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Vaccini, c'è gloria per tutti
Dal 3 giugno somministrazioni senza limiti d'età. Il Governo approva la governance per il Pnrr e le Semplificazioni. Le scuse di Di Maio storica tappa nell'evoluzione dei 5S. Su Wuhan ora si può
C’è gloria per tutti, diceva Garibaldi. Dal 3 giugno vaccini per tutti, senza limiti legati alle fasce d’età. È un’ottima notizia per due ragioni: 1. La campagna vaccinale sta funzionando e le scorte del prossimo mese sono garantite. 2. In vista dell’estate una vaccinazione, anche parziale, dei giovani conforta molto per contenere le eventuali conseguenze di una nuova promiscuità. Dalle 6 di ieri mattina alle 6 di stamattina sono state fatte 596 mila 867 somministrazioni. Pagnoncelli sul Corriere attribuisce al successo della campagna vaccinale un forte aumento di popolarità di Mario Draghi. Ora la partita è quella di convincere il numero più alto possibile degli italiani a vaccinarsi. I No Vax sono molto aggressivi, hanno persino cercato, da veri sciacalli, come ha notato David Puente su Open, di strumentalizzare la morte di Carla Fracci per la loro propaganda. Ha ragione Michele Serra: meglio essere conformisti in questo caso e non fidarsi delle fake news.
Intanto ieri il Governo ha varato un decreto che contiene le norme sulla governance del Recovery e quelle sulle Semplificazioni. A giudicare dalle valutazioni e dai commenti, il risultato raggiunto nel compromesso fra partiti e sindacati appare positivo. Siamo nei tempi per i finanziamenti europei e non si è sbracato su sicurezza e regole (quanto mai necessarie). Ma il vero terremoto politico è un altro. La lettera con cui Luigi di Maio ha chiesto pubblicamente scusa all’ex sindaco di Lodi è un fatto di prima grandezza. Il più importante raggruppamento politico italiano ha fatto un altro passo decisivo verso la sua piena evoluzione democratica. Abbiamo dato qui oggi grande spazio ai commenti su questo tema.
Corsa al Quirinale. C’è da segnalare un’intervista di Romano Prodi al Quotidiano Nazionale. Prodi fa un ragionamento sottile, alla domanda del cronista su una sua possibile candidatura, risponde: “Non sono super partes”. Il che vuol dire: non mi candido. Ma anche: il prossimo Presidente dev’essere “super partes”. Due messaggi in uno, soprattutto al Pd.
Sul piano internazionale, si tratta sulla pace fra Hamas ed Israele. Dove? Al Cairo. L’Egitto ha riconquistato la prima linea in Medio Oriente, col consenso di Biden. Vediamo i titoli.
LE PRIME PAGINE
La buona notizia campeggia sul Corriere della Sera: Il vaccino ora è per tutti. Il Fatto però trova un modo per accusare il commissario: Il generale Figliuolo va al buffet proibito. La Repubblica sottolinea il valore del vertice Draghi-Merkel: Covid, piano Ue per le cure. Sull’approvazione del decreto Recovery e Semplificazioni si concentra il Quotidiano Nazionale: Lavoro e appalti, ecco cosa cambia. Il Messaggero punta ai progetti di ammodernamento infrastrutturali: Disco verde alle grandi opere. Così come Il Mattino: Appalti e cantieri, tutto più facile. Il Sole 24 Ore ricorda che sullo sfondo c’è il grande investimento della Ue: Semplificazioni, appalti e Recovery il nuovo decreto a prova d’Europa. Per La Stampa: Draghi: Italia semplice per ripartire. Ma La Verità obietta la troppa concentrazione delle decisioni nelle mani del premier: I superpoteri di Draghi. Sempre sui temi economici, Italia Oggi ricorda che il fisco sta per tornare a bussare alle porte dei contribuenti: L’estate non frena la riscossione. Sistema fiscale, che dando peso ad una sentenza della Corte dei conti è da riformare per Avvenire: Un Fisco da rifare. Il Manifesto commenta la morte di due operai, avvenuta ieri, nell’ennesimo incidente sul lavoro: Lavoro morto. Mentre sulle scuse “garantiste” di Di Maio ci sono Il Giornale: La resa dei manettari. E Libero: Di Maio si manda un vaffa.
VACCINI PER TUTTI, IN ITALIA
È arrivato il momento tanto atteso: dal 3 giugno vaccini per tutti, senza limiti di età. Ecco la cronaca del Corriere di Fabio Savelli:
«Vaccinazioni senza limiti di età. E somministrazioni nelle aziende. Comincia la fase massiva della campagna di inoculazioni. Dal 3 giugno si parte, in linea col programma stilato dal commissario Francesco Figliuolo. L'avvio su larga scala del piano - in previsione dell'immunità di gregge fissata a settembre - inizia ora per due motivi: l'afflusso delle dosi sta diventando massiccio e le punture sulle fasce più fragili della popolazione hanno raggiunto un buon tasso di copertura anche se sulla fascia 60-69 anni dobbiamo ancora mettere in sicurezza 2,4 milioni di anziani. Per questo Figliuolo dà il via libera alle Regioni, uniformandone il comportamento ed evitando dei passi in avanti poco comprensibili alla collettività. Alcune, per la verità, già da qualche settimana avevano aperto a tutti con la formula degli open day. La novità sta nelle prenotazioni sulle piattaforme regionali che da giovedì saranno svincolate dall'anagrafica. Col via libera dell'Ema a Pfizer fino ai 12 anni verranno coinvolti oltre 2,3 milioni di minorenni fino a questa fascia d'età ma è atteso l'ok dell'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco. A giugno d'altronde sono previste 20 milioni di dosi. Il numero poteva essere superiore perché erano calcolate nel piano di rifornimenti anche le 7 milioni del tedesco Curevac che però sarà realisticamente approvato dall'agenzia Ema non prima di luglio».
Vuoi vaccinarti? Non devi aver paura di essere conformista, “pecorone”. Lo dice bene su Repubblica nella sua “Amaca” Michele Serra.
