reato di amicizia e so che è un fedele servitore dello Stato. Le manovre e gli scontri sono a un livello ben superiore: il nuovo quadro geopolitico, la nuova Amministrazione Usa, il contenimento della Cina, il ruolo della Turchia. Altro che la visione dal buco della serratura della Marogna».
IL DIBATTITO SULLE CHIESE VUOTE: GARELLI E BORGHESI
Il dibattito sulle Chiese vuote in Italia, lanciato dall’Osservatore Romano, e di cui anche qui abbiamo dato conto per l’articolo di Lucio Brunelli, prosegue. Simonetta Fiori su Robinson di Repubblica intervista il sociologo Franco Garelli che ha sempre studiato la religiosità degli italiani. Il titolo del suo ultimo libro è Gente di poca fede, scritto per Il Mulino.
«Il problema è che i "senza Dio" sono diffusi soprattutto tra i più giovani. Questo ci induce al pessimismo sulle sorti del cristianesimo in Italia? «I ragazzi appartengono a una generazione post ideologica che non ha chiuso completamente con il discorso religioso. Ma per impegnarsi in modo attivo hanno bisogno di esperienze significative, altrimenti entrano in una situazione di stand by oppure cercano altrove le fonti di significato. Non viviamo più in un mondo segnato dal destino ma dalle scelte. E l'individuo sceglie di vivere a pieni polmoni, sottraendosi a ogni dottrina che possa gettare un'ombra grigia alla sua vita». Anche tra chi crede prevale una fede incerta, lei parla di "un Dio più sperato che creduto".
"Questo è un altro cambiamento importante. La nostra non è più una fede congelata nel freezer, ma modulata sulle dinamiche della vita. Forse meno robusta, ma sicuramente più umana. E non è un caso che a vivere questa religiosità più incerta siano soprattutto i giovani e le persone tra i cinquanta e i sessant'anni: è quella l'età più colpita dalle traversie personali, si può perdere il lavoro o subire rotture famigliari. Può succedere allora che ci si prenda un sabbatico dalla fede"».
Nel numero uscito ieri pomeriggio dell’Osservatore romano (è un giornale della sera come Le Monde), c’è un interessante intervento del filosofo Massimo Borghesi. Ecco un passaggio.
«Ciò che difetta al cattolicesimo odierno, anche e soprattutto a quello impegnato, è la categoria di “incontro”. Una categoria che attraversa e supera la distinzione tra destra e sinistra e che consente di andare direttamente al cuore dell’umano. Come può oggi la Chiesa raggiungere questo “cuore”? Questa è la domanda che occorre porsi di fronte allo spettacolo delle chiese occupate dai soli anziani. (…) L’uomo di oggi è, nella sua fragilità, particolarmente ricettivo alla dimensione affettiva. Nel “mondo senza legami”, nella società liquida, il tema del senso della vita non rappresenta la conclusione di un ragionamento logico quanto l’esito della scoperta di sentirsi amati, voluti bene. A questa responsabilità “affettiva” sono oggi chiamati in primis i presbiteri e i religiosi, uomini e donne. Le chiese sono vuote quando i pastori invece di essere tali sono burocrati, funzionari, impiegati. Il problema della Chiesa odierna è che difetta troppo spesso di pastori, di persone che amano Cristo e condividono la vita di coloro che sono loro affidati. La secolarizzazione rappresenta, da questo punto di vista, l’alibi che nasconde il vuoto di fede e di tenerezza, la distanza tra le parole, spesso altisonanti e melliflue delle omelie, e la prossimità reale capace di saluti e di gesti. Là dove il pastore è un uomo di Dio che si fa tutto a tutti lì le chiese tornano, miracolosamente piene. L’uomo odierno, il giovane di oggi, non ha perso il senso dell’amore divino».