«Un paio di incontri ravvicinati con persone convinte che il Covid sia una truffa del potere e sorridevano della mia mascherina e della mia recente e sospirata prima vaccinazione - mi hanno fatto capire una cosa che non avevo capito prima. La molla che li agita non è affatto la grullaggine. È il suo contrario. È il culto della (loro) intelligenza, che li solleva di qualche palmo dalla (nostra) mediocrità. Ci considerano pecoroni, creduli sudditi della dittatura sanitaria, schiavi congeniti di qualunque gerarchia. Loro invece non la bevono. Sanno leggere tra le righe, a differenza di noi minchioni che leggiamo solo le righe. Hanno fonti di informazione "indipendenti" che noi nemmeno ci sogniamo. Sono il pensiero acuto che si distacca dal pensiero ottuso. Camminano parecchi metri sopra la linea del nostro encefalogramma piatto. In breve: ci disprezzano, nella migliore delle ipotesi ci compatiscono. Non si ha idea di quanti siano. Certamente una minoranza, ma una minoranza corposa: qualche milione di persone. In una certa misura è necessario ringraziarli. Ci ricordano che l'anticonformismo (in sé, un valore) può diventare una condanna. Quando è ben speso libera la mente, quando è speso male la imprigiona, e riduce a macchiette presuntuose e spesso ridicole (c'è qualcosa di più ridicolo che negare l'esistenza del Covid?). C'è soprattutto una spaventosa mancanza di umiltà, nei negazionisti. Per il terrore di essere "come gli altri" accetterebbero qualunque panzana, purché "controcorrente", purché li faccia sentire scaltri in mezzo a un mare di sciocchi. Parlare con loro fa rivalutare il conformismo».
Sul Corriere della Sera il sondaggista Nando Pagnoncelli dà notizia di un balzo della popolarità di Draghi, che appare andare di pari passo con un certo ritrovato ottimismo degli italiani, collegato alla campagna vaccinale.
«Il consenso per l'esecutivo e il presidente Draghi: l'indice di gradimento dell'operato del governo (64) e del premier Draghi (66) fanno segnare un netto miglioramento (8 punti). In particolare, l'esecutivo raggiunge il livello più elevato dal suo insediamento (era pari a 62). Indubbiamente l'avanzamento della campagna vaccinale rappresenta il motivo principale dell'aumentato apprezzamento: nel mese di maggio per la prima volta i giudizi positivi (oggi al 62%) prevalgono su quelli negativi (19%). Ne consegue che il 48% degli italiani ritiene che il peggio sia passato (+ 18% rispetto a fine aprile) mentre coloro che pensano che il peggio debba ancora arrivare sono scesi all'11%. In diminuzione sono anche le persone preoccupate per il contagio (35%). Inoltre, con il graduale allentamento delle misure di prevenzione e la riapertura di molte attività anche il clima economico è in miglioramento: con i «decreti sostegno» e la presentazione del Pnrr i pessimisti rispetto alle prospettive economiche dell'Italia rappresentano il 36%, mentre a novembre, nel pieno della seconda ondata della pandemia, erano il 66%, e gli ottimisti sono il 31% (a novembre erano pari al 15%). Insomma, gli italiani iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel e ciò si riverbera sulla fiducia nel governo e in Draghi».
VACCINI PER TUTTI, NEL MONDO
Incontro ravvicinato Draghi- Merkel, nel quale fra l’altro la Cancelliera tedesca è sembrata concedere di più sul terreno del vaccino per tutti a livello planetario. Paolo Valentino sul Corriere della Sera:
«Non è più possibile risolvere i problemi globali con soluzioni nazionali. La pandemia ci ha insegnato che singole risposte di singoli Stati non sono più sufficienti. Il multilateralismo è la risposta giusta alla crisi pandemica: se qualcosa non ha funzionato, è perché finora «non ce n'è stato abbastanza». Ma lo stesso vale per le altre grandi sfide del nostro tempo, dal cambiamento climatico alle disuguaglianze sociali. Al Global Solutions Summit, Mario Draghi e Angela Merkel indicano all'Europa la strada del futuro, prefigurando un nuovo ruolo di traino di Italia e Germania. C'è piena sintonia tra il presidente del Consiglio e la cancelliera tedesca, secondo i quali la condivisione di sovranità sperimentata nella battaglia contro il Covid-19 deve essere estesa ad altri campi oltre la salute, come la difesa e i rapporti internazionali. La priorità, secondo Draghi, rimane la sconfitta della pandemia, non solo nei Paesi sviluppati ma anche in quelli più poveri, che devono avere pieno accesso ai migliori vaccini. Questo sia per un «imperativo morale», sia per una «ragione pratica e se si vuole egoistica: finché il male infuria, il virus può subire mutazioni pericolose che possono minare anche le campagne di vaccinazione di maggior successo». Il premier ha ricordato le risposte concrete, fornite la scorsa settimana dal Global Health Summit tenutosi a Roma».
ADESSO SI PUÒ PARLARE DI WUHAN
Su Libero Antonio Socci ragiona sul cambio di clima mondiale a proposito del laboratorio virologico di Wuhan delle responsabilità cinesi nella diffusione del Covid19. Il nuovo atteggiamento del Presidente americano Biden, ma anche l’uscita dalla Casa Bianca di Trump, hanno modificato il quadro.
«Accennare al laboratorio di Wuhan era sufficiente per essere bollati come trumpiani o liquidati come "complottisti". Dovevamo rassegnarci tutti alla storia del pipistrello a cui era addebitato tutto lo sfacelo umanitario ed economico provocato dal Covid nel mondo intero. Oggi d'improvviso sembra che il vento si sia messo a soffiare in senso opposto. Spazzato via Trump si riaccendono i riflettori su Wuhan. Al punto che Joe Biden ha dichiarato di aver chiesto all'intelligence di «raddoppiare gli sforzi per arrivare entro tre mesi ad un rapporto definitivo» sull'origine del Covid e pretende che il regime cinese risponda «a domande specifiche». Ormai da settimane autorevoli personalità sui giornali parlano della possibile origine artificiale del virus. Il caso più clamoroso è quello di Anthony Fauci, capo dell'Istituto nazionale americano di malattie infettive. È quell'alto consigliere della presidenza Usa (alla testa della task force contro il Covid) che per mesi è stato visto dai Dem come il controcanto a Trump stesso. (…) Ma il segnale più chiaro del capovolgimento di scenario è arrivato da Facebook. Infatti ha annunciato che, da ora in poi, non censurerà e non rimuoverà più i post degli utenti che parlano della possibile fuoruscita del virus dal laboratorio di Wuhan. Il professor Benedetto Ponti, docente di Diritto amministrativo e Diritto dei media digitali all'Università di Perugia, sostiene che si dovrebbe riflettere seriamente su tutta questa vicenda e su come si è sviluppata. Nonostante fin dall'inizio circolasse l'ipotesi dell'origine artificiale del virus, osserva Ponti, «il giudizio degli scienziati era descritto come compattamente schierato per l'origine naturale. Perciò la diffusione di questa fake news (così era bollata) era attivamente contrastata sia ad opera delle stesse piattaforme, sia sulla base di specifiche policy pubbliche, del governo italiano e anche a livello Ue». Il professor Ponti si chiede: «È corretto e utile avere tante certezze, quando si ha a che fare con un fatto "nuovo"?». Certo, «la lotta alla disinformazione in materia di Covid-19 intende prevenire o ridurre i danni derivanti dalla diffusione di informazioni ingannevoli, che minano la fiducia del pubblico, ma che accade se una tesi, bollata come "disinformation", riceve poi credito anche nella comunità scientifica? "Castrare" la discussione pubblica, bollando certe tesi come false ed ingannevoli, per poi scoprire che invece meritano di essere analizzate, e non preventivamente squalificate, è un buon servizio alla salute?». Peraltro si trattava di «contenuti del tutto leciti», quindi la censura lascia ancor più perplessi. Ponti aveva già provato, con un articolo su una rivista giuridica della primavera 2020, a mettere in guardia «dagli effetti nefasti che sarebbero derivati da un approccio "censorio" alla discussione pubblica». Una informazione libera - conclude lo studioso - è utile anche «per la tutela della salute (presente e futura)». Dunque fra i tanti danni di questa pandemia c'è pure il rischio di "sinizzazione" della nostra democrazia. Del resto il Covid-19, all'Italia e al mondo intero, è costato - in termini di vittime e di danni economici - quasi quanto una guerra perduta. Mentre, paradossalmente, la Cina sembra la meno penalizzata. Vedremo cosa si scoprirà sul laboratorio di Wuhan. Se alle negligenze del regime comunista, nei primi mesi dell'epidemia, si dovessero aggiungere pure delle negligenze del laboratorio di Wuhan, se cioè si accertasse la fuoruscita accidentale del virus, le responsabilità della Cina sarebbero gravissime e molti Paesi potrebbero porre il problema del risarcimento».
VARATO IL DECRETO SEMPLIFICAZIONI
Alla fine il decreto che contiene le norme sulla governance del Pnrr e quelle sulle semplificazioni è stato approvato dal Governo. Marco Galluzzo sul Corriere:
«Una novità chiesta a gran forza dai sindacati: per i lavoratori in subappalto stessi standard qualitativi, trattamento economico non inferiore e applicazione dei medesimi contratti nazionali di lavoro previsti nel contratto di appalto. Altra disposizione dell'ultima ora, chiesta a gran voce dal Pd: sarà un «requisito necessario» per le aziende del Recovery plan l'obbligo di assumere una quota, non inferiore al 30%, di giovani under 36 e donne. Sono due delle novità approvate ieri dal governo, che ha varato il decreto contenente la governance del Pnrr e le norme sulle semplificazioni amministrative e gli appalti che dovranno garantire un'efficace e rapida attuazione del Piano stesso. Rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi cambia l'applicazione del Superbonus, che viene esclusa per gli alberghi, ma estesa a case di cura, ospedali, poliambulatori ma anche collegi, ospizi e caserme. Si è anche stabilito che non si pagherà più il bollo o qualsiasi altra tassa sui certificati anagrafici digitali, dallo stato di famiglia al certificato di nascita o di residenza. Ancora modifiche alla disciplina del subappalto: la mediazione del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, prevede che rimanga in vigore la disciplina della soglia che si alza al 50% del totale dei contratti dei lavori fino al 31 ottobre. Poi niente più soglia. La riunione del Cdm e l'approvazione del decreto, che verrà inviato alla Commissione europea, è stata preceduta da un confronto del governo stesso con Regioni e Comuni e da diverse riunioni politiche: Giuseppe Conte ha riunito i ministri M5S per definire la linea da tenere; il ministro Renato Brunetta ha illustrato il contenuto del decreto ai dirigenti di Forza Italia. Mario Draghi in Cdm si è complimentato con tutti i ministri per essere arrivati ad una sintesi nonostante le difficoltà della materia: «Sono state affrontate questioni cruciali che da anni registravano diversità di vedute. Il decreto è all'insegna dell'efficienza, ma anche dell'equità, delle tutele sociali e giuridiche e del rispetto dell'ambiente». Il Cdm è stato preceduto da diverse incomprensioni fra governo e Regioni, ma poi si è trovata una sintesi, a cominciare dal ruolo stesso degli enti locali nel Pnrr. (…) Il segretario del Pd, Enrico Letta, rivendica la novità sulle quote rosa e sui giovani: «La retorica di decenni si trasforma in impegno effettivo e fortissimo, questa misura può trasformare il mercato del lavoro, soprattutto al Sud». Positivo anche il giudizio del segretario della Cgil Maurizio Landini: «Dopo aver respinto l'introduzione del criterio del massimo ribasso, anche in tema di subappalto il confronto con le organizzazioni sindacali ha prodotto un positivo risultato».
La Stampa intervista l’esponente del Pd ed ex Ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio, che dice: bene Draghi, che non ha ascoltato Salvini.
«Bene Draghi, perché se ascoltava Salvini avrebbe aperto un'autostrada all'illegalità. Ma non faccia l'errore di Conte, non sono i bandi di gara il problema, bensì il tempo che si perde nei vari passaggi tra uffici, che vanno dimezzati per portare l'Italia in Europa». Vi convince la linea scelta da Draghi sui subappalti? «Per ora è saggio fare così, tenendo presente che l'orizzonte europeo include l'assenza di soglie per i subappalti: ma adesso vanno salvate sicurezza e legalità. Per il resto, sono soddisfatto che Draghi non si sia fatto suggestionare dalla demagogia di poteri interessati, ma che abbia voluto vedere i numeri. Dunque bene il premier e bene la delegazione del Pd al governo. È giusto poi togliere la pratica del massimo ribasso, che significa illegalità, promuovere le peggiori ditte, minore sicurezza del lavoro. In questi mesi, con la ripresa edilizia sono morte molte più persone». L'accordo nel governo prevede che il subappalto salga al 50% fino a ottobre e in Italia non c'è nulla di più definitivo del transitorio... «Il limite è stato messo per le condizioni particolari dell'Italia rispetto alle aziende: arrivare ad un graduale superamento dei subappalti, ben concordato con imprese e sindacati, ha senso, l'importante è non abolirlo di colpo, come chiedevano alcuni. Fa bene il governo a mettere dei paletti, come riconoscere il trattamento economico giusto ai lavoratori e il contratto collettivo. Il problema è la sicurezza sul lavoro. Ma voglio chiarire una cosa...». Prego. «Il codice degli appalti mette al centro la qualità del progetto. Non è il subappalto il problema del Paese, ma la corruzione, la mancanza di trasparenza. Certo, in un mondo ideale andrebbe eliminato, ma in Italia lasciarlo al 50% è un segno di saggezza per accompagnare questo percorso: basta parlare alla comunità europea per spiegare come stanno le cose. L'ufficio europeo per la lotta antifrode dice che la metà dei 120 miliardi dell'economia delle tangenti europee è italiana. Quindi siamo primi in corruzione e nel contenzioso legato agli appalti. In Italia abbiamo ditte fantasma che costruiscono palazzi con due dipendenti, stazioni di corruzione. Se vogliamo promuovere ditte sane, bisogna che il subappalto venga regolato. E bene ha fatto Draghi anche su una cosa per me decisiva». Quale? «Per fare bandi di gara efficaci ci vuole un buon progetto e una buona stazione appaltante. Da noi ci sono 32 mila stazioni e vanno ridotte, per evitare il contenzioso. Bisogna fare presto questo decreto attuativo annunciato dal governo. È proprio ciò che chiede l'Anac, dunque concentriamoci su questo. Come si vede, non bisogna smontare il codice, ma attuarlo. Se Draghi si mette su questa via, porta l'Italia in Europa. Ma la totale deregulation la farebbe precipitare indietro».
“IL METODO DRAGHI È UN CAMBIO DI STATO”
Nonostante che i partiti, Pd in testa, e i sindacati appaiano soddisfatti, dopo giorni di grande polemica, Maurizio Belpietro è molto critico sul “metodo Draghi”. Per il direttore de la Verità il suo decisionismo sta “cambiando lo Stato”.
«Tutto è racchiuso nel documento che sintetizza i meccanismi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ovvero del documento che detta le regole per la gestione degli investimenti in arrivo grazie ai fondi dell'Europa. Per capire che Draghi ha intenzione di cambiare musica, basta leggere l'articolo 2 del suddetto papello. «È istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri la cabina di regia per il piano di ripresa e resilienza, presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri, alla quale partecipano i ministri e i sottosegretari di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri competenti». Fin qui la cabina di regia sembrerebbe la fotocopia del governo e non si comprenderebbero le ragioni del doppione se non si leggesse il resto del comma: «in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta». In pratica, la cabina di regia è a composizione variabile. (…) Non so se il piano alla fine uscirà indenne da Palazzo Chigi o se i partiti cercheranno di mettere un bastone fra le ruote. Ma una cosa mi pare certa: la cabina di regia ha un solo regista che si chiama Draghi e al Piano di ripresa e resilienza andrebbe cambiato nome, perché l'ex governatore della Bce mi sembra che, oltre a un programma per la ripresa, ne abbia uno per rivoltare l'Italia come un calzino, ma non bucato come quello di Piercamillo Davigo».
LA SVOLTA DEI 5STELLE, DI MAIO CHIEDE SCUSA
Se sul piano della concretezza l’opera di Governo, con i vaccini e il Pnrr, sembra essere avviata sulla strada giusta, il fatto politico di prima grandezza è la lettera aperta scritta, attraverso il Foglio, all’ex sindaco di Lodi del Pd, scagionato dopo 5 anni, da Luigi Di Maio. Di Maio, ministro degli Esteri ed esponente di spicco dei 5 Stelle, ha creato un piccolo terremoto. Moltissime le reazioni sulla stampa di oggi. Ecco l’editoriale di Avvenire, titolo Il garantismo finalmente, firmato da Danilo Paolini:
«Se di vera svolta si tratta, lo si vedrà a breve, perché nelle prossime settimane la variegata maggioranza del governo Draghi, di cui anche il Movimento 5 Stelle fa parte, sarà chiamata a discutere e approvare le riforme del processo penale, oltre che di quello civile, e del Consiglio superiore della magistratura, che la ministra Marta Cartabia e i suoi 'tecnici' stanno proponendo. Per il momento, tuttavia, bisogna riconoscere l'indubbia portata politica della riflessione del ministro degli Esteri, che dei 5 stelle è stato il capo politico e resta tuttora una delle figure di primo piano. Una mossa a suo modo coraggiosa e non isolata, perché ha subito raccolto i consensi del prossimo leader del M5s, l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e di altri esponenti di rilievo dello stesso, come la sindaca di Roma Virginia Raggi. Di Maio e Conte criticano apertamente la «gogna», «elettorale» e «mediatica», e affermano di volerla rifiutare come strumento di lotta politica. Il primo, anzi, ricorda altri processi in cui l'indagato o l'imputato di turno (Raggi compresa) è stato immediatamente condannato sui media e assolto, dopo anni e con poco clamore, in tribunale. Un bel passo avanti, comunque la si pensi, per un Movimento che ha trovato nell'invettiva giustizialista una delle chiavi del suo successo elettorale. Non è un caso che molti, tra quelli che non sono più dentro perché usciti o cacciati, abbiano criticato ieri Di Maio. Se confermata, questa correzione di rotta sarebbe di portata analoga, se non superiore, a quella europeista che si manifestò con la partecipazione del M5s all'elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea».
Il Corriere della Sera affida anch’esso l’editoriale in prima pagina a Roberto Gressi:
«Sarebbe un errore da matita blu se la politica, ma anche la magistratura, non cogliesse l'occasione offerta da Luigi Di Maio, che in una lettera a Il Foglio , chiede scusa, senza giri di parole, per l'aggressione politica e mediatica al sindaco di Lodi, Simone Uggetti, assolto dopo cinque anni per non aver commesso il fatto, dopo aver subito l'offesa del carcere e delle dimissioni. Ma ricorda anche il caso Tempa Rossa, che travolse Federica Guidi, allora ministra dello Sviluppo economico, con un'inchiesta ora archiviata, e accenna a tante altre vicende. Non manca chi accusa Di Maio di aver solo voluto mostrare a Giuseppe Conte che il leader del Movimento Cinque stelle è ancora lui, o di arrivare tardi, fino al governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che lo paragona ai brigatisti che si pentono trent' anni dopo. Ma l'occasione è troppo interessante per bruciarla nel gioco politico. Quando è invece più importante valorizzare questo passo, sempre a rischio di ricadute, perché rifiuta la gogna come strumento di lotta politica. E apre una riflessione in un movimento che primo fra tutti, ma in buona compagnia nella storia di questi decenni, ha fatto dei processi, ben prima che delle sentenze, uno strumento cannibale della vita quotidiana. Sfruttare l'ammissione di Luigi Di Maio, che definisce grotteschi e disdicevoli i modi con i quali i Cinque stelle, non da soli, condussero quello e altri attacchi, per assoluzioni generalizzate della politica, sarebbe furbesco e sbagliato. Ma anche l'iperbole di una parte della magistratura, simboleggiata da Piercamillo Davigo, tuttora campione dei grillini, che pensa che non esistano innocenti ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti, è un gioco dialettico che non fa più sorridere. Altrimenti non si capirebbe perché la magistratura, che siamo stati sempre abituati a vedere solo appena un gradino sotto al presidente della Repubblica e spesso sopra alle forze dell'ordine nel gradimento degli italiani, segni oggi un preoccupante arretramento. La stragrande maggioranza degli elettori fatica a capire quali verità ci siano dietro alle vicende di Luca Palamara, con la spartizione delle nomine dei giudici e dei pubblici ministeri, o dietro la fantomatica loggia Ungheria, figlia di giochi di faccendieri. Ma è comunque abbastanza perché i cittadini non si sentano garantiti. Non riescono a capire, e proprio per questo non si fidano. È una costatazione che fa male, soprattutto pensando ai tanti, tantissimi magistrati che lavorano seriamente e a volte anche rischiando la vita, così come è già successo nel passato».
Matteo Pucciarelli su Repubblica si addentra nelle reazioni del Movimento 5 Stelle, sotto choc:
«In più d'uno nel M5S è sobbalzato sulla sedia. Per almeno tre ragioni: il mea culpa in sé, che di fatto abiura a idee e retoriche che hanno fatto la fortuna stessa del Movimento; il fatto che non fosse stato concordato con nessuno, neanche con Giuseppe Conte: una iniziativa spontanea quindi, su un tema così delicato; infine la scelta del quotidiano, mai tenero con il M5S, contraltare iper-garantista al fiancheggiatore Fatto Quotidiano, arena di nicchia post-berlusconiana dove quel che i 5 Stelle avrebbero definito "sistema" si parla, si confronta, prefigura scenari e convergenze. Non a caso le prime felicitazioni per la virata a 180 gradi sono state quelle del mondo (ex?) renziano dentro al Pd, poi di esponenti di Italia Viva e Forza Italia. Nel silenzio generale dei colleghi di partito. A quel punto c'è stato un coordinamento tra la comunicazione dei gruppi parlamentari e il capo politico in pectore dei 5 Stelle. Suddividendosi il lavoro. Da una parte Conte ha confermato l'impostazione del ministro degli Esteri, capovolgendone il punto di vista: è Di Maio che aderisce alle idee di Conte, non il contrario. Le parole di Di Maio sono in linea "con la Carta dei principi e dei valori del neo-Movimento 5 Stelle, a cui ho lavorato nelle scorse settimane", le parole dell'ex presidente del Consiglio. Nessuna fuga in avanti di Di Maio insomma. Resta però un dato politico che i più avveduti non fanno finta di non aver compreso: il ministro, prendendosi questa libertà e questo spazio su un argomento così identitario, ha costretto il capo a intervenire. Un segnale, per molti, perché la vacatio ormai dura da tre mesi e il vuoto di potere dentro il M5S comincia a diventare ingovernabile. "Conte fa riferimento a questa 'Carta dei principi', qualcuno per caso l'ha vista, l'ha letta? Non mi risulta", spiega un esponente dei 5 Stelle. I contiani di stretta osservanza gettano acqua sul fuoco: l’impostazione “garantista” di Conte era stato esplicitata in assemblea con i parlamentari diverso tempo fa. Peraltro lo stesso Conte non porta su di sé responsabilità rispetto ai toni del passato».
Concetto Vecchio su Repubblica intervista Matteo Renzi:
«Senatore Matteo Renzi, come valute le scuse di Luigi Di Maio all'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti? «È un passo avanti verso la civiltà. Piccolo passo per noi garantisti, grande passo per i grillini, che hanno costruito il proprio successo sul VaffaDay e sull'aggressione giudiziaria nei confronti degli avversari. Oggi il loro ex capo ammette l'errore e si scusa». Pensa che sia sincero? «Lo spero. Nel 2016 ci fu una strategica aggressione contro di noi. Tempa Rossa, dove furono attaccati Federica Guidi e Claudio De Vincenti, Banca Etruria, con il padre della Boschi poi archiviato da tutte le accuse, non ci fu solo Lodi. Quel clima, creato da Di Maio, Di Battista e Casalino contro il mio governo, ha portato i grillini alle vittorie di Roma e Torino prima e del referendum poi». Coglievano lo spirito del tempo. «Peggio, lo costruivano, radicalizzando lo scontro. Noi dipinti come i disonesti, loro i buoni. Ignorando il principio di Benedetto Croce: in politica la vera onestà è la capacità di fare le cose. Di Maio oggi riconosce che lui fu il primo responsabile di quella campagna. Con noi lo aveva già fatto privatamente, oggi c'è un'assunzione di responsabilità pubblica che mi sembra importante». Perché ha deciso proprio adesso di dire no alla gogna? «Perché sta cambiando tutto. Il passaggio da Conte a Draghi - che Italia Viva ha voluto e promosso contro tutti - è un cambio d'epoca. Oggi il Paese è più tranquillo e la gogna non funziona. Del resto può ritorcersi contro, come dimostra la vicenda del figlio di Beppe Grillo».
MA PER IL FATTO QUEL SINDACO “HA AMMESSO”
E Il Fatto? Non si occupa granché della vicenda. Lo fa con un articolo di Gianni Barbacetto, in cui da un lato si dice che il Movimento dei 5 Stelle è “atterrito” da quanto detto da Di Maio. E dall’altro si insiste che il Sindaco di Lodi aveva “ammesso le sue colpe”. Quanto alla sentenza della Corte d’Appello di Milano, secondo la quale “il fatto non sussiste”, bisogna “leggere le motivazioni”.
«Giuseppe Conte aggiunge che "riconoscere un errore è una virtù", Chiara Appendino loda il suo "coraggio", Stefano Buffagni arriva a proporre di candidare Uggetti nel collegio vacante di Siena, a titolo risarcitorio. Eppure il resto del M5S , rimasto ufficialmente in silenzio, è atterrito dall'ennesima inversione a U e dai toni feroci con cui Di Maio fa autocritica, arrivando a definire i comportamenti di allora come "grotteschi e disdicevoli". Ma i fatti, i nudi fatti, come si sono svolti, al di là delle qualificazioni giuridiche e delle altalenanti sentenze? L'arresto del sindaco, chiesto dal pubblico ministero in base a denunce e intercettazioni, fu concesso dal giudice perché Uggetti stava cercando di distruggere le prove e inquinare le indagini. Era accusato di aver truccato un bando d'appalto comunale per favorire un'azienda chiamata addirittura a partecipare alla stesura del bando: una gara self-service. Aveva poi fatto pressioni su una funzionaria del Comune, Caterina Uggè, che gli aveva detto che non se la sentiva di forzare le norme e poi era andata a denunciarlo. Quando poi lo avevano avvertito di essere sotto indagine, Uggetti si era presentato dal comandante locale della Guardia di finanza per chiedere un trattamento di favore. Non avendolo ottenuto, si era dato da fare per cancellare le prove dal suo pc e dal telefono: "Estrai tutti i documenti e formattali!", ordina (intercettato). Non ci riesce e viene arrestato. Il gip scrive che il sindaco dimostra, nelle intercettazioni e nelle testimonianze, una "personalità negativa e abietta", "proterva" e "spregiudicata". Truccava appalti, intimidiva la funzionaria che non lo voleva assecondare, aveva a disposizione talpe che lo informavano sull'indagine, chiedeva un occhio di riguardo al comandante della polizia giudiziaria, provava a distruggere le prove. Dopo il suo arresto, i 5 Stelle chiedono che si dimetta da sindaco. E lui lo fa, anche perché ammette le sue colpe, confessa che sì, ha truccato la gara: ma solo per il bene della città, aggiunge a sua discolpa. Tutta colpa della piscina di Guerini: Uggetti viola le leggi per cercare di aggiustare una situazione disastrosa creata dal suo predecessore. È il 2007 quando Guerini, allora sindaco di Lodi, lancia il progetto La Faustina, grande centro sportivo comunale con piscina coperta. Costo: 13,6 milioni di euro. È un bagno di sangue. Ci perde il Comune e ci perdono i privati coinvolti nell'operazione di project financing. La ditta costruttrice, la Iter coop di Lugo di Romagna, nel 2014 dichiara fallimento. A gestire La Faustina arriva la società Sporting Lodi, che chiude la stagione 2014-2015 con 500 mila euro di buco, che si aggiungono ai 350 mila della stagione precedente. È a questo punto che Uggetti cerca il modo per aggiustare le cose: lancia una gara (truccata) per la gestione delle due piscine scoperte Belgiardino e Concardi (che a differenza della Faustina rendono bene) e con un bando su misura la fa vincere alla Sporting Lodi, per compensarla delle perdite della Faustina. In primo grado, la sentenza ritiene provata "l'esistenza del fatto antigiuridico e colpevole degli imputati" e sostiene che "non vi è dubbio che Uggetti e Marini (il legale della società favorita, ndr) non solo abbiano interloquito illegittimamente tra loro per tutta la durata della procedura, dalla sua ideazione a oltre l'aggiudicazione, ma abbiano di fatto gestito e diretto l'intero sviluppo della stessa, fino a concordare addirittura il sistema per cancellare eventuali prove compromettenti". Tutto puntualmente provato in diretta da intercettazioni e documenti e confermato dalla confessione di Uggetti. Il 25 maggio 2021, la Corte d'appello di Milano assolve perché "il fatto non sussiste". Leggeremo le motivazioni della sentenza, per capire questa svolta. I fatti restano però quelli qui raccontati e ammessi dallo stesso Uggetti, che ora diventa un eroe, ingiustamente sottoposto a "gogna mediatica". Cui ha partecipato, ammettendo le sue colpe».
GELMINI E CARFAGNA ALLA RESA DEI CONTI
Nel centro destra c’è un’animata discussione, questa volta soprattutto in Forza Italia. Emanuele Lauria per Repubblica.
«A evocare l'effetto domino è stata Mara Carfagna, berlusconiana di lungo corso e voce libera per autodefinizione: "L'inziativa di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro rappresenta un danno per Forza Italia che doveva essere evitato. Forza italia ha bisogno di riaprire un dibattito interno se non vogliamo che a questa scissione ne seguano altre...". Una dichiarazione che la dice lunga sul clima che si respira dentro il partito e che fa il paio con quella dell'altra ministra Mariastella Gelmini: "C'è bisogno di rilanciare Fi: non bisogna sottovalutare il malessere crescente di molti colleghi". Il day after della nascita di "Coraggio Italia" diventa presto una resa dei conti, alla corte di un Silvio Berlusconi stanco e malato. Con le due esponenti azzurre nel governo Draghi pronte a sollevare critiche neppure tanto velate al coordinatore Antonio Tajani, indicato come responsabile dello smottamento forzista. Le due ministre indicano chiaramente il pericolo di altre fughe, mettendo in mora il reggente. (…) Il fatto è che l'incursione della nuova armata fucsia, che si è portata via 11 deputati, ha fatto riemergere malesseri profondi, e ha riportato alla luce una plastica spaccatura dentro Forza Italia. Da un lato i custodi dell'ortodossia di partito, gli interpreti della linea di Arcore che siedono soprattutto in Senato (ma non solo) e che sono per un cammino a braccetto con la Lega, fino a una possibile federazione (se non addirittura a un partito unico) in vista delle elezioni. Dall'altro l'ala governativa, più sensibile alle istanze moderate e più lontana dal richiamo del Carroccio».
MELONI A TESTA IN GIÙ, IN LIBRERIA
Il libro autobiografico di Giorgia Meloni esposto capovolto in una libreria Feltrinellli, con tanto di selfie del professore universitario. La cronaca da Il Giornale.
«Forse Simon Levis Sullam, docente universitario alla Ca' Foscari di Venezia, che ha postato una foto con il libro «Io sono Giorgia», a testa in giù, non conosce il detto «un bel tacer non fu mai scritto». Il professore si trovava all'interno di una libreria Feltrinelli quando ha deciso di farsi un selfie con la nuova pubblicazione della leader di Fratelli d'Italia, simbolicamente rovesciata con lo scopo di inneggiare a Piazzale Loreto. «Nelle librerie Feltrinelli - ha scritto il professore - può capitare... via». E ancora: «Pazienza, è temporaneo, solo un po' di mal di testa». La Meloni non ha tardato a dare la sua risposta: «Ma vi sembra normale che un docente universitario scherzi sui miei libri ribaltati per simulare il fatto che io venga appesa? Ecco a voi l'esempio di una delle tante «menti» che insegnano ai giovani il rispetto, la tolleranza, la libertà di pensiero e il confronto civile. Meno male che i cattivi seminatori di odio siamo noi di destra». Già in passato un professore universitario, il 65enne Giovanni Gozzini, era stato sospeso dall'Università di Siena per insulti sessisti nei confronti della leader politica di centrodestra. Sullam è invece un giovane ricercatore a tempo determinato, si legge sul suo curriculum, in Storia contemporanea al Dipartimento di Studi umanistici».
Massimo Gramellini in prima pagina sul Corriere della Sera dedica alla vicenda la sua rubrica:
«Sono passati cent' anni, eppure non passa giorno senza che la cronaca ci restituisca una provocazione collegata in qualche modo all'epoca fascista. Ieri il saluto romano riabilitato da un aspirante sindaco di Roma della destra come risposta igienica al Covid. Oggi il frequentatore per ora ignoto di librerie (senza molto costrutto, verrebbe da dire) che mette a testa in giù le copertine dell'autobiografia di Giorgia Meloni, mentre un professore universitario di passaggio immortala il Piazzale Loreto cartaceo e lo diffonde sui social con toni giulivi: «Solo un po' di mal di testa». La delegittimazione tra rossi e neri non è soltanto una cicatrice che non si rimargina, è una malattia cronica che non si aggiorna neppure nei simboli. Si può discutere se al mondo esistano ancora fascismo e comunismo, ma di sicuro hanno altri nomi e altri riferimenti storici, geografici e sociali. Invece da noi gli orologi della Storia sembrano essersi fermati al 1945. Se Letta dice una cosa di sinistra, salta su un fratello d'Italia o un cugino di campagna per paragonarlo come minimo a Stalin. E sull'altro fronte, quello dei partigiani immaginari, c'è proprio chi non riesce a concepire che il leader della destra - persino adesso che è una donna e che non ha scheletri nell'armadio - possa essere soltanto l'avversario da battere e non il nemico da abbattere. Peggio, il babau da agitare per coprire un vuoto politico che neanche l'odio mascherato da macabro sfottò riuscirà mai a riempire».
QUIRINALE, PRODI SI SMARCA: “PRESIDENTE SUPER PARTES”
Il quotidiano Nazionale intervista Romano Prodi. Doppia paginata in cui si affrontano tanti temi e alla fine si affronta l’argomento della successione a Mattarella. E Prodi dice: “Non sono super partes”.
«C'è la consapevolezza che siamo all'ultima mano di un grande gioco per la sopravvivenza dell'Italia. La crisi precedente ci ha travolto più degli altri perché è stata messa in atto una politica europea sbagliata. Eravamo l'anello debole di una catena che, se non aggiustava i ganci, sarebbe saltata. I ganci adesso ci sono. Ho buone speranze per il futuro, anche se non sarà facile perché abbiamo poco tempo. Non illudiamoci che da Bruxelles non ci facciano gli esami. L'occasione però c'è. Al vertice del nostro paese ci sono le persone migliori che ci possano essere. Mattarella, Draghi e, per me, Letta sono persone nelle quali mi identifico». Glielo chiedo se sogna di fare il presidente della Repubblica? «Me lo chieda. Le rispondo che, oltre l'ostacolo dell'età, non è il mio mestiere. Sarebbe stato forzato anche l'altra volta, quando ho avuto il voto contrario del Parlamento. Il ruolo di mediazione a cui è obbligato il presidente della Repubblica non è il mio. Non sono certo un fanatico, ma non sono super partes: ho idee molto precise. Sono sempre stato un uomo di parte, sempre aperto e comprensivo, ma lo sono ancora. Ecco, mi piacerebbe fare il sindaco di Bologna, se avessi 15 anni in meno». Glielo chiedo se le piace Lepore, o la Conti, o Aitini o altri? «No, non me lo chieda (pausa). Però potrei dire una cosa un po' maliziosa, ma semplice: per partecipare alle primarie di coalizione (pausa molto lunga) bisognerebbe prima di tutto far parte della coalizione».
GAZA. COMINCIA IL NEGOZIATO FRA ISRAELE E HAMAS
Vincenzo Nigro da Tel Aviv aggiorna i lettori di Repubblica sui negoziati dopo la guerra a Gaza:
«Hamas e Israele si preparano a negoziare al Cairo. Saranno negoziati indiretti: al centro ci saranno gli attivissimi mediatori egiziani, che faranno la spola fra le due delegazioni. Se non ci saranno sorprese dell'ultima ora, le due delegazioni saranno di alto livello. Il capo dei negoziatori di Hamas sarà Ismail Haniyeh, leader del movimento all'esterno della Striscia di Gaza. Il capo- negoziatore israeliano sarà invece Gabi Ashkenazi, ministro degli Esteri, ex capo di Stato maggiore, un uomo in grado di interpretare ogni elemento nelle posizioni della politica, della diplomazia e anche della visione militare israeliana sul conflitto. Ancora ieri l'Egitto ha fatto entrare dentro Gaza una delegazione di alto livello del servizio di intelligence esterno, quello a cui il generale Sisi ha affidato il dossier. La guidava il generale Ahmad Abd al-Halek, responsabile per le questioni palestinesi; nelle prossime ore il generale e i suoi uomini ritorneranno a Tel Aviv a incontrare ancora una volta gli israeliani e poi passeranno a Ramallah, a vedere i dirigenti dell'Autorità palestinese. Per Israele gli obiettivi "dichiarati" di questa nuova fase negoziale sono riuscire ad ottenere il rilascio dei due cittadini israeliani prigionieri da mesi nella Striscia e la restituzione dei corpi di due soldati israeliani uccisi anni fa in combattimento. Ma Israele vuole capire anche quale "patto col diavolo" sia possibile costruire per offrire pace e sicurezza al Paese nei prossimi anni. Hamas vuole consolidare la tregua e trovare una modalità per far affluire nella Striscia le centinaia di milioni di dollari promesse da mezzo mondo per ricostruire le infrastrutture e aiutare la popolazione. Yahia Sinwar, il capo del movimento all'interno della Striscia, ha già detto «noi non toccheremo un centesimo di quei soldi, vogliamo che vadano tutti alla ricostruzione». Questo perché Israele vuole che Gaza sia ricostruita, ma chiede innanzitutto a Usa e Unione europea di non far arrivare soldi che potrebbero servire ad Hamas per ricostruire il suo parco-missili. Hamas accetta, perché i suoi finanziamenti militari arrivano in altro modo dall'Iran. In tutto questo l'Egitto si sta consolidando in Medio Oriente come la "potenza necessaria"».
BIDEN PRESENTA LA SUA RICETTA ECONOMICA
Il Presidente Joe Biden ha presentato la sua nuova politica economica al Congresso americano. Federico Rampini su Repubblica.
«La ripresa è già cominciata. L'America sta rinascendo. Ricostruiamo la nostra forza a partire dal ceto medio e dalle classi lavoratrici». Joe Biden presenta la sua prima legge finanziaria, il contenitore di un insieme di manovre di spesa pubblica di dimensioni mai viste dalla seconda guerra mondiale, che vuole «ricostruire e reinventare l'economia, non tornando semplicemente a come era prima». È un bilancio federale da 6.000 miliardi di dollari, che aggiunge carburante ad una crescita Usa record già avviata verso un +8% del Pil a fine anno, con una disoccupazione in forte calo, e segnali di un'inflazione incipiente. È un ritorno in forze dello Stato nell'economia, che riscopre i modelli di Franklin Roosevelt, John Kennedy e Lyndon Johnson, ma prende anche qualche suggerimento dalle ricette economiche usate in Cina nella crisi precedente. (…) Per avere un'idea della dimensione di spesa, il dato significativo è che al termine del decennio il rapporto fra debito e Pil negli Stati Uniti salirebbe dal 100% attuale (già un record) al 117% nel 2031. L'America è reduce da 14 mesi di spesa pubblica eccezionale: tra le manovre di Donald Trump a sostegno della ripresa durante il lockdown e quella che Biden varò a gennaio per 1.900 miliardi, si stima che abbia mobilitato il 25% del Pil. I risultati sono ben visibili. Gli aiuti alle famiglie hanno prodotto un paradosso, la "sovra-compensazione" del danno dei lockdown, per cui molti americani hanno accumulato risparmi. Biden vanta il fatto che «in tre mesi ci sono state un milione e mezzo di nuove assunzioni, le richieste di indennità di disoccupazione sono dimezzate». La ripresa è così forte che il 2021 potrebbe chiudersi con un sorpasso sulla Cina per la velocità di crescita. Ma s' intravvedono le prime tensioni inflazionistiche con un aumento dei prezzi del 4,2% nell'ultimo mese. Il quadro macroeconomico farà da sfondo all'iter parlamentare che comincia adesso, per un'approvazione della legge di bilancio che si annuncia combattuta. (…) Una delle parti più controverse riguarda la copertura fiscale. È qui che si nota la sterzata più radicale rispetto all'Amministrazione Trump. L'attuale presidente intende cancellare le riforme del suo predecessore che tagliò le tasse sulle imprese. Biden propone di riportare il prelievo sugli utili societari al 28%, insieme a una global minimum tax al 15% sui profitti realizzati all'estero dalle multinazionali. È in arrivo una stangata sui ricchi con il ritorno dell'aliquota Irpef sullo scaglione più elevato dei redditi al 40%, più una serie di interventi su plusvalenze finanziarie. Sono tutti elementi che daranno fuoco alle polveri durante la battaglia al Congresso. I repubblicani contestano la stangata fiscale su ricchi e imprese. (…) C'è una fronda anche in seno al partito democratico, dove l'allarme inflazione ha dei teorici autorevoli come l'ex segretario al Tesoro Larry Summers. Nella tradizione americana, il presidente propone la sua legge di bilancio, il Congresso decide la versione finale. La maggioranza democratica è così esigua che i rischi di defezioni spingono Biden a cercare intese coi repubblicani mediando e concedendo dove possibile».